sabato 28 luglio 2012

Il grande calcio pe chi va de fretta. Roma-El Salvador 2-1

Kansas City 1927.

Si avvicina l'inizio del campionato e riprendono le incursioni dei nostri amici di Kansas City 1927. La buona novella è che fino ad ora la Roma di Zeman le amichevoli le ha vinte tutte compresa quella con il Liverpool giocata durante la turnè in America. Il post  che segue è relativo all'ultima partita giocata negli Stati Uniti contro la nazionale de El Salvador,  gara vinta per 2 a 1 ma con qualche screzio di troppo
Luciano Graneri 
Marxista Romanista.


1) Stamichevole ce fa tornà a casa co diverse consapevolezze, prima fra tutte quella al punto 2

2) Amichevole amichevole, amichevole ncazzo

3) Nse riesce a non vince

4) Nserve a gnente. Ma sempre comunque meglio vittorie che nservono a gnente che sconfitte che nservono a gnente.

5) Ar Capitano je sta a regge la pompa

6) Taxidis è parente stretto der Cavaliere Nero

7) Stamo in guera co El Salvador

8) Hanno cominciato loro





venerdì 27 luglio 2012

Mostra fotografica: "DIVERSI VICINI"

Claudio Martino


Fotografie di Noemi Belotti

dal 27 luglio al 3 agosto 2012

Sala comunale “Ernesto Biondi” – corso della Repubblica (Frosinone)
Ingresso libero
L’associazione culturale DOUBLEFACE promuove la mostra fotografica di Noemi Belotti “DIVERSI VICINI – Storie di integrazione sotto un unico tetto”.
Il progetto, già esposto a Milano in occasione della festa del quartiere di via Padova, viene riproposto a Frosinone, terra natale della fotografa.
La serie di ritratti proposti raffigura uno spaccato di via Padova, quartiere milanese multiculturale, ma anche uno spaccato di un’Italia che cambia, fatta di volti, di lingue e di culture diverse.

L’inaugurazione si terrà venerdì 27 luglio dalle 18.30
Intorno alle 21 si esibiranno dal vivo
HELLSPITE
http://www.facebook.com/hellspiterm
http://soundcloud.com/hellspite

Disoccupazione ecclesiastica

Luciano Granieri



Nel corso dell’ultima campagna elettorale per le amministrative, la domenica precedente il voto, decidemmo  di piazzare il furgoncino adibito alla propaganda presso la chiesa di Madonna della Neve con lo scopo di  effettuare un comizio  con la candidata a sindaco Marina Kovari e   distribuire i volantini con il nostro programma a  tutti i fedeli. Notoriamente la chiesa  di Madonna della Neve è una delle più frequentate, e la messa più partecipata è quella di mezzogiorno. Per quell’ora eravamo li pronti ad illustrare il nostro programma elettorale. Con grande sorpresa ci rendemmo conto che i fedeli erano pochissimi, una cinquantina o poco meno. Qualche  anziano seduto sulle panchine a prendere  un po’ di fresco all’ombra degli alberi vicino  la fontana,  avendo notato la nostra perplessità  ci riferì che le presenze in chiesa erano diminuite drasticamente in pochi anni. Neanche alle feste comandate il santuario era frequentato dai fedeli come una volta. Al di là di questo singolo episodio,   è comunque noto che c’è una crisi del numero dei praticanti cattolici, non solo a Madonna della Neve e non solo a Frosinone. La gente non va più in chiesa, questo è un dato di fatto.  A fronte di questo accadimento si registra un altro fenomeno  non meno importante, ci sono molti sacerdoti che non possono far carriera per la mancanza di fedeli. Crisi della fede e disoccupazione ecclesiastica, queste sono le due grandi  piaghe  che stanno affliggendo la comunità cristiana. Ma per fortuna esiste l’Udc. Il partito di Casini si è fatto carico di questi gravissimi problemi e ha trovato  una soluzione molto valida. Il progetto, per ora in fase sperimentale, è stato messo in atto solo presso la regione Lazio grazie all’assessore all’urbanistica, delfino di Casini, Luciano Ciocchetti. Approfittando della ridefinizione del piano casa, il buon Ciocchetti ha escogitato la geniale soluzione per salvare capra e cavoli. L’esponente Udc ha presentato un sub-emendamento al  suddetto piano casa in base al quale, laddove un imprenditore edile volesse  edificare una chiesa con annessa sacrestia, parrocchia e corredi religiosi vari, potrà avere in premio un'equivalente volumetria destinata a residenza, accoglienza  commerciale,  direzionale, ecc. ,ovviamente in deroga alle norme urbanistiche. E’ una trovata miracolosa. Immaginate quale folla di devoti costruttori, progettisti e architetti, con parenti annessi che - grazie a questo provvedimento, potrà  edificare, oltre che navate, campanili e transetti,  anche palazzi, uffici, centri commerciali, in spregio  ad ogni pianificazione urbanistica -  invaderà le nuove canoniche, offrirà offerte, ex voto. Ed immaginate quanti sacerdoti potranno trovare occupazione ed aspirare ad una brillante carriera ecclesiastica a seguito del previsto incremento di chiese e di fedeli "edili".  Questa è la buona politica. Si finirà di asfaltare e  distruggere con abnormi cubature le poche aeree agricole rimaste disponibili nella regione, si costringerà ancora di più i cittadini a vivere in agglomerati urbani congestionati   all’inverosimile dal cemento, ma vuoi mettere il vantaggio di evitare la cassa integrazione a zero ore per i sacerdoti, e tornare a vedere la chiese piene di fedeli, certo per lo più imprenditori edili, ingegneri e architetti, ma in questi periodi di crisi mistica, TUTTO FA BRODO. 

giovedì 26 luglio 2012

Meglio la disoccupazione o il cancro?

Giovanni Morsillo


Il GIP di Taranto chiude lo stabilimento ILVA (ex-Italsider) perché inquina (e molto). Ha ragione, e hanno ragione pure i dipendenti che non vogliono perdere il lavoro e si agitano. Lo stabilimento fu ceduto a Riva (secolo scorso) perché il privato doveva garantire una gestione efficiente dell'impianto, salvando un pezzo della siderurgia italiana dal decadimento e quindi dalla chiusura (lo stabilimento è il più grande d'Europa nel suo settore e realizza produzioni di alta qualità). Allora dicemmo che in realtà si stava cedendo a prezzi di realizzo una parte importante di ricchezza pubblica ad un noto falco dell'industria privata. Sorvoliamo sui perché tale operazione sia stata benedetta da un sacco di lestofanti e boiardi; solo una notazione: visto l'epilogo, dove sta l'efficienza di cui si cianciava e che tutt'oggi si dà per ovvia e scontata ogni volta che si parla di pubblico e privato in economia? Giusto per dire: i referenda sulla gestione delle acque, li vogliamo iniziare ad applicare o no? E, se non fosse di troppo intralcio alle manovre spregiudicate che i signori del governo bancario portano avanti con tanta solerzia, si potrebbe tirare qualche bilancio delle privatizzazioni ormai trentennali? Vogliamo almeno mettere due cifre in fila per capire se le ricette d'oltreoceano dei tardivamente defunti Tatcher e Reagan hanno mantenuto alemno in parte le loro svavillanti promesse o se invece sarebbe igienico ripensare un modello che continuiamo improvvidamente a chiamare "di sviluppo"?

Se no, ci troveremo ancora a discutere se è meglio la disoccupazione o il cancro per l'inquinamento, e poi a tornarcene mestamente a casa mentre loro, con queste scuse da asilo, delocalizzano e vanno ad inquinare di più a qualche centinaio di chilometri più in là.
Saluti pubblici

mercoledì 25 luglio 2012

Uscire dall'euro o "più Europa"? La soluzione non è tecnica ma politica

 Domenico Moro per Marx21.it, da una segnalazione di Giovanni Morsillo



Con l’inasprirsi della “crisi dell’euro” a sinistra si delineano due posizioni contrapposte, spingere per avere “più Europa” oppure abbandonare l’euro.

“Più Europa” equivale a sottrarre il controllo dei bilanci statali e delle leggi finanziarie ai parlamenti nazionali, unica istanza minimamente democratica in Europa. In questo contesto, “più Europa” vuol dire dominio della “tecnica”, cioè della burocrazia europea (BCE e Commissione Europea), apparentemente neutrale, in realtà subordinata al capitale monopolistico europeo. Come ha detto Monti, la democrazia è una forma di governo incapace di guardare al lungo periodo, vale a dire alle necessità dell’accumulazione del capitale. La soluzione, quindi, è aggirare il livello nazionale. L’Unione europea è stata il grimaldello con cui forzare la resistenza dei movimenti operai nazionali. Ora, la crisi dell’euro è l’arma per accelerare sulle trasformazioni tese al mantenimento di alti livelli di profitto mediante l’attacco al salario e al welfare.
L’euro in sé c’entra solo secondariamente con la crisi in atto, che è una derivata della sovraccumulazione di capitale e del calo del saggio di profitto, che generano conflitti tra area del dollaro ed area dell’euro, nonché squilibri interni all’area dell’euro, dove l’eccesso di capacità produttiva tedesca schiaccia gli altri Paesi. Anche la questione dell’aumento del divario dei rendimenti dei titoli tra i vari stati non è nata con la Bce e l’euro. Già nell’81 in Italia venne abolito l’obbligo per la Banca d’Italia di garantire il collocamento del debito pubblico, allo scopo di bloccare la crescita dei salari attraverso la scala mobile. Da quel momento, il debito italiano crebbe molto più che nel resto d’Europa a causa della abnorme crescita degli interessi, invece che della spesa della P.A., rimasta al di sotto o intorno ai livelli medi Ue.

L’uscita dall’euro, invece, avverrebbe in un contesto in cui lo Stato, sempre più espressione diretta del grande capitale monopolistico, ha rinunciato al controllo della moneta, della finanza e del commercio estero. In questo contesto, un ritorno alla lira realizzerebbe un trasferimento di ricchezza in poche mani ben più imponente che nel passaggio dalla lira all’euro. Il ritorno alla valuta nazionale porterebbe alla riduzione del potere d’acquisto dei salari e alla svalutazione del risparmio delle famiglie dei lavoratori, già penalizzate dal calo dei salari reali e dalla disoccupazione. La capitalizzazione di borsa delle aziende crollerebbe, rendendole oggetto di scalate da parte di multinazionali a base estera, mentre la percezione di un ritorno alla valuta nazionale scatenerebbe fughe di capitali verso l’estero. Ugualmente da prendere con le molle sarebbe un default. Il fallimento porterebbe alla impossibilità, per un tempo indeterminato, di emettere titoli di stato negoziabili sui mercati internazionali, facendo gravare ancor di più il finanziamento pubblico all’interno e quindi sui lavoratori. Senza contare che il mancato pagamento del debito verrebbe a gravare su molte di queste, in quanto detentrici di titoli di stato.

Per trovare una soluzione ad una situazione che sembrerebbe senza uscita, alcuni economisti propongono posizioni “neoprotezioniste”, allo scopo di esercitare pressioni sulla Germania, minacciando l’uscita anche dal mercato comune. In aggiunta, in caso di uscita dall’euro, vengono prospettati meccanismi che controllino le fughe di capitale e difendano il potere d’acquisto, dall’indicizzazione dei salari alla introduzione di prezzi amministrati per certi prodotti “base”. Se, però, l’uscita dall’euro pone dei problemi, anche l’uscita dalla Ue di Paesi fortemente interdipendenti e integrati non sarebbe meno complicata. Quanto ai meccanismi di indicizzazione, questi sarebbero stati necessari anche negli ultimi dieci anni e, se non si è riusciti a reintrodurli fino ad ora, non si capisce perché ci si dovrebbe riuscire oggi. Il limite di queste come di altre proposte risiede, infatti, nella difficoltà a definire chi e come dovrebbe metterle in pratica. La soluzione alla crisi non un fatto tecnico, ma politico. Non può, quindi, prescindere dalla modifica dei rapporti di forza fra le classi. Soprattutto in una situazione in cui lo Stato è controllato dal grande capitale. La soluzione non può che basarsi su una chiara politica di classe, tesa a modificare il contesto economico e politico. La domanda da fare non è se stare o non stare nell’euro, ma come la classe lavoratrice italiana ed europea può incidere sui processi di trasformazione delle modalità di accumulazione, e, quindi, su quelli di unità europea.

Il problema è che fino ad ora, specialmente in Italia, tale questione è stata quasi del tutto ignorata. La quasi maggioranza dei gruppi dirigenti politici e sindacali di sinistra hanno visto l’unione europea e l’euro come fatti di per sé positivi. Tale atteggiamento, che ha disarmato il movimento operaio e i partiti della sinistra, ha tratto origine non solo dalla errata concezione che un mercato unito e liberalizzato sarebbe stato vantaggioso per tutti, ma anche da una tradizione di pensiero “universalistica”, molto diffusa tra i cattolici come tra la sinistra anche comunista, che ha assecondato l’unità europea, considerata progressiva, in chiave di superamento della dimensione nazionale, considerata arretrata. Opposta all’impostazione filo-europeista è la recente concezione “patriottico-sociale”, che identifica l’attacco alla classe operaia come attacco allo Stato nazionale, visto come la cornice entro la quale la classe operaia ha ottenuto le sue passate vittorie e, quindi, come l’unico terreno sul quale ci si possa difendere. Entrambe queste due posizioni fanno un errore speculare, assolutizzando un solo aspetto, sicuramente reale, di una realtà fatta però di tendenze contraddittorie. Il punto è capire qual è quella principale e su quale i lavoratori devono fare leva.

Un conto, dunque, è assecondare il movimento del capitale, un altro conto è partire dal movimento oggettivo della realtà, inserendosi in esso per allargarne le contraddizioni, sviluppare lotte e costruire organizzazione. Il movimento della realtà ha irrimediabilmente trasformato il terreno su cui si svolge lo scontro di classe. Questo, oggi, pur dovendo partire da radicamento e specificità locali, non può avere successo se si svolge solo su un piano nazionale, bensì deve svilupparsi su un terreno europeo. Il livello di interdipendenza tra i sistemi sociali ed economici in Europa e il carattere continentale dell’attacco ai lavoratori tende ad aumentare l’omogeneità della classe lavoratrice a livello europeo, costituendo così la base materiale di un nuovo internazionalismo.

Parlare di internazionalismo è, però, un puro esercizio retorico se non si sciolgono alcuni nodi politici, a partire dal livello nazionale. Il nodo principale è che oggi i rapporti tra le classi sono contraddistinti da un fattore nuovo, ovvero dal rifiuto, da parte del settore dominante del capitale, del patto sociale tra classi. Ne risulta compromessa, quindi, la “democrazia pluralistica”, in cui i rappresentanti delle varie classi erano disponibili al compromesso, sotto l’egida dello Stato, nella camera di compensazione del Parlamento. In questo quadro, bisogna avere proposte precise, dalla ripresa dell’intervento statale in economia, alla nazionalizzazione delle banche, alla riforma in senso progressivo del fisco, alla introduzione di una legislazione europea antispeculativa, fino alla modifica del ruolo della Bce piuttosto che della Banca d’Italia come garanti del collocamento dei titoli pubblici. Ma ciò non basta, il punto principale è come dare corpo politico a queste proposte. Per farlo non si può continuare con i vecchi metodi politici, ma bisogna recuperare l’autonomia di classe, a livello ideologico e politico, in cui sia il conflitto a riprendere la sua centralità. Non, però, conflitti slegati e su temi specifici, come quelli che spesso si producono nel nostro Paese, bensì un conflitto generale, cioè finalizzato al potere politico. Solo sulla base di una costante pratica autonoma, con un profilo programmatico definito e un posizionamento politico forte, rispetto alle altre classi e agli altri partiti, è possibile intraprendere il lungo e difficile percorso della ricomposizione dei differenti settori e delle varie nazionalità che compongono il lavoro salariato in Italia ed in Europa.


martedì 24 luglio 2012

Furto d’informazione

Appello

La politica è scontro d’interessi, e la gestione di questa crisi economica e sociale non fa eccezione. Ma una particolarità c’è,  e configura, a nostro avviso, una grande lesione della democrazia. Il modo in cui si parla della crisi costituisce una sistematica deformazione  della realtà e una intollerabile sottrazione di informazioni a danno dell’opinione pubblica. Le scelte delle autorità comunitarie e dei governi europei , all’origine di un attacco alle condizioni di vita e di lavoro e ai diritti sociali delle popolazioni che non ha precedenti nel secondo dopo-guerra, vengono  rappresentante, non soltanto dalle forze politiche che le condividono ( e ciò è comprensibile), ma anche dai maggiori mezzi d’informazione (ivi compreso il servizio pubblico), come comportamenti obbligati  (“non scelte”), immediatamente determinati da  una crisi a sua volta raffigurata come conseguenza dell’eccessiva generosità dei livelli retributivi e dei sistemi di welfare. Viene nascosto all’opinione pubblica che, lungi dall’essere un’evidenza,  tale rappresentazione riflette un punto di vista ben definito (quello della teoria economica neoliberale) oggetto di severe critiche da parte di economisti non meno autorevoli dei suoi sostenitori.  Così una teoria controversa, da molti ritenuta corresponsabile della crisi (perché concausa  degli eccessi  speculativi e degli squilibri strutturali nella divisione internazionale del lavoro e nella distribuzione della ricchezza sociale), è assunta  e presentata  come auto evidente, sottraendo ai cittadini la nozione della sua opinabilità e impedendo la formazione di un consenso informato, presupposto della sovranità democratica. Non possiamo sottacere  che, a nostro giudizio, a rendere particolarmente grave tale stato di cose è il fatto che la sottrazione di informazione che riteniamo necessario denunciare coinvolge l’operato delle stesse più alte cariche dello Stato, alle quali la Costituzione attribuisce precise funzioni di garanzia e vincoli d’imparzialità. Tutto ciò costituisce ai nostri occhi un attacco alla democrazia repubblicana di inaudita gravità, che ai pesantissimi effetti materiali della crisi e di una sua gestione politica volta a determinare una redistribuzione del potere e della ricchezza a beneficio della speculazione finanziaria e dei ceti più abbienti  assomma un furto di informazione e di conoscenza gravido di devastanti conseguenze per la democrazia.

Alberto Burgio, Mario Dogliani, Gianni Ferrara, Luciano Gallino, Giorgio Lunghini, Alfio Mastropaolo, Guido Rossi, Valentino Parlato .



L'ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione

Maria Antonietta Garofalo




Preg.mo Dott. Ingroia
Vi è un ottimismo della volontà ed un pessimismo della ragione ( Gramsci) al quale avrei dato voce se ci fosse stata la possibilità di parlare. Ci è stata raccontata brevemente e dal punto di vista “ istituzionale” una Castelvetrano che nel tempo è cambiata. Io al contrario penso che Castelvetrano sia nella grande maggioranza dei suoi abitanti, una città indifferente, sorda ai cambiamenti o comunque impreparata a comprenderli.
Non riuscirei, altrimenti a spiegarmi perché le minoranze a cui Lei si è riferito e alle quali ha auspicato che possano diventare “ maggioranze” , rimangano sempre “ minoranze”. Lo si è visto anche in queste sere in cui il lodevole imput alla “ legalità” è stato accolto tiepidamente, quando invece, a mio avviso, gli interessanti dibattiti avrebbero dovuto riguardare tanti.
Con onestà dobbiamo allora chiederci, senza peli sulla lingua, perché questa città è implicata in due processi “ Golem”? Perché questa città ha fatto fatica a costituirsi parte civile nel processo “Golem2”?Perché in tempo di elezioni si catapultano a gamba tesa i vari Cuffaro, Lombardo, Culicchia, Pellegrino, persone cioè toccate in qualche modo da imputazioni inquietanti, alcuni prescritti, altri condannati, altri ancora in via di risoluzione, quando Paolo Borsellino, che stasera è stato ricordato, nella lectio magistralis fatta agli studenti di Bassano del Grappa, dice che la politica  deve: “trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato, ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica"? Perché in questa città si vuol far passare il cassiere di Matteo Messina Denaro come il Ministro del Lavoro? Perché sono stati dati alle fiamme degli ulivi su un terreno confiscato? Perché durante un sit-in antimafia un mafioso controlla quanti comunisti ci sono e poi dice che “ce ne sono una ventina, chissà come mai”?  Perché sui muri compaiono preghiere d’aiuto al boss? Perché si organizzano i cortei e di quei ragazzi di associazioni varie, in questi eventi non se ne vede l‘ombra, eppure striscioni e magliette campeggiano sui giornali locali? Perché gli appelli alla cosiddetta “ società civile” cadono miseramente nel vuoto? E’ passata una grande primavera di indignazione e di riscatto culturale, dopo le stragi di Capaci e di via d’Amelio, ma una seconda primavera tarda a venire, laddove “l’indifferenza è il peso morto della storia” (Gramsci) e il fatalismo impedisce una spinta al riscatto.
Possa essere di augurio ciò che ha scritto:
"Nel ricordo di Paolo e Giovanni per una Sicilia, un' Italia e un mondo migliore, più lungo e senza mafia”
22/7/2012 Antonio Ingroia – Marinella di Selinunte
Ci ritroverà (nonostante tutto) ancora ad aspettare il suo ritorno dal Guatemala, a sperare in un mondo migliore possibile e a lottare per una Sicilia senza mafia.
Grazie per il suo coraggio e per il suo parlare " senza filtri".
Distinti saluti
Maria Antonietta Garofalo

Segretaria Circolo “ Peppino Impastato” PRC
Castelvetrano
Li 22. 07.2012

Passa il treno nucleare: la Val Susa prova a bloccarlo

Redazione http://www.contropiano.org


Durante la notte centinaia di manifestanti tentano di bloccare i binari per bloccare il passaggio di un treno carico di scorie nucleari dirette in Francia. Valle militarizzata e duecento identificati.
Quando nei giorni scorsi nella valle si è sparsa la notizia che ieri sarebbe transitato un treno carico di scorie nucleari italiane dirette in Francia, è scattata la mobilitazione. A lanciare l’allarme sarebbero  stati Legambiente e Pro Natura di Vercelli che sabato scorso avevano scoperto sul sito della locale prefettura un comunicato che riepilogava il piano di emergenza per i trasporti dei rifiuti nucleari. Alla contrarietà espressa dai sindaci dei comuni della Valle il governo non si è degnato neanche di rispondere.
Assemblee improvvisate hanno deciso che non era il caso di far passare il treno nucleare senza ‘colpo ferire’ e così è stato. Dall’altra parte ha trovato uno schieramento di forze di Polizia anche più imponente di quello abitualmente già schierato in Val di Susa a protezione dei cosiddetti cantieri dell’alta velocità, con l’arrivo di altre unità di Polizia e Carabinieri dalle regioni vicine.
Alla fine il convoglio è passato, ma dopo ore di manifestazioni e scaramucce in diversi punti del percorso del treno nucleare.
E comunque i NoTav sono riusciti a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica locale e nazionale sulla pericolosità dei treni nucleari carichi di scorie che, periodicamente, partono da Saluggia per raggiungere Le Hague, nel Nord-Est della Francia, dove vengono riprocessati. 
Il convoglio è passato alla stazione di Borgone, pochi minuti dopo che la Polizia aveva bloccato una quindicina di attivisti NoTav - tredici italiani, un francese e un greco - che erano riusciti a bloccare i binari per alcuni minuti. 
Nel corso della notte, scrivono le agenzie di stampa, sarebbero stati identificati circa duecento manifestanti, e per alcuni di loro scatteranno anche le denunce andando così a ingrossare le fila degli attivisti colpiti da provvedimenti giudiziari.
Gli agenti hanno addirittura bloccato un treno regionale, partito da Chiomonte, su cui stavano viaggiando parecchi pendolari e 115 attivisti No Tav diretti a Bussoleno, dove intendevano unirsi ai manifestanti locali. Quando sono arrivati a Bussoleno i manifestanti si sono accorti che la stazione era piena di agenti in tenuta antisommossa e memori della trappola del 25 febbraio alla stazione torinese di Porta Nuova hanno deciso di rimanere nei vagoni. A tentare di sbloccare la situazione ci hanno provato due avvocati del Legal Team del movimento No Tav e alcuni rappresentanti politici della sinistra ai quali però i responsabili delle forze di occupazione hanno spiegato che il loro intervento si rendeva necessario visto che alcuni attivisti avevano il volto coperto. 
Nel corso della notte si erano anche diffuse voci secondo le quali la polizia aveva deciso di sgomberare forzosamente il campeggio allestito dai NoTav nel territorio di Chiomonte, vicino al fortino-cantiere assediato nella notte tra sabato e domenica. In effetti alcuni gruppi di agenti in tenuta antisommossa si erano pericolosamente avvicinati al campeggio facendo scattare l’allarme, soprattutto perché erano accompagnati da una ruspa e da un idrante. Ma poi lo sgombero, fortunatamente, non c’è stato e dopo circa mezzora militari e blindati sono rientrati nel fortino.


lunedì 23 luglio 2012

Mettiamo Alonso in cassa integrazione a zero ore

Luciano Granieri


Navigando nella nottata di ieri su  internet  mi sono imbattuto in diversi giudizi di analisti e giornalisti economici che prevedevano il tracollo borsistico di oggi. Francamente non riuscivo a capire quali fossero gli eventi che alimentavano la convinzione in merito a tale catastrofe finanziaria che ha colpito in particolar modo Grecia,  Italia e Spagna. Poi riflettendo con calma ho realizzato.   In effetti il terremoto era inevitabile. Cominciamo dal pomeriggio. In quel di Hochenheim, pista nel nord del Land Baden-Wurtemberg Germania , Fernando Alonso, pilota spagnolo di Asturia, vince su Ferrari, una macchina italiana costruita da operai che per protesta contro Marchionne  stanno attuando lo sciopero degli straordinari. Alonso ha relegato al secondo gradino del podio  il pilota tedesco Sebastian Vettel, poi retrocesso al quinto posto, perché nel sorpassare Jenson Button, arrivato terzo, ha percorso un tratto di pista vietato, una striscia d’asfalto adibita alle emergenze  che guarda caso recava la scritta dello sponsor Santander,  finanziaria spagnola. Il guaio vero e proprio si è verificato all’arrivo quando, Fernando Alonso  sul podio, intervistato dalla vecchia gloria Niki Lauda, si diceva contento di aver vinto in Germania, lui pilota spagnolo a bordo di una macchina italiana, progettata da un’ingegnere greco. Che insolenza!. Già nel regno della Merkel si è avuto l’ardire di battere un pilota tedesco   con un driver  spagnolo a bordo di una vettura italiana, progettata da un greco, l’ingegnere Nicholas Tombazis, in più il pilota vincitore  sfotte pure e vuoi che lo spread lasci passare la cosa così senza reagire?  Ma non è finita trasferiamoci a Chicago, eh già le vicende della finanza non hanno confini. Nella città dell’Illinois,  la Roma, allenata dall’anticapitalista Zdenek Zeman batte in amichevole lo Zaglebie Lubin una squadra appena promossa nella serie  A polacca. Vanno a segno in sequenza: L’Italo argentino Osvaldo, raddoppia il  “greco di Nauplia” Panagiotis Thachtsidis, triplica l’argentino Eric Lamela e serve il poker lo spagnolo Bojan Krikic. E quando è troppo è troppo!!! La  squadra della capitale d’Italia, posseduta  come azionista di minoranza da una  banca che ha appena subito il declassamento di Moody’s, allenata da un anticapitalista, non può permettersi di  vincere nel paese gotha della finanza mondiale, grazie ai gol di due calciatori  nati in quell’Argentina che da tempo ha mandato a quel paese il Fondo Monetario Internazionale,  e alle segnature di un greco e uno spagnolo (ancora?) senza far innervosire, anzi, infuriare i mercati. Troppi anticapitalisti, troppi italiani,  troppo rosso, troppi spagnoli, troppi greci a umiliare i virtuosi tedeschi  e i loro fidi alleati, per evitare la vendetta dei mercati che infatti se la prendono con Spagna Grecia e Italia.  Ma super Mario Monti ha già preparato le contro misure : Lo sporting review. Per intercessione del suo grande amico Marchionne,  Monti provvederà a mettere in cassa integrazione gli operai  Ferrari fino alla fine del mondiale di F.1.   Montezemolo farà in modo che  il progettista greco Nicholas Tombazis  si dedichi ai disegni  della nuova Fiat Palio.  Le monoposto Ferrari F.2012 verranno equipaggiate dal motore a sogliola della vecchia 126   fino alla fine del campionato.  Grazie ai buoni uffici di banchieri amici, le azioni dell’AS Roma, oggi le uniche in rialzo, verranno declassate dalle agenzie di rating in titoli spazzatura, a meno che la dirigenza  non licenzi in tronco tutti i giocatori spagnoli, compresa quella pippa di Josè Angel, e l’insolente  calciatore greco Panagiotis Tachtsidis, che prima di essere cacciato con ignominia, dovrà subire anche punizioni corporali. Ovviamente la presenza in panchina di quell'  anticapitalista  di Zeman non è gradita. Il premier si dice convinto che quando lo “sporting review” approvato per decreto all’unanimità dal parlamento verrà presentato a Bruxelles, i mercati così nervosi torneranno calmi come se avessero trangugiato quintali di tranquillanti. Perché si sa i mercati hanno il cervello delicato, si innervosiscono per un nonnulla. Tornando seri, mi domando e vi domando, cos’altro dovrà accadere perché si prenda atto che non è più possibile farsi ridurre in povertà dal gioco perverso della speculazione finanziaria?  Non sarebbe ora di scendere in piazza? E’ già troppo tardi.

domenica 22 luglio 2012

Perché Monti ha fallito

Piero Bevilacqua. Fonte: “il manifesto” del 22/07/2012



È possibile fare un breve e disincantato bilancio del governo Monti? La prima, avvilente constatazione, è che in quasi 9 mesi di "riforme" e di "vertici decisivi" la montagna del debito pubblico italiano non è stata neppure scalfita. Anzi si è fatta ancora più alta e imponente. Il debito ammontava a 1.897 miliardi di euro nel dicembre 2011, oggi è arrivato a. 1.966. Dunque, la ragione fondamentale della nostra condizione di rischio, la causa causarum delle nostre difficoltà presenti e future si è ulteriormente aggravata. 
Lo spread si mantiene elevato e torna sui 500 punti. Il Pil - questo vecchio totem delle società capitalistiche - è nel frattempo diminuito e diminuirà ancora. Scenderà di oltre il 2% nel 2012. Dicono gli esperti che si riprenderà nel 213. Ma per quale felice congiunzione degli astri non è dato sapere. Qui, infatti, la scienza economica si muta in astrologia, dà gli oroscopi. L'elenco dei disastri non è finito. 
La disoccupazione è aumentata, quella giovanile in particolare. Per quella intellettuale in formazione il governo propone ora di aumentare le tasse universitarie, così potrà essere efficacemente ridotta... Una nuova tassa sulle famiglie italiane di cui occorrerebbe informare l'on. Casini, che ne è uno zelante difensore.
Nel frattempo le più importanti riforme realizzate dal governo incominciano a mostrare effetti indesiderati che pesano e peseranno sull'avvenire del Paese. Prendiamo la riforma delle pensioni, sbandierata dai tecnici al governo come lo scalpo di un mostro finalmente abbattuto. 
Pur senza considerare qui il grande pasticcio dei cosiddetti esodati, che pure costituisce un dramma inedito per migliaia di famiglie, la riforma appare come un'autentica sciagura economica e sociale. L' allungamento dell'età pensionabile ha già bloccato l'assunzione di migliaia di giovani nelle imprese. Vale a dire che essa impedirà l'ingresso nelle attività produttive e nei servizi di figure capaci di portare innovazione e creatività. Mentre riduce ulteriormente prospettive e speranze di lavoro alle nuove generazioni. Quale slancio può venire da una società se si chiede agli anziani di continuare a lavorare sino alla vecchiaia e ai giovani di aspettare, cioé di invecchiare senza lavoro? Ma le imprese dovranno tenersi lavoratori logorati e demotivati sino a 65 anni e oltre. Chiediamo: è questo un incentivo alla crescita della produttività, fine supremo di tutte le scuole economiche? E' facile infatti immaginare - salvo ambiti limitati in cui l'anzianità significa maggiore esperienza tecnico-organizzativa - che questi lavoratori saranno più facilmente vittime di infortuni, che contrarranno più malattie , si assenteranno per stress, ecc. Dunque peseranno sul bilancio dello stato, probabilmente in maniera più costosa che se fossero in pensione. Non meno fallimentare appare la riforma del lavoro della ministro Fornero. A parte la razionalizzazione di alcuni aspetti di una normativa ingarbugliata, essa ha peggiorato la condizione dei lavoratori occupati. Come hanno mostrato tante analisi pubblicate sul manifesto, questi sono oggi più ricattabili da un padrone che può licenziarli con maggiore facilità tramite un indennizzo monetario. Nel frattempo la giungla legislativa del lavoro precario non è stata cancellata. I giovani, pochi, che entrano nel mondo del lavoro fanno ingresso nel regno dell'insicurezza, non diversamente da quanto accadeva in precedenza. Ma quanta nuova occupazione creerà questa rivoluzione copernicana della supponente ministro? Perché le imprese straniere dovrebbero precipitarsi a investire nel nostro Paese, dove prevale una forza-lavoro anziana, le università e i centri di ricerca sono privi di risorse, la pubblica amministrazione è in gran parte inadeguata, illegalità e criminalità sono fenomeni sistemici, dove spadroneggia un ceto politico fra i più inetti e affaristici dell'Occidente? Questi ultimi due aspetti, ovviamente, non sono addebitabili al governo Monti, ma fanno parte ineliminabile del quadro nazionale di cui occorrerebbe tener conto. Ebbene, dove ci porterà questo governo nei prossimi mesi? Economisti e media continuano il loro estenuato ritornello: faremo riforme strutturali, la formula magica che dovrebbe dischiudere la spelonca di Alì Babà, deposito di immensi tesori. Quali riforme strutturali? Forse la nazionalizzazione delle banche, una tassazione stabile sulle transazioni finanziarie, il 3% del Pil destinato alla formazione e alla ricerca, la creazione di un sistema fiscale progressivo, una tassa stabile sui patrimoni, una grande legge urbanistica che protegga il nostro territorio e faccia vivere civilmente le nostre città? Niente di tutto questo. Le riforme strutturali sono state già fatte e sono quelle che abbiamo esaminato e ora la spending review, che avrebbe bisogno di tempi lunghi e di circostanziata conoscenza della macchina statale per non diventare un'altra operazione di tagli lineari. Quale di fatto è. Deprimerà ulteriormente la domanda aggregata, con quali effetti sul Pil ce lo comunicheranno nei mesi seguenti, invocando qualche altro vertice decisivo. Ma il repertorio pubblicitario è in realtà esaurito. Proveranno con la svendita dei beni pubblici, ma non avranno né il tempo né l'agio. Chi dice dunque, a questo punto, che il re è nudo, che il governo Monti ha fallito? Il fallimento è certo globale. Sono ormai cinque anni che le società industriali navigano nella tempesta e gli uomini di governo, che hanno salvato le banche dalla rovina, protetto i potentati finanziari da tracolli su vasta scala, sono ancora col cappello in mano a chiedere comprensione ai grandi speculatori, definiti mercati. Cinque anni nei quali si potevano separare le banche di credito dalle banche d'affari, bandire i prodotti finanziari ad alto rischio, riformare le agenzie di rating, regolamentare i movimenti di capitale, chiudere i paradisi fiscali, applicare la Tobin tax, ecc. Eppure niente è stato fatto. La finanza spadroneggia e il ceto politico ubbidisce, demolendo pezzo a pezzo, su suo ordine, le conquiste sociali del XX secolo. E chiama riforme strutturali questo cammino all'indietro verso il XIX secolo. In Italia non si è fatta eccezione. Ma oggi occorre aggiornare il quadro. Non si tratta più, per gli italiani, come alla fine dello scorso anno, di scegliere fra uno dei peggiori governi dell'Italia repubblicana e la strada di una cura severa e dolorosa, ma che alla fine ci porterà fuori dalla catastrofe. Oggi non si da più questa alternativa. Il governo Monti ha solo ritardato la discesa del paese nell'abisso per un comprensibile effetto psicologico. Oggi appare nella sua piena luce di «governo ideologico», come lo chiama Asor Rosa: esso è la malattia che vuol curare i sintomi, acuendo le cause che ne sono all'origine. E' l'ideologia che domina a Bruxelles. Lo abbiamo visto con la Grecia, lo stiamo osservando con la Spagna. Un medico che dovrebbe dare ossigeno al malato e continua a tagliare col bisturi. Prima il "risanamento" e poi la crescita è un vecchio ritornello, che oggi appare tragicamente fallimentare. La presente crisi, com'è noto ormai a molti, origina dalla sproporzione fra l'immensa ricchezza prodotta a livello mondiale e la ridotta capacità della domanda di attingerla. Troppe merci a fronte di redditi popolari stagnanti e in ritirata, sostenuti con il surrogato dell'indebitamento familiare. La politica di austerità, dunque, rende più grave la crisi perché ne ripropone e alimenta le cause. Premi Nobel come Stiglitz e Krugman lo vanno ripetendo da mesi, anche sulla stampa italiana. Forse qualcuno dovrebbe rammentare ai dirigenti del partito democratico che in autunno le condizioni economiche generali del paese saranno peggiorate. E che agli occhi degli italiani il perdurante sostegno a Monti finirà col rendere tale partito interamente corresponsabile di un fallimento di vasta portata. La sua prudenza e il suo tatticismo si trasformeranno in grave irresponsabilità. Perché la forza politica che dovrebbe costituire e aggregare l'alternativa, non solo di facce, ma anche di politiche economiche, apparirà irrimediabilmente compromessa. Parte indistinguibile del mucchio castale che ha fatto arretrare le condizioni generali del Paese. Un vuoto drammatico che, temiamo, la sinistra radicale non riuscirà a colmare e che indebolirà il tentativo di una nuova "rotta d'Europa": vale a dire l'alleanza con le sinistre europee per cambiare strategia, a cui gruppi e singoli intellettuali vanno lavorando da tempo. Appare a tal proposito molto significativo che un giornalista come Eugenio Scalfari, uno dei più convinti sostenitori del governo Monti nell'area liberal progressista, abbia preso le distanze con tanta eleganza, ma con tanta fermezza, nel suo editoriale su Repubblica del 15 luglio. Che abbia più fortuna di Stiglitz e di Krugman ?


I voti anticapitalisti assicurano la vittoria del capitalismo.

Luciano Granieri



 Ieri il Partito della Rifondazione Comunista di Cassino   è uscito dalla maggioranza  del sindaco Petrarcone di cui era parte passando all'opposizione .  Nel post precedente , riportiamo la dichiarazione di voto contraria al  documento di bilancio del consigliere di Rifondazione Vincenzo Durante. Nell’intervento ufficiale, Durante descrive tutte gli accadimenti politici che hanno progressivamente spinto  il Prc cassinate ad uscire dalla maggioranza. Tali accadimenti in gran parte concernono il non rispetto da parte della giunta comunale del programma con cui  la coalizione “Bene Comune” aveva chiesto il consenso agli elettori in occasione della campagna elettorale. Sullo sfondo  si stagliano accordi e alleanze con l’UDC,  forze originariamente estranee all’azione di governo del Comune e di posizioni antitetiche a quasi tutti punti del programma definito  dalla coalizione che ha supportato Petrarcone.  Programma alla cui definizione   il Partito della Rifondazione Comunista aveva recitato un ruolo propositivo importante. L’esito, nonostante il consigliere Durante abbia strenuamente lavorato per riportare l’azione della giunta sui binari della coerenza, non poteva essere che l’uscita del Prc dalla maggioranza avvenuto proprio in concomitanza del voto di bilancio. Seppur con modalità  e tempi diversi la situazione di Cassino è assimilabile a quanto è avvenuto a Frosinone nella giunta presieduta dall’ex sindaco Marini. Giova ricordare che  anche in quella giunta, Rifondazione era in maggioranza inserita  nell’aggregazione denominata “Lista la sinistra” comprendente anche il Pdci e i Verdi. E anche nelle vicende di quella giunta si consumò lo strappo di Rifondazione. Come detto  a fronte dello steso risultato, la cronologia  e la natura degli eventi fu molto diversa. Lo strappo con la maggioranza Marini  avvenne , non per mano dei rappresentati presenti in consiglio,  ma dal basso, sollecitato dai nuovi militanti iscritti al circolo Prc di Frosinone Carlo Giuliani, fra cui il sottoscritto.  Il tutto si consumò  quando, a seguito del perdurare di politiche antisociali della giunta  avvallate dal consigliere Smania, rappresentante Prc in consiglio,  fu  ormai palese che la presenza di rappresentanti all’interno della maggioranza  era del tutto inefficace nel difendere  i diritti di quegli  elettori che avevano concesso loro fiducia. Anche a Frosinone la delibera  di bilancio fu  l’oggetto del vulnus. Il documento  economico frusinate presentava molte analogie con quello di Cassino, ossia riportava una crisi debitoria dovuta a crediti ormai non  esigibili, o per i quali non si erano volute mettere in atto tutte le azioni necessarie per esigerli, e  prevedeva il recupero del deficit attraverso politiche di attacco ai servizi sociali. A differenza di Durante a Cassino, il consigliere Smania votò quel documento in aperto contrasto con la base e i militanti del su circolo , per cui dovette subire la sfiducia del suo  circolo,     Rifondazione  uscì dalla lista “La sinistra” e dalla maggioranza . Le vicende successive sono note.  A Ceccano invece, a seguito delle ultime elezioni, lo strappo di Rifondazione con la maggioranza risultata vincente anche grazie ai voti conquistati dal Prc si è consumato subito. Anche in questo caso per il comportamento del neo sindaco Manuela Maliziola che ha voluto inserire nella sua squadra un membro di una lista civica originariamente avversa alla coalizione vincente e con una visione politica del tutto antitetica al programma elettorale condiviso da Rifondazione. Era quindi inevitabile la rottura anche presso il comune di Ceccano con una consiliatura ancora da iniziare.  Queste tre vicende diverse fra di loro, ma dall’esito simile, confermano la bontà  della  mia scelta di essere uscito dal Partito della Rifondazione Comunista, ma soprattutto,  confermano la mia convinzione  che non è attraverso le elezioni o l’attività all’interno delle istituzioni che si possono ottenere i cambiamenti necessari per la difesa della dignità dei cittadini così come previsto dalla costituzione. Forse l’unico vantaggio nel partecipare ad una campagna elettorale è la possibilità di  sfruttare spazi di visibiità che in altri momenti sarebbero preclusi, ma null’altro. Oggi la dialettica politica all’interno delle istituzioni non si articola più fra maggioranza e opposizione ma si sviluppa sulla contrapposizioni fra gli interessi  delle diverse lobby che manovrano gli schieramenti, determinando scelte che mai sono a favore dei cittadini. Il fenomeno ha assunto proporzioni gigantesche negli ultimi anni, quando dietro tali comitati di affari  si sono celati i poteri della speculazione finanziaria. Da quando cioè le scelte della politica sono sempre più succubi dei potentati  finanziari  e della grande imprenditoria. Le conseguenze si sono rivelati devastanti per i cittadini di Frosinone i quali hanno visto progressivamente deteriorarsi le tutele sociali. L’allora opposizione di centrodestra non esercitò in modo significativo la sua prerogativa conflittuale a tali decisioni. Non a caso  ad oggi le stesse forze che, a seguito delle elezioni vinte, sono diventate maggioranza, mostrano di voler seguire le stesse linee delle precedenti amministrazioni di colore diverso. Questo perverso gioco della parti,  comporta anche la compartecipazione, consapevole o inconsapevole, dei partiti cosiddetti  della sinistra radicale, i quali vengono usati per attrarre quella manciata di voti popolari  che serve alla coalizione  lobbistica di turno  per vincere le elezioni. Imbrogliando l’elettorato si concede a queste aggregazioni, che dovrebbero fare gli interessi del popolo,  alcuni punti programmatici orientati verso la promozione sociale, e verso politiche ridistributive, salvo poi, una volta ottenuto il risultato, fare carta straccia di queste promesse.  Le conseguenze presso i  “sinistri radicali” portatori d’acqua  e  di voti anticapitalisti al capitalismo, sono devastanti per loro  ma del tutto innocue per il potere . O si resta in maggioranza, tradendo il mandato dei propri elettori o si va in minoranza, o si esce dalla giunta. In ogni caso la tendenza alla scomparsa sarà sempre più incombente.  Quando i COMUNISTI capiranno che è ora di smetterla di partecipare ad un gioco, quello elettorale, che li vede sempre perdenti e sfruttati dal potere capitalistico e finanziario, quello sarà il momento in cui  il vento rivoluzionario potrà iniziare a soffiare. Purtroppo anche io l’ho capito tardi.