sabato 24 ottobre 2015

Il canone Rai in bolletta. Siamo sicuri che costi meno?

Luciano Granieri

Nel meritorio obbiettivo di combattere e sconfiggere l’evasione fiscale la  legge di stabilità prevede  l’inserimento del canone Rai nella bolletta della luce elettrica. La tassa sulla TV  è uno dei tributi di evasi. Inserendo l’imposta in bolletta, sarà più difficile non pagare e in base alla regola “pagare meno pagare tutti” mutuata da un vecchio adagio delle lotte degli anni ’70 “lavorare meno, lavorare tutti”, l’importo del canone sarà ridotto dai 113 euro attuali a 100 euro. 

Non si capisce perché sempre nella legge di stabilità sia stato inserito l’innalzamento del denaro contanti per gli acquisti da 1.000 a 3.000 euro   ed abolita la norma che vietava di pagare gli affitti degli  gli immobili in contanti. Un enorme regalo ad evasori e riciclatori che mal si concilia con la crociata anti evasione intrapresa con il canone Rai in bolletta. 

Ma siamo certi che inserendo il tributo alla Rai renziana nella fattura della luce il costo sia inferiore? Non ci metterei la mano sul fuoco. Entriamo nel merito.  Una bolletta per il consumo dell’energia elettrica si compone di tre voci. La prima costituisce i servizi di vendita ed è il prezzo deciso dalla compagnia che eroga il servizio. Il gestore ha voce in capitolo solo su quest’importo. La seconda riguarda i servizi di rete. E’ una quota stabilita dall’autorità per l’energia elettrica il gas e il servizio idrico. La terza, di competenza statale,  comprende imposte ed altri oneri.  Sulla sommatoria delle tre voci si applica l’Iva al 10%. Puzza di truffa  il fatto che si paghi l’IVA , anche sulle imposte , cioè sia prevista un’imposta su  un’altra imposta, ma questo è. E se tanto mi a tanto   è  molto probabile      che ci facciano pagare l’Iva anche sull’importo del canone Rai. 

Infatti a rigor di logica il tributo al "megafono di regime" andrebbe collocato nel capitolo relativo alle imposte. Una voce  alla  quale, come si vede nella copia di una bolletta che pubblichiamo a margine, si applica l’Iva. Senza contare che nel capitolo “altri oneri” potrebbe starci di tutto, anche un agio da riconoscere al gestore in cambio della disponibilità a raccogliere  l’imposta . Nella migliore delle ipotesi il costo della tassa sulla TV  sarebbe di 110 euro e non di 100. Rimarrebbe quasi invariato. E’ auspicabile  l’inserimento  in bolletta del canone Rai come una quota  esente Iva.  Sarebbe corretto, ma le azioni di questo manipolo di cialtroni -che si è impossessato del governo italiano usurpando i voti conseguiti da altri,  guidando per altro un esecutivo eletto con una legge elettorale illegittima - sono tutt’altro che corrette. 

Un esempio, il buon Corrado Passera, ex banchiere e fondatore del nuovo partito “Italia Unica” ha scoperto che sul sito del Ministero delle Finanze nelle tabelle analitiche allegate al testo della manovra  le cifre sono oscurate dalla dicitura “omissis” . Mentre  nella versione pubblicata sul sito della Ue non è stato omesso nulla. Dalle  tabelle  in chiaro risulta che, al contrario di quanto sbandierato dal Presidente del Consiglio in merito al  taglio delle tasse  contenuto nella manovra, la pressione fiscale aumenterà  di mezzo punto percentuale, arrivando a toccare il   44,2% ,  un tetto mai raggiunto prima. Non si capisce se Renzi abbia voluto  prendere per culo gli italiani o  l’Unione Europea, certo è che qualcuno stato  preso in giro . Per uno così  fare il gioco delle tre carte  sul canone Rai  sarebbe facile come bere un bicchiere d'acqua. 

Voi dite che la mia preoccupazione è eccessiva, è tipica dei gufi e dei rosiconi  e che nella bolletta elettrica troveremo solo i 100 euro?  Può darsi intanto l’attenzione sulla faccenda è stata sollevata. Meglio prevenire che curare.  Anche se si sono volatilizzati pure i soldi per la prevenzione.


venerdì 23 ottobre 2015

L'insostenibile leggerezza dei voti Pd

Luciano Granieri



Quanto contano i voti degli elettori del Pd?

Nelle  primarie  indette nel 2012 per eleggere il candidato premier fra Bersani e Renzi , gli elettori scelsero  Bersani,  Renzi   ne uscì perdente. Ma  oggi il premier è  proprio l’ex sindaco fiorentino. Tutto il contrario di quanto deciso dagli elettori.

Nel programma elettorale del Pd, non c’era il Jobs Act, né lo smembramento della Costituzione, con l’abolizione del Senato. Si ribadiva invece, la necessità di rispettare l’esito dei referendum sull’acqua e quindi evitare  il  profitto sui beni comuni. Come ha avuto modo di dire lo stesso Bersani. Di quanto  portato avanti dall’attuale  governo targato Pd , a parte le unioni civili che ancora non sono state approvate, nulla era scritto nel programma votato dagli elettori.

Chi ha votato Pd sicuramente avrebbe aborrito l’idea di sedersi al tavolo delle riforme con Verdini . Ciò è puntualmente avvenuto.

Nel  referendum confermativo sulla  modifica della  costituzione proposta dal centro destra  nel 2006, gli elettori del Pd votarono  contro la deriva autoritaria che quel dispositivo imponeva, abolendo il bicameralismo perfetto,  trasferendo sul premier e sul governo tutti i poteri . Oggi quello stesso  principio, ancora più inasprito in senso autoritario, ritorna nella riforma costituzionale confezionata proprio dal Pd,il quale   ancora una volta mostra di non considerare minimamente  quanto sancito dal proprio elettorato.

E allora, quanto contano i voti degli elettori Pd? Ma soprattutto quanto contano gli elettori Pd?


Renzi è Renzi  ma minoranze,  elettori e militanti  Pd non sono un……….

giovedì 22 ottobre 2015

Palestina. In morte di un numero

Questo non è un articolo. Non è equidistante, non è imparziale, non è neutrale. Racconta una storia. La storia di Hashem al-Azzeh, numero 48, ucciso a Hebron dopo una vita passata a resistere. 


di Cecilia Dalla Negra
Succede così. Che scorrendo tra le notizie del giorno che arrivano da quella terra, un nome nella lista delle persone da piangere sia più vicino al tuo cuore. E allora trovare le parole per descrivere la frustrazione per come viene raccontato dai media quello che accade diventa inutile.
E’ una stanchezza, quella che coglie, fatta di rabbia, di nomi che negli anni si sono susseguiti, di definizioni sbagliate, di parole a vuoto, dette a caso, dette male. Di cronache tanto ignoranti da essere violente, di luoghi comuni da sfatare, pregiudizi da smontare, battaglie perse un giorno dopo l’altro. 
“Non riesco più a scriverne, non serve a niente”, si sfoga un amico, un collega. Un altro che ha attraversato quei luoghi e quando accende la tv pensa, probabilmente, che quegli inviati mica stiano dicendo sul serio. Non è possibile. 
Ci hanno insegnato che il giornalismo deve essere neutrale. Imparziale, equidistante, equilibrato, non coinvolto, non schierato.
Io invece dico che il giornalismo deve essere denuncia. Spazio dato ad un dolore, voce prestata a chi non ne ha, occhi che hanno il coraggio di guardare, corde che hanno la forza di suonare, scarpe che hanno l’onestà di attraversare i mondi di cui parlano, lasciando che siano i fatti a parlare.  
E allora, facciamo che questo non è un articolo.
Facciamo che non è imparziale, non è equidistante, non è deontologicamente corretto e non è tecnicamente perfetto. Non rispetta le regole, non si allinea, semplicemente racconta. 
Racconta la storia di Hashem, che è il numero 48. 
E’ stato il numero 1milione da quando questa Occupazione feroce è cominciata, e resta un punto indistinto di una lista che sarà senza fine sino a che senza fine resterà l’Occupazione. 
E’ una storia che non serve, che non cambierà le cose, che non ci farà sentire meglio, che non modificherà la narrazione del prossimo telegiornale. Ma andrà pur raccontata, e prima o poi dovrà pur essere ascoltata.
Perché contro il sistema mediatico la nostra parola è un’arma spuntata, ma resta un’arma. Perché è la storia di Hashem, un uomo speciale per qualcuno, come gli altri 47 lo erano per qualcun altro. Hashem è uno, ma la sua storia è quella di migliaia. 
Era quasi impossibile passare per Hebron e non incontrarlo fra le sue strade violentate. Lui che tanto aveva lavorato per ricostruirle, un pezzetto alla volta, insieme ad altri volontari. Un mattone sopra l’altro, per riconquistare un cielo occupato e cancellare ostinatamente i segni dell’Occupazione.
L’andamento incerto eppure fiero, Hashem ti accompagnava per i vicoli sorridendo. “Vieni a casa, ti offro un the, ti faccio vedere”, diceva, nello sguardo il bisogno di mostrare in quali condizioni l’avessero ridotto a vivere.
Lui che aveva una piccola casa con il cortile nel quartiere di Tel Rumeida, in Shuhada Street, dove la sua famiglia viveva da generazioni, e che un giorno si era visto murato vivo da un grande check point, i coloni tutto intorno. Insediati, a decine, nelle case delle famiglie palestinesi, dei suoi stessi vicini, cacciati grazie all’aiuto dell’Esercito israeliano.  
Hashem se li era trovati a un passo dai suoi alberi di albicocche, fin dentro il cortile. Ma non se n’era mai andato, e anzi lavorava per aiutare i palestinesi a tornare ad Hebron, a riprendere in mano le loro vite.
Della sua casa apriva le porte con affetto sincero a chiunque avesse il coraggio di passare di là. "Welcome to Guantanamo" diceva sorridendo, perché anche se la sua vita era un atto di resistenza quotidiana non aveva perso la voglia di ridere. 
Resistenza era rimanere a vivere lì quando chiunque sarebbe andato altrove. Resistenza era far giocare i bambini nel patio sovrastando con la voce gli insulti dei coloni vicini.
Dio ci ha dato il diritto di uccidere gli arabi, e noi lo amiamo per questo”, recitava il cartello appeso sulla loro porta. “Gas agli arabi” quello che avevano scritto sulla sua. Resistenza era raccontare la sua storia sempre, a tutti, e sempre con il sorriso. Riviverne il dolore pur di mostrare a che punto, ad al-Khalil, fosse arrivata la violenza del colonialismo.
Salamraccontate come stiamo qui”, un altro sorriso, l’ultimo giro di the, un saluto con la mano. E alla prossima. Sono stati centinaia in questi anni gli attivisti che si sono seduti sul suo divano. 
Per convincerlo ad andarsene, i coloni gli hanno tagliato i tubi dell’acqua, lanciandone la famiglia priva per tre anni. Hanno avvelenato e poi sradicato tutti i suoi alberi da frutto, messo del filo spianato in giardino, fatto arrestare suo figlio di 5 anni, murato la porta, provocato due aborti spontanei alla moglie, ordinato all’Esercito di eseguire raid di giorno e di notte. Uno mentre lei stava partorendo. All’ospedale la portò in braccio, perché impedivano all’ambulanza di arrivare.
Lo hanno aggredito, picchiato, minacciato. Gli hanno lanciato immondizia in salotto. La lista degli abusi che Hashem ha dovuto subire nella sua vita potrebbe continuare, e non basterebbe un foglio per raccontarla (lo fai lui stesso nel video che segue  di qualche anno fa e in questa bella intervista).  



Così come quella di tutti gli abitanti di Hebron, rinchiusi dentro una gabbia a cielo aperto e circondati da armi, check point, Esercito, coloni. L’ho raccontato qui, durante il mio ultimo viaggio. L’ha raccontato uno splendido documentario – “This is my land, Hebron” – pochi anni fa. Lo hanno raccontato decine di testimonianze, video, racconti, iniziative ed interviste.
Ma la verità è che quella violenza, se non si è vista, non si può capire. 
E non sarà una telecronaca da Gerusalemme dell’ultimo improvvisato inviato a poterla descrivere: perché non l’ha vista, perché non l’ha voluta vedere, perché se l’ha vista non l’ha voluta raccontare. E questo è quanto. 
Cinquantaquattro anni, quattro bambini, due perduti per lo spavento della moglie per le aggressioni dei coloni prima ancora che vedessero la luce, Hashem al-Azzeh è morto oggi. 
Vorrebbero che mi arrendessi, che lasciassi la mia casa, la mia terra. Non lo farò mai. Continuerò a lottare finché non otterremo la nostra libertà”, diceva.
Ma questo terrorista, questo padre di famiglia, non vedrà la libertà perché è stato ucciso il 21 ottobre in quella al-Khalil di cui sarà sempre il volto sorridente. Che andrà avanti, ma che oggi ha perso un pezzetto della sua anima cortese. 
La vita di Hashem è stato un lungo ed unico atto di resistenza, che ha portato avanti senza perdere mai il sorriso, la luce fiera nello sguardo. Hashem ha respirato un gas di troppo in una manifestazione di troppo e se n’è andato, inghiottito anche lui dalla violenza cieca dell’Occupazione. 
Un numero in una lista di numeri, da cui lo potevamo tirare fuori solo così: per un istante che non farà la differenza, in memoria di un altro volto ignorato, contro una narrazione che a volte è più violenta delle armi. 
Che la terra ti sia lieve, ya Hashem. E Filisteen horra



Anche noi raccogliemmo nel maggio 2013 una testimonianza di come si resiste in quelle terre. E' un video girato con il cellulare a casa dell'ex parlamentare già vice presidente del parlamento europeo Luisa Morgantini.
Luciano Granieri.

Smobilitazione del reparto di pediatria presso l'Ospedale Spaziani

Francesco Notarcola – Coordinamento provinciale della sanità   

Lamentele, proteste, segnalazioni e rimostranze ci giungono quotidianamente da cittadini-genitori per la insostenibile situazione che si è determinata nel reparto di pediatria dell’ospedale del Capoluogo.
Questo reparto, infatti, va avanti con tre medici di cui uno è in malattia e un altro è esentato dai turni notturni.
La guardia notturna è interdisciplinare e deve, perciò, provvedere ed assistere anche il reparto di neonatologia ed alla consulenza pediatrica richiesta dal pronto soccorso. Le conseguenze di tale situazione potrebbero essere drammatiche nel caso si verificassero due eventi di emergenza. In tutta la provincia di Frosinone non esiste un pronto soccorso pediatrico. Prima che arrivassero i grandi cervelli a dirigere la ASL nel reparto pediatrico c’era tutto   compreso un organico medico di tutto rispetto.
Però in questi due reparti, in compenso, abbiamo tre primari-referenti.
Inoltre c’è da sottolineare che se un bambino ha necessità della consulenza o dell’intervento in emergenza dello specialista ORL (otorinolaringoiatra), dalle ore 14 del venerdì alle ore 8.30 di lunedì, deve essere dirottato a Cassino. Infatti il reparto ORL del “Fabrizio Spaziani”, in questi giorni è chiuso.( Questo problema esiste anche per i pazienti adulti.) Se un bambino ha bisogno di una consulenza ematologica viene dirottato a Roma perché da noi non esiste ematologia pediatrica. Occorre sottolineare che in questo reparto affluiscono i bambini da tutti i comuni del centro nord della provincia.
Questa realtà drammatica è anche la conseguenza delle decisioni che sono state assunte dalla Regione Lazio e dalla  direzione generale della ASL  per rispondere, in modo strumentale, a richieste di interesse politico-clientelare.

 Questo caos sanitario che vive un reparto dedicato ai bambini , unico, in un territorio dove esiste una popolazione di circa 400 mila persone, rappresenta una vergogna da cancellare urgentemente. I Sindaci, a cominciare da quello del capoluogo, e la conferenza locale della sanità sono ancora una volta chiamati in causa per le loro responsabilità unitamente al Presidente,  al Vice Presidente della provincia ed ai consiglieri regionali che brillano per il loro silenzio che diventa complicità. I cittadini non possono e non devono rimanere indifferenti e continuare a dare la loro fiducia a chi è responsabile dello sfascio sanitario approvando in toto le scelte scellerate del presidente Zingaretti

mercoledì 21 ottobre 2015

Lavori (Jobs per farlo capire ai renziani)

Luciano Granieri




Commesso presso una grande distribuzione di articoli di tecnologia di  consumo.

Contratto a termine secondo il decreto Poletti, 6 mesi con possibilità di rinnovo. 40 ore settimanali a mille euro al mese. Settore audiovisivo (televisori e affini). Otto ore al giorno e una giornata di riposo settimanale che non capita mai di domenica, le feste si onorano lavorando. L’orario cambia ogni volta, così il giorno di riposo. I turni si conoscono il sabato sera alla chiusura, per cui solo alla fine della settimana si sa cosa ti tocca la settimana successiva . Non puoi programmare la tua vita  se non giorno per giorno. Le ferie ci sono (30 giorni) ma non si possono prendere né a luglio né ad agosto né a dicembre. Dopo due mesi ti chiamano e ti dicono che stai a part time, 4 ore al giorno, in luogo delle otto con cui sei entrato, a seicento euro al mese,  l’azienda deve risparmiare . Ti dicono pure che sei fortunato perché se trovi un altro part time puoi  combinare i due mezzi lavori e arrivare a guadagnare più di quanto guadagnavi  prima. Comunque se non ti  sta bene, passati i sei  mesi di contratto vai a casa. Il problema è che l’orario cambia di settimana in settimana e come già detto si sa solo alla sera di ogni sabato. Sfido chiunque a trovare un altro lavoro che ti dia la possibilità di cambiare continuamente gli orari per adattarli a quello che stai facendo . Un giorno a settimana bisogna rimanere oltre l’orario di chiusura per riunione aziendale. Un martirio in cui il direttore ti dice che bisogna vincere la targa del miglior reparto, miglior negozio, miglior venditore di garanzie e finanziamenti. Ne va del mantenimento del posto di lavoro. Ogni mese bisogna sottoporsi ad una cena motivazionale in cui il proprietario della catena ringrazia per gli  sforzi che si fanno, ma bisogna fare di più perché l’azienda è in perenne crisi. Fra un maccherone scotto e un petto di pollo incartapecorito capisci che ti stanno prendendo per il culo. Ti attacchi al vino farà schifo ma almeno non ti fa pensare. Scade il contratto e nonostante nell’ultimo mese hai venduto più  televisori e più garanzie nel tuo reparto il direttore ti da la notizia: Prego si accomodi alla porta, la collaborazione non si rinnova. Non è per scarso rendimento, anzi, ma per necessità aziendali . E’ in arrivo un ragazzetto con il contratto di apprendistato, assunto anche questo con  il decreto Poletti, sei mesi  con stipendio pagato dallo Stato e pure lui alla scadenza  è destinato  inesorabilmente ad accomodarsi fuori. Un altro  giovane apprendista è pronto per i prossimi sei  mesi,  se serve, se no si sta bene anche con un in meno e si sfruttano di più  gli altri dipendenti.

Procacciatore di contratti per energia elettrica e gas.

Lavoro occasionale. Bisogna girare per i palazzi e tentare di vendere contratti per gas ed energia elettrica. E’ un assalto alla diligenza. Molti usano stratagemmi spacciandosi per  tecnici dell’azienda del gas o della compagnia elettrica. Entrano nelle case fingendo di effettuare controlli sul contatore o sull’esatta redazione della bolletta per strappare una firma che vale 20 euro. Chi si presenta onestamente esplicitando le vere finalità del lavoro, cioè vendere forniture di riscaldamento ed elettricità, si vede sbattere la porta in faccia o subisce insulti e parolacce, anche se qualche anima buona, in conflitto con i gestori precedenti ti firma la commessa.  Si può, anzi si deva,  andare fuori città, ma di rimborsi spese neanche a parlarne. Se porti a casa i contratti sei  pagato altrimenti pippa.

Intervistatore per agenzie di sondaggi e ricerche di mercato.

Lavoro occasionale, capita quattro o cinque volte l’anno. Si tratta di andare a rompere i coglioni alla gente, per rilevare  il loro orientamento su consumi e acquisti. Si staziona nel reparto caffè di un supermercato per capire se la signora compra il decaffeinato, piuttosto che la cialda. Un po’ del tempo si passa dentro a bar ed enoteche per annotare  con quale vino o superalcolico la gente si affoga il cervello.  Si va in giro per le concessionarie d’auto fingendo di comprare una macchina e rilevare se il venditore è cortese e ti propone tutte le mirabilie dell’ultimo modello e i finanziamenti più vantaggiosi . Si battono gli ospedali della zona per sapere dai medici quali farmaci prescrivono e quali sono gli informatori  sanitari più abili.  L’incarico arriva sempre in ritardo quindi per concludere le interviste nel tempo stabilito devi girare anche la notte. Spesso le istruzioni sono imprecise,  vai  a trattare una macchina, devi dare indietro un usato ma non ti dicono di che anno è.  Per sottoporre certe interviste, tipo quelle ai medici, devi informarti sui medicinali, ti devi formare, e lo devi fare di tua iniziativa. Subisci sfanculamenti e rifiuti per un guadagno che va dai due ai venti euro a intervista, dipende da chi vai a disturbare.

Se hai più di cinquant’anni, devi tirare avanti una famiglia e non hai santi in paradiso, questo ti tocca. Essere sempre pronto quando ti chiamano anche se è il giorno o l’ora dopo la chiamata. Sbatterti in giro per racimolare poche centinaia di euro  necessarie ad arrivare alla fine del mese. Sei schiavo di un’occupazione  che non c’è.  Questo è il lavoro ai tempi del Jobs Act.



martedì 20 ottobre 2015

Processo Valle del Sacco a rischio prescrizione.

Rete per la tutela della Valle del Sacco

Il prossimo 22 ottobre, presso il tribunale di Velletri (Rm), si terrà la nuova udienza del processo sulla contaminazione da Beta-esaclorocicloesano nella Valle del Sacco, per il quale si rischia di vedere assolvere tutti gli imputati per prescrizione: è questa, infatti, la formale richiesta della difesa, che si è riportata alla ormai tristemente nota sentenza Eternit di Casale Monferrato, in particolar modo per quanto riguarda i tempi in cui l’atto incriminato è stato commesso.

In pratica, la difesa chiede dichiararsi prescritto il reato perché il termine per la punibilità della condotta illecita decorrerebbe dal momento in cui il lindano ed i suoi derivati sono stati immessi nell’ambiente e non da quando hanno prodotto gli effetti negativi sulla salute dell’uomo!
Di contro l’accusa potrebbe ribattere che gli imputati non hanno impedito, negli anni a seguire, l’infiltrazione nelle acque di queste sostanze cancerogene (oggi sappiamo che purtroppo lo erano) ed il conseguente disastro che conosciamo.
Su questa ipotesi viene incontro la Procura la quale afferma che le condotte criminose di sversamento e conseguente inquinamento del fiume erano ancora operanti al momento in cui vennero effettuati gli accertamenti dall'ARPA Lazio conseguentemente all’avvio dell’emergenza del 2005.

Prima della richiesta di prescrizione avanzata dalla difesa il processo sembrava essersi ormai volto verso una direzione favorevole alla tesi dell’accusa e, quindi, dei diritti dei cittadini.
È d’uopo riassumere le testimonianze chiave rese durante gli interrogatori:

Luigi Mattei, carrellista all’interno del Comprensorio Industriale di Colleferro, ha ripercorso l’intera vicenda del sotterramento dei fusti tossici ricordando il processo degli anni ’90, si è soffermato sul danno biologico e sui danni all’apparato confermati dal parere di un medico legale da lui interpellato ed ha rammentato che le paratie di immissione al fiume spesso lasciavano passare sostanze di ogni genere.

Il luogotenente del NOE Valerio Russo, ora in pensione, ha ricostruito il sistema di convogliamento delle acque all’interno del Comprensorio Industriale di Colleferro ed ha ricordato il fatto che in uno dei sopralluoghi una paratia fu trovata addirittura aperta, precisando però che, anche se fosse stata chiusa, essendo il divisorio tra le acque di diversa natura costruito in calcestruzzo, avrebbe comunque permesso il passaggio di acqua verso il Fosso Cupo e di conseguenza nel Fiume Sacco, bypassando l’impianto di depurazione. Il teste ha confermato che la paratia in questione è stata trovata aperta anche in altre occasioni, fino alla chiusura completa, nel maggio del 2005, dietro richiesta della Provincia di Roma

Altri testimoni del nucleo Forestale hanno confermato con le loro deposizioni che il sistema di collettamento delle acque e dei tombini non era provvisto di opportune separazioni tra le acque bianche e quelle di processo industriale.

Il dott. Francesco Blasetti, della ASL RMG, ha ribadito che a livello epidemiologico le sostanze in esame vanno ad intaccare sia organi, sia apparati del corpo umano quali il sistema immunitario, il sistema riproduttivo, il fegato, la funzionalità renale, il sistema nervoso centrale e periferico, con possibilità di interessamento del sistema cardiovascolare. Il nuovo rapporto epidemiologico, che verrà pubblicato a breve, andrà ad aggiungere nuovi elementi ad uno studio che risulta essere uno dei più completi a livello internazionale.

Il maggiore Marco Datti, attuale capo della sezione operativa del NOE e comandante del NAS fino al 2013, ha ricordato le fasi antecedenti al 2005 soffermandosi sul rifiuto da parte della Centrale del Latte di Roma, sin dal dicembre 2003, del latte prodotto, poi conferito in alcuni stabilimenti caseari senza il necessario avallo di Legge.

In definitiva diversi testimoni si sono trovati concordi, e anche il materiale fotografico d’indagine ha confermato le loro affermazioni, sul fatto che il sistema di condutture e separazione tra le acque era fatiscente e incontrollato e che in questo modo era facile che il materiale contaminante arrivasse al fiume senza passare per la depurazione.

A questo punto ci auguriamo che il Giudice, Dott. Coderoni, il  22 ottobre accolga l’opposizione dell’accusa e rigetti la richiesta di prescrizione, permettendo così che il processo possa proseguire nella ricerca dei responsabili di un disastro di cui ancora oggi, e non si sa per quanto altro tempo ancora, la popolazione della valle del Sacco ne subirà le conseguenze.  

Bilancio Comunale Altra replica di Mastrangeli

Riccardo Mastrangeli



Ovviamente sono io che ringrazio per l'attenzione e non aggiungo commenti.

Rispondo esclusivamente sui termini della legge che, sono talmente chiari, da non prestarsi ad interpretazioni; spero solo di essere ancora più chiaro di prima.



L’art.141, comma 2, stabilisce che “Nella ipotesi di cui alla lettera c) del comma 1 (ndr quando non sia approvato nei termini il bilancio), trascorso il termine entro il quale il bilancio deve essere approvato senza che sia stato predisposto dalla giunta il relativo schema, l'organo regionale di controllo nomina un commissario affinché lo predisponga d'ufficio per sottoporlo al consiglio (ndr primo periodo). In tal caso e comunque quando il consiglio non abbia approvato nei termini di legge lo schema di bilancio predisposto dalla giunta, l'organo regionale di controllo assegna al consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a 20 giorni per la sua approvazione, decorso il quale si sostituisce, mediante apposito commissario, all'amministrazione inadempiente (ndr secondo periodo). Del provvedimento sostitutivo è data comunicazione al prefetto che inizia la procedura per lo scioglimento del consiglio (ndr ultimo periodo)”.
In merito ai poteri previsti dall’organo regionale di controllo, si evidenzia come il D.L. 31 dicembre 2014, n. 192, convertito con modificazioni dalla L. 27 febbraio 2015, n. 11 (mille proroghe) abbia prorogato per l’anno 2015 l’applicazione delle procedure previste dall’articolo 1, comma 1-bis, del decreto-legge n. 314 del 2004, concernenti la disciplina per lo scioglimento dei Consigli degli enti locali per mancata approvazione del bilancio di previsione nei termini previsti e l’attribuzione al Prefetto (ndr a fronte della cessazione del CoReCo) dei relativi poteri sostitutivi, ai fini dell’approvazione del bilancio medesimo e della verifica della salvaguardia degli equilibri di bilancio. 
Inoltre, le conseguenze sanzionatorie sono diverse qualora l’amministrazione non approvi il rendiconto nei termini rispetto alla mancata approvazione del riaccertamento. Infatti, la mancata approvazione del rendiconto di gestione 2014 nei termini comporta, ai sensi dell’art.227, comma 2-bis, D.Lgs.267/00, la procedura prevista dall’art. 141 del t. u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, mentre la mancata approvazione del riaccertamento dei residui attivi e passivi ha come conseguenza solo l’applicazione del comma 2, primo periodo, del citato art.141 come esaminato qui di seguito
In caso di mancata approvazione del rendiconto i Prefetti avrebbero attivato la diffida ad adempiere nei termini previsti dei 20 giorni, in caso di inerzia avrebbero successivamente proceduto alla nomina di un commissario ed iniziato la procedura di scioglimento del consiglio comunale.
La situazione è, invece, completamente diversa in caso di mancata approvazione da parte della Giunta Comunale del riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi. In questo caso la normativa prevede esclusivamente la nomina da parte del prefetto di un commissario con i poteri di Giunta e di Consiglio in sostituzione dell’ente inadempiente. In pratica, seguendo correttamente la normativa, non si applica il secondo periodo del sopra citato comma 2 (diffida non superiore ai 20 giorni), né l’ultimo periodo che riguarda l’inizio della procedura di scioglimento del consiglio. D’altra parte non sarebbe possibile applicare il secondo periodo il quale prevede che “… quando il consiglio non abbia approvato nei termini di legge …” in quanto il consiglio non approva nulla avendone solo comunicazione da parte della Giunta.

Per non tediare oltre il lettori di Aut evitiamo di replicare a tamburo battente. A giorni pubblicheremo le nostre considerazioni generali sulla delibera  di giunta 195, che ribadiamo, certifica il non completo riaccertamento dei residui attivi e passivi così come disposto dal D.Lgs 126/2014

L'ulteriore risposta dell'Assessore è in relazione al post che segue.

Luciano Granieri

lunedì 19 ottobre 2015

Renzi accoglierà Ottaviani nel club dei Superciuk

Luciano Granieri




Insisto,  e continuo a sostenere  che il prossimo candidato del Pd alla Camera, nominato  nel nostro territorio, sarà Nicola Ottaviani. 

Lo stato comatoso in cui versano le sezioni locali piddine in tutta Italia è noto. Il Duce Segretario si è accorto, pur in ritardo, che se non mette mano alla riorganizzazione  degli organismi territoriali , il Pd rischia seri scivoloni nelle  prossime elezioni amministrativi. Rovesci che potrebbero  ripercuotersi negativamente anche sulle vicende nazionali. Non è un caso che i congressi per scegliere i dirigenti locali,   le primarie utili ad  eleggere  i candidati sono  vecchi arnesi caduti in disgrazia. Da  Messina,  a Cosenza, da Potenza, a Napoli da Milano, a Roma e nel resto del Paese,  sceglierà Renzi e il suo giglio magico chi  dovrà fare il sindaco, chi il segretario provinciale, chi ambire ad un posto un Parlamento .  

Neanche la Provincia di Frosinone fa  eccezione. La situazione del Pd nel nostro territorio è parecchio ingarbugliata, con i due Franceschi  (entrambi ormai rigorosamente renziani, l’uno della prima, l’altro dell’ultima ora) che si fanno la guerra per spartirsi i trofei elargiti dal   debordante partito della Nazione,  salvo  mettersi d’accordo quando le circostanze consigliano alleanze fra fratelli coltelli, e perfino  con gli avversari (vedi l’amministrazione provinciale non eletta dai cittadini). Impazza  il toto candidato per la poltrona di Deputato, e si alimenta una guerra senza quartiere. Del congresso ovviamente neanche a parlarne.  Un garbuglio che sicuramente non farà piacere al Duce segretario. 

E l’uomo giusto per  derimere le questioni e mettere tutti d’accordo c’è. E’ l’avvocato sindaco Nicola Ottaviani. Renzi non potrà ignorarlo è troppo simile a lui.  Entrambi sono fedeli esecutori della massima superciukiana : RUBARE AI POVERI PER DARE AI RICCHI. L’uno, Renzi, abolendo la  tassa su ville e manieri, tagliando al contempo i finanziamenti per la sanità. L’altro, Ottavani, licenziando lavoratori,   aumentando le rette (per gli asili nido, i pulmini per le scuole ,  la mensa scolastica), regalando al contempo pezzi pregiati della città alla lobby  dei grandi   speculatori immobiliari , e assecondando le scorribande del gestore idrico Acea . 

  Entrambi agiscono indisturbati a fronte di un'opposizione insistente.  A parte il Movimento5stelle, il diasporato e ondivago centro destra, di lotta, di governo,  e di opportunismo, unito all’imbarazzante minoranza Pd, non costituiscono alcun ostacolo per l’avanzata di Renzi, il quale procede spernacchiando ora Alfano, ora Bersani e sodali. Per Ottaviani non esiste neanche l’impiccio dei Grillini.  La  scombicchierata opposizione nostrana racchiude in se tutte insieme le inadeguatezze del centro destra  e della minoranza Pd nazionale . Per non farci mancare nulla esiste anche il Verdini di turno nel nostro consiglio Comunale. Come non rilevare notevoli analogie fra il consigliere Tucci e il  Senatore faccendiere Toscano? 

Se ciò non bastasse altre affinità fra Renzi e Ottaviani si rilevano nella gestione dei conti.  Entrambi sono abilissimi nella pratica del rinvio. Nell’ultima legge di stabilità Renzi, oltre a regalare soldi alle imprese e ai proprietari di case lussuose, rinvia  al 2017 l’impegno  preso con l’Europa di  rilanciare le politiche di austerità (aumenti di Iva e accise per 20miliardi di euro)  sposta al 2019 un bomba  deflagrante di tagli e tasse  costituita dal  raggiungimento del pareggio di bilancio.  Un malloppo che fra il 2017 e il 2019 peserà per 85miliardi. L’intento è chiaro. La finanziarietta attuale è un semplice spot per  vincere le elezioni amministrative , intanto, poi si vedrà.  

Anche Ottaviani è abilissimo nella pratica del rinvio, forse più di Renzi. Per accedere al piano di riequilibrio economico e finanziario, necessario a risollevare le disastrate casse comunali, la Giunta Ottaviani ha pianificato  la realizzazione di  avanzi gestionali dal 2012 al 2022.  Ottenere avanzi di gestioni significa chiudere in attivo il bilancio comunale  (le entrate in tasse e tributi devono superare le uscite in servizi alla collettività). Ebbene nella delibera 256 /2013  la Corte dei Conti confermando il piano proposto dalla Giunta frusinate, illustra come il sindaco  ha ripartito  gli avanzi di gestione. 

Fra il 2012 e il 2017, anni in cui sarà Ottaviani è alla guida della città,  la giunta dovrà realizzare attivi pari a  565mila euro circa. Il grosso del bubbone è stato spostato, rinviato.  Esploderà negli anni fra il 2018 e il 2022, quinquennio  in cui il buon Nicolino non sarà più sindaco ma probabilmente deputato Pd. In questo periodo chi avrà avuto la sfortuna di essere eletto sindaco di Frosinone dovrà realizzare avanzi di gestione pari 9milioni 755mila circa (vedi tabella allegata). In proporzione sono come gli 85miliardi di Renzi. Anche per Ottaviani  la gestione del bilancio allegra e basata su spot, fra cui il più efficace di tutti è quello dello stadio, è funzionale a farlo eleggere deputato. In Forza Italia,attuale partito dell’avvocato sindaco? Ovviamente nel Pd, o partito della Nazione. Vedrete che Matteo Renzi prima o poi si accorgerà  del Superciuk nostrano e non tarderà molto l’ascesa di Ottaviani alla corte del Superciuk nazionale.


Palestina, esistere non basta più

Grazia Careccia

Il filtro dei media racconta solo la violenza, mai la disobbedienza e la disperazione

Nell’ultimo mese la tensione in Palestina e in Israele è cresciuta fino ad esplodere in scontri, omicidi, esecuzioni sommarie da parte dell’esercito e fitte sassaiole. Le immagini sono arrivate nelle nostre case dai telegiornali, con giornalisti che, con funambolica abilità, con la solita litania ci dicono che gli israeliani si difendono dai terroristi. Ormai si aggiornano solo i numeri.
E’ diventato questo il conflitto israelo-palestinese per i media? Ebbene sì un susseguirsi di numeri aggiornati in tempo reale. Le scene da film di Tarantino in cui feriti palestinesi, bambini o adulti che siano, vengono ammazzati, o come dice la sicurezza israeliana “neutralizzati”, non vengono trasmesse dai media internazionali.
Così come non lo sono le immagini del bambino ferito da un colono che senza pietà gli grida “figlio di puttana” e chiede ai poliziotti, che calciano il ferito, di finirlo. Le televisioni internazionali non hanno passato il video in cui con disprezzo un colono israeliano ha sbattuto sul viso di un ragazzino palestinese ferito che veniva trasportato su una barella delle fette di carne di maiale, gridando “sappiamo quanto a voi musulmani piace il maiale.” Le immagini di questi attacchi brutali si trovano su Facebook e Twitter, ad uso di coloro che la causa palestinese la seguono da anni e sanno già molto bene quale sia la situazione.
IL LINGUAGGIO USATO DAI MEDIA, CHE NON PRONUNCIANO MAI LA PAROLA OCCUPAZIONE E RIPORTANO CIFRE E FATTI SENZA CONTESTO, CONTRIBUISCE NUOVAMENTE AD ISOLARE I PALESTINESI, A BENEFICIO DI ISRAELE. UN’ALTRA PORTA IN FACCIA A PERSONE CHE DA GENERAZIONI HANNO FATTO DELLA RESISTENZA, DEL RESTARE ATTACCATI ALLA PROPRIA TERRA AD OGNI COSTO UNA RAGIONE DI VITA.
“Esistere è resistere”, si legge sul Muro che Israele ha costruito oltre la Linea Verde per prendersi terre e risorse idriche palestinesi. Ma oggi i giovani palestinesi pensano che forse anche esistere non sia più sufficiente perché la loro è diventata una realtà che è al di sotto della sopravvivenza. Soffocati dall’oppressione del regime militare di occupazione che controlla le loro vite fin dalla nascita, dal numero sempre crescente di coloni, oggi oltre 600,000 di cui circa 300,000 solo a Gerusalemme Est, i giovani palestinesi hanno rotto le fila dell’immobilismo imposto dalla politica di contenimento dell’asservita autorità palestinese.
Con i leader politici di un certo calibro dietro le sbarre delle carceri israeliane e i burocrati neoliberisti dell’Autorità Palestinese al potere impegnati a far quadrare i conti per ingraziarsi i generosi donatori stranieri, occidentali o arabi che siano, i giovani palestinesi non hanno trovato che se’ stessi come ultima ed unica “arma” per contrastare l’occupazione. E non si può dire che non abbiano provato a farlo con mezzi pacifici.
FORSE IN POCHI RICORDANO QUANDO NEL 2011 TENTARONO AZIONI DI DISOBBEDIENZA CIVILE SALENDO SUGLI AUTOBUS RISERVATI AGLI ISRAELIANI CHE ATTRAVERSANO LA CISGIORDANIA CON DESTINAZIONE GERUSALEMME E FURONO BRUTALMENTE PICCHIATI E ARRESTATI. NON FA NOTIZIA IL FOTOGRAFO PALESTINESE CHE, NONOSTANTE ABBIA AVUTO ENTRAMBE LE GAMBE AMPUTATE A SEGUITO DI OPERAZIONI MILITARI, CONTINUA A CHIEDERE GIUSTIZIA PUBBLICANDO LE FOTO DI GAZA IN MACERIE. NON HANNO FATTO NOTIZIA I RAGAZZI E LE RAGAZZE VESTITI COME I PERSONAGGI DI AVATAR PER PROTESTARE CONTRO IL MURO CHE A BIL’IN GLI PORTA VIA LE TERRE CHE LE LORO FAMIGLIE HANNO COLTIVATO DA GENERAZIONI, CHE GLI PORTA VIA IL FUTURO.
Stanchi anche dell’indifferenza della politica internazionale, che ha ridicolizzato i timidi tentativi dei burocrati palestinesi di far uso dei meccanismi di giustizia internazionale, i giovani palestinesi non possono fare altro che prendere in mano il proprio futuro; è la loro unica possibilità di sopravvivenza. Non gli resta altro che danzare la debke mentre lanciano un sasso contro una jeep dell’esercito israeliano o andare verso morte certa colpendo con un coltello chi è partecipe, più o meno consapevole, di un sistema coloniale che da decenni li umilia e li opprime.
Sarebbe miope pensare che quello a cui stiamo assistendo in questi giorni sia la reazione alle restrizioni che Israele ha imposto un mese fa all’accesso alla moschea di Al Aqsa o che da parte israeliana la furia sia stata scatenata dall’attacco in cui hanno perso la vita due coloni israeliani nei pressi di Nablus.
Le violenze e le manifestazioni di questi giorni sono la cartina tornasole del fallimento degli accordi di Oslo, della pace economica di Saeb Erekat, della soluzione a due stati. Da parte palestinese è tragicamente sfociato in impotenza l’ottimismo di coloro che, non avendo capito che i lunghi documenti degli Accordi di Oslo altro non erano che una trappola per sottrarre ai palestinesi il controllo delle proprie terre, risorse e del proprio destino, vent’anni dopo, si sono solo trovati inermi e indebitati con le banche.
In questo clima di frustrazione, di slogan politici e nazionalisti che non erano altro che parole portate via dal vento, sono cresciuti i ragazzi e le ragazze che, con l’incoscienza e spudoratezza della loro età, oggi affrontano a volto coperto e con le mani piene di pietre un nemico crudele e inesorabile. Anche i bambini, cresciuti nei campi profughi o in una Gerusalemme est intrisa di tensione e paura, che hanno visto i propri parenti e i compagni di scuola picchiati e arrestati dalle forze di sicurezza israeliane, si sentono grandi e prendono parte ad un gioco al massacro più grande di loro.
Chi dovrebbe proteggerli ancora sembra non aver capito che le regole del gioco sono cambiate e che uccidere a sangue freddo un bambino palestinese per Israele è ordinaria amministrazione. A Gaza durante l’attacco dell’estate 2014, Israele ha ucciso oltre 550 bambini e non ha mostrato rimorsi, tanto meno la comunità internazionale ha alzato la voce per far capire che certe morti innocenti non possono essere tollerate, al contrario i dati di quest’anno indicano trend positivi nel settore industriale bellico israeliano.
GLI ISRAELIANI, SCAMPATO OGNI PERICOLO CHE IL SOGNO PALESTINESE DI OSLO POTESSE DIVENTARE REALTÀ, STANNO DANDO LIBERO SFOGO ALLA FOBIA DELL’ARABO E ALLA VOGLIA DI VENDETTA GENERATI DALLA PROPAGANDA DEL TERRORE E DALLA DISUMANIZZAZIONE IDEOLOGICA DEI PALESTINESI CHE PERVADE IL SISTEMA DELL’ISTRUZIONE, L’ESERCITO E I MEDIA ISRAELIANI E INTERNAZIONALI.
La disumanizzazione dei palestinesi agli occhi degli israeliani è ulteriormente rafforzata dalla separazione fisica che i due gruppi hanno subito a causa delle politiche adottate da Israele e culminate con la costruzione del Muro e la chiusura di Gaza. In una società profondamente militarizzata è facile instillare disprezzo e senso di superiorità verso coloro tenuti sotto il giogo militare e coloniale. I continui attacchi dei coloni contro i palestinesi, le migliaia di ulivi sradicati, le case palestinesi bruciate e la morte di famiglie innocenti sono testimonianza di questi sentimenti.
Negli ultimi giorni questa violenza è sfociata in follia e caccia all’arabo, per cui il minimo sospetto legittima agli occhi dell’israeliano e dell’occidentale medio esecuzioni sommarie come quella avvenuta nella stazione degli autobus di Afula. La gravità della situazione è confermata dall’impunità con cui tutto questo avviene, ad ulteriore conferma del fatto che le autorità israeliane sono non solo complici ma istigatrici di questa violenza.
Gestire il livello di violenza a seconda delle necessità politiche è una delle tattiche con cui Israele si destreggia abilmente per assicurarsi la coesione interna e l’appoggio incondizionato delle potenze occidentali unite nella lotta al terrorismo. Fino a che il conflitto israelo-palestinese sarà confinato nella retorica del terrorismo il ciclo di violenza non si arresterà.
Fino a che non si condannerà l’occupazione israeliana in maniera categorica chiedendone la fine incondizionata, i ragazzi palestinesi continueranno a morire ammazzati senza che nessun rappresentanza politica rivendichi queste giovani vite. I ragazzi e le ragazze palestinesi che in questi giorni hanno accettato di sfidare la morte anche semplicemente uscendo da casa o da scuola, l’hanno fatto con la triste consapevolezza di non avere nessun esercito che si mobiliterà in loro difesa e che nessuna sentenza punirà mai i colpevoli della loro morte.
E’ difficile prevedere quali potranno essere gli sviluppi di una situazione in cui i responsabili politici, da un parte gli israeliani per un piano preordinato e dall’altra la leadership palestinese per debolezza politica e interesse, hanno rispettivamente voluto e lasciato che il conflitto sfociasse nella violenza privata. Il sindaco di Gerusalemme che esorta i propri cittadini ad armarsi e le misure punitive adottate dal Governo israeliano di chiudere alcuni quartieri di Gerusalemme Est e di non restituire i corpi dei palestinesi coinvolti in attacchi contro israeliani sono benzina sul fuoco, ed indicano che Israele intende far affogare la causa palestinese nel sangue.
Il rappresentante diplomatico palestinese alle Nazioni Unite ieri ha affermato che i Palestinesi necessitano della protezione delle forze delle Nazioni Unite, forse dimenticandosi che tale forza può essere autorizzata solo dal Consiglio di Sicurezza, l’organo delle Nazioni Unite che da sempre è stato ostile verso l’adozione di misure efficaci contro le violazioni israeliane a causa del diritto di veto dell’alleato chiave di Israele: gli Stati Uniti.
FORSE AVREBBE DOVUTO PRENDERE NOTA DEL COMUNICATO CON CUI L’AMMINISTRAZIONE AMERICANA CONDANNAVA GLI ATTACCHI CONTRO GLI ISRAELIANI SENZA FAR ALCUN RIFERIMENTO AI MORTI PALESTINESI, CHE IN MENO DI DUE SETTIMANE SONO ARRIVATI AD OLTRE 30. IL RESTO DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE, IMPEGNATA IN MANOVRE BELLICO-DIPLOMATICHE SULL’INGESTIBILE FRONTE SIRIANO, SI È LIMITATA A POCHE FRASI DI ROUTINE SENZA MORDENTE.
Il presidente palestinese Abu Mazen ha dimostrato di aver perso completamente il polso della situazione e ha ribadito il proprio impegno per la pace e chiesto la fine dell’occupazione. Impegnarsi per la fine dell’occupazione con ogni mezzo e senza concessioni, per avere libertà, giustizia e rispetto per i propri diritti per arrivare a parlare di pace, è invece quello che oggi chiedono i giovani palestinesi, in Palestina e in Israele.
Ora più che mai sentono che il tempo è loro nemico e che l’occupazione li sta strangolando. E si sa, chi si sente afferrato alla gola non può che reagire scalciando violentemente per liberarsi dalla presa e non soccombere per la mancanza di ossigeno.
Se questa sia una terza intifada o meno poco importa, non è importante darle un nome, è importante capirne il messaggio: la politica a tutti i livelli e per ragioni diverse ha fallito, ha lasciato le persone indifese e gli individui devono far cambiare la politica.
Questo messaggio sembra essere arrivato anche ai palestinesi cittadini d’Israele e agli arabi israeliani che hanno indetto uno sciopero generale e in circa 200,000 hanno dimostrato a Sakhnin, nel nord di Israele, in solidarietà con i palestinesi sotto occupazione. A questa specifica manifestazione avrebbero dovuto aggiungersi gli ebrei israeliani, in quanto vittime della manipolazione e delle politiche coloniali israeliane.
Dovremmo tutti riempire le strade delle capitali europee, di New York, di Pechino, fare come a Santiago del Cile, avere il coraggio di esigere dai nostri politici di smetterla con l’ipocrisia di considerare le parti del conflitto israelo-palestinese come duellanti ad armi pari e di riconoscere che Israele detiene le chiavi per la soluzione di questo conflitto, che non è né religioso né lotta al terrorismo, ma un regime coloniale e razzista camuffato da occupazione militare. Riprendiamoci anche noi, come stanno facendo i giovani palestinesi il potere nelle nostre mani e facciamo sentire la nostra voce di dissenso nei confronti dei nostri stati per la loro connivenza con i crimini commessi da Israele.
DOBBIAMO FAR IN MODO CHE LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE SIA COSTRETTA A MANDARE UN SEGNALE FORTE, ASSORDANTE, CHE FACCIA SENTIRE ISRAELE A DISAGIO CON IL RESTO DEGLI ALLEATI DI SEMPRE. NON È QUESTO CHE SI FA ANCHE CON UN AMICO QUANDO, DOPO RIPETUTE RIMOSTRANZE, CONTINUA DRITTO PER LA SUA STRADA? AD UN CERTO PUNTO LO SI ALLONTANA PER INCORAGGIARLO A RIFLETTERE E CAMBIARE ATTEGGIAMENTO.
E allora abbiamo il dovere di chiedere che i nostri stati cessino di fornire armi ad Israele, di puntare il dito ogni volta che la nostra politica estera filo-israeliana contribuisce a rafforzare l’occupazione, di rifiutarci di vedere nei nostri supermercati prodotti delle colonie israeliane in Palestina. Se alzassimo la testa e facessimo sentire la nostra voce e il nostro appoggio aiuteremmo questi giovani palestinesi a non dubitare che “Esistere è Resistere”, insieme.
La terza intifada, per quelli che vogliono chiamarla in questo modo, è una lotta a mani nude per la libertà e contro l’oppressione, che dovrebbe andare oltre i confini della Palestina, per dare a tutti noi di nuovo il coraggio di prendere in mano una pietra per scagliarla contro il muro d’indifferenza dei nostri politici, per far valere i nostri diritti.

domenica 18 ottobre 2015

"Stati generali della salute mentale e delle patologie da dipendenza". Perchè non sono stati coinvolte le associazioni nell'organizzazione dell'evento?

Francesco Notracola

Nella provincia di Frosinone operano ogni giorno decine di associazioni che si occupano della tutela della salute e dei diritti di cittadini affetti da patologie psichiatriche.
In diversi comuni, come nel Capoluogo, le associazioni hanno dato vita anche alle consulte comunali con lo scopo di richiamare l’attenzione permanente degli amministratori locali su questi problemi.
È arcinoto, inoltre, che nella nostra provincia operano decine di associazioni che in questi anni hanno espresso proposte e iniziative per impedire lo sfascio della sanità e per realizzare una organizzazione moderna, efficiente e di qualità che potesse soddisfare il bisogno di salute delle nostre popolazioni.
È veramente strano che tutto questo patrimonio di esperienza e di proposta, condivisa e partecipata da decine di migliaia di persone,  evidenziata nel corso di tanti eventi, non sia stata raccolta per l’elaborazione e l’organizzazione del programma che è alla base dell’evento denominato “Stati generali della salute mentale e delle patologie da dipendenza”.
Questo stimolante  evento organizzato dalla ASL e dalla Regione Lazio si terrà dal 14 al 22 dicembre 2015 nella sala teatro di via A.  Fabi a Frosinone, presentato in pompa magna con una brochure di 10- 12 pagine.
Nel programma, tra tanti nomi eccellenti ritroviamo tante persone che non hanno mai alzato un dito per impedire lo sfascio della sanità di questa provincia e per tutelare i pazienti affetti da patologie mentali.
In una manifestazione di tale portata non  avrebbe  certamente sfigurato il racconto delle famiglie e degli stessi pazienti che avrebbero potuto evidenziare i loro drammi, le difficoltà ed i sacrifici enormi  che quotidianamente sopportano per le carenze organizzative  dei servizi a loro dedicati.
Ciò sarebbe, forse,  stato inopportuno e sgradevole agli occhi degli organizzatori e dei partecipanti?
In occasione di questi “Stati generali” e negli interventi delle persone validissime  che vengono presentate ci piacerebbe sentire cosa è stato fatto fin ora dalla Regione,  dalla Provincia dai  Comuni, dalla Prefettura, dal Vescovo e da quanti altri per il recupero di tanti ragazzi e di tante persone per il loro reinserimento nella vita sociale e produttiva, per aprire a ciascuno, un futuro di  autonomia ed esercizio delle responsabilità.
Ci pare dalle notizie raccolte che solo una piccola parte degli operatori dei Centri di salute mentale sia stata interessata nella fase di preparazione del programma e nell’organizzazione dell’evento. Perché non tutti? così come ci risulta, e vorremmo essere smentiti, che non sia stato informato e coinvolto il coordinatore e responsabile regionale dei Centri diurni del Lazio.
Tra le tante parole che saranno pronunciate dagl’illustri relatori,  vorremmo capire, in modo facile e concreto, come e quando  si potrà finalmente aprire un futuro che dia certezza, non solo di tutela dei diritti e di cura, ma anche di recupero e di inserimento  nella società di questi pazienti?
Ci sono progetti  della ASL e delle istituzioni che perseguono questo obiettivo?
 Se si vuole realmente tutelare la salute mentale, bisogna chiudere o ampliare e valorizzare i centri diurni coinvolgendo non solo le famiglie degli utenti ma anche operatori e formatori di cultura e delle professioni? Tanta gente ha dichiarato e dichiara la propria disponibilità senza compenso alcuno. E allora cosa si aspetta?
Non sarebbe il caso di fare un protocollo d’intesa tra asl e Comuni  per garantire assistenza sanitaria e sociale con una formazione permanente?
Cosa intendono fare ed hanno fatto i rappresentanti delle istituzioni invitati a questo evento per garantire ai pazienti in età scolastica il sostegno ed il tutore nelle scuole e fuori di esse?

Insomma non solo di parole abbiamo bisogno ma di una svolta radicale:  servizi efficienti e di qualità diffusi sull’intero territorio; proposte concrete per assicurare a tutti i pazienti un futuro sereno, e un ruolo attivo nella società.