sabato 9 aprile 2011

Sempre e comunque contro la guerra

di Luciano Granieri

Venerdì  8 aprile per noi è stato un giorno di intensa attività politica. Non c’è da preoccuparsi non siamo impazziti. Sarà molto difficile che ci troviate  all’interno dei palazzi a trattare una qualche poltrona o strapuntino . Eravamo in piazza nel tentativo di stimolare presso la collettività un minimo di riacquisizione di coscienza politica e democratica. Che la politica si faccia  in piazza, sia come liberi cittadini sia come parte di movimenti sociali  ne siamo convinti da tempo, anche se spesso, troppo spesso, le nostre voci cadono nel vuoto. Il compito nella situazione attuale è quanto mai difficile, perché fatta salve qualche eccezione, le masse, in particolare le masse della nostra città, risultano ancora non pervenute. E’ dura ricostruire la consapevolezza di poter essere artefici del proprio  futuro senza delegare a  nessuno,  in particolar modo a politicanti maneggioni, decisioni che condizionano la vita di tutti. La mala pianta del berusconismo con il suo ipertrofismo mediatico ha ridotto la politica in un eterno referendum pro o contro Berlusconi. Prendiamo la decisione di partecipare al bombardamento in Libia contro Gheddafi. La maggioranza  è stata favorevole con qualche mal di pancia , l’opposizione (PD in particolare) invece ha fortemente appoggiato l’azione di guerra, intanto perché si va a sganciare bombe in testa ad un amico di Berlusconi, e poi perché Berlusconi stesso non è ancora molto convinto di questa soluzione. Se non fosse nata l’incombenza di stare dietro alla Francia all’Inghilterra e agli Stati Uniti,  il cavaliere avrebbe fatto volentieri a meno di questa guerra. Dunque se bisogna schierarsi  a favore di un conflitto, mal sopportato dalla maggioranza che presenta  il concreto rischio di mettere il governo in difficoltà nei confronti degli altri paesi europei,  ci si schiera senza se  e senza ma, altro che pacifismo e rispetto dell’articolo 11 della costituzione . Se fare la guerra alla Libia significa porre il governo Berlusconi in apprensione , ben venga la guerra con buona pace della pace. Ai pacifisti dell’opposizione liberale poniamo una semplice domanda che differenza c’è fra l’aggressione all’Iraq e quella alla Libia? Entrambe si giustificano con la volontà di portare democrazia e porre fine al dispotismo del dittatore.  Allora perché per  l’intervento in Iraq si invoca il rispetto della Art.11 della costituzione e lo si ignora completamente quando il dittatore bersaglio è Gheddafi? Dunque le masse reclutate del partito liberale di opposizione in piazza contro questa guerra non ci sono andate. Noi ribadiamo che la guerra è una tragedia che va evitata e combattuta chiunque ne sia il promotore  D’Alema, Bersani o Berlusconi. Tutto sto’ giro di parole per trovare una giustificazione alla   scarsa partecipazione al sit-in contro i bombardamenti in Libia, per la promozione di culture di pace e accoglienza verso i migranti. Venerdì scorso in effetti di gente non ce ne era molta. Nonostante il costituito Comitato “La Provincia di Frosinone Contro la Guerra” comprendesse al suo interno diversi movimenti, noi di Aut, partiti politici, attualmente fuori dal parlamento, la partecipazione è stata scarsa. Ma noi non ci arrendiamo e non ci arrenderemo mai . Intanto una delegazione del comitato ha ottenuto un colloquio con il Prefetto Paolino Maddaloni  in qualità di rappresentante del governo nella città. Nel corso dell’incontro svoltosi tra Madddaloni  e i tre componenti della delegazione: Matteo Oi (Rete degli studenti Medi)  Paolo Iafrate (Associazione Oltre l’Occidente) e Eugenio Oi,  il comitato ha chiesto formalmente la cessazione dei bombardamenti e un maggiore impegno per l’accoglienza degli stranieri che stanno arrivando dall’Africa del nord, senza distinzioni, per altro impraticabili, fra status di clandestino e quello di rifugiato politico. Nel filmato mostriamo alcuni momenti dell’evento. 




Non contenti di questa primo atto politico abbiamo deciso di continuare nel nostro obbiettivo di essere partecipi e artefici di buona politica. Così, invitati dal Circolo di Frosinone di Sel, abbiamo condiviso la nascita del Comitato “Fermiamo il Nucleare Frosinone” Ebbene si oltre che aderire al forum dell’acqua pubblica siamo anche in questo movimento nato venerdì contro il nucleare. Pensiamo che la difesa dell’acqua bene comune e la lotta contro le centrali nucleari, facciano parte di uno stesso modo di concepire il benessere di una società. Noi siamo per una comunità in cui le risorse della natura non debbano essere fonte di profitto e conseguente sfruttamento di chi questo profitto acquisisce, né l’energia necessaria alla vita debba mettere a rischio la vita stessa. Dunque venerdì 8 aprile è nato il “Comitato Antinucleare di Frosinone” Anche qui diversi soggetti hanno deciso di costituirsi in comitato per sostenere la campagna referendaria contro il nucleare. Il  Referendum come è noto si terrà insieme agli altri quesiti sull’acqua il 12 giugno. Al comitato partecipano oltre a noi di Aut: Il circolo frusinate di Sel, il sindacato USB, l’associazione “Oltre l’occidente”,  “il movimento 5 stelle”, il circolo Carlo Giuliani di Rifondazione Comunista di Frosinone,  e alcuni amministratori locali: Francesco Raffa , assessore all’ambiente del comune di Frosinone, il Dott. Norberto Venturi presidente del consiglio del Comune di Frosinone e il consigliere Alberto Gaualdini . Dopo questo primo incontro svoltosi presso la cantina Mediterraneo che ha prodotto l’atto costitutivo del comitato, verranno messe in cantiere altre attività. Il nostro blog avrà cura di tenervi informati sugli sviluppi , sia della campagna referendaria contro il nucleare che su quella relativa all’acqua pubblica. Per ulteriori informazioni e opinioni sul costituito comitato contro il nucleare invitiamo a cliccare su    Il nucleare fa bene ? Si, se nasce il comitato antinucleare di Frosinone Il post che gli amici di Ecodellarete hanno pubblicato sul loro  sito.


giovedì 7 aprile 2011

Quando la lotta si fa dura

di Luciano Granieri


Quando la lotta si fa dura i duri cominciano a lottare. Come è ormai  noto il 12 giugno si andrà votare per i quattro referendum  i due sull’acqua bene comune, il quesito per abolire il nucleare e quello contro il legittimo impedimento. Come più volte abbiamo detto si tratta di operare delle scelte di civiltà.. E’ incivile solo pensare ad un tipo di energia che metta a rischio la vita   della comunità, non lo diciamo noi ma purtroppo sono le  notizie dal Giappone che confermano  quanto di catastrofico possa nascondersi dietro le centrali nucleari. E’ incivile peraltro pensare ad una società in cui la legge non sia uguale per tutti, è incivile che un paese sia guidato da un pluri inquisito, mai assolto ma solo prescritto grazie alle leggi che si è confezionato su misura e da una masnada di servi sciocchi. MA SOPRATTUTTO E’ INCIVILE CHE SU UN BENE COMUNE UNIVERSALE, UN DIRITTO UMANO CHE APPARTIENE A TUTTI COME L’ACQUA SI POSSANO OTTENERE PROFITTI E SOPRATTUTTO E’ DELITTUOSO CLASSIFICARE TALE BENE COME UNA QUALSIASI MERCE LA CUI DISTRIBUZIONE DEBBA SOTTOSTARE ALLE REGOLE DELLO SVILUPPO ECONOMICO E DIVENTI OGGETTO DI COMPETIVITA’ FRA LE AZIENDE. L’ACQUA NON SI VENDE......Questa lotta di civiltà, dunque si fa dura molto dura soprattutto per i quesiti relativi all’acqua. Infatti TUTTI I PARTITI tranne la variegata costellazione dei  movimenti che in qualche modo si rifanno al comunismo sono contro i referendum e dovranno combattere contro collettivi  associazioni e liberi cittadini che al contrario reputano vitale  fare in modo che l’acqua rimanga bene comune. Le prime bordate sono già state sparate dalla nomenklatura bipartizan. Come non definire infatti un proiettile avvelenato la decisione di calendarizzare al 12 giugno la data della tornata referendari ?  La  paura che non si possa fare affari con l’acqua è tanta, infatti pur di evitare il raggiungimento del quorum non si è voluto accorpare il referendum con le consultazioni per il ballottaggio delle amministrative che il 29 maggio coinvolgeranno molti distretti locali.  Si buttano via oltre 350 milioni di euro di denaro pubblico pur di mettere i bastoni fra le ruote a dei referendum di civiltà.  Per contrastare tale ondata di inciviltà occorrono fondi, al fine di  squarciare il velo di silenzio mediatico che avvolgerà la campagna  e per essere presenti nel territorio al fine di informare e convincere la collettività che  LA LOTTA PER L’ACQUA BENE COMUNE E’ LOTTA DI CIVILTA’.  Fortunatamente quando la lotta si fa dura anche i musicisti cominciano a lottare. Infatti prosegue l’iniziativa dei concerti a sostegno della campagna referendaria per l’acqua pubblica. Dopo il concerto di sottoscrizione libera dei Mojo Coffee Blues  tenutosi presso l’associazione “Oltre l’Occidente” l’11 marzo scorso la rassegna “Per ogni Nota una Goccia di civiltà” propone sabato 9 aprile un altro concerto a sottoscrizione libera. Presso l’associazione Oltre l’Occidente  si esibiranno alle ore 21,00 I Disamistade. Un gruppo che ci farà rivivere le intense emozioni della musica e della poesia di Fabrizio De Andrè.  Siccome la lotta si fa dura auspichiamo che la risposta sia altrettanto durra, ovvero auspichiamo che tutte le persone civili possano assistere al concerto e fornire il loro contributo in IDEE ma soprattutto IN DENARO. La lotta si fa dura. Lottate con noi o almeno dateci la possibilità di dotarci degli strumenti per vincere. 


Sanità bene conune da rilanciare

di Ivano Peduzzi


Cara/o compagna/o,

la sanità nel Lazio sta attraversando un momento di grande difficoltà. Vengono chiusi ospedali, interi reparti, vengono tagliati fondi in maniera indiscriminata. Tutto ciò sta compromettendo il diritto alla salute nella nostra regione, mentre non viene ostacolata la tendenza alla mercificazione di un diritto che per quanto ci riguarda deve tornare ad essere universale e gratuito.
Sabato 9 aprile, alle ore 10.30, presso il centro congressi Frentani  a Roma, la Federazione della Sinistra ascolterà i comitati contro la chiusura degli ospedali, i medici, gli infermieri, i dirigenti delle Asl e poi presenterà le proprie proposte, proposte concrete per risolvere i problemi della sanità nel Lazio, sulle quali aprire un confronto vero con le altre forze politiche e sindacali.
E’ un’iniziativa importante e per questo ti invito a partecipare, per dare più forza alle nostre idee.

Un caro saluto,

Ivano Peduzzi


SANITÀ: BENE COMUNE DA RILANCIARE
Sabato 9 aprile 2011 ore 10.30
Centro Congressi Frentani - Via dei Frentani 4 - Roma


Presiedono
ORNELLA CARNEVALE - Resp. Sanità PRC
ANGELO DIONISI - Resp. Sanità PdCI

Introduce
IVANO PEDUZZI - Capogruppo Federazione della Sinistra Regione Lazio

Intervengono
Comitati contro la chiusura ospedali di Pontecorvo, Subiaco, Montefiascone, Bracciano
RAFFAELE LO RUSSO - Dipendente ARES 118
GRAZIELLA BASTELLI - Cobas - Stabilizzazione dei precari
PINO LOMBARDO - Psicologo - Diritti e salute mentale
ROBERTO GRAMICCIA - Dir. Sanitario - Medicina del territorio
PIO CONGI - USB - Il caso Ri.Rei
MARIA ROSARIA MARELLA - Docente di diritto - Sent. Cassazione 18254/11
ROSARIO BATTISTA - lavoratore RSU - Il caso Cosisan
TETI CROCI - SPI-Cgil Segretaria generale Lazio

h. 13.00 - buffet

h. 14.00 Tavola rotonda: S.O.S. Sanità nel Lazio

Le proposte della Federazione della Sinistra - ROBERTO POLILLO
Intervengono
LOREDANA FRALEONE PRC-FdS, FRANCESCO DALIA Pd,
GIULIA RODANO Idv, ILEANA PIAZZONI Sel, LORENZO MAZZOLI FP-Cgil,
TOMMASO AUSILI Cisl, LICIA PERA Usb, PIERLUIGI BARTOLETTI FIMMG

mercoledì 6 aprile 2011

Fuori i Fascisti dalla Citta

Pino

Pubblicata poco fa dai 99 Posse:
Questa mattina i fascisti di Casapound hanno occupato una scuola
pubblica al Tufello, Roma, vicino a Puzzle, alla Palestra popolare
Valerio Verbano all'AStra19, e a pochi metri dalla casa di Carla
Verbano.
Non accettiamo provocazioni, FUORI I FASCISTI DALLA CITTA'!
APPUNTAMENTO per tutti alle ore 17 in via Monte Bianco sotto la casa di
...Valerio Verbano per un corteo cittadino! Facciamo girare la voce!






IMMIGRATI: LA LOTTA E L'ORGANIZZAZIONE

Intervista a cura di Patrizia Cammarata  lega internazionale dei lavoratori (Lit)



In Via XX Settembre 113, a Verona, nella città governata dal sindaco leghista Flavio Tosi, a pochi passi da Porta Vescovo, attira l’attenzione dei passanti una bella palazzina a tre piani sulle cui vetrine, e al cui interno, spiccano manifesti colorati che annunciano scioperi, manifestazioni e cortei, che rivendicano l’asilo politico ai rifugiati dalle guerre, dalla fame e dalle dittature, il permesso di soggiorno e il diritto di voto agli immigrati, la cittadinanza ai nati in Italia, il diritto alla casa, all’istruzione, alla sanità, al reddito per tutti. Manifesti e volantini che pubblicizzano iniziative organizzate con il Comitato Immigrati in Italia e con i sindacati Cub e Cobas, volantini che ricordano la rivolta degli immigrati di Rosarno, le lotte di Brescia e di Milano. Si tratta della sede del Coordinamento Migranti di Verona, federato Cub.
Dalla sede entrano ed escono, in continuazione, immigrati di diverse nazionalità per chiedere un consiglio sul permesso di soggiorno, l’assistenza per le pratiche di ricongiungimento familiare, per resistere ad uno sfratto, per capire come leggere una busta paga o un contratto di lavoro.
Chiedo al Segretario Generale Wagne Moustapha, un compagno senegalese, e al VicePresidente Tahar Sellami, un compagno tunisino, di parlarmi del Coordinamento, di com’è nato, della sua storia e dei suoi obiettivi.
Non è facile sintetizzare in un articolo l’entusiasmante e difficile percorso che ha visto Wagne e Tahar, insieme a tanti altri lavoratori immigrati, costruire il Coordinamento e, mentre i compagni raccontano, la tensione e l’emozione è forte.
Nel 2002 c’erano state numerose mobilitazioni. Il Coordinamento è nato sull’onda di una lotta che è avvenuta nel 2003 per la sanatoria, una lotta che è partita da Verona ed ha coinvolto altre città d’Italia. Dopo una lunga serie d’iniziative, questa lotta ha ottenuto il risultato che sono stati sbloccati più di 400 permessi, un risultato che ha dato coraggio e la volontà di proseguire.
Mi raccontano del lungo percorso per arrivare ad oggi, del rapporto con i Centri Sociali (“disobbedienti”) che hanno tentato di egemonizzare su parole d’ordine arretrate questo movimento e della battaglia, invece, per mantenere un’indipendenza su posizioni di classe, mi parlano delle difficoltà economiche, dei numerosi cambi di sede.
Nella sede di Via Maffei, nel 2003, si è infine costituito, con statuto, il Coordinamento Migranti di Verona, un coordinamento di lotta indipendente, sia nelle questioni pratiche sia nelle scelte politiche. Il Coordinamento, mi spiegano i compagni, si muove su due binari: da un lato la lotta e da un lato l’assistenza pratica (sportello di servizi) agli immigrati. Questo secondo aspetto, se si valutano i gravi e innumerevoli problemi che gli immigrati devono affrontare a causa della burocrazia e delle leggi razziste, è considerato un importante modo per mettersi in contatto con i lavoratori. “Inoltre- mi spiegano Wagne e Sellami- il Coordinamento offre, così, un’alternativa ai sindacati confederali che non hanno fatto e continuano a non fare una vera lotta politica a favore degli immigrati. La Cgil non ha mai voluto appoggiare veramente gli immigrati”.
Proprio perché la Cgil nei fatti non difende e non organizza gli immigrati, Wagne Moustapha, già funzionario della Cgil nel settore internazionale e immigrazione, dalla Cgil se ne è andato. E racconta: “Prima del 2003, dopo essermi dimesso dalla Cgil, ho aperto un ufficio come libero professionista, facevo assistenza agli immigrati ed ero anche vicepresidente di una Cooperativa. Un giorno è entrata nel mio ufficio una delegazione di lavoratori immigrati che mi hanno posto una sola, semplice domanda. Mi hanno chiesto: ‘Vuoi fare da solo o vuoi collegarti alla lotta popolare?’. Io ho chiesto loro una settimana di tempo per pensarci. A quel tempo guadagnavo bene e avevo appena firmato con la Confartigianato di Bergamo un accordo per avviare alcuni corsi per imprenditori immigrati. Ho deciso di fare una scelta di classe: ho lasciato la Cooperativa, la Confartigianato e mi sono unito alla lotta dei lavoratori”. Tahar Sellami mi dice: “Anch’io sono uscito da ‘Cesar K’ (il centro sociale di area disobbediente, ndr) e mi sono unito a loro”.
Il rapporto coi sindacati e con il Comitato immigrati in Italia
Nell'ottobre 2003 si spostano in un’altra sede e nel 2004 si trovano a decidere se federarsi RdB. Per fare azione sindacale, nel marzo 2005, firmano l’adesione. Il Coordinamento Migranti di Verona lavora con Rdb e Adl (un sindacato egemonizzato dai disobbedienti, ora entrato in Usb come RdB) ma il rapporto con Adl si deteriora e diventa più grave nel dicembre 2008, fino ad arrivare a una vera e propria rottura che è esplicitata pubblicamente nel gennaio 2009.
Nel racconto che mi fanno i compagni emerge chiaramente la volontà, da parte del Coordinamento, di respingere qualsiasi tentativo di strumentalizzazione, la volontà di pretendere un reale rispetto nei rapporti e di difendere il Coordinamento da qualsiasi tentativo di divisione o da tentativi esterni di svuotarlo dei suoi contenuti.
Dopo la rottura con Adl, il Coordinamento cerca di riorganizzarsi e, nonostante le difficoltà logistiche ed economiche, rilancia il suo intervento politico organizzando una grande e partecipata assemblea pubblica il 18 aprile 2009.
Wagne e Tahar raccontano che il Coordinamento Migranti di Verona, dopo un percorso democratico di coinvolgimento di tutti gli iscritti, ha deciso di non aderire ad Usb, non solo per la presenza di Adl nel nuovo soggetto, ma soprattutto perché è mancato, al momento della scelta di formare il nuovo sindacato, un percorso democratico, e questa gestione ha penalizzato molti lavoratori. E il rapporto con il Comitato immigrati in Italia? “ Il rapporto è stretto - mi dicono - siamo entrambi membri della Segreteria del Comitato”.
Nella città del sindaco della Lega gli immigrati si organizzano
Siete proprio nella città del sindaco Tosi, leghista”, faccio loro notare. “Sì - racconta Tahar - siamo ancora più orgogliosi, perché riusciamo a difenderci dal ‘lupo’. Comunque, anche con Paolo Zanotto, ex sindaco di centrosinistra, non era facile, avevamo gli stessi problemi, molte difficoltà, moltissimi problemi di sfratti, anche con lui abbiamo dovuto intraprendere la stessa dura lotta che stiamo combattendo ora con Tosi”.
“Nell’ultimo sondaggio, effettuato per il Sole 24 ore - osservo - Flavio Tosi ha ottenuto il primo posto come sindaco più amato d’Italia”.
“Per quanto riguarda il sondaggio su Tosi - spiega Wagne - abbiamo riflettuto anche su questo e siamo arrivati alla conclusione che la nostra presenza lo abbia, per quanto riguarda il suo elettorato, agevolato e reso più popolare perché, essendo costretto a rispondere e cercare di impedire la nostra lotta, ha avuto visibilità negli argomenti che riguardano gli immigrati. Per questo motivo abbiamo deciso di cominciare a intervenire anche su questioni più generali, che non riguardano solo gli immigrati, intervenire sui problemi che riguardano anche la popolazione nativa di Verona, collegarsi anche alle questioni che non riguardano solo l’immigrazione”
 “Oltre ai problemi di cui si parla con più frequenza come il lavoro, il permesso di soggiorno – chiedo – di cosa hanno bisogno gli immigrati in Italia?”
“Il diritto di voto - mi dice Wagne - dobbiamo fare una battaglia per il diritto di voto perché questa è una questione niente affatto simbolica che trascina con sé tanti altri diritti e anche il rispetto stesso dell’immigrato”.
“Chi si rivolge a voi? E la tessera del Coordinamento che tipo di tessera è?”
“A noi si rivolgono - mi rispondono - soprattutto immigrati ma anche qualche lavoratore italiano per problemi di lavoro o di sfratto. Il Coordinamento è federato Cub, ma la tessera è autonoma. Chi si tessera si tessera al “Coordinamento Migranti di Verona”.
Un’organizzazione democratica per la lotta degli immigrati
“Chi e come si assumono le decisioni che riguardano il Coordiamento Migranti di Verona?”, chiedo.
Spiegano che circa due volte l’anno è convocata l’“Assemblea popolare” di tutti gli iscritti che ha il compito di decidere le linee generali. Poi ci sono i “Comitati territoriali” e un “Direttivo” di 21 membri (nel direttivo: il Presidente Yassine N’ Sir, il Vice Presidente Tahar Sellami, il Segretario Generale Wagne Moustapha).
Dicono: “Noi affermiamo sempre che possiamo al nostro interno non essere d’accordo fra noi, discutere animatamente, ma poi si decide a maggioranza e fuori dobbiamo essere uniti e compatti altrimenti siamo deboli. Ci autofinanziamo, non riceviamo contributi da nessuna istituzione. Noi pensiamo che la nostra battaglia vada fatta a tempo pieno - aggiunge Wagne - siamo dei militanti a tempo pieno; mentre facciamo colazione, a casa, con gli amici, abbiamo sempre un pensiero, noi pensiamo sempre alla battaglia”.
Sindacato di classe  
Stiamo per giungere alla conclusione del racconto, mi accorgo che sono trascorse quasi tre ore da quando abbiamo iniziato l’intervista, una storia piena di aneddoti, di particolari, di protagonisti, una storia fatta di drammi, di fatica, di orgoglio e di aspirazione alla verità e alla giustizia.
Un lungo e interessante racconto che, purtroppo, per ragioni di spazio, in questo articolo può solo essere accennato. Prima di congedarmi rivolgo loro le ultime due domande, ultime per ragioni cronologiche in questa intervista, ma non certo ultime per importanza.
“Ad oggi - chiedo - esiste secondo voi il sindacato di classe?”
“No - mi rispondono - non c’è, ma bisogna costruirlo. E’ obbligatorio costruirlo. Bisogna farlo con i settori del sindacato di base, bisogna farlo nell’unità. Noi siamo per l’unità e la lotta di classe”.


martedì 5 aprile 2011

Il risveglio del gigante

di Gianmarco Satta Coordinatore PCL sezione provinciale di Sassari


La crisi catastrofica del capitalismo non ha avuto come risultato solo la rivoluzione araba in corso. Alcune settimane fa si è verificato negli Stati Uniti un fatto di grande importanza; probabilmente un punto di svolta storico: i primi, fragorosi, segni di risveglio della classe operaia nordamericana. Tale è la portata e l’intensità degli avvenimenti da far subito parlare al noto intellettuale di sinistra americano Noam Chomsky del probabile preludio – con il pensiero, probabilmente, a ciò che accadeva contemporaneamente nel Maghreb - di una rivolta anche negli Stati Uniti. Come sottolinea il compagno Martín López, del Partido Obrero, in suo recente articolo , di cui non possiamo far a meno di riprendere il titolo, quello a cui assistiamo è “il risveglio di un gigante”. 
Il Wisconsin è uno degli stati costituenti la cosiddetta Rust Belt americana. La “cintura arrugginita”- in italiano - è un area che va, grosso modo, dalla costa nord-orientale degli Stati Uniti abbracciando tutta una fascia degli stati più al nord della nazione fino al centro. Essa è il cuore industriale e manifatturiero degli Stati Uniti, e quindi la culla storica della classe operaia nordamericana. È anche, come indica il nome, un’area che ha vissuto un processo di profonda decadenza economica a partire dagli anni ’70 del ‘900. Quella decadenza che ha spinto i nuovi guru del post-modernismo, a cavallo tra XX e XXI secolo, a blaterare di new economy e fine della civiltà industriale, o ancora di fine del lavoro o di lavoro immateriale, e in definitiva a dichiarare morta la lotta di classe e parlare di scomparsa stessa del proletariato. Questi guru, prendendo, come si direbbe in sardo, “busciccas pro lampiones” , interpretavano come l’inizio di una epoca nuova ed inedita del capitalismo, se non addirittura della storia umana, quello che invece era, ed è, la manifestazione dell’ultimo stadio della decadenza storica irreversibile di questo sistema economico e sociale. Un esempio di ciò sono gli attacchi alla scuola pubblica americana oggi. In molti stati USA, per esigenze di bilancio, si è già provveduto al taglio di un giorno della settimana scolastica! In questo modo si pensa di ridurre le spese per scuolabus, insegnanti e personale. In Wisconsin si discutono misure analoghe, e intanto il governatore Walker ha appena annunciato una taglio del 5.5% all’istruzione pubblica - circa 465 milioni di dollari tra il 2011-2012. Anche gli attacchi alla cultura non sono quindi un’anomalia italiana. Il capitalismo sta minando le basi della civiltà ovunque. 
Esattamente il Wisconsin è, oggi, l’avanguardia di una lotta della classe salariata americana che si sta estendendo agli altri stati della “cintura” e rischia di dilagare nel resto degli Stati Uniti. Il 14 febbraio un’inaspettata marcia di protesta di 1200 studenti universitari e specializzandi del Wisconsin ha coinvolto subito, nelle ore e nei giorni successivi, migliaia di persone fino ad arrivare a circa 40 mila lavoratori, insegnanti e studenti, tra cui i pompieri ed anche personale delle forze di polizia dello stato, che hanno marciato a Madison capitale dello stato al grido di “kill the bill”, occupando l’interno del Campidoglio, sede del parlamento del Wisconsin, e l’area circostante. Il motivo di tale protesta è il progetto di legge (bill, in inglese) con cui il governatore dello stato, il repubblicano Scott Walker e la maggioranza, anch’essa repubblicana, del parlamento del Wisconsin, si accingevano ad imporre drastici tagli al bilancio pubblico statale, con il pretesto del risanamento del deficit dello stato, l’aumento dei contributi per pensioni e assistenza sanitaria, e ad abolire il diritto di contrattazione collettiva nel pubblico impiego. L’attacco ai diritti sindacali e la cancellazione della contrattazione collettiva sono indicativi della tendenza al sovversivismo che anima la borghesia, costretta com’è, ad imporre sacrifici draconiani alla classe salariata e soffocare ogni resistenza, dal suo tentativo di fronteggiare la crisi. Se i democratici americani lavorano per imporre maggiori sacrifici salariali, far fallire le lotte e contenere le resistenze dei lavoratori, i repubblicani sono la prima linea dell’assalto ai diritti sindacali. L’imponenza della mobilitazione a Madison, e la decisione mostrata dai manifestanti, hanno inizialmente costretto l’opposizione democratica in parlamento a ricorrere all’ostruzionismo per bloccare l’iter della legge. Infatti, boicottando con la loro assenza l’aula senatoriale hanno privato la maggioranza del quorum necessario alla validità delle sedute di voto. Per fare ciò i deputati democratici dell’opposizione sono stati costretti ad abbandonare lo stato e rifugiarsi nel confinante stato dell’Illinois per sfuggire al “call in house” lanciato dal governo. Infatti nella “più grande democrazia del mondo”, come vengono spesso definiti, anche dai nostri apologeti, gli Stati Uniti, la legge prevede che qualora i deputati rifiutino di partecipare alle sedute parlamentari locali, privandole del numero legale, il governatore può costringerli, attraverso l’invio della polizia, a presenziare. 
Di fronte alle resistenze del governatore repubblicano dello stato, Scott Walker, che è arrivato a minacciare l’intervento della guardia nazionale per disperdere i manifestanti, la mobilitazione non si è mai arrestata. Nonostante le proteste, la legge è però stata prima approvata dalla Camera il 25 febbraio scorso, dove i repubblicani vantano una maggioranza schiacciante. Il giorno successivo dalle 70 alle 100 mila persone hanno manifestato a Madison. In questa occasione circa 800 persone hanno mantenuto l’occupazione interna del campidoglio sfidando le minacce di arresto delle autorità e gli inviti a smobilitare della burocrazia sindacale dell’AFL-CIO. Alla fine anche il Senato è riuscito, con un escamotage, ad approvare mercoledì 9 marzo una legge che priva i lavoratori statali del diritto alla contrattazione collettiva e li costringe a versare di più per l’assicurazione sanitaria e la pensione. Alla fine il Governatore Walker ha firmato la legge l’11 marzo scorso. La mobilitazione non si è però arrestata ed è andata estendendosi coinvolgendo, lavoratori del settore privato, anche le altre classi non borghesi della società, e generando simpatie e sostegno anche da parte dei lavoratori degli stati circostanti ugualmente colpiti, o a rischio di subire misure analoghe a quelle che Walker sta imponendo al Wisconsin. Il giorno successivo, sabato 13 marzo, infatti : “…oltre 100.000 lavoratori, giovani e altri contestatori hanno marciato nella capitale dello stato Madison nella più grande in un mese di mobilitazioni.” “… i lavoratori sono confluiti nella capitale dagli stati circostanti. Molti hanno percorso centinaia di miglia dall’Illinois, Nebraska, Iowa, Michigan e altri stati. Decine di migliaia di insegnati, pompieri, infermiere e altri dipendenti pubblici cui si sono aggiunti lavoratori, dei sindacati e non, edili, siderurgici, dell’auto e di altri settori dell’industria privata. La resistenza della classe lavoratrice ha il sostegno popolare di dottori, professori, avvocati e piccoli uomini d’affari, compresi ristoranti e negozi, di tutta Madison, che esponevano cartelli denuncianti le misure di Walker.   “… molti cartelli della manifestazione riflettevano la crescente consapevolezza che i lavoratori sono impegnati in una lotta di classe con l’elite aziendale e finanziaria. La portata storica della rivolta del Wisconsin risiede nel fatto che, dopo le sconfitte pesanti subite dalla classe operaia negli anni passati si assiste oggi, sotto le sferzate della crisi, ad una ripresa della lotta di classe negli Stati Uniti, centro del capitalismo mondiale ed epicentro della crisi in corso. Per i rivoluzionari ed il movimento operaio mondiale, oltre ad avere delle evidenti ripercussioni sulla lotta di classe internazionale, si tratta di una conferma, e anche di un potente esempio da agitare instancabilmente tra le masse dei paesi capitalisti avanzati. Questi eventi, al di fuori degli Stati Uniti, hanno, non a caso, trovato, poco spazio nelle cronache della stampa e dei media occidentali – significativa la totale assenza dalla cronaca dei telegiornali. Sarà un caso, o non è forse indicativo del timore gelido da cui è pervasa la borghesia, già turbata dagli eventi che scuotono il mondo arabo, all’idea dell’effetto che potrebbe avere la diffusione di un tale esempio tra le masse e la classe operaia occidentale? Già queste ultime hanno dato i primi segni di turbolenza con la rivolta greca del 2010, le grandi proteste studentesche in Inghilterra nel novembre del 2010, con l’assalto di migliaia di giovani alla sede tory a Londra, e i grandi scioperi in Francia, Spagna e Irlanda, tanto da spingere lo stesso presidente della commissione europea Barroso ad agitare la minaccia, di fronte al presidente della Confederazione Europea dei Sindacati CES – TUC, John Monks, di un rischio per la sopravvivenza della democrazia “così come è stata finora conosciuta in Europa” . 
La borghesia, infatti, può sempre riesumare, nei confronti della rivoluzione araba, i luoghi comuni, i pregiudizi e gli spettri creati dall’ideologia reazionaria dell’orientalismo, per presentare agli occhi dei lavoratori e della classe operaia occidentale, la rivolta delle masse arabe ed asiatiche come una “rivoluzione democratica” contro l’autoritarismo dovuto ai residui semifeudali e “all’arretratezza orientale” “tipica” di alcuni dei paesi cosiddetti emergenti. Essa è, però, completamente disarmata e priva di giustificazioni ideologiche nei confronti delle rivolte che esplodono nello stesso occidente “avanzato”. Tuttavia gli eventi del Wisconsin stanno lì, anche a confermare la debolezza delle mistificazioni della borghesia. Infatti, l’esempio della rivoluzione egiziana e l’occupazione di piazza Tahrir sono ben presenti nelle parole, negli slogan e nello spirito stesso dei lavoratori e degli studenti che animano la rivolta a Madison e in altre città degli USA. Forse non sarebbe sbagliato dire che proprio la rivoluzione araba deve aver avuto una parte nell’ispirarla: C’erano un sacco di cartelli che paragonavano Walker a Mubarak. I lavoratori si stanno identificando ciascuno con le lotte degli altri.” Infatti non sono mancate nemmeno lettere di solidarietà provenienti da piazza Tahrir e rivolte ai lavoratori e agli studenti che occupavano il campidoglio a Madison. L’internazionalismo proletario delle masse emerge istintivamente in queste lotte. 
In realtà sia la rivoluzione araba che la rivolta negli Usa sono figlie della stessa epoca e delle stesse contraddizioni sociali: l’epoca e le contraddizioni catastrofiche, appunto, del capitalismo giunto nella sua fase di totale decadenza al capolinea storico.

15.000 Lavoratori del Winscounsin vogliono cacciare il governatore Walker




Success

di Jesse Bacon


Dear Luciano,

After 21 demolitions of the Bedouin village of Al-Arakib in Israel's Negev desert, Jewish Voice for Peace, the Jewish Alliance for Change, and our many partners finally have a victory to report! On March 24, the Jewish National Fund dismantled its work camp and left without completing drilling the holes for the trees that were to cover up the theft and destruction of Bedouin land.

This means we have won, that all your calls, Facebook posts, and petition signatures got the message through loud and clear: "No more forests on confiscated Bedouin land!" And this hopefully means that the villagers of Al-Arakib who have been steadfastly rebuilding their village every time will not have to do so  again, that they will be able to exercise their human right to live on their land as any of us would want to.  Thank you for your stand for justice. You have been joined recently in this campaignby the Meretz Party in Israel and the Reform Jewish Movement, also of Israel.
While this is a great victory on the ground, we need to make sure it is permanent, please click here to email Jewish National Fund World Chairman Efi Stenzler in Jerusalem and tell him to publicly announce a JNF freeze on all home demolitions and forestation in the unrecognized Bedouin villages until Israeli courts issue final rulings on the land's ownership, and a just and mutually agreed solution for these villages is reached between the Israeli government and the Negev Bedouin community.


Jesse Bacon

Editor, The Only Democracy? 



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 Dopo 21 demolizioni  nel villaggio beduino di Al-Arakib nel deserto israeliano del Negev, Jewish Voice For Peace, Jewish Alliance for Change e molti altri nostri partner alla fine hanno una vittoria da raccontare. Il 24 marzo Jewish National Fund ha  smantellato il suo campo da lavoro  senza completare gli scavi necessari  a  piantare gli alberi che avrebbero dovuto ricoprire le  terre rubate distrutte  di proprietà dei Beduini . Ciò significa che abbiamo vinto, che tutte le proteste, gli interventi  su facebook le petizioni firmate hanno portato lontano il messaggio  forte e chiaro : Non più foreste sulle terre confiscate ai beduini. E questo si spera significhi che gli abitanti di  Al-Arkib  che hanno velocemente ricostruito il villaggio per tutto il tempo non avranno da ricostruirlo di nuovo che saranno in grado di esigere i loro diritti umani per vivere nella loro terra come ognuno di noi vorrebbe fare . Grazie per esservi  schierati a favore della giustizia . Avete  recentemente aderito alla campagna del partito Meretz di Israele e al movimento per le riforme ebraiche sempre di Israele.
Mentre questa è una grande vittoria sul terreno dobbiamo essere sicuri che rimanga permanente. Per favore inviate  un E.Mail al presidente del Jewish National Fund World, Efi Stentzler a Gerusalemme e chiedetegli di annunciare pubblicamente una moratoria sulle demolizioni di case e  forestazioni nei villaggi beduini non ancora confiscati   fino a quando il tribunale  non emetterà  una sentenza definitiva sulla proprietà della terra e fino a che un giusta e concordata soluzione verrà raggiunta, per questi villaggi, tra il governo israeliano e la comunità beduina del Negev.

Per inviare l'E.mail cliccare sulle frasi in rosso del testo in inglese

lunedì 4 aprile 2011

Tsunami umano e Tsunami elettorale

di Mario Saverio Morsillo



Il 26 dicembre 2004 uno tsunami di inusitate dimensioni investì il sud-est asiatico, la thailandia in particolare.
Nelle elezioni regionali del 2005, tutte le regioni, ad esclusione della Lombardia e del Veneto, videro premiato il sedicente centrosinistra, con ovvio rodimento dei Berluscones. In tale occasione, D'Alema parlò di 'Tsunami elettorale": i Berlusconidi, per tutta risposta, condannarono l'espressione come indegna, indecente, raccapricciante, perchè faceva riferimento ad un dramma umano in maniera troppo spregiudicata.
Ora, un dramma umano e sociale di ben altre proporzioni sta portando migliaia ( per ora ! ) di cittadini nordafricani disperati sulle  coste dell'italia meridionale... e Berlusconi parla di 'Tsunami umano', mostrando la stessa indegnità, indecenza, volgarità ed insensibilità di D'Alema.... senza però che nessuno, nè a destra nè nella sedicente sinistra, si scandalizzi...
E' normale tutto ciò?

Piazza Navona, Piazza di Pace

di Luciano Granieri



  Sabato 2 aprile i pacifisti sono tornati in piazza. In risposta ad un’altra guerra che monta dall’altra parte del mediterraneo le bandiere della pace e di Emergency hanno ripreso a sventolare  in tutta Italia, da Milano  Sigonella, da Ventimiglia a Manduria, a Firenze e a Roma in piazza Navona. Ancora una volta per dirla con Gino Strada “In questo paese non tutti hanno smesso di pensare” ed è incoraggiante constatare che la seconda potenza del mondo dopo gli Stati Uniti, così era considerato il popolo pacifista all’epoca delle proteste contro la guerra in Iraq,  sia tornata almeno in parte a gridare il suo sdegno contro la guerra, qualsiasi guerra. Certo considerando la presenza  di pacifisti a Roma  non si può dire che la seconda potenza del mondo sia tornata ai fasti di qualche anno fa. Si contavano diverse  migliaia di persone ma la piazza non era completamene piena. Le manifestazioni “ se non ora quando” e il “C-day” sono state sicuramente più partecipate e qui sorgono spontanee alcune domande. Dove erano tutte quelle persone che tanto si agitavano a difesa della costituzione in Piazza San Giovanni nel corso del C.Day?  “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” non è l’incipit di un’articolo  (art.11) di quella costituzione che così strenuamente si vuole difendere?  Allora faccio notare che partecipare alla guerra in Libia anche solo mettendo a disposizione le  basi viola palesemente questo dettato costituzionale. Dunque o la costituzione si difende in ogni sua parte o altrimenti  non la si considera quel testo fondamentale e universale posto alla base della nostra democrazia. In realtà  alcuni gruppi e movimenti  presenti alla manifestazione del 12 marzo c’erano anche sabato ma erano pochi , troppo pochi. Si obbietterà che la guerra mossa a Gheddafi è necessaria  per aiutare gli insorti a  cacciare il despota libico. Anche qui qualcosa non torna. Come mai l’apporto bellico dei volenterosi non risulta  così decisivo per la vittoria?  Anzi nella notte tra venerdì e sabato sulla strada che da Ajdabya porta a Brega 17 rivoluzionari  tra cui tre medici in una ambulanza sono morti sotto le bombe, non di una aereo di Gheddafi, ma di un bombardiere della Nato che avrebbe dovuto  aiutare i rivoluzionari anzichè uccuderli.  Si dirà il fuoco amico è un effetto collaterale della guerra umanitaria . Balle!! il fuoco delle bombe non è mai amico, è un terribile strumento  di morte effetto unico della guerra, qualsiasi guerra. Un altro aspetto che resta oscuro riguarda la natura di questa improvvisa voglia da parte di Inghilterra, Francia, Italia, USA  e Lega araba di diventare  palladini della libertà contro i dittatori. Che differenza c’è fra i  rivoltosi libici e quelli del Bahrein? E’ strano. Da un lato si aiutano i rivoluzionari cirenaici dall’altro si  reprimono quelli del Bahrein inviando circa mille militari sauditi e 500 poliziotti degli emirati per dar manforte al re tiranno Hamad bin Isa al-Khalifa a sedare la rivoluzione. Come si vede qualsiasi ragionamento che tenti di giustifucare un’azione armata è contraddittorio e privo di ogni logica. Come dice Gino Strada “La guerra umanitaria non esiste” è un imbroglio aggiungo io perchè sotto ogni guerra ci sono motivi economico-finaiziari peculiarità devastanti  delle società capitaliste.. Esiste inoltre  un elemento che rende questo conflitto particolarmente  disumano. Le rivolte che hanno incendiato il Maghreb e il Mashreb sono diverse da altre sollevazione avvenute in passato. Dietro le ribellioni non ci sono motivi religiosi, nè etnici . C’è solo la richiesta di avere PANE E LIBERTA’. Sono  rivolte contro la povertà, lotte sacrosante. E’ odioso che questa onda di ribellione venga strumentalizzata dai paesi imperialisti per sostituire il tiranno di turno con una nuova èlite, magari più presentabile, ma fortemente  succube dei piani manipolatori dell’occidente e non certo paladina dei diritti dei più deboli. Noi siamo contro la guerra, contro i dittatori e con le rivolte del popolo arabo  SENZA SE E SENZA MA. Per  questo invitiamo tutti i pacifisti,  coloro che auspicano e pretendono il rispetto  della Costituzioni in ogni suo articolo,  e condannano  le politiche di guerra riconoscedole   pratiche disumane proprie  di un  perverso sistema ultraliberista e capitalista, a partecipare al sit-in di protesta  che si terrà il prossimo 8 aprile a partire dalle 16 davanti  la sede della Prefettura di Frosinone”.




Musica dei Modena City Ramblers: Terra del Fuoco
Foto di: Matteo "Dievel" Oi ed Eugenio Oi
Ediiting: Luc Girello

Grande successo della manifestazione contro la guerra in Libia

Associazione politico-culturale "20 ottobre"


Oreste Della Posta con Ivano Peduzzi

“Grande successo per la manifestazione contro la guerra in Libia e contro tutte le guerre promossa dal Emergency  il due aprile scorso in Piazza Navona  a Roma”.
A dirlo è Oreste Della Posta, esponente di spicco dell’Associazione Politico- Culturale “20 Ottobre” che ha aderito e partecipato alla manifestazione.  
 “Riteniamo che nessuna guerra è inevitabile. Le guerre appaiono a un certo punto  inevitabili quando non si è fatto nulla per prevenirle. Nessuna guerra è necessaria- dice Della Posta. La guerra è sempre stata una scelta, non una necessità. È la scelta criminale e assurda di uccidere, che esalta la violenza, la diffonde, la amplifica, che genera “cultura di guerra”.
“Nonostante la pressione dei partiti che sono a favore della guerra,  tranne i comunisti, quella di Piazza Navona  è stata una grande manifestazione, una grande festa di colori e bandiere. Ciò dimostra che la maggior parte degli italiani è contro questa guerra colonialista. Riteniamo – ha detto Della Posta- che alla fine di questa ingiusta guerra il bilancio sarà drammatico non solo per i cittadini Libici, ma anche per l’Italia. Infatti- spiega – mentre alla Francia andrà il controllo dei terminal petrolifici e del gas, gi Stati Uniti otterranno spazi per installare in Libia il centro di controllo militare della regione africana, l’Italia sarà lasciata sola a dover fronteggiare l’emergenza clandestini e profughi, con i risultati che vediamo quotidianamente grazie all’inesistenza di un Governo degno di questo nome.”
Oreste Della Posta on Fabio Nobile
“L’associazione “20 Ottobre” – dice Della Posta – auspica che la Chiesa Cattolica intervenga in  maniera ferma contro questa guerra. Inoltre – annuncia – voglio invitare tutti i pacifisti al sit-in di protesta contro l’attacco in Libia previsto il prossimo 8 aprile a partire dalle 16 davanti  la sede della Prefettura di Frosinone”.