sabato 15 ottobre 2016

Aria di Golpe

Il filmato che segue, tratto dall'Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, è il nostro modo per ricordare Dario Fo e con lui Franca Rame.
Luciano Granieri.



ARIA DI GOLPE


Abstract: 1973. Il 27 ottobre, al Palazzetto dello Sport di Torino, Dario Fo e Franca Rame, con la compagnia teatrale La Comune, rappresentarono, in prima assoluta, lo spettacolo: "Guerra di popolo in Cile".

Una produzione militante, messa in scena in pochi giorni, per sottolineare l'urgenza di un impegno di forte testimonianza politica, contro il colpo di stato realizzato poche settimane prima (11 settembre) dai militari in Cile contro il legittimo governo Allende.
Lo spettacolo intendeva anche richiamare l'attenzione su analoghi pericoli che potevano presentarsi in Italia.
E' in questa atmosfera che Dario Fo e Franca Rame andarono in scena quella sera del 27 ottobre del 1973, coinvolgendo i diecimila spettatori presenti al Palazzetto dello Sport di Torino, in uno straordinario e indimenticabile "coup de theatre" finale.
Dario Fo e Franca Rame, con tutta la compagnia, finsero, all'insaputa di tutti, un intervento repressivo, di tipo "cileno", da parte della polizia. Tra le urla e i fischi di un pubblico che non si era accorto dell'inganno, si svolgeva un'altra rappresentazione, ammonitrice di un pericolo incombente forse anche in Italia.


Il materiale sul golpe in Cile è conservato presso l'Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico.
Lo spettacolo è "Guerra di popolo in Cile" del collettivo teatrale La Comune con: Dario Fo, Franca Rame, Piero Sciotto, Cicciu Busacca, Carpo Lanzi.
La canzone "Hanno fucilato una chitarra" è di Dario Fo.
Le riprese del 1973, al Palazzetto dello Sport di Torino, sono state effettuate da Armando Ceste per il Collettivo Cinema Militante di Torino, con una videocamera portatile Shibaden da 1/2"

Regia: Armando Ceste
Casa di produzione: Index, Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, A.C. Cinema & Video

Consiglio Popolare dell'acqua

Severo Lutrario



Si scrive acqua si legge democrazia!


Gridavamo questo dopo la vittoria referendaria del 2011. 
Oggi, in Italia si affronta un'altra battaglia referendaria, non voluta dal basso ma imposta dal Governo per avallare le sue politiche liberiste e liberticide. 
Ma questa sfida non può essere solo difensiva e proprio per il suo carattere, ci impone di partire da quella vittoria, per la conquista di quei diritti troppo spesso citati ma non concretizzati. 

Il diritto all'acqua, ad esempio, che una petizione firmata da 230.000 persone chiede di inserire in Costituzione. 

Un diritto violato dalle leggi di mercato che, nonostante i referendum 2011, i governi continuano ad imporre ad acqua e servizi pubblici locali. 
Un processo non solo legislativo, che vede nei decreti Madia il coronamento della privatizzazione dei servizi pubblici, ma anche aziendale e commerciale, che vede le aziende muoversi nell'attuale quadro normativo per stravolgere la volontà popolare. Una strategia che in particolare ACEAsta perseguendo con l'obiettivo di rafforzare la propria influenza su tutte le sue partecipate, soprattutto nel centro Italia. 
Una delle protagoniste del grande risiko dell'acqua è proprio ACEA, nata come azienda del comune di Roma durante la giunta Nathan proprio per garantire i servizi essenziali in una città in espansione e che oggi, ormai privatizzata e quotata in borsa, è responsabile di migliaia di distacchi idrici e di veri processi di " colonizzazione" nel Lazio, Campania, Toscana, Umbria, in altre parti d'Italia e all'estero, anche attraverso partnership “criminali” come quella con la società israeliana Mekorot. 


C’è un'altra strada, ostinata e contraria che in tante e tanti possiamo tracciare, una strada che passa per la legge 5 della Regione Lazio, voluta da comitati e comuni proprio per rispettare i referendum 2011 e che la Giunta Zingaretti finge di aver dimenticato. 

Una strada che passa per la ripresa di parola e di decisione di cittadini e utenti dei servizi pubblici, superando la retorica del "degrado" e mettendo in moto energie e competenze preziose. 

Una strada che passa riconsegnando ai territori e a coloro che lo abitano il diritto a decidere della loro vita e dei servizi, che della vita determinano la qualità, a cominciare dall’acqua che della vita è madre. 

Una strada che passa per gli spazi liberati nelle nostre città, spesso veri presidi di democrazia reale e oggi sotto attacco da quella stessa legalità che permette ad ACEA di fare profitto, vessando i cittadini sino a staccare l'acqua, e a Caltagirone e Suez di giocare in borsa con un bene comune. 

Una strada che passa per la messa in discussione del debito illegittimo e del patto di stabilità imposto ai comuni, a partire da quello gigantesco di Roma, in mano a poche banche con interessi da usura. 


Una strada che passa per la ripresa di potere decisionale delle comunità locali, umiliate dal Governo attraverso la "riforma" Madia e le proposte di modifica degli artt. 57 e 117 della Costituzione, che svuotano di competenze sindaci e consigli comunali, privando i cittadini di ogni controllo democratico sul governo dei territori. 

Una strada che passa per la valorizzazione delle competenze dei lavoratori, fuori dalle tecniche di fidelizzazione dei dipendenti e da logiche di esternalizzazione e precarizzazione di un'azienda che nasce per fornire servizi essenziali e nella quale interessi dei lavoratori e degli utenti devono andare di pari passo. 

Una strada che passa per una necessaria scelta di campo della Giunta Raggi: con Suez e Caltagirone o con i cittadini e con la prima stella, quella dell'acqua pubblica. 

Ma che cosa vuol dire ripubblicizzare un servizio? Non e' solo una formula matematica o un investimento finanziario. E' un'idea differente di gestire le relazioni all'interno della società e valorizzare la ricchezza collettiva. E' un'ipotesi di un nuovo modello per vivere le città e garantire nuovi diritti. 
E uno dei pilastri di questo processo è la partecipazione diretta. La possibilità di conoscere, intervenire e decidere. 

Questo e' un invito a realtà sociali, lavoratori, cittadini e amministratori di Roma, del Lazio e di tutti i territori ed Enti Locali coinvolti. 

Per questo vogliamo lanciare il primo consiglio popolare dell'acqua, il 27 ottobre a Roma, sotto la sede ACEA di Piazzale Ostiense, in cui illustrare la piattaforma per ACEA: una proposta concreta per ripubblicizzare e invertire la rotta. 

Per costruire insieme l'iniziativa un primo appuntamento aperto a tutte le realtà interessate sarà il 19 ottobre, alle 18.30 presso Communia (Via dello Scalo di S.Lorenzo).

I comuni nella trappola del debito

Marco Bersani

Secondo l’ultimo rapporto Ifel (Istituto per la Finanza e l’Economia Locale) dell’Anci, sono 84 i Comuni italiani in stato di dissesto.


 Quando si dice che gli enti locali sono uno dei luoghi di precipitazione della crisi, perché è soprattutto su di essi che si sono scaricate nel tempo le misure liberiste di austerità previste dai vincoli finanziari di Maastricht, non si sta facendo una considerazione astratta: secondo l’ultimo rapporto Ifel (Istituto per la Finanza e l’Economia Locale) dell’Anci, sono 84 i Comuni italiani in stato di dissesto e 146 gli enti locali (10 Province) che, in stato di pre-dissesto, hanno aderito alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale. Si sta parlando di un trend in ascesa: se nel 2011 erano 3 i Comuni finiti in default, sono diventati 21 nel 2014.
Ma cosa significa per un Comune entrare in pre-dissesto o in default? «Sono da considerarsi in condizioni strutturalmente deficitarie gli enti locali che presentano gravi ed incontrovertibili condizioni di squilibrio», dice il Testo unico degli Enti locali (Tuel).
Se il deficit è in qualche modo recuperabile con un piano di sacrifici che la Corte dei conti approva si può accedere alla «procedura di riequilibrio finanziario pluriennale», il pre dissesto. Ma se «l’ente non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili» o se i creditori vantano crediti cui non si può far fronte con mutui o entrate proprie, allora scatta il dissesto (art. 244 del Tuel).

Ma cosa significa per i cittadini? In questo caso è molto facile da capire: tagli drastici alla spesa corrente, dismissione dei servizi, tariffe alle stelle e aliquote massime sulle imposte. Di fatto gli abitanti di un territorio dismettono i panni di membri di una comunità con dei diritti garantiti per diventare singoli individui il cui accesso ai servizi è determinato dalle proprie capacità economiche nell’orizzonte della solitudine competitiva.
Ma chi ha provocato questa esplosione di dissesti finanziari? In parte la colpa è dei molti amministratori che, dentro la crisi della democrazia rappresentativa, hanno utilizzato la macchina pubblica per favorire interessi personali, di casta e di clan, con bilanci allegri basati su entrate presunte a cui corrispondevano uscite certe da scaricare sulle amministrazioni successive. Ma pochi affrontano il nodo strutturale delle politiche liberiste e di austerità che sono state scientificamente applicate agli enti locali, all’unico scopo di metterli in difficoltà e costringerli alla privatizzazione dei servizi pubblici locali, alla vendita del patrimonio pubblico, alla messa a disposizione del territorio per grandi opere, grandi eventi e grandi speculazioni finanziarie. Anche su questo punto sono i dati a confermare: nonostante la quota parte del debito pubblico attribuibile ai Comuni corrisponda solo al 2,4%, il contributo richiesto agli stessi – tra tagli ai trasferimenti e patto di stabilità – è passato dai 1.650 miliardi del 2009 ai 16.655 miliardi del 2015.

Quanto sopra scritto evidenzia come la delega della gestione del debito e della finanza locale ai tecnocrati e agli amministratori comporti la riproduzione di un ciclo che, dai vincoli dell’Unione Europea, a cascata viene scaricato sulle condizioni di vita delle persone e delle comunità locali.
La pratica dell’audit del debito, ovvero un’indagine indipendente e autonoma da parte degli abitanti di un territorio sul debito dell’ente locale, è il percorso da avviare per smascherare la trappola del debito e del patto di stabilità, per riprendere in mano il destino delle comunità territoriali, per riappropriarsi della democrazia. Che, ogni volta che antepone gli interessi delle lobby finanziarie e immobiliari all’incomprimibilità della spesa necessaria a garantire servizi adeguati e di qualità, smette di essere tale.
fonte "il manifesto del 15/10



venerdì 14 ottobre 2016

Il quadro sindacale e gli scioperi dell'autunno

Fabiana Stefanoni
 
"Si possono spiegare quotidianamente le idee più semplici alle masse contadine e arretrate senza provare il minimo senso di stanchezza: in questo caso si tratta di far progredire strati ancora freschi. Ma che fatica dover spiegare le idee fondamentali a gente col cervello appiattito dalle falsità burocratiche!". Potrà sembrare fuori luogo iniziare un articolo sull'attuale quadro sindacale in Italia con questa citazione di Trotsky, scritta in un contesto molto differente e riferita all'atteggiamento della burocrazia staliniana. Eppure pensiamo che queste parole conservino una straordinaria attualità. Anche oggi riscontriamo una resistenza quasi perversa - controrivoluzionaria, direbbe Trotsky - alle esigenze evidenti (e quasi banali) dello scontro di una classe contro un'altra classe: la necessità della costruzione di un ampio fronte unico di resistenza e di lotta.
Con una crisi economica che nulla ha da invidiare a quella di altri Stati europei, l'Italia rimane uno dei Paesi con il livello di lotte più basso. Non che le azioni di resistenza e gli scioperi manchino: sono però frammentati e divisi e stentano a tradursi in un'azione di massa di ampie dimensioni (come è invece avvenuto ad esempio recentemente in Francia con le mobilitazioni contro la Loi Travail).
Il fenomeno è sicuramente frutto di una combinazione di fattori, che non qui è possibile indagare nel dettaglio. Ma pensiamo che ci siano due elementi, in particolare, che contribuiscono a spiegare l'arretratezza del livello di scontro di classe nel nostro Paese: da un lato, il ruolo di controllo sulla classe che ancora riescono a esercitare i grandi apparati sindacali burocratici (Cgil, Cisl e Uil); dall'altro, la debolezza del sindacalismo conflittuale e "di base", sempre più prigioniero di atteggiamenti autoreferenziali e settari. Ne è un esempio la decisione da parte delle sigle del sindacalismo conflittuale di proclamare due giornate di sciopero generale separate - e di fatto in competizione - a distanza di pochi giorni.
 
I grandi apparati burocratici sempre più proni al capitale Per comprendere quale sia il ruolo che si apprestano a svolgere i grandi apparati burocratici di Cgil, Cisl e Uil nella prossima fase basta segnalare che il 1° settembre hanno stilato, nella foresteria di Confindustria, un documento comune con le associazioni degli imprenditori, presentato al governo come proposta condivisa di gestione delle crisi industriali. Un'intesa che, secondo la Camusso, apre "finalmente" una stagione diversa, perché dimostra "che le parti sociali sono in grado di fare accordi e proposte, rivendicando un'interlocuzione col governo".
Se non fosse tragico, un accordo di questo tipo parrebbe quasi una barzelletta. E' come se i capponi presentassero al cuoco, insieme ai commensali, una ricetta per essere meglio cucinati al pranzo di Natale. Al cuoco - in questo caso il governo - tocca solo decidere i dettagli: potrà valutare se cuocerli a fuoco lento oppure no, ma la sorte dei poveri capponi è scontata.
Fuor di metafora, è evidente che ormai anche mimare il conflitto è diventato qualcosa di sconveniente per i dirigenti di Cgil, Cisl e Uil. Per conservare i privilegi acquisiti e preservare gli interessi della burocrazia, preso atto che non esistono più spazi di riformismo e che i padroni non intendono mollare nemmeno poche briciole, hanno accettato di abbandonare qualsiasi velleità di opposizione per dedicarsi esclusivamente al ruolo che da sempre riesce loro meglio: quello di pompieri del conflitto di classe.
La decisione dell'apparato Fiom, Landini in testa, di acconsentire all'accordo della vergogna (1) contribuisce a spiegare perché, in questo autunno di feroci attacchi padronali, sul sito del sindacato dei metalmeccanici della Cgil la parolasciopero non compaia quasi mai, se non per citare miseri sciopericchi di un'ora (come quello proclamato dopo l'omicidio dell'operaio a Piacenza) o per richiamare all'ordine gli operai dell'Fca (ex Fiat) che hanno deciso di scioperare contro Marchionne (2). Rispettare l'accordo della vergogna ha delle implicazioni ben precise: significa rinunciare all'azione conflittuale per relegare lo sciopero a un'innocua azione rituale. Un accordo, va precisato, alla fine accettato anche dalla sinistra interna ("Il sindacato è un'altra cosa") che ha presentato propri candidati alle elezioni rsu, deponendo le armi e rinunciando a creare una vera opposizione in Cgil. 
 
Al di fuori dei grandi apparati: cosa non funziona
Il fatto che stenti a decollare un'azione conflittuale di massa richiede una riflessione anche sul sindacalismo alternativo, riferendoci con questa espressione alle tante sigle del sindacalismo "di base" (utilizziamo non a caso le virgolette perché, come vedremo tra un po', spesso la base in questi sindacati conta molto poco).
Nate su stimolo di importanti e radicali conflitti nei luoghi di lavoro, le sigle sindacali alternative non godono certo di buona salute. Il fatto stesso che esistano innumerevoli sigle sindacali "di base", anziché essere indice di vivacità delle lotte, è spesso, al contrario, sintomo della progressiva affermazione di logiche e deviazioni burocratiche che producono infinite scissioni ai vertici.
Non vogliamo, in questo articolo, fare di tutta l'erba un fascio, né negare il fatto che il sindacalismo di base vede impegnati migliaia di onesti e combattivi attivisti nel tentativo di costruire un'alternativa sindacale ai grandi apparati burocratici. Tuttavia pensiamo che esista un fenomeno generalizzato - e per questo non citeremo nessuna sigla in particolare - che proviamo a spiegare così: l'assenza di attenzione alla democrazia operaia e alle sue esigenze, in un contesto di riflusso della lotta di classe, ha trasformato le strutture dirigenti di tanta parte del sindacalismo alternativo in strumenti di conservazione di logiche di appartenenza e di apparato, con scarsissima effettiva partecipazione della base alle decisioni politiche.
Uno degli aspetti più drammatici della degenerazione del sindacalismo alternativo è la capitolazione di alcuni settori all'accordo vergogna sulla rappresentanza: ciò significa, nel settore privato, svolgere di fatto il medesimo ruolo di Cgil, Cisl e Uil (con l'aggravante che il confronto è perso in partenza in ragione di evidenti rapporti di forza). Alcuni sindacati "di base" hanno deciso di firmare questo accordo liberticida senza nemmeno convocare un congresso straordinario, approvandolo in una riunione ordinaria di apparato. E' una scelta gravissima che avrà delle conseguenze pesanti sulla futura evoluzione di queste organizzazioni, che, se non rivedranno questa decisione, probabilmente saranno destinati a convertirsi in "piccole Cgil".
Ma la firma dell'accordo della vergogna non è l'unico limite che riscontriamo nel sindacalismo alternativo. Sono molte, e purtroppo spesso tollerate senza battaglia interna, le storture burocratiche: liderismo estremo, con autoproclamati capi che gestiscono il sindacato come fosse un'impresa di famiglia, promuovendo dirigenti e funzionari sulla base della fedeltà; espulsioni sommarie di operai e attivisti cui non viene nemmeno lasciato il diritto di difesa (e che magari vengono a sapere dal padrone, nel corso di una lotta o di uno sciopero, di non essere più "riconosciuti" dal proprio sindacato...); atteggiamenti maschilisti (e persino aggressioni) all'interno del sindacato, di cui ci si rifiuta persino di parlare perché "non sono questioni sindacali"; mancata solidarietà ad attivisti che subiscono violenze padronali; legittimazione di aggressioni fisiche ai danni di lavoratori di altri sindacati; congressi farseschi, convocati una tantum, in cui non esiste il diritto di presentare posizioni alternative a quelle dei dirigenti in carica o in cui gli statuti vengono cambiati da un giorno all'altro senza coinvolgere la base nella discussione; nomina dall'alto dei dirigenti e dei delegati con esclusione intenzionale di tutte le voci critiche; congressi organizzati senza nessun rispetto delle norme statutarie; delegittimazioni (con tanto di diffide o minacce) di realtà sindacali di fabbrica o territoriali che organizzano lotte "non approvate dai vertici"; e così via.
Il quadro complessivo che ne esce è quello di un universo di piccole sigle in perenne competizione tra di loro, in cui la base - quella vera - conta veramente poco e, per questo, trionfano le logiche autoreferenziali dei leader. Ne consegue l'incapacità, che a tratti assume dei tratti patologici, di mettere in campo azioni unitarie di classe, nonché di comprendere una verità banale della lotta di classe: è necessario assicurare alla classe lavoratrice la possibilità di un fronte unico nella lotta contro il capitale, malgrado le divisioni. Più si accentuano le deviazioni burocratiche nelle organizzazioni sindacali "di base", più gli apparati si rinchiudono su sé stessi e attaccano le altre sigle finendo così per lasciare i lavoratori in balia degli attacchi feroci di padroni e governo: uno stato di guerra di tutti contro tutti in cui alla fine nessuno sopravvive.
 
Gli scioperi generali in programma per l'autunno
Quest'autunno si caratterizza, dal punto di vista sindacale, per due fatti degni di nota: il silenzio assordante da parte dei grandi apparati burocratici (Cgil e Fiom incluse) sulla necessità di uno sciopero generale e l'ennesima prova di divisione da parte del sindacalismo "di base". Dopo molti mesi dall'ultimo sciopero generale, le sigle del sindacalismo alternativo hanno infatti deciso di dividersi ancora una volta e proclamare due date di sciopero generale a distanza di due settimane: una il 21 ottobre (Usb, Usi, Si.Cobas e altri: il 22 ottobre è prevista a Roma una manifestazione contro Renzi) e una il 4 novembre (Cub, Usi-Ait, Sgb).
Non accusiamo nessuna di queste sigle di avere la "principale" responsabilità in questa divisione, se non altro per risparmiarci il solito coro penoso di autodifese e accuse reciproche. Ci limitiamo a constatare quello che sta avvenendo in questi giorni nei luoghi di lavoro: attivisti sindacali che si trovano in difficoltà davanti agli operai del loro sindacato che chiedono straniti perché dovrebbero scioperare un giorno e non l'altro; lavoratori che fanno confusione tra le sigle e non capiscono più, esattamente, a quale sindacato sono iscritti e a quale sciopero dovrebbero aderire; operai che fanno collette di soldi per poter scioperare due giorni non volendo apparire come crumiri davanti ai colleghi che scioperano nell'altra data; persino, purtroppo, lavoratori delusi che rinunciano a scioperare...
Intendiamoci: la proliferazione di date di sciopero generale sarebbe ottima cosa se derivasse da una fase di ascesa della lotta di classe. Ma oggi sappiamo che le cose non stanno così. Sono purtroppo ancora poche le realtà operaie in sciopero e in lotta prolungati. La verità è molto più triste: le sigle del sindacalismo conflittuale, per ragioni di miopia settaria e in contrasto con la volontà unitaria della loro base, hanno deciso di anteporre gli interessi di sigla e di perdere un'importante occasione di rilanciare un'azione di sciopero e di lotta incisiva contro il governo e contro le loro politiche.
Le compagne e i compagni di Alternativa comunista saranno in piazza al fianco dei lavoratori e della lavoratrici in sciopero sia il 21/22 ottobre sia il 4 novembre. Al contempo, critichiamo con forza la scelta di aver frammentato le iniziative di sciopero e di lotta e, per questo, sosteniamo la campagna del Fronte di Lotta No Austerity - una delle poche esperienze unitarie e organizzate democraticamente in controtendenza col quadro fin qui descritto - per la costruzione di un vero e unitario sciopero generale:
http://www.frontedilottanoausterity.org/index.php?mod=none_News_bkp&action=viewnews&news=top_1474929349 .
Uniti si vince, si gridava una volta in piazza: uno slogan che pensiamo conservi oggi tutta la sua validità.
 
Note
(1) Per ricapitolare gli aspetti peggiori di questo accordo rimando a questa mia intervista:
http://www.alternativacomunista.it/content/view/2219/78/
(2) Ricordiamo che la direzione della Fiom ha deciso di sanzionare i propri delegati di fabbrica in Fca (Ex Fiat) per aver partecipato alla costruzione di un coordinamento tra i delegati di diverse fabbriche Fca del centro-sud e per aver proclamato gli scioperi dello straordinario comandato nelle loro fabbriche.
 

Due milioni di firme contro la legge 107 non sono bastate

Comitato referendario contro la legge 107 



La Corte di Cassazione ha comunicato al comitato referendario che per i quattro quesiti referendari contro la Legge 107 sono state raccolte poco meno delle 500.000 firme valide. Poche migliaia di firme in meno non consentono di giungere alla prova referendaria.

E' stata comunque straordinaria esperienza di confronto e che ha dato voce a centinaia di migliaia di cittadini/e, lavoratori/trici, pensionati/e e studenti che con la loro firma hanno manifestato contrarietà per i contenuti di una legge che snatura il valore costituzionale della scuola pubblica.
L'avvio dell'anno scolastico in corso ha evidenziato le contraddizioni, ha messo a nudo tutti gli aspetti, negativi, confusi e anticostituzionali della cosiddetta "Buona scuola": contenziosi legali infiniti, cattedre vuote, alunni disabili ancora senza sostegno, uffici nel caos, tutto per l'arrogante pretesa di poter fare a meno di ogni serio confronto con il mondo della scuola, con i lavoratori, con gli studenti e chi li rappresenta.
Il consenso alle nostre battaglie sostenuto dai quasi due milioni di firme, indica una direzione, ci invita ad andare avanti, non arretrare. Le associazioni e le organizzazioni sindacali che hanno dato vita alla campagna referendaria proseguiranno nel contrasto alla legge 107 e alle sue nefaste conseguenze per la scuola della Costituzione.

E' RISOLUZIONE...QUASI

Comitato provinciale acqua pubblica Frosinone

Risolutamente irrisoluti

All'Assemblea dei sindaci di ieri 13 ottobre è mancato il classico soldo per fare una lira.
Ma come? Per stabilire 3 o 6 mesi di tempo da concedere ad Acea per eliminare le inadempienze, per definire la tariffa del 2016, il fronte dei sindaci anti - Acea si è premunito della necessaria mozione per far prevalere il proprio punto di vista mentre quando si è dovuto decidere se procedere o meno alla risoluzione se ne sono dimenticati?

Sgomberiamo immediatamente il campo alle cialtronate con cui gli uomini di Renzi e Scalia tentano di giustificare l'ingiustificabile.
E' la STO che ha formulato contestazioni parzialissime e nonostante il Comitato provinciale acqua pubblica abbia a più riprese sollecitato l'integrazione delle stesse, questa STO, vero e proprio cavallo di Troia di Acea in seno all'ATO, se ne è guardata bene provvedendo solo a redigere il compitino di comodo che chiunque, non completamente ingenuo, si aspettava.

Per quanto riguarda, invece, il parere legale: è mai possibile che in Italia non esistesse un altro avvocato a cui rivolgersi che non svolgesse il proprio compito per l'Autorità idrica toscana, dove i sindaci e le comunità locali non contano praticamente nulla e a dettare legge è Acea S.p.a che controlla tutte le società meno una della regione? Un avvocato di quella Firenze di Renzi e di quella Publiacqua (controllata di Acea) deputata alla gestione del S.I.I. su tutto il territorio controllato da Acea S.p.a?

Quello che conta è, però, che la risoluzione per colpa del contratto non sia stata archiviata ed ora senza ulteriore indugio deve essere formalmente disposta.
Siamo stanchi di sentire i lamenti sui possibili rischi legali, e crediamo che la soluzione di questa vicenda sia tutta politica.

Per questo il 27 ottobre saremo a Roma, insieme agli altri territori, per partecipare al primo Consiglio popolare dell'acqua per chiedere all'amministrazione Raggi di tener fede agli impegni elettorali assunti che prevedono la ripubblicizzazione di Acea S.p.a. Questo significa che il Comune di Roma che detiene il 51% di Acea S.p.a. deve liberare i territori occupati dai soci privati di Acea, Caltagirone e Suez, e, quindi, impedire ad Acea di opporsi alla risoluzione contrattuale dell' Ato 5!

In queste settimane chiederemo conto alla Regione Lazio della Legge n. 5 "Tutela, governo e gestione pubblica delle acque", strumento indispensabile perché a decidere di un bene indispensabile come l'acqua tornino ad essere i consigli comunali e i cittadini.

Saremo di fronte al Parlamento perché il decreto Madia che obbliga alla privatizzazione dei servizi pubblici sia ritirato e non ci accontenteremo di quanto già annunciato sull'esclusione da esso della sola gestione dell'acqua.


Ci aspettiamo che anche gli amministratori che a parole dichiarano di essere preoccupati e di agire nell'interesse dei cittadini siano al nostro fianco ed assicuriamo che questo sarà l'unico riconoscimento da tenere in considerazione anche sul piano elettorale.

giovedì 13 ottobre 2016

Acea Ato5: con chi sta la Sto?

Luciano Granieri
foto tratta da "l'inchiesta quotidiano"


Ieri sera la consulta  d’ambito  di Acea Ato5 ha respinto la proposta della segreteria tecnica operativa, nella quale si evidenziava che le inadempienze del gestore, pur accertate, non erano tali da attivare la rescissione contrattuale per colpa. 

Dopo l’avvio dell’iter di interruzione del contratto di servizio idrico sancito dalla delibera n.2 del 18 febbraio 2016, i sindaci della consulta erano chiamati a votare la proposta della Sto, redatta in base alle controdeduzioni avanzate da Acea, in riposta alle contestazioni  espresse dai sindaci medesimi . Le inadempienze denunciate comprendevano  un’approssimativa gestione del servizio  con tariffe  spropositate, interventi strutturali addebitati in bolletta e  mai realizzati, ma  soprattutto spiccava il reclamo  per  la mancata corresponsione ai Comuni di 21 milioni di euro a saldo degli oneri  concessori . 

Quarantadue  primi cittadini, sui 57 presenti,  hanno respinto la proposta della segreteria tecnica operativa, i favorevoli sono stati 14, uno astenuto. Tanto per buttarla in politica possiamo dire che l’appartenenza  ai diversi  schieramenti,  dei sindaci contrari alla proposta della Sto, è stata trasversale.  Era  compresa fra  Ornella Carnevale, sindaca di Pico, decisamente posizionata a sinistra, il sindaco  Morini di Alatri  piddino atipico, che pure aveva proposto una mediazione prima di votare no, fino  a tutta la pattuglia dei primi cittadini  di centro destra guidata da Ottaviani. 

Dunque ancora una volta la votazione di ieri ha segnato la Caporetto degli amministratori  di stretta osservanza renziana.  Sindaci  che in linea con i diktat del capo, strenuo difensore del capitale finanziario,  giammai avrebbero potuto permettersi di esprimersi contro Acea. La difesa degli Ascari democrat è stata come al solito patetica. Il sindaco di Ceprano , Marco Galli , ha riproposto la solfa dell’irresponsabilità di una posizione contraria alla multinazionale romana.  Non è saggio, secondo il primo cittadino cepranese, votare contro un parere tecnico espresso da un ufficio di consulenza, come la segreteria tecnica operativa, la cui funzione è quella di supportare la consulta d’ambito nelle proprie decisioni. In secondo luogo, secondo Galli, andare contro il colosso Acea con motivazioni deboli, significherebbe esporsi a rovesci legali i cui oneri ricadrebbero  sui cittadini. Della serie: “conviene pagare la tangente ad Acea, altrimenti si rischia che questa ci bruci la casa”. 

A proposito della segretaria tecnica operativa!  E’ vero che questo organo dovrebbe supportare tecnicamente i sindaci  e di conseguenza tutelare gli interessi dei cittadini nei confronti del gestore privato, ma ciò accade veramente?  Nelle ultime due assemblee le proposte avanzata dalla Sto, quella sull’aumento tariffario,  e quella di ieri sull’inconsistenza delle motivazioni per la rescissione contrattuale, sono state sonoramente bocciate da sindaci perché palesemente contrarie agli interessi della cittadinanza. Ci possiamo dunque fidare dello Sto? Parrebbe di no. 

Altrettanto risibile è l’obiezione  avanzata dal sindaco di Veroli, Simone Cretaro, secondo cui, chi ha votato contro la proposta di archiviazione del procedimento di rescissione avanzata dalla Sto, deve anche prendersi la responsabilità di deliberare l’interruzione del rapporto con Acea.  E’ facile rispondere che la votazione di ieri riguardava esclusivamente la proposta dell'organo tecnico operativo e non la cacciata di Acea.  Ovviamente la deliberazione di rescissione contrattuale andrà presentata al più presto in una prossima consultazione  e godrà di un supporto giuridico potente,  rappresentato dalla bocciatura di ieri  delle controdeduzioni di  Acea .  

Dunque la macchina sembra procedere, ma non basta. Perché a difendere Acea c’è anche il decreto sblocca Italia di Renzi del 2014. In base a tale norma si incentivano esplicitamente le dismissioni delle quote che i Comuni eventualmente possedessero all’interno degli assetti azionari di un gestore terzo e si favoriscono economicamente i soggetti privati. In particolare un territorio   è di fatto  obbligato a scegliere un ente  privato per il servizio idrico, non solo, tale gestore deve essere unico  e avere come requisito quello di avere già operato in quello stesso ambito. E’ evidente dunque come Acea, qualora fosse cacciata dalla porta da parte dei primi cittadini ,  rientrerebbe dalla finestra, per il decreto sblocca Italia. 

E’ dunque necessario che i sindaci uniscano  alla loro battaglia per la cacciata di Acea una presa di posizione forte per un ritorno alla gestione partecipata del servizio idrico come sancito dal referendum del 2011. La questione non è se disfarsi o meno di Acea, ma riguarda la riappropriazione da parte dei cittadini di un bene necessario alla vita come l’acqua che mai dovrebbe essere fonte di profitto.  Senza questa decisa presa di posizione la consulta d’ambito potrà bocciare tutte le controdeduzioni possibili immaginabili, ma mai riuscirà a liberarsi definitivamente dal giogo della multiutiliy romana. 

mercoledì 12 ottobre 2016

NO ALLA COSTITUZIONE RENZIANA E ALLA REPUBBLICA DEI VOUCHER

Giorgio Cremaschi


I voucher sono stati introdotti nel 2008 dal governo Berlusconi. Li istituì il ministro del lavoro Sacconi, poi passato con Alfano a sostenere Renzi. Il quale come suo solito ha fatta propria ed estesa la devastazione dei diritti del lavoro avviata dalla destra. Con il Jobsact i voucher sono stati liberalizzati e sono così cresciuti in maniera esponenziale. Secondo gli ultimi dati INPS nel 2015 sono 1400000 i lavoratori pagati coi voucher. Prima che Renzi e Poletti andassero al governo erano poco più di 400000. Il milione di posti di lavoro promesso da Berlusconi nel 1994, l'attuale presidente del consiglio lo ha realizzato con i lavoratori che si comprano in tabaccheria, al prezzo di due pacchetti di sigarette. Un voucher costa 10 euro all' "imprenditore", 2,50 vanno allo stato il resto al lavoratore. Così per legge è stato di fatto stabilito il salario minimo giornaliero: in Italia è di sette euro e mezzo al giorno, come in Mozambico. Per un ammontare di 500 euro netti complessivi in un anno per persona, ci dice ancora l'Inps.
Il governo sostiene che questo milione di lavoratori sia emerso dal lavoro nero. Mente sapendo di mentire. Le regioni più povere dove c'è più lavoro nero sono quelle che usano meno i voucher, quelle più ricche, Lombardia e Veneto, quelle che lo usano di più. È vero l'esatto contrario, i voucher hanno degradato ulteriormente il lavoro precario ufficiale, ai 39 contratti a termine ne hanno aggiunto uno peggiore, il peggiore.
Un lavoratore coi voucher riceve il ticket e poi è a disposizione di chi glielo dà per un numero indefinito di ore di lavoro non pagato. Se il giorno dopo vuole tornare deve accettare la stessa condizione. E i controlli non esistono, contrariamente a quanto afferma il governo
Poletti ha vantato in tv che ora chi usa il voucher un'ora prima dovrà comunicarlo alle autorità con un sms: "Ciao come stai, ho comperato due operai nella tabaccheria all'angolo, tutto bene?..."
Che penosa sciocchezza, anche se ci fosse un ufficio che riceva e registri gli sms, che ora non c'è perché Poletti si é dimenticato di istituirlo, che potrebbe fare concretamente, con qualche ispettore di fronte a un milione e mezzo di lavoratori sparsi per tutta Italia.
La realtà è che c'è un solo modo per impedire questo schiavismo legalizzato: abolire totalmente i voucher e riportare ogni rapporto di lavoro al contratto, quel principio nato da poco più di duecento anni, che il modernismo neomedioevale di Renzi vuole cancellare.
Altro che conservare la prima parte della Costituzione e cambiare solo la seconda! Se resteranno i voucher il primo articolo della nostra Carta diventerà semplicemente una frase beffarda. E alla fine, per non esagerare nel contrasto tra principi e realtà, ci si sarà chi proporrà di cambiarlo, per renderlo più coerente con il mercato.
Un governo che alimenta i voucher, solo per questa ragione senza considerare niente altro, dovrebbe essere cacciato per indegnità morale. Ora abbiamo la possibilità di farlo, il 21 e il 22 ottobre scioperando e manifestando nel NORENZIDAY e poi votando NO il 4 dicembre. Per gettare al macero la costituzione renziana e la repubblica dei voucher

Risoluti o (ri)soliti - Atto secondo

Comitato provinciale acqua pubblica Frosinone


L’Assemblea dei Sindaci dell’Ato 5 si trova di nuovo di fronte ad un bivio: sostenere con forza e determinazione le tesi emerse nei mesi (o meglio negli anni) scorsi in tutto il territorio provinciale circa l’inadeguatezza della gestione del servizio idrico integrato da parte di Acea Ato5 S.p.a. a fronte di un costo elevatissimo, oppure credere che quanto fatto in pochi mesi dal gestore serva a riequilibrare una malagestione di anni e cedere nuovamente alle sue minacce che poco velatamente si evincono leggendo le sue risposte alle inadempienze contestategli a febbraio scorso?

E’ evidente a tutti, infatti, o almeno lo era fino a ieri a molti sindaci che ora hanno dei strani ripensamenti, che la gestione finora effettuata da Acea Ato 5 S.p.a. non è stata assolutamente positiva e che troppe sono state le inadempienze contestategli negli anni. Non possono bastare le azioni messe in campo dal gestore negli ultimi mesi per far dimenticare un decennio di disservizi. Non possono bastare alcuni interventi infrastrutturali che dovevano essere realizzati da anni a farle riguadagnare una verginità, nè tantomeno il parere di uno sconosciuto avvocato toscano.

Le inadempienze contestate a febbraio 2016 sono solo una parte di quelle imputate ad Acea Ato 5 S.p.a. L’azione che svolgiamo quotidianamente e da anni come comitati locali (comitati nati spontaneamente da tanti utenti determinati nel portare avanti contestazioni legittime e da liberi cittadini convinti che l’acqua non possa essere merce da vendere sul mercato) ci restituisce quella che è la vera faccia del gestore e del servizio che offre. Migliaia di contestazioni rivolte al gestore e per conoscenza alla STO hanno rilevato pratiche commerciali scorrette da parte del gestore come per esempio la mancata effettuazione delle letture periodiche dei contatori con conseguente fatturazione sulla base di stime e con l’invio di conguagli pluriennali di elevata entità, o come gran parte dell’onere di pagamento dell’acqua non consumata a causa di perdite occulte nell’impianto idrico sia attribuito all’utenza con l’applicazione dell’aliquota più alta.     

Contestazioni che non hanno trovato risposta come avrebbero dovuto da Disciplinare Tecnico, mentre chi contesta è gravemente annoverato tra i morosi. Non solo, infatti, il gestore in presenza di formale reclamo non ha sospeso cautelativamente le procedure di riscossione e distacco delle utenza ostacolando l’esercizio dei diritti contrattuali dei consumatori, ma ha avviato immediatamente le procedure di morosità minacciando il distacco ed arrivando ad attuarlo.
Formali contestazioni rilevano quindi come la gestione di Acea Ato 5 S.p.a non solo sia connotata da una mancanza di diligenza ma anche da un carattere aggressivo volto a determinare un indebito condizionamento.  

Se i sindaci vogliono prendere la giusta direzione, quella giusta per tutti noi, domani devono voltare  realmente pagina e prendere una strada diversa.
Una strada in cui non sia il gestore privato a dettare legge, forte della multinazionale che sta alle sue spalle, del Governo Renzi e delle Autorità nazionali appositamente create per favorire i privati nella gestione dei servizi pubblici. Ma che sia l’Autorità d’Ambito, gli amministratori comunali e tutti gli utenti a decidere come gestire il servizio e a quale costo.
Cambiare strada non è solo possibile ma a questo punto è un diritto!
La legge regionale n. 5 del 2014 è vigente, basta soltanto renderla attuativa!
I cittadini e i comitati che hanno promosso quella legge d’iniziativa popolare attendono una risposta da oltre un anno, ma l’Assessore regionale Refrigeri competente per la materia è abile a sviare, a prendere tempo e a prendere in giro i cittadini. Ma il tempo è ormai scaduto! La Giunta regionale presieduta da Nicola Zingaretti e il Consiglio regionale che l’ha votata all’unanimità ha dimenticato quella sua legge?
All’inerzia della Regione devono rispondere gli amministratori comunali e tutti i cittadini.
In questa situazione la palla è in mano ai Sindaci, i quali hanno il compito intanto di verificare accuratamente se i mancati interventi contestati a febbraio scorso al gestore privato siano stati realmente e correttamente effettuati in questi ultimi mesi, così come sostiene il gestore. Noi abbiamo diversi dubbi.

Domani i sindaci hanno l’onere di rispondere prima di tutto ai cittadini/utenti e non solo ad Acea perché la decisione che prenderanno avrà in ogni caso ripercussioni sulla popolazione, sulla qualità della vita dei cittadini e sulle loro tasche.
Le pretese, le minacce e i paventati mancati guadagni di Acea sono indubbiamente secondari in questo panorama.


martedì 11 ottobre 2016

LA DPHAR TRAVOLTA DALL'INCHIESTA SULLO SMALTIMENTO ILLECITO DEI RIFIUTI VERRÀ PREMIATA CON I SOLDI DELL'ACCORDO DI PROGRAMMA?

Ufficio Stampa del Deputato Luca Frusone M5S


“I fatti continuano a darmi ragione, la politica in questo territorio è marcia e dovrebbe vergognarsi per lo sfacelo che sta perpetrando. Il caso della società farmaceutica DPHAR è un chiaro esempio di come sono gestite le cose su questo territorio. La DPHAR che in questi giorni è sotto inchiesta per lo smaltimento illecito di rifiuti, è la stessa che qualche settimana fa firmava un programma di sviluppo con Invitalia per ricevere milioni di euro dal Ministero dello sviluppo economico e dalla Regione Lazio, per intenderci, l’epilogo di quell'inutile accordo di programma siglato nell'agosto del 2013, che secondo i nostri politici locali di maggioranza avrebbe dovuto far rifiorire l’economia e l’industria locale, nonché dare lavoro non si sa ancora bene a quante persone. Un accordo che nasceva per aiutare le PMI locali fu invece riservato a due sole aziende farmaceutiche, tra cui proprio la DPHAR che ora come scritto dai giornali avrebbe avuto un notevole risparmio di spesa non smaltendo in modo legale i rifiuti (costituiti di fanghi farmaceutici). L’accordo di programma ha premiato quindi una società che oggi è sotto la lente della magistratura perché per anni, invece di rivolgersi a ditte terze deputate allo smaltimento, avrebbe invece smaltito i rifiuti usandoli come ammendanti nei terreni circostanti l’azienda, sui quali nel tempo sono state addirittura effettuate colture agrarie. Se tutto questo venisse confermato dalla magistratura, le varie istituzioni e i politici che dell'accordo di programma ne hanno fatto un vanto avrebbero premiato chi questo territorio lo sta avvelenando.” – la dichiarazione arriva dal deputato 5 Stelle Frusone che continua – “Ho ritenuto indispensabile chiedere immediatamente al Ministro dello sviluppo economico di aprire una seria indagine per rivedere la destinazione del finanziamento e come già scritto in una mia precedente interrogazione a cui ancora non ho avuto risposta, ho chiesto di rimodulare tutti gli aspetti dell’accordo di programma, in modo tale da renderlo congruo alle necessità reali del territorio della provincia di Frosinone, ossia ricostruire il tessuto economico dalle piccole e medie imprese locali.” – e conclude – “È doveroso rivedere completamente tutto l’iter che ha portato a selezionare quest’azienda e fare chiarezza per ripristinare legalità e trasparenza, purtroppo troppo spesso sconosciute al manipolo di politici che ci governa.”

lunedì 10 ottobre 2016

Lavoratori ex Multiservizi: ancora una sentenza vinta

Comitato di Lotta per il lavoro

Con altre 15 favorevoli, in tutto sono 50, si chiude un ciclo di sentenze contro le cooperative che subentrarono nell’aprile 2013 alla Frosinone Multiservizi gestite vittoriosamente dallo studio Di Folco composto da Di Folco Loredana, Esposito Luca e Rea Riccardo.
L’ultima sentenza del giudice Pastore di venerdì 7 ottobre ha visto riconoscere a 15 lavoratori che lavoravano nel servizio di manutenzione ordinaria degli immobili, attività di supporto alle manifestazioni, controllo del territorio e manutenzione e sorveglianza dei parcheggi, assistenza agli scuolabus, che quel posto di lavoro era il loro e che furono sostituiti nel momento del subentro della cooperativa sociale senza la dovuta prassi che portò infatti ad escluderli dal passaggio a Consorzio Uno, che prendeva i servizi “temporaneamente” per 5 mesi ed è rimasta a gestirli per 3 anni!
Una storia che ha visto i lavoratori lottare lungamente, e ancora sono sotto una tenda, per cercare nell’ente quella interlocuzione necessaria a ristabilire diritti e dignità. La dignità i lavoratori se la sono trovata da soli non cedendo al tentativo della attuale amministrazione di svendere tutto per un soldo di cacio a quelli che successivamente sono risultati personaggi a dir poco equivoci (vedi Solco e le interdittive antimafia), difendendo quel diritto al lavoro e al giusto salario oggi a Frosinone dimenticato. I diritti li hanno visti riconosciuti dala magistratura, nel tragitto più lungo e anche più impervio. Era stata battuta una strada più veloce e fattibile ma la newco è stata oggetto di impallinamento nonostante tutti i tasselli pronti non ha mai visto la luce.
Di tutta questa storiaccia il protagonista indiscusso è uno solo: l’”incollatore” della “libera amministrazione ciociara” che rinuncia a intervenire nelle disastrose situazioni create, non nascondendo anzi un piglio di rivalsa nei confronti di coloro che non si sono piegati alle politiche della svendita della città. D’altronde si è scelto di svolgere il ruolo del impallinatore lasciando strada a giochi di cui sarebbe opportuno conoscere l'effettiva natura.
Non son bastate tre sentenze ed una personale convocazione da parte del tribunale volta a comprendere perché il sindaco non potesse svolgere il proprio compito di ricomposizione della vicenda. Non basterà nemmeno questa quarta sentenza contro le cooperative. L’indifferenza condita con la lucida rabbia di chi svolge attività di potere è una condizione senza ritorno e fortemente pericolosa per l’intera cittadinanza.
Dietro l’ennesima sentenza favorevole rimangono centinaia di famiglie (non solo quelle di Frosinone ma anche quelle di altri enti che senza la newco sono rimaste prive del loro posto di lavoro) comunque in difficoltà anche perché le coop non ottemperano alle sentenze. Famiglie stremate ma consce che la tenacia ha aiutato la giustizia.
Ora che giustizia, anche se formale, è stata riconosciuta in tribunale, si apre  un nuovo orizzonte che potrebbe essere quello politico in vista delle amministrative 2017, il cui programma prima di essere propositivo si fonderà su un assunto chiaro e incontrovertibile: a casa questa straziante e immeritevole classe dirigente!  

A seguito di quest'altra favorevole sentenza si indice una conferenza stampa per martedì 
11 ottobre alle ore 17 presso la tenda. Alle note sulla sentenza seguiranno le intriganti sorprese  sugli affidamenti dei servizi.

La Sinistra che amministra. comunisti in un feudo democristiano

 Il Segretario Provinciale Prc di Frosinone  Paolo Ceccano


Domenica 9 ottobre si è svolta, presso l’Auditorium “V. De Sica”, la presentazione dl volume: “La Sinistra che amministra – comunisti in un feudo democristiano”.
L’iniziativa ha visto la partecipazione di molte persone intervenute per ripercorrere, attraverso gli interventi dalla presidenza e dalla stesa possibilità offerta dalla successiva lettura del libro, una vicenda di ricchezza democratica che il libro vuole testimoniare: quella che ha visto la partecipazione di comunisti al governo di Centrosinistra  che ha governato Sora dal 2006.
Sia i relatori che le persone intervenute si sono ritrovate a scandagliare singoli i momenti e o significati di questi interpretati all’interno di una cornice di analisi politica limpida. Analisi che ha saputo mettere in risalto le molte luci e anche qualche ombra di quella originale storia amministrativa.
Il segretario provinciale dell’ANPI, Giovanni Morsilli, ha portato i saluti illustrando il valore della memoria storia che consente dei leggere e interpretare le vicende attuali e future del mondo.
Paolo Ceccano ha introdotto la presentazione spiegando le ragioni dell’iniziativa editoriale; Mario Lilla, all’epoca segretario del Circolo di Rifondazione Comunista, ha illustrato tutta la premessa operativa che ha condotto alla proposizione alle elezioni del 2006 della compagine di Centrosinistra; infine Bruno La Pietra, assessore alla cultura a suo tempo, ha concluso la presentazione attestandosi su una analisi critica delle vicende del governo di allora alla luce di una esplorazione delle attuali contraddizioni della politica locale e di più larga scala.

Le note dell’organetto diatonico suonato da Andrea Alonzi, hanno aperto e chiuso l’iniziativa.

domenica 9 ottobre 2016

Solo Renzi e la Boschi potranno salvarci dalla "Bestia"

Luciano Granieri


La bestia è viva e lotta insieme a noi…cioè a loro. 

Cos’è la bestia? Pare sia una struttura  parallela, insediata a Palazzo Chigi, incaricata di studiare le strategie mediatiche migliori  a sostegno della campagna referendaria per il Si. La bestia è vorace,  fino ad oggi ha divorato  3milioni di euro ed a guidarla c’è il guru della comunicazione Jim Messina. Il suo stipendio supera i  400mila euro.   Evidentemente  uno che ha fatto vincere le elezioni a Obama, va adeguatamente remunerato.  

La bestia è viva e in piena azione. Comanda i TG del servizio pubblico, impone gli ospiti graditi e ripudia quelli sgraditi. Il politologo Paquino? Giammai!!!!  Quel dibattito con Renzi non s’ha da fare ne adesso ne mai. Il mostro  scrive   la sceneggiatura dei  servizi da mandare in Tv . Renzi visita un ospedale e un paraplegico alla vista del Presidente del Consiglio si alza e cammina.  Renzi visita una fabbrica e mentre stinge le mani agli operai dall’ufficio distribuzione arriva la notizia di un grosso ordinativo. Renzi  visita una scuola e gli studenti improvvisamente si mettono a risolvere equazioni matematiche impossibili. Poi Renzi si rivolge alla telecamera e con fare ammiccante dichiara. “Io non voglio personalizzare il referendum, ma se vince il Si questi miracoli  non saranno  più possibili”.   

La bestia non lascia nulla al  caso si occupa anche dei lavori parlamentari. Il Parlamento è   sbarrato  fino al 4 dicembre. Il decreto legge sul fine vita, che doveva arrivare all’esame delle Camere  a marzo,  ancora giace nei cassetti. Si sono  perse le tracce della  legge sulla   legalizzazione delle droghe leggere,  il cui testo doveva giungere  in aula a  settembre . Molti altri provvedimenti  rimarranno impantanati perché non possono attivare  un lavoro parlamentare a rischio.  La bestia non vuole che certe leggi divisive indispettiscano  gli alleati alfaniani , gli amici  popolari e altre schegge dello zero virgola provenienti dalla diaspora berlusconiana i quali  potrebbero voltare le spalle e esprimersi per il No.  E meno male che le lungaggini legislative sarebbero  imputabili al ping-pong fra Camera e Senato! Ma questo non si può dire. La bestia ti sbrana. Ma  ancora non abbiamo visto niente.  

Milioni di metri quadrati di manifesti   imbratteranno  muri e pannelli, senza lasciare neanche un millimetro scoperto. Orde di professori, ma anche onesti ex insegnanti di educazione civica,  sono pronti a bussare ad ogni porta per spiegare le ragioni del Si al popolo bue, oppure a fare i guastatori nei confronti televisivi. 

La bestia fa paura ai comitati del No, alle prese con un budget più che misero,  relegati  in spazi televisivi  angusti,  incapaci di fare miracoli , abili solo a  spiegare gli  effetti nefasti che la riforma Renzi-Boschi produrrà sulle regole democratiche del nostro Paese . Qualità  insufficienti per cui  non avranno scampo, il mostro li spazzerà via.

E’ tutto perduto dunque? Non è detto. La bestia controlla ogni stormir di fronda ma è impotente  di fronte a coloro i quali l’hanno ingaggiata. Il mostro  non è in grado, ad esempio,  di limitare  le  menzogne e le gaffe continue di Renzi il quale ogni volta che parla provoca enormi danni alla causa del Si. Uguale situazione si verifica per la Boschi.  La Signora della riforma - fra bisticci con i partigiani, confusione fra fascisti e Verdini,  elucubrazioni su chi non rispetta il Parlamento votando No  -  ogni volta che si esprime con la sua voce da navigatore satellitare, provoca una smottamento nella sicurezza dell’elettorato favorevole alla riforma. 

La bestia non è dunque invincibile. Ma solo Renzi e la Boschi potranno salvarci dai suoi artigli. Saranno in grado di fare il miracolo?