venerdì 15 febbraio 2019

E’ ora del vitto al pronto soccorso dell’Ospedale Spaziani di Frosinone. Attenzione solo posti in piedi!


Luciano Granieri Gruppo sanità Potere al Popolo Lazio




Ci sono scene deprimenti che capita di vedere   quasi tutti i giorni alle quali,  per quanto siano frequenti,  non ci si abitua mai. E’ il caso di ciò che avviene quasi ogni giorno nei  pronto soccorso degli ospedali del Lazio, e di  tutta Italia. Basta recarsi in una di queste bolge infernali per trovarsi di fronte ad un ingorgo di ambulanze ferme in attesa che   venga restituita la barella con cui hanno trasportato il paziente.  

Le barelle di degenza  sono cronicamente insufficienti per cui spesso la lettiga dell’ambulanza viene trattenuta  in pronto soccorso occupata dal paziente che ha condotto.  I corridoi sono stracolmi di pazienti, chi su una lettiga , chi su una sedia,  in attesa di essere presi in carico e trattati. Donne e uomini in piena promiscuità gettati su un giaciglio, quando va bene, sofferenti, con gli occhi in perenne ricerca di qualcuno con il camice addosso. Per non parlare della sale d’attesa piene di parenti spaesati e preoccupati. 

Come detto lo scenario appena descritto è frequente ma non ci si abitua mai. Ancora più disarmante , se possibile,  è la distribuzione del vitto. Come operatore del TDM-Cittadinanzattiva mi sono trovato, mercoledì scorso,  nel pronto soccorso dell’Ospedale Fabrizio Spaziani di Frosinone proprio mentre veniva  distribuito il cibo. Chi aveva la “fortuna?” di stare sopra una barella poteva mangiare, ma stando bene attento a non far cadere tutto a terra. Si sa le barelle non sono letti né ci sono comodini. Una  volta completato il pasto il paziente  doveva lasciare il vassoio, in attesa che venissero a ritirarlo,  in fondo alla  lettiga   rimanendo seduto (o ci sta il vassoio o i ci stanno i piedi).


 Peggio è andata a chi era in attesa su una  sedia, con il vassoio sulle ginocchia facendo i salti mortali per non rovesciare tutto, soprattutto la bottiglietta d’acqua .  

Ma a qualcuno è andata ancora peggio. Un paziente  medicato per una ferita lieve, in attesa  di trovare una diversa collocazione , ha  dovuto lasciare la  lettiga ad  altro  paziente più grave  . E’   rimasto in piedi. Sfido chiunque a mangiare in piedi senza sapere dove mettere le vivande . Il ragazzo però  non si è perso d’animo, ha appoggiato la parte anteriore del vassoio sui corrimano fissati al muro,  e stava provando a mangiare così. 


Neanche il più   sfortunato derelitto   costretto   alla mensa dei poveri  rimane in piedi a mangiare! Al  pronto soccorso di Frosinone accade anche questo. 

Al di là delle tante considerazioni che puntualmente chiamano in causa il numero sottodimensionato degli operatori sanitari, la mancanza di barelle e di altre suppellettili,  l’assenza totale, nonostante le tanto strombazzate case della salute, di una medicina di prossimità che curi i pazienti meno gravi senza intasare i pronto soccorso, ciò che salta agli occhi è come uno quadro del genere rimandi ad un luogo in cui i pazienti vengono di fatto privati di ogni dignità umana nonostante  ,voglio sottolinearlo, il personale medico, infermieristico  si adopera in modo encomiabile. Anzi anche i sanitari spesso sottoposti a turni insostenibili e a condizioni di lavoro proibitive vengono, in qualche caso, privati della  propria dignità professionale. 

Ci troviamo di fronte, non solo ad una carenza di cure, ma anche  alla privazione della dignità umana.  Quanto di più lontano da ciò che prevede il Sistema Sanitario Nazionale del 1978. In nome del profitto della medicina privata e dei sistemi assicurativi legati alla salute, non si può sacrificare la dignità dei pazienti  e degli operatori  che  lavorano nelle strutture pubbliche.  E’ inammissibile finanziare  ed agevolare aziende private, quando i pronto soccorso e gli ospedali sono privi degli  elementi necessari per andare avanti. Fare profitto sulla salute della gente non solo è indegno, ma anche disumano. 

Per questi motivi è necessario l’impegno di tutti affinchè gli obiettivi posti dalla legge 833/78, ossia assicurare cure di qualità per tutti i cittadini, indipendentemente dalle località di provenienza, dal colore della pelle e dal censo, siano rispettati. Sono  diritti sanciti nella Costituzione  che nessun regionalismo differenziato può destrutturare

Baobab, dove transita l'umanità: storie di Roma solidale

Associazioni di Colleferro:

ANPI
Retuvasa
UGI
e la Chiesa Evangelica Valdese

Andrea Costa Baobab Experience


Per ogni: “E allora voi che fate per loro?”, “Ci deve pensare l’Europa…”, “Perché non te li prendi a casa tua?”... Andrea Costa e il Baobab Experience hanno resistito a sgomberi forzati, alla mancanza di aiuti istituzionali e alle tante forme di avversità che hanno incontrato in questi anni sempre più difficili, tutto questo per garantire a chi, fuggendo dalla guerra, dalla mancanza di libertà, dalle persecuzioni o “semplicemente” dalla fame lascia la propria terra, la propria casa, i propri cari, spesso i propri figli e cerca di trovare, dopo il “viaggio per la vita”, finalmente riparo.

Il Baobab Experience ha dato una prima accoglienza a migranti transitanti ed è la testimonianza di una Roma che ci piace, aperta e solidale e che resiste e esiste, che vede schierate realtà di vario tipo, ma anche semplici cittadine e cittadini, a sostegno di chi vive sulla propria pelle il male del nostro tempo.
Risposta concreta all'emergenza e gesti semplici, coordinati da una struttura competente ed efficace, che riesce ad andare avanti e a rinascere, nonostante i tanti tentativi di farla scomparire. Sabato 16 febbraio 2019 alle 17:30 Andrea Costa, rappresentante di Baobab Experience, ci racconterà questa importante esperienza nei locali della Chiesa Evangelica Valdese di Colleferro, un’iniziativa voluta da diverse realtà associative del nostro territorio che vogliono fare rete. Vi aspettiamo numerosi!

martedì 12 febbraio 2019

Un altro attacco alla Costituzione

Piero Filotico




Nella quasi totale indifferenza dei media e dei commentatori politici sta per consumarsi un delitto che avrà per vittime la Costituzione e l’unità nazionale.
Il  15 febbraio il sottosegretario leghista Erika Stefani procederà alla firma di intese che conferiranno una maggiore autonomia ad alcune Regioni. Autonomia  che per il Veneto e la Lombardia, che l’hanno chiesta con un referendum popolare (in Lombardia hanno votato il 38% degli aventi diritto), ha un contenuto prevalentemente economico: trattenere il cosiddetto residuo fiscale nella misura di 9/10 dei tributi riscossi. Solo per la Lombardia si tratta di 27 miliardi di euro che verranno trattenuti e sottratti al bilancio statale.  
Una decisione che non  riguarda solo i cittadini di quelle regioni, ma che è una grande questione politica e sociale che riguarda tutti gli italiani. Che può portare ad una vera e propria “secessione dei ricchi”: spezzettare la scuola pubblica italiana, creare cittadini con diritti di cittadinanza di serie A e di serie B a seconda della regione in cui vivono. In pratica, i diritti (quanta e quale istruzione, quanta e quale protezione civile, quanta e quale tutela della salute) saranno come beni di cui le Regioni potranno disporre a seconda del reddito dei loro residenti. Quindi, per averne tanti e di qualità, non basterà essere cittadini italiani, ma occorrerà esserlo in una regione ricca.
Come ha detto il giornalista Marcello Paolozza in un recente convegno su questo argomento, “Se ciò avverrà non riguarderà solo i cittadini delle tre regioni, bensì tutto il Paese. Infatti si avvierà un processo politico decisivo per il suo futuro, che rischia di trasformarlo profondamente, prima di tutto nella sua Costituzione  materiale, inarrestabile nella direzione della sua  definitiva disgregazione economico, sociale, culturale e politica.”

Tutto ciò è in aperta violazione con i principi di uguaglianza scolpiti nella Costituzione. Una riforma   che deriva da quella del Titolo V che regola il rapporto tra stato centrale e autonomie locali, voluta nel 2001 da un governo di centro sinistra, e che ha avuto come “apripista” il Governo Gentiloni, nella persona del sottosegretario Gianclaudio Bressa - allora del Partito Democratico - che nel febbraio 2018  ha firmato a Palazzo Chigi una pre-intesa sulla cosiddetta “autonomia differenziata” tra il Governo e le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Oggi quella autonomia  arriva a dama con la Lega di Salvini e la possibile complicità dei 5stelle.  E una  volta approvata sarà senza ritorno. Perché?
Lo spiega bene Gianfranco Viesti, professore ordinario di economia all’Università di  Bari,  che ha lanciato un grido d’allarme con  il  saggio “Verso la secessione dei ricchi?” scaricabile gratuitamente sul sito Editori Laterza “Se le Intese sono approvate dal Parlamento, tutto il potere di definizione degli specifici contenuti normativi e finanziari del trasferimento di competenze e risorse è demandato a Commissioni paritetiche Stato-Regione, sottratte a qualsiasi controllo parlamentare. Non è possibile tornare indietro, per dieci anni. Queste decisioni non possono essere oggetto di referendum abrogativo. Parlamento e Governo non possono modificarle se non con il consenso delle regioni interessate; ed è assai difficile immaginare che esse, una volta ottenute competenze, risorse, personale, accettino di tornare indietro.(…)

Predrag Matvejević: le foibe e i crimini che le hanno precedute


Il noto scrittore di Mostar, docente all'Università La Sapienza di Roma, interviene sulla questione delle foibe e del giorno del ricordo con un articolo pubblicato sul quotidiano fiumano Novi List. La condanna di tutti i crimini e il rischio delle strumentalizzazioni. Ringraziamo Matvejević per averci reso disponibile il suo testo


Di Predrag MatvejevićNovi List, 12 febbraio 2005 (titolo originale "Foibe" su fašistički izum
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Luka Zanoni
Queste righe sono state scritte nel Giorno del ricordo in Italia, 10 febbraio 2005 - quel dispiacere lo condivido con molti cittadini di questo Paese. I crimini delle fosse e quelli che in esse vi sono finiti, ciò che le ha precedute e che le ha seguite, l'ho condannato da tempo - mentre vivevo in Jugoslavia, quando di ciò in Italia si parlava raramente e non abbastanza. Ho scritto pure sui crimini di Goli Otok, di cui sono state vittime molti comunisti, Jugoslavi e Italiani che erano più vicini a Stalin e Togliatti che al "revisionismo" di Tito. Ho parlato anche della sofferenza degli esiliati italiani dall'Istria e dalla Dalmazia, dopo la Seconda Guerra mondiale - l'ho fatto in Jugoslavia, dove probabilmente era più difficile che in Italia. Non so di preciso quanti scrittori italiani ho presentato, che allora erano costretti ad andare via e quelli che sono rimasti: Marisa Madieri, Anna Maria Mori, Nelida Dilani, Diego Zandel, Claudio Ugussi, Giacomo Scotti, ecc. Non ricordo quanti articoli ho pubblicato sulla stampa delle minoranza italiana, poco conosciuta in Italia, così da poterla appoggiare, desiderando che fosse meno sola e meno esposta - e anche loro mi hanno appoggiato quando decisi di andarmene.
Le fosse, o le foibe come le chiamano gli Italiani, sono un crimine grave, e coloro che lo hanno commesso si meritano la più dura condanna. Ma bisogna dire sin da ora che a quel crimine ne sono preceduti degli altri, forse non minori. Se di ciò si tace, esiste il pericolo che si strumentalizzino e "il crimine e la condanna" e che vengano manipolati l'uno o l'altro. Ovviamente, nessun crimine può essere ridotto o giustificato con un altro. La terribile verità sulle foibe, su cui il poeta croato Ivan Goran Kovačić ha scritto uno dei poemi più commoventi del movimento antifascista europeo, ha la sua contestualità storica, che non dobbiamo trascurare se davvero desideriamo parlare della verità e se cerchiamo che quella verità confermi e nobiliti i nostri dispiaceri. Perché le falsificazioni e le omissioni umiliano e offendono.
La storia ingloriosa iniziò molto prima, non lontano dai luoghi in cui furono commessi i crimini. Prenderò qualcosa dai documenti che abbiamo a disposizione: il 20 settembre 1920 Mussolini tiene un discorso a Pola (non scelse a caso quella città). Annuncia: "Per la creazione del nostro sogno mediterraneo, è necessario che l'Adriatico (si intende tutto l'Adriatico, ndr.), che è il nostro golfo, sia in mano nostra; di fronte alla inferiorità della razza barbarica quale è quella slava". Il razzismo così entra in scena, seguendo la "pulizia etnica" e il "trasferimento degli abitanti". Le statistiche che abbiamo a disposizione fanno riferimento alla cifra approssimativa di 80.000 esuli Croati e Sloveni durante gli anni venti e trenta. Non sono riuscito a confermare quanti poveri siano stati portati dalla Calabria, e non so da dove altro, per poterli sostituire. Gli Slavi perdono il diritto, che avevano prima in Austria, di potersi avvalere della propria lingua sulla stampa e a scuola, il diritto al predicare in chiesa, e persino l'iscrizione sulla tomba. Le città e i villaggi cambiano nome. I cittadini e le famiglie pure. Lo Stato italiano estesosi dopo il 1918 non tenne in considerazione le minoranze e i loro diritti, cercò o di denazionalizzarli totalmente o di cacciarli. Proprio in questo contesto per la prima volta si sente la minaccia delle foibe. Il ministro fascista dei lavori pubblici Giuseppe Caboldi Gigli, che si attribuì l'appellativo vittorioso di "Giulio Italico", scrive nel 1927: "La musa istriana ha chiamato con il nome di foibe quel luogo degno per la sepoltura di quelli che nella provincia dell'Istria danneggiano le caratteristiche nazionali (italiane) dell'Istria" ("Gerarchia", IX, 1927). Lo zelante ministro aggiungerà a ciò anche dei versi di minacciose poesie, in dialetto: "A Pola xe arena, Foiba xe a Pizin" ("A Pola c'è l'arena, a Pazina le foibe"). Mutuo questo detto da Giacomo Scotti, scrittore italiano di Rijeka.
Le "foibe" sono, quindi, un'invenzione fascista. Dalla teoria si è passati velocemente alla prassi. Il quotidiano triestino "Il Piccolo" (5.XI.2001) riporta la testimonianza dell'ebreo Raffaello Camerini che era ai lavori forzati in Istria, alla vigilia della capitolazione dell'Italia, nel luglio 1943: la cosa peggiore che gli successe fu prendere gli antifascisti uccisi e buttarli nelle fosse istriane, per poi cospargere i loro corpi con la calce viva. La storia avrebbe poi aggiunto a ciò ulteriori dati. Uno dei peggiori criminali dei Balcani fu di sicuro il duce ustascia Ante Pavelić. Jasenovac fu un Auschwitz in piccolo, con la differenza che in esso si facevano lavori perlopiù "manualmente", ciò che i nazisti fecero "industrialmente". E le fosse, ovviamente, furono una parte di tale "strategia". 
Mussolini e Pavelic
Mi chiedo se anche uno degli scolari italiani in uno dei suoi sussidiari poteva leggere che quello stesso Pavelić con le squadre dei suoi seguaci più criminali per anni godette dell'ospitalità di Mussolini a Lipari, dove ricevette aiuto e istruzioni dai già allenati "squadristi" fascisti. Quelli che oggi parlano dei programmi scolastici in Italia e sul luogo delle foibe, non dovrebbero trascurare di includere anche questi dati. E anche altro vale la pena di ricordare: il governo di Mussolini aveva annesso la maggior parte della Slovenia insieme con Lubiana, la Dalmazia, il Montenegro, una parte della Bosnia Erzegovina, l'intera Bocca di Cattaro. A quel tempo, tra il 1941 e il 1943, di nuovo, furono cacciati dall'Istria circa 30.000 Slavi - Croati e Sloveni - e fu occupata la regione. Le "camicie nere" fasciste portarono a termine fucilazioni individuali e di massa. Fu falciata un'intera gioventù. I dati che provengono da fonti jugoslave fanno riferimento a circa 200.000 uccisi, particolarmente sulle coste e sulle isole. La cifra mi sembra che sia però ingrandita - ma anche se solo un quarto rispecchiasse la realtà, sarebbe già molto. In Dalmazia gli occupanti italiani catturarono e fucilarono Rade Končar, uno dei capi del movimento, il più stretto collaboratore di Tito. In determinate circostanze hanno pure aiutato il capo dei cetnici serbi in Dalmazia, il pope Ðuijić, che incendiò i villaggi croati e sgozzò gli abitanti, vendicandosi con gli ustascia per i massacri che avevano commesso contro i Serbi. Così da fuori prese impulso pure la guerra civile interna. A ciò occorre aggiungere l'intera catena dei campi di concentramento italiani, i più piccoli e i più grandi, dall'isoletta di Mamula nel profondo sud, davanti a Lopud nelle Elafiti, fino a Pago e Rab nel golfo del Quarnaro. Erano spesso stazioni di transito per la mortale risiera di San Sabba di Trieste, e in alcuni casi anche per Auschwitz o Dachau. I partigiani non furono protetti dalla Convenzione di Ginevra (in nessun luogo al mondo) così che i prigionieri furono subito fucilati come cani. Molti terminarono la guerra con gravi ferite, corporali e morali. Tali erano quelli in grado di commettere crimini come le foibe.
Non c'è nessun dato in nessun archivio, militare o civile, sulla direttiva che sarebbe giunta dall'Alto comando partigiano o da Tito: le unità di cui facevano parte molti di quelli che avevano perso i familiari, i fratelli, gli amici, commisero dei crimini "di propria mano". Purtroppo, il fascismo ha lasciato dietro di sé talmente tanto male che le vendette furono drastiche non solo nei Balcani. Ricordiamoci del Friuli, nella parte confinante con l'Italia, dove non c'erano scontri tra nazionalità: i dati parlano di diecimila uccisi senza tribunale, alla fine della guerra. In Francia ce ne furono oltre 50.000. In Grecia non so quanti.
In Istria e a Kras dalle foibe sono stati esumati fino ad ora 570 corpi (lo storico triestino Galliano Fogar ne riporta persino un numero minore, notando che nelle fosse furono gettati anche alcuni soldati uccisi sui campi di battaglia, non solo Italiani). Oggi possiamo sentire la propaganda che su svariati media italiani fa riferimento a "decine di migliaia di infoibati". Secondo lo storico italiano Diego de Castro nella regione furono uccisi circa 6.000 Italiani. Non serve aumentare o licitare quel tragico numero, come in questo momento sembrano fare i giornali italiani, con 30.000 o 50.000 uccisi. Bisogna rispettare le vittime, non gettare sulle loro ossa altri morti, come hanno fatto gli "infoibatori".
Per ciò che riguarda invece i luoghi che tutti questi dati occupano nell'immaginario, non mi sembra che sia benvenuta la propaganda che come tale è diffusa dal film "Il cuore nel pozzo", che in questi giorni è stato visto in televisione da circa 10 milioni di Italiani, pubblicizzato in un modo incredibilmente aggressivo. Nessuna testimonianza storica parla di una madre che i partigiani portano via dal figlio e poi la buttano nelle foibe! Questa è un'invenzione tendenziosa dello sceneggiatore. Il cinema italiano ha una eccellente tradizione nel neorealismo, una delle più significative di tutta la moderna cinematografia - non gli servono dei modelli simili al "realismo sociale", dei film sovietici girati negli anni sessanta del secolo scorso. E nei preparativi, che in questi giorni sono stati organizzati, o nelle trasmissioni tv più guardate, sarebbe stato meglio se ci fosse stato qualche ministro che avesse, rispetto al fascismo, un diverso passato piuttosto che quelli che abbiamo visto in scena. Ciò sarebbe servito da modello e autenticità alle testimonianze.
La Jugoslavia non esiste più. Croati, serbi, sloveni e gli altri nazionalisti si compiacciono quando la destra italiana gli offre nuovi argomenti per accusare lo Stato che essi stessi hanno lacerato. (Ricordiamoci che il film è stato girato in Montenegro, nella Bocca di Cattaro, con un attore serbo che interpreta il ruolo del partigiano sloveno...) Così di nuovo si feriscono i popoli le cui cicatrici ancora non sono state medicate. È questo il modo migliore - in particolare se se allo stesso tempo si nasconde tanto quanto non corrisponde a verità? Perché, non c'è una qualche via migliore? Il dispiacere che condividiamo può essere reso in un modo più degno e nobile, la storia in modo meno mutilato e difettoso? Non è fino a ieri che vicino a Trieste passava la più aperta frontiera tra l'Oriente e l'Occidente, al tempo della guerra fredda e della grande prosperità della città di San Giusto? Gli Italiani e i Croati in Istria, in questi ultimi anni, non hanno forse trovato un linguaggio comune per opporsi al nazionalismo tudjmaniano molto più di quanto non sia stato fatto altrove in Croazia? E alla fine a chi serve questa strumentalizzazione di cui siamo testimoni?
Non siamo ingenui. Si tratta di una mobilitazione eccezionalmente riuscita del berlusconismo nello scontro con l'opposizione, con la sinistra e le sue relazioni col comunismo che, secondo le parole di Berlusconi, ha sempre e solo portato "miseria, morte e terrore", e persino anche quando sacrificò 18 milioni di vittime di Russi nella lotta per la liberazione dell'Europa dal fascismo. Questa campagna meditata è iniziata 5-6 anni fa, al tempo in cui fu pubblicato "Il libro nero sul comunismo", distribuito pubblicamente dal premier ai suoi accoliti. Essa è condotta, pubblicamente e dietro le quinte, abilmente e sistematicamente. Il suo vero scopo non è nemmeno quello di accusare e umiliare gli Slavi, ma danneggiare i propri rivali e diminuire le loro possibilità elettorali. Ma gli Slavi - in questo caso perlopiù Croati e Sloveni - ne stanno pagando il conto.
Esiste una sorta di "anticomunismo viscerale" che secondo le parole di un mio amico, il geniale dissidente polacco Adam Michnik, è peggio del peggiore comunismo. Il sottoscritto forse ne sa qualcosa di più: ha perso quasi l'intera famiglia paterna nel gulag di Stalin. Ma per questo non disprezza di meno i fascisti.

lunedì 11 febbraio 2019

In altre faccende affaccendati

Luciano Granieri Potere al Popolo Frosinone




La manifestazione tenutasi con grande successo domenica scorsa a Roma, organizzata da CGIL, CISL, UIL, è stata molto positiva in relazione all’assoluta calma piatta che ha contraddistinto le prime sciagurate iniziative prese dal governo giallo-verde (E’ un’analisi che non riguarda noi di Potere al Popolo che in piazza ci siamo sempre andati e continueremo ad andarci). 

Certo è che una risposta così numerosa alla chiamata alle armi del neo segretario CGIL Landini ha costituito un fattore degno di nota. Noi  domenica scorsa non eravamo della partita. Perché c’era D'Alema? per la presenza di Cofferati? o perché si è visto anche Zingaretti, con Calenda ed Epifani? 

Non è una questione di facce o di personaggi indicati a vario titolo come distruttori della sinistra. O addirittura perché c’erano esponenti della  Confindustria? Certo è una brutta immagine il padrone in piazza con l’operaio e il sindacato che dovrebbe difenderlo.  Ma non è neanche questo.  E’ una questione di contenuti che come al solito viene oscurata dalle facce, celebrate o invise, di chi era presente.

 Partiamo da Landini, il quale dalla piazza ha auspicato un nuovo modello di sviluppo basato sulla salvaguardia ambientale. Lo sapeva il neo segretario che giù dal palco c’era un corposo gruppo di Confindustriali Ravennati , e non solo,  a protestare contro il decreto “blocca trivelle”?  Cioè il decreto per cui è imposta una moratoria su trivellazioni in mare alla ricerca di gas e petrolio per salvaguardare i fondali marini.  

 Lo sapeva Landini che il modello economico rivendicato da quelli che stava arringando è basato sulla Tav  e sulle grandi opere in genere?  Cioè un sistema che distrugge l’ambiente anziché salvaguardarlo?  Si ricorda Landini e tutti  quello presenti in piazza con la bandiera del Prc, di Sinistra Italiana, cosa votarono  ed invitavano a votare al referendum No Triv dell’Aprile 2016? Hanno cambiato idea per caso? 

Come è possibile andare in piazza con chi, fino a ieri, s’insultava  per aver approvato il jobs act e l’alternanza scuola lavoro? Secondo Landini, la precarietà si elimina potenziando la contrattazione di secondo livello? Il benessere sociale  cresce   aumentando  la previdenza integrativa privata , addirittura inserendo l’assicurazione sanitaria a tutele crescenti, in rapporto alla retribuzione,  nei contratti di lavoro come in America?  E’ così che si combattono le diseguaglianze?  

Tutto questo va bene a Scerbo di Rifondazione e a Fratoianni di Si che ieri se ne andavano felici e contenti sgambettanti per la piazza? Compagni variamente falce martellati se quella era la vostra manifestazione almeno risparmiateci i pugni alzati, che sono un atto serio ed importante e non veniteci a dare lezioni su come si deve agire per  essere comunisti duri e puri. 

 Pare di sentire il solito tramestio lamentoso: “ecco come al solito, siete sempre voi che dividete il fronte di lotta e vi isolate” Ma è colpa mia se le persone che condivisero la campagna referendaria contro le trivelle nel 2016 adesso vanno in piazza con chi invoca le trivelle.  E’ colpa mia se chi condivideva con noi la difesa della sanità pubblica va in piazza con un sindacato che promuove  l’assicurazione sanitaria privata nei contratti di lavoro, quando si fanno, e con  un presidente di Regione che ha di fatto distrutto la  sanità pubblica? 

Ma insomma! E’ colpa mia se chi condivideva con me le critiche al jobs act, alla buona scuola, va in piazza con chi queste leggi ha approvato!  M viene in mente, a tal proposito, uno slogan che si sarebbe potuto usare nella manifestazione:”Si stava meglio quando si stava peggio” Ecco una lotta per il meno peggio è sempre perdente.  

Non sappiamo se i governi precedenti siano stati peggiori di questo razzista, fascista e inetto.  Probabilmente ne avranno favorito il successo. Quello che sappiamo è che tutti, ma proprio tutti,  si sono scagliati contro i diritti dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, hanno operato contro la giustizia sociale arricchendo sempre più i ricchi ed impoverendo sempre più i poveri. Questo sappiamo, per ciò domenica 9 febbraio eravamo in tutt’altre faccende affaccendati.

Sanità privata? No grazie

Potere al Popolo Lazio




E’ in atto in tutta Italia la trasformazione della sanità in una merce. Le assicurazioni private, la sanità integrativa nei contratti di lavoro e il sempre maggiore affidamento delle cure per i cittadini a soggetti privati, sia religiosi che non, fa perdere di vista il vero scopo della medicina, il benessere dei cittadini, individuale e collettivo, la protezione dell’ambiente, il rispetto delle condizioni di vita e di lavoro e la prevenzione e la tempestiva diagnosi e cura per chi si ammala.

L’aumento della regionalizzazione incipiente ad opera del governo giallo-verde, ma già prevista dal precedente governo Pd, è ulteriore motivo di allarme. Non solo consentirà alle regioni ricche di avere sanità diverse da quelle dei poveri, ma non istituisce nessun percorso virtuoso che garantisca cure appropriate. Il massimo fine della sanità privata è incrementare il proprio profitto e questo non risparmia né i poveri né i ricchi.

Fornire prestazioni povere ai poveri, come fa la CGIL tramite Unisalute, fornire prestazioni ricche ai ricchi, talvolta più pericolose che efficaci, vedi le cliniche private dove si effettua il 98% di nascite con il parto cesareo, non risolve e anzi è il contrario di una medicina che migliori le condizioni di vita delle persone.

La Lega, dopo aver governato il nord d’Italia, insieme ad altri e da sola, scopre improvvisamente che ciò che paga a caro prezzo agli accreditati e ai convenzionati non è utile ai cittadini. Peccato che nel Lazio, quando Zingaretti ha deciso di privatizzare la sanità laziale sia andato a prendere lezioni proprio da Maroni, prima fra tutte il cambiamento del nome di Servizio Sanitario in Sistema Sanitario, per indicare una notte nera in cui tutti i gatti sono bigi e tutti gli erogatori di servizi, qualunque fine abbiano (profitto o salute) possano agire indisturbati senza controllo.

Noi accusiamo la Lega di aver fatto parte ininterrottamente del sistema di privatizzazione della sanità in Lombardia e nel Veneto, noi accusiamo il Pd, Zingaretti, Bonaccini e Rossi (Leu) di continuare la privatizzazione della sanità.
Noi ci opponiamo a qualunque sostegno, più o meno allargato, al centrosinistra che nelle regioni distrugge la possibilità dei poveri di curarsi e la protezione dei cittadini assicurati dal diventare oggetto di sfruttamento.
Potere al Popolo Lazio

Colle Fagiolara off limits per il movimento "Rifiutiamoli"

Movimento "Rifiutiamoli"



Lo scorso 13 Novembre il Movimento RifiutiamoLi ha richiesto al Comune di Colleferro e a Lazio Ambiente Spa di poter visitare la discarica e di ricevere delucidazioni sugli interventi che sarebbero stati apportati da lì a qualche mese.

Se da una parte il Comune di Colleferro non ci ha fornito alcuna risposta, dall'altra la Società ci ha avvisato che, in quel momento, era per loro impossibile far entrare persone non addette ai lavori, per "ovvi motivi di sicurezza".

A più di due mesi di distanza, precisamente il 30 Gennaio, abbiamo inviato una seconda richiesta.

Questa volta -oltre al sopralluogo- abbiamo ufficialmente chiesto di istituire un momento di confronto periodico, da convocare all'interno dell'Istituto I.P.I.A. viste le segnalazioni degli studenti e dei residenti della zona, che nel corso di questi mesi hanno avvertito più volte la presenza di forti emanazione odorigene provenienti dall'impianto.

Ad oggi non riceviamo ancora nessuna risposta e riteniamo che ciò sia grave e manchevole di rispetto nei confronti di tutta la cittadinanza.

Pretendiamo di avere maggiori garanzie e riteniamo indispensabile arrivare alla chiusura della discarica - prevista inderogabilmente per il 31 12 2019 - attraverso un'informazione periodica e una trasparenza costante.