sabato 24 marzo 2012

L'elsa, la lama e i semidei bugiardi.

Giovanni Morsillo


Leggiamo la notizia della dichiarazione di Napolitano secondo cui "non ci saranno licenziamenti di massa" a seguito della rimozione delle garanzie contro gli abusi del padrone (art. 18). Non spiega perché, il Presidente, evidentemente convinto che una sua affermazione abbia non solo il potere di condizionare il futuro, ma anche di essere convincente a prescindere. Invece, spiace per lui, non è così, affatto. Questa dichiarazione secca e senza elementi a suffragio, fossero pure interpretazioni personali e non dati certi, ci convince ancor meno di quella di Monti quando afferma che il governo farà in modo che i padroni non compiano abusi nell'uso dei licenziamenti. Di grazia, allora che glieli consentite a fare? Il licenziamento senza abusi è già previsto ed ampiamente applicato, o no? Anzi, pure quello con abuso, visto il numero di sentenze di reintegro emesse dalla magistratura del lavoro, che senza la legge attuale si trasformerebbero immediatamente in licenziamenti per motivi economici in perfetta legalità. E anche se volessimo credergli, magari dopo un paio di bottiglie di Montepulciano, come fa Monti a garantire per il futuro? Pensa di essere eterno? Crede che il suo governo durerà fino al Giudizio Universale? Le regole, Monti lo sa, devono essere tali da garantire sempre, non a discrezione di chi comanda. Se no, non servono ad altro che a impacchettare un alibi di presunta legalità alle azioni anche più nefande di uno Sceriffo di Nottingham qualsiasi (e in Italia ne abbiamo avuti diversi, mica abbiamo già dimenticato?).
Ma in mezzo al mare magnum del gioco a nascondino, una buona notizia c'è: Elsa Fornero ha detto che o la sua "riforma" passa così com'è, cioè come piace a Mr. Marcegaglia, oppure se ne vanno. Presumiamo intendesse che se ne va tutto il governo. Ecco, questa è una cosa seria: fatelo, fatelo davvero. Non si stupisca di questa preghiera: farci rapinare da balordi senza stile o da professionisti di alto lignaggio, per noi non cambia il grado di soddisfazione. Se invece pensava di esprimere una sorta di minaccia, si tranquillizzi: non è la paura di far cadere un governo padronale che ci fa perdere il sonno. Piuttosto ci sembra che a forza di convincersi di essere semidei, questi signori oggi al governo stiano dilapidando tutte le risorse che avevano a disposizione all'inizio del mandato: la fiducia, l'aspetto di novità, la capacità tecnica, la stessa sobrietà, e così via. come vedono da sé lorsignori, l'abuso distrugge lo strumento. Anche il Ministro Fornero, a forza di menare sciabolate, ha perso il taglio ed è rimasta solo un'elsa senza lama.

Saluti in piedi.



venerdì 23 marzo 2012

O' passato nun ce sta

Luciano Granieri


 “Chi ha avuto  ha avuto  ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scurdammoce o’ futuro tanto o’passato nun ce stà” così recita il brano Zurutraverso di Daniele Sepe  E’ proprio vero il passato non c’è più c’hammo scurdato tutte cose. Improvvisamente decenni di lotte operaie attraverso le quali i lavoratori erano riusciti a conquistare diritti importanti come lo statuto dei lavoratori con all’interno le tutele dell’articolo18 , sono evaporate sparite della  memoria, non sono praticamente mai esistite. E’ quanto sanciscono  le nuove norme sul mercato del lavoro messe a punto dl governo Monti tramite il suo ministro da guardia Elsa Fornero . Anche a Frosinone ò passato nun ce stà, non c’è mai stato. Infatti se in occasione delle prossime elezioni amministrative il candidato a sindaco avvocato Marzi E’ IL NUOVO CHE AVANZA significa veramente che  c’hammo scurdato tutte cose. Se Domenico Marzi  è la vera alternativa al sacco di Frosinone perpetrato dalla giunta Marini significa che i dieci anni contrassegnati da due consiliature consecutive del fiero sindaco penalista  figlio di comunisti, sono completamente sparite, non sono mai esistete. I project financing del parcheggio multipiano  e del Casaleno non ci sono mai stati, eppure gli ecomostri edificati con questo sistema che ha foraggiato  banche e grande imprenditoria privata sono li a sfregiare il tessuto urbano della città. Se Domenico Marzi è l’icona della trasparenza e della buona amministrazione, al contrario di Marini che oggi vede indagati  a vario titolo suoi consiglieri e dirigenti, vuol dire che l’assessore Giaccari e quell’impressionante ammasso di cemento che ingombra e rende ancora più degradato il quartiere dei  casermoni, non sono mai esistiti, anzi a guardare bene quell’enorme scatolone è evaporato  e al suo posto sorge un ridente giardino. Ma ancora più impressionante è il vuoto di memoria che sta cogliendo i valorosi compagni comunisti Italiani, quelli iscritti e gli ex, che corrono per Marzi sindaco  . Se il compagno ex assessore all’ambiente Roberto Spaziani è raggiante nel concorrere in una coalizione che potrebbe vedere al suo interno anche i fascisti di Storace, l’amnesia è duplice. I tempi in cui con ribrezzo è uscito dalla giunta che aprì all’Udc sono scomparsi dalla sua memoria. Infatti se il compagno Spaziani accetta di   stare  con i fascisti, non può ricordare quando schifò i demo cristi. Inoltre il compagno Spaziani ha rimosso  buona parte del passato storico di uno che sarebbe dovuto venire da lontano infatti adesso non sa neanche dove diavolo sta andando. E provate a chiedere all’altro compagno Orlando Cervoni chi era Lenin? Probabilmente risponderà che era “nu centravanti” della nazionale sovietica  Il compagno Cervoni ha cancellato perfino il passato recente talmente recente che sfocia nel presente. Infatti è chiaro che  per lui la Federazione della Sinistra non è mai esistita, è un brutto sogno. Il compagno Cervoni, ha cancellato con un colpo di spugna il ventennio fascista infatti potrebbe trovarsi nella  stessa squadra del “CAMERATA STORACE” L’Italia dei valori, invece, quella ufficiale, benedetta dalla direzione di Roma, il  passato non ce l’ha proprio, per cui non fa neanche  tanta fatica a cancellarlo . Ma anche Marzi ha rimosso  il passato e anche il presente. Il buon Domenico infatti non ricorda di essere consigliere provinciale eletto nell’Udc  un partito cha nelle amministrative di Frosinone sarà suo avversario. Così vanno le cose. Chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scurdammoce o futuro tanto o’passato nun ce sta.  E’ bene però che un candidato a sindaco non dimentichi il futuro, ma anzi che si impegni a realizzare un futuro radioso per i cittadini di Frosinone.



Il brano è Zurutraverso di Daniele Sepe

L’ORO BLU DEL COMISSARIO

COORDINAMENTO ACQUA PUBBLICA PROVINCIA DI FROSINONE

Siamo alle solite.
I cittadini subiscono da oltre otto anni le malagestione di Acea Ato 5 S.p.A. e ancora una volta – questa volta grazie ad un commissario paracadutato (in ogni senso) su un territorio e in una storia che non conosce e non  si è peritato di conoscere – si ritrovano davanti la solita cialtronata con cui si chiede loro di pagare un servizio come se quel servizio lo si fosse visto - non solo - come se quel servizio fosse stato reso perfettamente, senza disservizi, senza sospensioni e con le centinaia di milioni di investimenti effettuati (certo … ad essere rimborsati ci sarà sempre tempo … nella stagione del mai!)
Il signor commissario, che peraltro ha chiesto pure l’ausilio di tecnici, infatti, si è limitato a prendere la tariffa stabilita nella gara del 2001 (quella determinata a preventivo a copertura di un servizio perfetto e senza sfasature ed omissioni) e a rivalutarla in base agli indici Istat del costo della vita di ogni anno. 
Un compitino da studente di terza media che, peraltro, vorremmo sapere quanto ci verrà a costare di onorario.
Non solo, il signor commissario, infischiandosene della volontà del popolo sovrano che il 12 e 13 giugno del 2011 ha cancellato dalle tariffe la remunerazione del capitale, invece di togliere questa voce dalla tariffa, “consiglia” ad Acea Ato 5 S.p.A. di accantonare le relative somme nell’evidente malaugurato caso che sia chiamata a restituire il maltolto che comunque, adesso, con questa tariffa, egli le assicura!
Da ultimo e a completare la sua opera, senza che la cosa gli fosse stata richiesta dal TAR, in combutta con quella Segreteria Tecnica Operativa che in questi anni nulla ha fatto per assolvere ai propri compiti (ma lo ha fatto comunque a spese dei cittadini!), ha predisposto, ovvero ha fatto sua un’articolazione tariffaria calcolata dalla Segreteria Tecnica Operativa, che, in barba alla stessa tariffa reale media che fissa poco prima, farà costare l’acqua molto di più (1.491,00 €/mc per un consumo medio tra tutte le utenze) e ad una famiglia media con un  consumo medio, anche oltre i 2 euro a metro cubo (Infatti quanto consuma mediamente una famiglia non ha nulla a che vedere con la media del “pollo” calcolata sui consumi di tutte le utenze!).  
Il signor commissario, Acea Ato 5 S.p.A., il Presidente dell’Autorità d’Ambito Iannarilli e quella banda di ignavi che costituisce l’Assemblea dei Sindaci che, lavandosene le mani, ci ha prodotto questo ennesimo regalo, stiano tutti tranquilli: ci vedremo in tribunale.
Come Coordinamento Acqua Pubblica della provincia di Frosinone faremo ricorso al TAR contro questo provvedimento indegno e indecente.
E organizzeremo ancora una volta la risposta dei cittadini che invitiamo, come è loro diritto, a non pagare un servizio di cui non hanno goduto.
Come abbiamo ripetutamente detto ed illustrato, l’assemblea dei sindaci, prima, e il commissario, ora, avrebbero potuto determinare la tariffa corrispondente all’effettivo servizio (si fa per dire) reso in questi anni da Acea Ato 5 S.p.A.
Loro non lo hanno fatto e i cittadini allora se lo faranno da soli, applicando la giusta tariffa e non un centesimo di più.

Uniti si vince

Lucia Fabi,  Angelino Loffredi

 La scelta degli operai del saponificio Annunziata di respingere l’accordo del 9 novembre sottoscritto in Prefettura dai rappresentanti sindacali, dal punto di vista formale è dirompente, rappresenta una sconfessione. Un caso sicuramente raro e lo stesso Prefetto nella sua comunicazione al Ministro dell’Interno lo definisce “inusitato”
Se  seguiamo attentamente lo sviluppo degli avvenimenti ci accorgiamo che la ferita è  subito rimarginata, anzi sembra che non sia mai esistita. Quella scelta, infatti, non porta a nessuna lacerazione fra operai e rappresentanza sindacale e nemmeno fra operai e la città di Ceccano. Anzi l’appoggio e l’unità dei ceccanesi attorno alla lotta operaia si rafforzarono e si estesero ulteriormente.
Il 10 novembre a sostegno degli operai viene indetto uno sciopero di dipendenti del Manicomio di Ceccano e degli operai del mobilificio Viola. Nello stesso giorno gli operai della BPD  partono in corteo dalla fabbrica di Bosco Faito per portare la loro solidarietà agli scioperanti in lotta. Alle 20 dello stesso giorno, il Consiglio Comunale riunito per discutere altre questioni, sospende i lavori per incontrarsi con Gino Annunziata, figlio del commendatore, per sollecitarlo a riprendere la trattativa con i sindacati.
Il giorno successivo nella tenda “ Giarabub “ si verifica un via vai di delegazioni provenienti dalle fabbriche di Isola del Liri, e due conducenti di autobotti, incaricati ad entrare nel saponificio, si rifiutano di farlo fermandosi in prossimità dei cancelli. Scendono dagli automezzi e fraternizzano con gli operai.
Per tutta la durata dello sciopero ogni mattina alle 7,30 le sirene dello stabilimento continuavano a suonare e si mormorava che quel suono stava a significare la disponibilità del commendatore e il suo perdono verso gli scioperanti. Gli stessi, però, con un altoparlante posto sotto la tenda, rispondevano con il suono de “ L’inno dei lavoratori “ Con questi  diversi suoni veniva dato il buon giorno ai ceccanesi.
L’unità, dunque, era tanto forte che Luciano Renna sul “ Il Messaggero “del 12 novembre scriveva “ Una cosa si va delineando sempre più: gli operai non sono soli. Al loro fianco hanno tutta la popolazione e le altre categorie di lavoratori della provincia.”
Nella giornata del 13, Secchi responsabile dell’Ufficio Provinciale del Lavoro, direttamente raccordato con il Prefetto, sente i sindacati per trovare una soluzione positiva. Negli stessi momenti nelle sale del Comune l’Assessore Peppino Masi, attraverso un’azione di paziente tessitura, riesce a favorire la costituzione di un Comitato Cittadino di solidarietà verso gli operai e la redazione di un manifesto immediatamente fatto affiggere nel paese e di cui riportiamo il testo “ Considerato che l’agitazione in corso e la posizione assunta dal datore di lavoro determinano il prolungamento dello sciopero, con evidente danno per gli interessi dei lavoratori e dell’economia locale, il comitato auspica una sollecita ripresa delle trattative per un soddisfacente componimento della controversia. Nel frattempo invita la cittadinanza tutta a dare un concreto appoggio agli operai e alle loro famiglie con contributi da versare presso la segreteria del comitato stesso per lenire, sia pure in parte, il loro stato di disagio “
E’ ancora più interessante e significativo conoscere anche coloro che sottoscrissero quel testo: il Sindaco Bovieri, i gruppi consigliari, Francesco Colapietro e Giovanni Percili in rappresentanza dei dipendenti del Manicomio, Giuseppe Ranieri e Salvatore Cicciareli per conto dei dipendenti BPD, Giuseppe Roma per conto dell’Alleanza Contadini e e Giuseppe Pizzuti per conto della Coltivatori Diretti, Andrea del Brocco e Amedeo Gizzi per le organizzazioni artigiane e Augusto de Nardis per l’Unione Commercianti. Queste adesioni esprimevano l’eccezionale sostegno cittadino assicurato allo sciopero.
Sempre Luciano Renna su “ Il Messaggero “ del 14 novembre, scrive riferendosi a quanto accaduto il giorno precedente “ Poco dopo le ore 20 erano pervenute agli scioperanti, presso la tenda, dove arde nella notte un fuoco continuo, oltre 130 offerte in viveri e denaro”
L’unità cittadina tanto estesa e ben manifesta sotto forme diverse sollecita un’attenzione continua e particolare verso le richieste operaie. Presso l’Ufficio Provinciale del Lavoro, il Dott. Secchi, attraverso contatti diretti o per via telefonica  ha completato la sua azione di ricognizione, ha sentito infatti, più volte le parti, per cui fa sapere al Prefetto che esistono le condizioni per raggiungere l’accordo.
Nel pomeriggio del 14 novembre il Prefetto convoca la proprietà e i sindacati in Prefettura. Dal verbale di accordo, anche questo in nostro possesso, risulta che il commendatore non è presente: è rappresentato dal figlio Gino e da Francesco Galella.
Le rappresentanze sindacali presenti sono composte da Sferrazza, Altini e Rocca per la CISL e Malandrucco, Berardinelli, Di Piazza, Roma e De Santis per la CGIL.
Cosa succede ?
Nell’incontro del 9 novembre si era raggiunto l’accordo di pagare 10.000 lire a persona come ’”una tantum” per ogni persona, come risarcimento o una riparazione per il mancato rispetto delle clausole contrattuali.
In Prefettura si arriva a  verbalizzare l’accordo nei termini che riportiamo: “Fermo restando l’accordo sottoscritto il 9 novembre corrente, la Ditta corrisponderà ai propri operai le somme appresso indicate secondo la loro qualifica “
Alle 10.000 lire già concordate per tutti, la significativa novità ora è costituita dal fatto che verranno erogate altre “ 6.700 lire per gli operai specializzati, 4.700 lire per gli operai qualificati, 3.900 lire per i manovali qualificati, 2.900 lire per i manovali comuni, 2.000 lire per le donne di qualunque categoria.”
Per concludere, riportiamo ancora che “ il pagamento degli importi venga effettuato entro tre giorni.”
Per gli operai tale accordo rappresenta un grande successo, corrisponde interamente alle richieste preventivamente sollecitate e per le quali era stato portato avanti uno sciopero durato sette giorni.

giovedì 22 marzo 2012

Nero Pesto

Giovanni Morsillo


Il Ministro del Lavoro in carica, Elsa Fornero, che non perde occasione per ricordarci il carattere tecnico del suo incarico, ha detto ieri che lei ed i suoi colleghi non sono stati chiamati per distribuire caramelle, ma per fare cose che i politici non si sentivano, o non erano in condizioni, di fare. A parte la faccia tosta con cui ci sbatte in faccia la cruda verità dopo aver sostenuto per mesi che quello che stavano facendo era invece una grande innovazione ingrado di migliorare le condizioni dei lavoratori stessi, innovazione resa possibile grazie solo alla straordinaria competenza dei tecnici impegnati ad affrontare il problema occupazione, fanno riflettere alcune questioni.
Prima di tutto, nessuno ha chiesto caramelle ad alcun governo, tantomeno a questo. Questa tiritera secondo la quale i lavoratori sarebbero dei parassiti deve essere stroncata una volta per tutte. La Fornero si lagna e piagnucola da par sua se una manifestante si mette una maglietta irriverente, ma continua a trattare i lavoratori come pezze da piedi, non solo augurandosi, ma facendo addirittura il possibile per ridurli allo stato di semi-schiavitù, e per di più con l'aura della missionaria, della salvatrice di chissà quale patria. Per la verità sappiamo benissimo di quale patria sono salvatori questi Menenio Agrippa in sedicesimo: non ci sono gli Equi da sottomettere a Roma, ma le orde barbariche dei cittadini e dei lavoratori da asservire al sistema di rapina del capitalismo, ribattezzato "mercati" per confondere le idee.
Secondo: Chiunque oggi volesse mettere mano al sistema del lavoro non potrebbe prescindere dalla valutazione dei caratteri e delle diemnsioni del lavoro nero o irregolare. E' di oggi la notizia che le ispezioni degli organi preposti (Ispettorati del Lavoro, Inps, Inail e perfino Guardia di Finanza) evidenziano che il 61% delle ben 244170 aziende visitate nel 2011, pari a 149708 imprese, è risultato irregolare. Che facciamo Fornè? ce ne occupiamo o poi viale dell'Astronomia ci fa uno dei suoi cazziatoni e magari ci licenzia senza preavviso e senza indennizzo? Vogliamo vedere una buona volta che i parassiti stanno nei CdA e negli uffici direzionali e non in officina? Pensate di essere credibili quando vi accanite contro i diritti e la civiltà del lavoro a vantaggio di quattro sanguisughe ben vestite? E invece, sul lavoro nero nemmeno una virgola, anzi: le stragi legislative che loro chiamano riforme vanno nella direzione di rendere legale proprio quei trattamenti che oggi sono perseguibili perché lesivi della dignità e degli interessi dei lavoratori. Bella roba! Complimenti tecnici!
Terzo: Fornero e soci, ed anche il loro committente, sembrano sorpresi di aver incontrato l'opposizione immediata e spontanea della società al loro diktat (altro che veti, qui si ragiona in termini di editti!) e mostrano segni di nervosismo alla notizia che sempre maggiori pezzi di organizzazioni conniventi (Cisl e Uil ma anche partiti) non solo aderiscono alla sacrosanta battaglia della CGIL, ma minacciano le loro stesse formazioni di contestazioni interne, abbandoni e via preavvisando. Ma da dove vengono costoro? Davvero pensano che la retorica buonista e familistica, il cerchiobottismo strabico che confonde fino ad eliminare le differenze fra destre e sinistre, ossia fra concezioni della società opposte, abbiano fatto terra bruciata della consapevolezza dei lavoratori? Certo molto si è appannato, molta immondizia ha sommerso la storia gloriosa del nostro movimento operaio, e per tre decenni abbiamo accettato e subìto fin troppo. Ma a forza di osare, prima o poi si arriva al limite, e succede la Grecia. 
Non vorremmo dare una delusione al Ministro, ma stavolta abbiamo la sensazione che non passeranno, almeno non tanto facilmente, e sicuramente non passeranno in modo definitivo. 
 
Saluti e inviti alla lotta.

L'industria bellica come motore di sviluppo economico o come spreco di risorse per lo sviluppo?

Gruppo Logos e Rete per la Tutela della Valle del Sacco.


Evento d’apertura della manifestazione Colleferro 1912-2012: Cent’anni bastano?, nel centenario dall’avvio della produzione bellica di Colleferro.




Nell’arco    dell’anno    2012,    le     Associazioni Gruppo  Logos e Rete per la Tutela della Valle del Sacco proporranno una serie di iniziative dedicate al territorio e a chi lo vive: spettacoli teatrali, concerti, convegni,  mostre, seminari, contenuti web, proiezioni di film e passeggiate sulle vestigia del passato e del presente.


IL GEN. FABIO MINI E GIANLUCA DI FEO



L'industria bellica come motore di sviluppo economico o come spreco di risorse pelo sviluppo?



L'industria    bellica     come      motore      di      crescita economica  o  come  spreco  di  risorse  sottratte  allo sviluppo della società? La storia di Colleferro é stata segnata dal rapporto con la produzione militare, che dalla  fine  del  1800  è  stata  spesso  considerata  da politici e imprenditori come un  volano di progresso, mentre forniva gli strumenti per conflitti sanguinosi senza  precedenti  per  l'umanità.  Ma  nel  XXI  secolo che senso può avere l'investimento negli armamenti? Il  generale  Fabio  Mini,  ex  comandante  della  forza Nato Kfor in  Kosovo  e  tra  i  più  importanti  esperti italiani di questioni                           militari, ne discuterà con Gianluca Di Feo, caporedattore de L'Espresso.

29 marzo 2012


Aula Consiliare del Palazzo Comunale di
Colleferro, Piazza Italia 1 – ore 17.00



Fabio Mini, generale di corpo d’armata, è stato capo di  Stato  maggiore  del  Comando  NATO  per  il  sud Europa  e  a  partire  dal  gennaio  2001  ha  guidato  il Comando     Interforze delle Operazioni nei Balcani. Dall’ottobre 2002 all’ottobre 2003  è stato comandante  delle  operazioni  di  pace  in  Kosovo  a guida   NATO,    nell’ambito                    della     missione    KFOR.


Commentatore     di     questioni     geopolitiche     e     di strategia militare, scrive per Limes, la Repubblica e L’Espresso, è membro del Comitato Scientifico della rivista Geopolitica ed è autore di diversi libri.


 Gianluca   Di    Feo,   giornalista,    è    specializzato    in inchieste. Da  vent’anni,  prima  al         “Corriere  della Sera” e ora all’“Espresso”, si occupa  di  criminalità organizzata, corruzione,    traffico  d’armi   e  servizi segreti.  E’  autore del libro Veleni di   StatoBUR Rizzoli   2009 e  coautore   assieme al   magistrato Raffaele  Cantone  del  libro  I Gattopardi, Mondadori Editore Strade Blu, 2011.

Carlo Smuraglia: "Il reintegro è come l'uguaglianza nella Costituzione"

Intervista di Andrea Fabozzi da "il manifesto" del 22/03/2012


Senatore, componente del Csm oggi presidente dell'Anpi, Smuraglia è autore di numerose opere sul diritto del lavoro. Memoria storica fondamentale per il paese, avverte: "Stiamo tornando indietro"

Partigiano combattente, professore all'Università di Milano, presidente della regione Lombardia, senatore, componente del Csm e oggi presidente nazionale dell'Anpi, Carlo Smuraglia, classe 1923, è soprattutto un maestro del diritto del lavoro. Fondamentale il suo commento allo Statuto dei lavoratori del 1970.

Professore, gli entusiasti di questa annunciata riforma del mercato del lavoro parlano di «fine di un'epoca», l'epoca cioè del «consociativismo». Siamo davvero a un passaggio storico?
Si può parlare di fine di un'epoca ma solo nel senso che si torna indietro. Cancellando a cuor leggero un principio per il quale si è combattuto per anni, e con ragione. L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è il frutto di una stagione di lotte, ma anche del fallimento della legge sul licenziamenti del luglio 1966. In quella legge si prevedeva, appunto, che anche nel caso di licenziamento ingiustificato riconosciuto come tale dal giudice, il lavoratore aveva diritto esclusivamente al risarcimento economico. La grande novità dell'articolo 18 fu il diritto al reintegro. Oggi torniamo al '66.

Quanto fu difficile l'introduzione del principio dell'articolo 18 nello Statuto dei lavoratori?
Ci fu una discussione accesa in parlamento e ci furono forti pressioni contrarie degli industriali, ma fu soprattutto alla luce dell'esperienza precedente che alla fine il ministro Brodolini accettò il principio.

Ma lo Statuto fu votato da socialisti e democristiani, il Pci e il Psiup si astennero.
Le loro obiezioni erano sulla seconda parte dello Statuto, quella che riguardava la rappresentanza sindacale. Non sul reintegro per il quale si può dire che non ci fossero più dubbi addirittura dagli anni Cinquanta, dal dibattito seguito al famoso licenziamento per motivi politici del dirigente Fiat Battista Santhià. Ci fu un importante convegno nel 1955 in cui molti giuslavoristi introdussero il tema del reintegro e poi la legge del '66 e infine lo Statuto. Ci vollero degli anni e molti scioperi, tornare indietro rispetto a tutto questo significa non capire cosa vuol dire riconsegnare al datore di lavoro la possibilità di licenziare a propria discrezione.

Ma la riforma Fornero prevede ancora il reintegro per il licenziamento discriminatorio.
Mancherebbe, su quello non ci può essere alcun dubbio. Il licenziamento discriminatorio è un atto nullo per un principio giuridico che non dipende neanche dallo Statuto dei lavoratori, ed è evidente che di fronte a un atto nullo resta in vigore la situazione precedente. Naturalmente la riforma di cui parliamo non dice che il datore di lavoro potrà licenziare a suo piacimento, ma temo che gli effetti saranno questi.

Anche nel caso di licenziamento per motivi economici?
Siamo franchi, quando ci sono delle ragioni economiche reali, una crisi aziendale, si tratta sempre di circostanze oggettive. Ma se il datore di lavoro non riesce a provarle e il giudice stabilisce che il licenziamento è infondato, perché mai non si dovrebbe ripristinare il rapporto di lavoro? Torniamo appunto a prima del '66: sarà possibile liberarsi di un lavoratore pagando. L'imprenditore deciderà solo sulla base dei suoi costi e dei suoi benefici. E dovremmo aggiungere un altro problema.

Quale?
In molti casi persino il diritto al reintegro nel posto di lavoro si è dimostrato insufficiente, per cui più che smantellarlo si sarebbe dovuto renderlo effettivo. Pensi alla vicenda dei lavoratori Fiat a Melfi che l'azienda si è rifiutata di far tornare al loro posto e capirà come ancora oggi il principio trovi difficoltà di applicazione.

Chi parla della fine di un'epoca lo fa anche con riferimento alla mancata concertazione, anche questo è un passaggio epocale?
Mi sorprende che tutti quelli che in questi anni hanno riconosciuto la convenienza della concertazione adesso si rallegrino che sia stata stracciata. Secondo me si tratta di un errore di valutazione, soprattutto da parte del governo che non ricaverà nulla di positivo da questa scelta di rottura. Per venire incontro alle indicazioni di una parte molto liberista dell'Europa, rinuncia alla pace sociale.

La Cgil pagherà l'isolamento?
Dieci anni fa hanno riempito la piazza sull'articolo 18, è impossibile che i lavoratori abbiano cambiato idea. È vero che siamo in crisi ma i principi valgono anche in tempo di crisi. Cominciare a smantellarli è pericoloso perché non si sa mai dove si finisce. È un discorso analogo a quello che si fa sulla Costituzione. Si può cambiare, ma non si può nemmeno immaginare di toccare i principi fondamentali. E l'articolo 18 nel sistema del diritto del lavoro equivale al principio di uguaglianza nella Costituzione.


mercoledì 21 marzo 2012

E le foibe allora?

Caterina Guzzanti da "Un due tre stella"


Abolizione della dignità

Luciano Granieri


Continua l’assalto. Dopo lo scalpo dei pensionati il generale Custer in salsa italiana,  comandante dell’esercito dei banchieri, esimio professor Monti,  è sulla buona strada per ottenere anche lo scalpo dei lavoratori. La riserva indiana della gente comune ormai sta per cadere in mano ai tecnici governativi che evidentemente non vogliono fare prigionieri. Gli squali targati BCE, UE e FMI, sono ad un passo dall’ azzannare le carni  di chi campa con un   onesto lavoro. Chi viene licenziato ingiustamente  non può esercitare il suo sacrosanto diritto a venire risarcito con il reintegro oppure di decidere un’alternativa adeguata all’umiliazione del licenziamento. Ciò  in base all’odioso principio per cui  anche la dignità può essere oggetto di mercato e quindi svenduta .  Se ad esempio un lavoratore viene licenziato perché accusato di rubare, accertata l’eventuale infondatezza dell’accusa, questo deve poter decidere  il valore a risarcimento  delle infamie ricevute .  Nessuna somma in denaro potrà risanare la dignità perduta a seguito di un’ ingiuria infamante dimostratasi falsa. Ciò per affermare che la questione dell’articolo 18 non è semplicemente un fatto simbolico, non è solo  l’abolizione di una norma che raramente viene applicata, ma è l’attacco ad un principio fondamentale che eleva  il  lavoro a mezzo per  acquisire dignità sociale. L’articolo 18 era l’ultimo baluardo in base al quale si pone l'inalienabile principio che  i lavoratori non sono   merce che si può comprare, vendere, svendere o addirittura rottamare. Con la sua abolizione , unita ai recenti provvedimenti in merito al depauperamento delle normative atte a certificare la sicurezza sul posto di lavoro, braccia e intelletti sono completamente sottomessi ai diktat della speculazione finanziaria. Purtroppo la dignità non  è merce che viene apprezzata da tutti men che meno dai signori della finanza e della grande imprenditoria ,  i quali non hanno la minima vergogna a gettare sul lastrico famiglie intere pur di preservare i loro smisurati privilegi. Né hanno provato un minimo di pudore  i banchieri governanti nel prendere in giro le parti sociali, i sindacati in particolare,  fingendo di intavolare una trattativa infinita per  un esito che era scontato sin dall’inizio , ossia quello scritto nella lettera che la BCE inviò in agosto al nostro governo allora guidato da Berlusconi .  Non sappiamo se anche i sindacati, coscienti dell’ineluttabilità di ciò che ci chiede l’Europa, abbiano preso in giro i loro militanti e i loro rappresentati  fingendo di tirare su un prezzo  già immutabilmente definito, il sospetto è forte, è quasi certezza . Lo scopriremo presto quando il governo chiederà la firma definitiva sull’accordo. Allo stesso modo sapremo come si districherà il Pd, l’ectoplasma riformista stretto fra le istanze di una rappresentanza sociale che da tempo ormai  non sono  più nel suo DNA e un ipocrita  senso di responsabilità evocato anche da un connivente  Napolitano. Eccolo il governo dei sobri, degli infallibili, dei professori, che in nome di una ritrovata saldezza morale, sventrano le politiche sociali, “PIANGONO I MORTI E FREGANO I VIVI” si dice dalle mie parti. Questa sbandierata saldezza morale pare  abbia ridato credibilità alla nazione nell’ assise europea. Ma io domando:  E’ moralmente più credibile un paese con un presidente del consiglio puttaniere, o una nazione guidata da un governo che, pur sedendo al tavolo del G8,  lascia 700mila bambini ridotti in povertà a morire di fame per  cui    “Save the Children”, allo scopo di  limitare i danni di questa piaga sociale,   QUI NELLA CIVILISSIMA ITALIA, deve promuovere una  campagna simile a quelle organizzate  per l’infanzia sottonutrita del terzo mondo?  Lo spread si è abbassato, ma la povertà è sicuramente aumentata e a chi è ridotto  sul lastrico dell’andamento dello spread non gliene può fregare di meno.

martedì 20 marzo 2012

Manifestazione rifiuti zero

Coordinamento Rifiuti ZERO per il Lazio


In occasione della riunione che si terrà presso il Ministero dell'Ambiente il 22 Marzo alle ore 9.00 sul tema dei rifiuti della Regione Lazio alla quale parteciperanno anche la Governatrice della Regione Polverini, il Presidente della Provincia di Roma Zingaretti e il Sindaco di Roma Alemanno, il Coordinamento Rifiuti Zero per il Lazio ha indetto una manifestazione insieme a numerosi altri movimenti e partiti che si oppongono alla politica delle discariche e degli inceneritori come soluzione al problema dei rifiuti nella nostra Regione.
Il Coordinamento Rifiuti Zero per il Lazio ha consegnato al Ministro Clini un dossier contenente tra l'altro le nostre proposte che hanno come fulcro centrale la raccolta differenziata porta a porta  come strada maestra per la soluzione definitiva del problema.
Siamo convinti infatti, che la salute dei cittadini debba andare di pari passo con il rispetto dell'ambiente; coniugando questi due elementi in automatico la questione dei rifiuti non sarà più un problema, ma una risorsa per il nostro Paese.
Auspichiamo che il Ministro Clini, al quale abbiamo consegnato una richiesta di incontro, voglia ascoltare anche la voce dei movimenti e dei cittadini e che sia coerente con le affermazioni di diversi componenti del Governo quando, discutendo della Val di Susa, hanno riconosciuto che in effetti sia stato un errore non aver dialogato con i cittadini.
Ecco: noi ci auguriamo che questa volta non si ripeta lo stesso errore e ci si confronti nel merito del problema.
Invitiamo tutti i cittadini, i movimenti e le forze politiche,sindacali e sociali a partecipare alla manifestazione.

22 Marzo ore 15.00
Ministero dell'Ambiente
via Cristoforo Colombo, 44 Roma

perché rizzotto viva

Giovanni Morsillo


Placido Rizzotto ha ottenuto il riconoscimento del suo sacrificio per il bene comune, gli saranno tributate le esequie pubbliche con gli onori che spettano a chi ha lottato in nome dei diritti di tutti e ha servito lo Stato (diversamente da chi si è servito dello Stato).
Lo ha fatto in motli modi, in tutta la sua breve vita. Primo dei sette figli di Carmelo Rizzotto, all'arresto di questi per coinvolgimenti in fatti di mafia, deve abbandonare la scuola per mantenere la famiglia alla meglio. Serve lo Stato prima in guerra, militare in Carnia, poi Partigiano delle Brigate Garibaldi. Rientrato in Sicilia, diventa presidente dell'ANPI di Palermo e segretario della Camera del Lavoro di Corleone, dando il suo instancabile lavoro per la costruzione del movimento dei contadini per la riforma agraria. Viene ammazzato bestialmente una sera nelle campagne corleonesi da sicari inviati dal dottor Michele Navarra, che poi ucciderà personalmente con una iniezione letale il piccolo pastorello Giuseppe Letizia che aveva avuto la disgrazia di trovarsi casualmente sul posto dell'agguato e visto in faccia gli assassini del sindacalista socialista.
Rizzotto non fu l'unico a cadere sotto i colpi delle milizie mafiose al soldo dei reazionari, un certo potere che occupò lo Stato dopo la Liberazione decimò le organizzazioni proletarie siciliane e calabresi distruggendone fisicamente i capi.
Adesso Placido Rizzotto può essere sepolto come merita, dopo aver atteso pazientemente per 64 anni. Nel frattempo la società per cui ha lottato ed ha accettato più volte il rischio della vita fino a perderla davvero, non è stata realizzata. Il pericolo è ormai alle spalle, i padroni dormono sonni tranquilli ed i combattenti dell'anti-società, i malavitosi di tutte le mafie, hanno il controllo di ben più che qualche feudo o qualche gregge.
Placido Rizzottto va onorato, ed è giusto ed opportuno che lo Stato si inchini ufficialmente davanti alla grandezza del suo sacrificio, alla lucida determinazione con cui ha accettato lo scontro, prima con i nazifascisti nella Resistenza, poi nella guerra contro le forze reazionarie degli agrari siciliani e dei loro eserciti di occupazione mafiosi. Ma non vorremmo vedere le solite processioni di falsi, di personaggi che di giorno parlano di valori a piena bocca e di sera operano in concreto contro ogni ipotesi di cambiamento progressivo. Ecco, vorremmo che i funerali di Stato di Rizzotto non fossero una celebrazione formale, come se si parlasse di un personaggio illustre che però rappresenta un altro tempo, un'altra storia. Placido Rizzotto deve essere onorato come combattente di un'Italia sana, onesta, libera, ma soprattutto attuale. E deve essere onorato prima di tutto dai suoi compagni, i proletari ed i lavoratori per i quali voleva costruire una società degna. Fu partigiano, non funzionario: sarebbe un altro insulto alla sua memoria arruolarlo in una malintesa idea di mediazione sociale modernista secondo cui lupi e agnelli bevono alla stessa fonte. Condividiamo la proposta di celebrare le esequie a Corleone, ed in quel caso invitiamo le formazioni democratiche a organizzare una partecipazione di massa, ad invadere pacificamente quella cittadina con un popolo di gente libera e riconoscente  a Placido Rizzotto, che si incontri con la parte altrettanto libera di quei territori. Come nella migliore tradizione democratica di questo paese, i morti della guerra civile non devono essere pianti con commiserazione, ma onorati nell'esempio, nella prosecuzione delle battaglie per le quali sono stati uccisi.


sono partiti

Giovanni Morsillo



Da alcuni sondaggi probabilmente anche addomesticati, ma lo sono praticamente tutti, si apprende che le intenzioni di non voto degli elettori italiani in questo momento sarebbero pari a quelle di voto. Da questa presunta ma verosimile siituazione si fa discendere la sentenza secondo cui gli italiani non vogliono più sentir parlare dei partiti. Classicamente, si sfodera qui una grossolanità ed una ignoranza msotruose, che però sono assai funzionali al disegno reazionario che si sta compiendo in forza del sovversivismo delle classi dirigenti in questa lunghissima fase storica. Ed essendo perfettamente coerenti con quanto si vuole realizzare, il sospetto che non si tratti di pura ignoranza è più che fondato. Come mai i politici ed i loro araldi della comunicazione (informazione ci pare un termine assai improprio, da usare con cautela) che nelle manifestazioni celebrative tromboneggiano di coesione, di partecipazione, di afflato unitario e di coscienza civile, poi imbrattano chilometri di carta per convincere chi li ascolta che anche solo andare a votare, la sola delega nemmeno partecipativa è atto riprovevole e sconveniente, degno di poveri sciocchi che non vedono la realtà. E non perdono occasione per pompare fenomeni davvero velleitari e senza sbocco quali certi movimenti o sedicenti aggregazioni spontanee, il tutto sempre e solo in funzione demolitoria, ovviamente.
Certamente la sfiducia ha origini concrete, ma non lo scopriamo oggi. La corruzione ha fatto la strada, ma chi ha stabilizzato la sfiducia è la verticizzazione dei gruppi di potere attraverso la cancellazione della rappresentanza.
I partiti che abbiamo conosciuto, e che hanno rappresentato la società italiana nella sua composizione sia di classe che culturale sono quelli forgiati secondo lo schema dello Stato-nazione costituitosi in Europa dopo la fine degli Imperi Centrali, ed infatti erano molto diversi da quelli sorti altrove su altre basi (indipendentismo, anticolonialismo, questione etnica, religiosa, ecc.). La nostra costituzione, pertanto, considera la nostra esperienza fino ad allora maturata, e definisce i partiti in quell'accezione come struttura portante della democrazia, in quanto rappresentativi.
Da allora sono stati fatti molti cambiamenti, il sistema precedente è andato in crisi, ma non solo a causa della corruzione: gran parte dei partiti di governo sono stati travolti dalle loro nefandezze, c'è stata Tangentopoli e tutto quello che sappiamo. Ma altri, il cui esempio più grande è il Partito comunista, sono stati trasformati o sciolti non perché corrotti, ma perché non più rispondenti alle nuove forme che lo Stato assumeva in virtù dello spostarsi degli equilibri sociali a vantaggio del capitale, sempre più internazionale. Le sconfitte del movimento operaio dei paesi avanzati, la deindustrializzazione, il costituirsi di nuove entità economico-politiche sovranazionali, la trasformazione cioè dei processi decisionali in funzione del riassetto del sistema di produzione e scambio secondo le nuove esigenze del capitale multinazionale prima e globalizzato poi, hanno comportato l'obsolescenza del sistema del consenso che chiamavamo democrazia rappresentativa, a favore di pratiche molto meno preoccupate del consenso di massa. L'Uniuone Europea, ad esempio, non ha nemmeno una Costituzione vera, ma è considerata una struttura democratica avanzata. In realtà le decisioni non si prendono a strasburgo o a Bruxelles, ma a Francoforte.
In questa ottica è perfettamente comprensibile la sequela di riforme elettorali tese a concentrare i gruppi dirigenti intorno ad un progetto unico di società, espellendo i soggetti critici per legge e limitando la lotta politica al come gestire il sistema, senza alcuna reale idea alternativa di sistema.
Data questa realtà, certamente più compelssa e dettagliata di quanto si possa accennare in una breve nota di riflessione, sarebbe assai strano che i cittadini continuassero a sentirsi tali, e desiderassero sostenere una delle parti in lizza sentendosi parte del dibattito. Essi sanno, infatti, che i loro interessi sono in ogni caso sottoposti alle decisioni di altri, di gruppi dirigenti che loro non possono realmente selezionare o delegare, poiché la possibilità di scelta rimane circoscritta ad opzioni tutte interne al sistema che li sottomette e, non di rado, li rapina. In sostanza, i cittadini non sembrano affatto essere sazi di politica, bensì vedono la loro domanda di partecipazione umiliata, e dopo aver tentato di tutto - spesso illudendosi -, dai movimenti monotematici alle associazioni, dai tentativi dal basso alle fughe localiste e scioviniste, si arrendono all'inutilità (aggiungendo errore ad errori, ma tant'è).
Enrico Berlinguer parlava già fra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso della urgenza di una rigenerazione della politica, pena il crollo del sistema rappresentativo. Non lo si ascoltò, poiché ciò che diceva aveva una forte ricaduta sui privilegi del ceto politico a tutti i livelli (istituzionale, partitico, militare, clericale, intellettuale/universitario, economico, ecc.). Sembrò possibile continuare le pratiche di corruttela che, come si diceva, si reggevano l'una con l'altra in una struttura robusta per quanto illecita. Ciò denuncia la cecità totale di certi gruppi di potere di allora, che troppo tardi furono messi in discussione dalle risorse migliori che pure nei partiti corrotti esistevano (pensiamo solo a Martinazzoli, per tutti), i cui danni paghiamo ancora non solo in termini di debito economico e finanziario, ma anche sotto l'aspetto socialmente devastante della scomparsa dei presupposti della democrazia partecipativa. Sarebbe ora di impegnae le nostre energie per ricostruire una consapevolezza democratica e degli strumenti di critica e di partecipazione capaci di mettere all'ordine del giorno la ripresa del conflitto sociale in termini di classe e non più di comitati elettorali.
Il che evidentemente non è possibile fare inventando ogni settimana una nuova caricatura di partito comunista tanto per giustificare un altro gruppo di nullafacenti da cui attingere saggezza a un tanto al chilo. 

Da Orlando a Osvardo (Roma-Genoa 1-0)

Kansas City 1927



Er tifoso giallorosso lo sa. L’occasione è quasi irripetibile. L’avversari hanno rallentato, se so fermati a vicenda, hanno messo er freno a mano. L’avversario nostro l’ultima volta che ha vinto fori casa Topolino faceva ancora solo l'attore e no er procuratore, e oggi c’ha pure nsacco de assenti. Le condizioni so favorevoli, è na partita da dentro o fori, la squadra è chiamata alla prova de maturità. Alla luce de tutto questo er tifoso giallorosso lo sa: stasera nse vince. Se almeno Cavani non avesse segnato er secondo, se se fossero allungate le distanze, allora na mezza speranza de fa 3 punti ce sarebbe ancora, ma mo che sta partita c’ha un senso, ndo cazzo annamo. Quest’anno è così, se sa, annamo tarmente discontinui che i gamberi se so straniti: “Oh non famo che mo quello è er passo daa Roma, ce sta tanto de copyright”. Però ce se prova, nsia mai.

A sto giro ce se prova co un Cipolla de più e Ncapitano de meno, assenza che pe il principio dell’osmosi comporta pure quella de Pjanic, assenza che a sua volta comporta inderogabilmente ancora na volta la presenza de Debito Greco, nome che fa sempre storce er naso, in parte a ragione, in parte sulla scorta de una abbondante e generosa spolverata de pregiudizio adagiata su un letto de croccante disillusione. Ma sto ragazzo dar capello a punta e dar pelo ponneso ha deciso che è ora di basta! e di dire no! alla sfiducia dei mercati, no! alla rassegnazione del popolo, NO! mpo più forte a Franco sennò non lo sente, e ancora no! a programmi che parlano solo de salvezza e non guardano all’Europa. Ed è pe tutta sta serie de motivazioni che se prodiga ner colpo de reni de ntessuto sociale ormai sfibrato, ner gesto ar quale tutta la comunità anela come un sol uomo: nassist. La palla se stacca dai piedi de Default Greco e prende proprio la traiettoria che dovrebbe prende, a scavarcare la difesa e la crisi, a superare centrali, terzini e operatori merde de Wall Street, a sgombarare il campo dai dubbi sulla ripresa, ma soprattutto a tagliare il campo pe finì ai piedi de na Cipolla che smania pe facce risentì le fragranze der 2011. Er Rossi de turno je se piazza muraceo davanti, co Frey de dietro che lo carica e se carica “Daje che lo fermamo!”. Ma lui è Osvardo, e er piede ce l’ha cardo. La stoppa e se sposta, la sposta e se imposta, la imposta e la imbusta. Assicurata senza ricevuta de ritorno, nce servono conferme, l’amo vista tutti, e allora strillamo tutti.

“Vabbè, potrebbe pure non esse troppo presto, ma famone nartro” se ricredono parzialmente dopo Palermo i cacadubbi, e a sto giro rappresentano er pensiero de na tifoseria intera. La cosa bella e nuova e sorprendete e “aò ma che davero?” è che a sto giro sembra essece piena sintonia tra squadra co la majassorica e curvassorica, perchè pare che giocamo e che ce va de segnà, sempre coi tempi nostri, ma co quer quid in più e quella schizofrenia paranoide in meno. Er balòn gira giulivo ar punto de arivà messo bene sui piedi de Yogurt Greco che, esaltato dall’apertura positiva della partita e delle borse, poco ce manca che non la butti dentro pure lui, ma Frey, barilotto ma sempre barzotto, je fa presente che la Francia purtroppo sta in campagna elettorale e nse ponno fa sconti a nessuno. Ma noi che semo generosi e abbiamo detto no! all’occhio per occhio dente per dente cuoio per cuoio, aprimo invece la stagione dei saldi che ce porterà a regalà occasioni de restà in vita ar Grifon d’oro fino ar novantesimo.

Er Primo è Chiaia, che dopo 90+20 minuti senza fa cazzate in difesa tra Palermo e mo, decide de portasse avanti pe fanne una che almeno non abbia effeti catastrofici. Da mite calcio d’angolo scaturisce così nazione de quelle che pe improbabilità e imprevedibilità passeranno ala sssoria der proggetto, allorché, su ribattuta de corner, l’Ariano se trova er pallone a provocallo tra le zampe infestate de inchiostro, evento che induce er Chiaia a stibià la sfera verso er più vicino a lui, che in ogni dove è e sarà sempre er Cannicane. Er Cannicane, omo che pe la rapida e dolorosa maturazione dei suoi prossimi farebbe falsificherebbe identità, de porpaccio je ritorna er cuoio ormai spazientito da tanto indugio. Capita l’antifona, Chiaia gonfia er glabro petto, carica la balestra e de punta sporca scaraventa l’ostile oggetto verso la rete artrui,  ma invece de fasse bomber se blocca e se fa fiordo.
Franco dalla porta chiede cor soriso: “Ah, pure te?”.
“No no, ho detto FIORDO” je risponde Chiaia smontandoje sur nascere le speranze de piccola comunità audiolesa.

Ma non c’è tempo per consolare l’inconsolabile, è già ora de magnassene nantro. La parzialmente ripristinata Cipolla se invola oltre le rovine der concetto de forigioco der Genova, ma affascinato dall’antichità de na difesa che cade a pezzi, inebriato dar grande mistero dele popolazioni Genovane conservate così bene accanto a lui tanto che parono vive, se perde dentro a un trip de History Channel e se scorda che pe segnà tocca pià la porta. Er primo tempo se ne va così, co noi che giocamo a calcio, e inebriati da sta novità se emozionamo e ar dunque ce viene l’ansia da segnazione, e co loro che sembrano dire: vabbè oh, se proprio ve fanno schifo sti tre punti noi ce provamo a piassene uno.

Se riparte de slancio coi medesimi in campo, co quell’approccio scanzonato che, ner timore de fasse pià la mano e credece troppo, ce fa vive ogni azione come fossimo davanti a na candid camera. Del resto mai s’era visto all’Olimpico un giocatore sospinto nela discesa e ner cross e in ogni stramberia je passi pe la testa solo da insurti costanti e copiosi ar punto da amargamasse e sembrà un unico coro de incitamento.

E mai s’era visto un giovine tarmente paraculo da mettese a fa le corse utili e quelle tanto inutili quanto valide comunque pe l’osanna collettivo. E tale è l’osanna che er medesimo giovine comincia a scoattà ar punto da dimenticasse de esse forte sì ma ancora acerbo e a tratti rozzo. E siccome, je piaccia o meno, Caciara se nasce e lui lo nacque, Nascar improvvisa prima un cucchiaio da fori area che Frey, pasciuto com’è, ingoia co na mano, quindi se lancia da solo nele praterie genoane, credendo in se stesso oltre ogni limite de velocità, per la gioia, il tripudio e le risa collettive de no sssadio che uno così veloce non lo vedeva dai tempi de Vierchowod. Tanto è er credito ricevuto, che ar Caciara, complice l’assenza dei gemelli punitivi, je viene concesso l’onere de batte na punizione. Quello se sente Ronardo, mette i piedi a papera e la tira de punta, facendosi pirlo (sì, lo sapemo che la parola “pirla”, come ogni suo derivato, a meno de non avè  la verve den padano, è parola tarmente moscia da non esse mai considerabile come parolaccia o insurto, ma mo ce tornava utile, nse ripeterà più).

Ner mentre Ladolescente, consumati i tacchetti dii scarpini a furia de cristianoronardiche solettate, azzecca ndribbling e azzecca Frey sparandoje addosso prima de esse richiamato a contasse i peli der petto in panca a beneficio del’ennesima valorizzazione der talento alato der Putto cantero, anche in ossequio alla regola che non vuole in campo due membri der cast de High School Musical contemporaneamente. Capitan Mo, lo vede, e in una partita per lui meno perfetta der solito japparecchia l’assist perfetto, er contagiri (che poi nsè mai capito bene cosa cazzo sia, ndo se compra er contagiri? Ar feramenta? Da Leroy Merlin? E in che reparto? Dispositivi metaforici?) insomma, er 2-0, lì, a du passi da Frey. Ma er Putto prescioloso che fece i tiri ciechi se disunisce e s’unisce allo spreco generale, tirando fori de quer tanto che basta a facce pensà che l’abbia fatto apposta. E ar marasma se unisce Aquistinho nell'esibizione der numero preferito, la busta de piscio in diagonale, che stavorta è carica e paglierina er giusto ma non abbastanza da impedì a Frey de superà l'esame.

In tutto ciò c’è un uomo che, capita l’antifona, sfodera l’arma finale pe garantì er galleggiamento. Er Cannicane, ner secondo tempo come ner primo, lotta e zompa e ringhia e sbava su ogni pallone, ma siccome pure pe gente abituata ad avé Matteo Ferari tutto ciò, cor tempo e l’abitudine, po sembrà normale, er Cannicane se erge diga a corpi de spalancocoscia. Dicesi spalancocoscia er gesto tecnico che vede er difensore nell’atto costante di spampanare il compasso delle proprie cosce offrendosi come cozza pelosa e venere avida di seme e piacere all’attaccante avverso. Quello barzotto imbocca ed eccitato viene incontro alla sapida tenaglia, che improvvisa se chiude, spezza e stronca ogni stronza pretesa de ingallamento. Er Cannicane lo farà per tutta la gara fino all’apoteosi de fallo pure palla ar piede. Er Cannicane è l’unico giocatore che te mena pure quando imposta, la sua visione di gioco è un’inquadratura dal basso, dar contrasto arto, morto arto, pure troppo.

Ma na squadra acerba pe statuto se po concede er lusso de sembrà cinica, matura e sparagnina lucrando su ngolletto fatto coll’olio canforato che ancora te cola sule cosce? No che non si puote, e infatti nsemo boni. E nsemo boni ar punto che lo jedi Palacio c’avrebbe l’occasione de facce rimpone pure sta partita, se non fosse che quarcuno je deve avè riempito la borsa de copie de quotidiani de sti giorni in cui se notifica l’interesse nostro pe la treccina sua, e al solo pensiero de ritrovasse tra pochi mesi in ritiro co un Heinze imbronciato pe sto gò fa la scelta giusta per lui e per la sua famiglia, mannando er cuoio a spigolà er montante (meno metaforico ma comunque possibile vicino de scaffale der contagiri in quanto parola che se usa solo nele telecronache).

E’ l’ultimo pericolo, dopo de questo giusto il tempo pe Bojan de diventà adulto a suon de bestemmie e il triplice cala a scacciare paure e facce provà, pe la prima volta dopo mber po de tempo, nattimo de serenità, de quella tranquillità che poi ce pensamo domani a perchè non ariveremo terzi, mo vogliamo solo cantà, e allora Noi gridiamo in coro, evviva, evviva, urrà, sì, sì! Topolin, Topolin, viva Topolin! Su venite a far baldoria insieme a Topolin, anche noi, come voi, canterem così. Come noi bambini, tu sei tanto piccolin, Topolin, Topolin, viva Topolin!