Il
movimento-azienda e l’assenza di democrazia
Innanzitutto
sfatiamo un mito: il Movimento non nasce dal basso, dalla "libera associazione
dei cittadini sulla Rete", ma da una pianificazione aziendale condotta da uno
che di marketing se ne intende. Parliamo ovviamente di Gianroberto Casaleggio,
fino a poco tempo fa capo occulto del Movimento, venuto alla ribalta dopo le
dichiarazioni fuori onda di Giuseppe Favia (1). Favia si lamentava della
gestione verticistica messa in atto da Casaleggio, “una mente freddissima”, il
vero pianificatore di tutte le strategie del Movimento, dal blog di Grillo (di
cui è fondatore) al Meetup, dall’organizzazione del primo V-day all’adesione
data al referendum del 2011.
Per Favia è impensabile che Grillo possa
aver pianificato tutto questo, perché Grillo è un “istintivo”. Ma chi è
Casaleggio? Uno dei massimi esperti di comunicazione e marketing via Internet in
Italia, ex-amministratore delegato di Webegg Spa, un’azienda di consulenza in
mano a Tronchetti Provera e Pirelli. Successivamente, nel 2004, Casaleggio fonda
la sua Casaleggio Associati: Strategie di Rete. E lavora per clienti come
JPMorgan, PepsiCo, Marriot, American Financial Group, Bnp Paribas, Ibm, Best
Western (come si legge sulla brochure del sito). Teniamolo a mente
quando ascoltiamo le invettive di Grillo contro le multinazionali.
Politicamente Casaleggio è un ex
simpatizzante della Lega e di Bossi; nel 2005 incontra Beppe Grillo e insieme
decidono di fondare il blog che nel giro di poco tempo diviene uno dei siti
internet più visti in tutto il mondo (2). Dietro al successo del Movimento
dunque c’è una pianificazione a tavolino, condotta con intelligenza aziendale e
spiccato acume per gli affari, un campo in cui Casaleggio è esperto. In quanto
proprietario del logo, inoltre, Casaleggio si comporta come padre padrone del
Movimento (ce lo ricorda ancora Favia), ha i suoi informatori, bisogna stare
attenti a quel che si dice, altrimenti si rischia l’isolamento e l’espulsione (a
partire dal caso Tavolazzi con cui, secondo Favia, si è voluta bloccare una
protesta iniziata sul web contro la gestione Casaleggio da parte degli
attivisti).
Molto interessante risulta essere a
riguardo, l’inchiesta condotta da Antonio Amorosi, di Affaritaliani.it,
sull’intreccio tra il modello aziendale di Casaleggio e il Movimento cinque
stelle (3). Ci sono non poche corrispondenze, infatti, tra i dieci comandamenti
aziendali della Webegg Spa (la società comandata da Casaleggio a partire dal
2000) e le regole del Movimento: assenza di competitività interna, che ricorda
la regola “uno vale uno”; teamwork, un sistema di lavoro per gruppi
funzionali che ricorda il Meetup, dove gli attivisti si aggregano per singoli
temi; oppure la “responsabilità sul risultato” che evoca le semestrali dei
grillini dove i cittadini confermano o meno la fiducia ai consiglieri eletti. O
ancora la “produzione continua di business” o l’importanza del
“divertimento” (magari nelle vesti di un comico genovese!).
Secondo Mauro Cioni, project
manager della Webegg, gli stessi che lavoravano per Webegg, per Casaleggio,
adesso lavorano per la Casaleggio Associati, dietro il Movimento grillino. Anche
la prima aggregazione di cittadini intorno a Grillo, il Meetup di Milano, nasce
da un dipendente della Casaleggio Associati, ex-Webegg, Maurizio Benzi, nel
giugno 2005; un mese dopo Grillo propone Meetup come piattaforma di aggregazione
agli attivisti del Movimento. Sembra proprio dunque che il Movimento cinque
stelle sia la riproduzione del modello di business messo in piedi da Casaleggio,
ispiratosi a sua volta al modello delle web-company americane.
In questo senso, il fenomeno Grillo, può
essere inteso come un’ulteriore tappa del processo di aziendalizzazione della
politica (non solo nella sostanza ma anche nella forma). Se negli anni Novanta
Berlusconi porta il modello televisivo in politica, oggi Casaleggio ha
introdotto la Rete, divinizzandola alla stregua di un feticcio, come veicolo
principale di consenso (4). Il grillismo, come il berlusconismo, nasce prima
come azienda, poi diventa partito (anche se si continua a negarlo). Con una
importante e pericolosa differenza: il grillismo infatti si presenta come un
fenomeno di protesta e di opposizione ai poteri forti, e dunque rappresenta
un’aziendalizzazione del dissenso, un modo per convertire la giusta indignazione
di larghe fasce della società in una subdola operazione di marketing.
Ideologia, programma e gruppi sociali di riferimento
Dalla forma aziendale impressa al Movimento discende una
visione della politica estremamente “tecnica”: il problema posto non è l’ordine
sociale nella sua struttura fondamentalmente diseguale, bensì il come
viene gestito questo ordine ritenuto immutabile.
La svolta della politica si esaurisce a una
rimodulazione della pratiche di gestione dell’esistente, non in un suo
sovvertimento. Sostituire i vecchi politici corrotti (la "Casta"), con volti
nuovi, con “cittadini” puliti e onesti. Questa concezione, la riduzione del fare
politica a un tecnicismo gestionale (che peraltro caratterizza anche il montismo
e le formazioni che lo hanno sostenuto), si comprende dalle stesse dichiarazioni
dei grillini eletti. Giuseppe Favia, quando fu eletto in Emilia Romagna,
dichiarò di voler essere il Co.co.pro. dei cittadini (i politici come
“dipendenti a progetto” della società).
Tecnicismo e cittadinismo sono i corollari
di un programma interclassista, che mescola in un polverone indifferenziato
varie istanze anche contrapposte. Se ci addentriamo nei venti punti proposti da
Grillo nella campagna elettorale (5) troviamo rivendicazioni che si indirizzano
prevalentemente verso quel ceto medio impoverito dalla crisi e che non regge la
concorrenza dei grandi colossi dell’industria e del commercio: si va dalla
richiesta di “misure immediate per il rilancio della piccola e media impresa”
alla rivendicazione di una “semplificazione dello Stato” (non si capisce se
questo significa procedere nelle liberalizzazioni berlusco-bersaniane), dallo
stop ai pignoramenti delle case all’abolizione di Equitalia (che per quanto
possa attrarre significative masse indebitate, potrebbe risultare un netto
peggioramento nel caso si voglia procedere alla privatizzazione dell’esazione
fiscale).
Un punto fondamentale è l’attacco contro
l’Unione europea e l’euro, declinato in senso nazionalista: tornare alla lira e
svalutarla così da salvaguardare gli interessi del capitalismo nazionale e
scapito della concorrenza straniera che soffoca la piccola impresa. Sulla scuola
pubblica, Grillo rivendica il riassorbimento dei tagli ma non propone nessun
modello alternativo: anzi, ha rivendicato l’abolizione del valore legale del
titolo di studio (storica battaglia berlusconiana) che significherebbe un
inasprimento della competizione tra poli universitari e la separazione classista
tra università di serie A e università di serie B (6). In tema di lavoro, il
carattere reazionario del movimento si esprime con più nettezza: Grillo ha
portato avanti un attacco deciso contro "i partiti" in generale (quindi anche
contro i partiti del movimento operaio) e ha dichiarato di voler abolire i
sindacati.
Il modello economico che sembra voler
prediligere è la cosiddetta economia sociale di mercato che caratterizza
l’assetto tedesco: un modello di cogestione che non va minimamente a intaccare
la proprietà privata delle aziende ma che anzi fa in modo di accentuare
l’integrazione della classe lavoratrice nelle dinamiche aziendali bypassando le
organizzazioni sindacali.
Un’altra questione cruciale posta è il
“reddito di cittadinanza”: non si capisce però in cosa esso consista, se sia un
reddito minimo, un sussidio, quali i destinatari. L’unica cosa certa è come sarà
finanziato: Grillo ha affermato che i soldi si ricaveranno dal taglio delle
pensioni e di (tutti) gli stipendi pubblici (!).
Altra cosa: sulla riforma Monti-Fornero che
smantella i diritti dei lavoratori, nel programma di Grillo non si dice nulla. A
chiarire la posizione ci pensa la neoeletta capogruppo del Movimento alla
Camera, Roberta Lombardi, quando ha definito l’articolo 18
un’aberrazione: “Pensare di poter reintegrare un lavoratore nel posto
di lavoro da cui è stato licenziato senza giusta causa o giustificato motivo è
secondo me un’aberrazione e crea uno stato di tensione maggiore tra datore di
lavoro e lavoratore stesso” (7). La stessa Lombardi peraltro aveva intessuto
qualche giorno prima un elogio del "fascismo buono” che a suo dire “prima che
degenerasse aveva una dimensione nazionale di comunità attinta a piene mani dal
socialismo, un altissimo senso dello stato e la tutela della famiglia”. Se a
questo ci aggiungiamo l’apertura di Grillo a Casa Pound durante la campagna
elettorale (con la giustificazione che “l’antifascismo non mi compete”) possiamo
comprendere come questo supposto superamento della dicotomia destra-sinistra
finisce al contrario per assumere una piega profondamente reazionaria. Questo
spiega anche l’avvicinamento al Movimento di settori dell’imprenditoria del
Nord-est tradizionalmente vicini alla Lega Nord: secondo l’analisi condotta sui
flussi elettorali, un terzo dei voti persi dalla Lega si sarebbe indirizzato
proprio verso Grillo. Grillo stesso ha strizzato più volte l’occhio
all’elettorato leghista (vedasi come esempio la presa di posizione contro la
cittadinanza ai figli degli immigrati). Secondo le analisi dell’Istituto
Cattaneo, i grillini avrebbero attinto il 13% dei voti a Bologna dalla destra
radicale, il 10% a Torino.
Qualche appunto storico e alcune previsioni di sviluppo
Con questo non vogliamo etichettare il Movimento cinque
stelle come "fascista" o "fascistoide", ma evidenziare una certa comunanza nei
gruppi sociali rappresentati e conseguentemente nelle parole d’ordine avanzate.
Anche il fascismo nasce come fenomeno di
protesta della piccola borghesia impoverita all’indomani della Grande guerra, si
scaglia a parole contro banche e potere finanziario (la "plutocrazia"), contro
la casta politica dell’allora Partito liberale, per poi scendere a compromesso
con il grande capitale, cestinare le poche rivendicazioni “progressiste”
presenti nel programma iniziale, e sposare in pieno gli interessi dei grandi
potentati industriali (Agnelli e co.), divenendo un ariete contro i partiti e le
strutture del movimento operaio. L’ascesa del nazismo in Germania non è
dissimile: uno scenario di crisi e impoverimento generale, una radicalizzazione
delle classi medie impoverite, un programma contro le banche e le potenze
straniere, poi l’ascesa al potere e il compromesso con il grande capitale; l’ala
"sinistra" del movimento sterminata (la Notte dei lunghi coltelli) e
l’amministrazione ubbidiente degli affari dei Krupp e dei grandi capitalisti
tedeschi.
La piccola borghesia nelle sue varie
manifestazioni storiche ha sempre iniziato sostenendo un programma e finito
sostenendone un altro (di grande utilità si rivelano le analisi condotte da
Trotsky sul fascismo negli anni Trenta, che sarebbe utile riprendere in mano).
In realtà, riguardo
al grillismo così come si dà oggi, paralleli storici al momento più appropriati
possono essere il peronismo argentino, come grande movimento populista di massa,
o il Poujadismo (8) nella Francia degli anni Cinquanta, da cui successivamente
emerse il Fronte Nazionale di Le Pen.
Ma tutte queste analogie devono essere
sempre prese con le pinze: lo sviluppo del Movimento cinque stelle è in
progress, la sua tenuta e l’evolversi del programma dipenderanno molto
dall’avventura parlamentare: rapporto tra eletti e Grillo-Casaleggio,
atteggiamenti nei confronti delle altre forze politiche, dichiarazioni ecc.
Sicuramente la scelta come capogruppo dei
grillini della già citata Lombardi, apertamente schierata (a destra), non è un
caso: può rappresentare il primo passo verso una svolta apertamente reazionaria
che si sbarazzi delle pur minime rivendicazioni progressiste avanzate in
precedenza. Il problema che rende difficile sviluppare previsioni sta nel fatto
che il blocco sociale rappresentato dal Movimento è ancora in formazione, non è
ancora chiaramente caratterizzabile e non si è ancora consolidato. Inoltre,
anche dal punto di vista propriamente politico bisognerà vedere come si
risolveranno alcune questioni organizzative: il movimento si costituirà come
partito? riuscirà a consolidarsi sul territorio reale oltre che su quello
virtuale?
Molti si chiedono se ci saranno subito nuove
elezioni; in realtà sarebbe più vantaggioso per Grillo conservare l’attuale
assetto e prendere tempo per risolvere le suddette questioni. Infatti il
consenso per il Movimento è in continuo aumento (dalle elezioni a oggi è già
cresciuto di altri tre punti percentuale) e se si andrà subito a votare, Grillo
rischia davvero di arrivare primo, senza però essere capace di gestire la
situazione, e rischiando di provocare l’implosione del Movimento stesso.
Oltre a questo, ci sono da considerare i
fattori oggettivi: l’andamento della crisi e lo sviluppo o meno di un forte
conflitto sociale anche nel nostro Paese. Quest’ultimo fattore è fondamentale
per comprendere il successo di Grillo e l’ostacolo che esso rappresenta per le
lotte della classe lavoratrice che pure, in vasti settori, lo ha sostenuto alle
elezioni.
Il
grillismo come calmiere del conflitto sociale e il problema della
direzione
In questi giorni si parla tanto sul web e su alcuni
giornali della decisa presa di posizione del collettivo letterario dei Wu Ming
(9) contro il grillismo.
Sulla rivista Internazionale, i Wu
Ming scrivono: “L’M5s amministra la mancanza di movimenti radicali in Italia.
C’è uno spazio vuoto che l’M5S occupa… per mantenerlo vuoto. Nonostante le
apparenze e le retoriche rivoluzionarie, crediamo che negli ultimi anni il
Movimento 5 stelle sia stato un efficiente difensore dell’esistente. Una forza
che ha fatto da 'tappo' e stabilizzato il sistema” (10). Sul loro blog, Giap, i
Wu Ming sostengono che il grillismo rappresenta la causa e la conseguenza della
crisi di movimenti radicali in Italia. Il M5s nascerebbe dunque dalle macerie
del movimento altermondialista in particolare, delle quali rivendicazioni Grillo
si sarebbe impossessato all’inizio, per poi cestinarle e sostituirle con il più
morbido discorso contro "la casta".
Anche il rapporto con gli altri movimenti è
molto contraddittorio: il grillismo cerca di pilotare, con successo, il
movimento contro la Tav (basti pensare che ha raccolto il 48% dei consensi in
Val di Susa), mentre allo stesso tempo fa appello al giustizialismo etico e
all’esaltazione della legalità. Grillo cerca di mettere il cappello a tutte le
mobilitazioni nate in questi anni per deviarle e inquadrarle in un discorso
interclassista che poco a poco sta assumendo tratti reazionari. Grillo è
riuscito nel corso di questi anni ad appropriarsi anche delle istanze del
movimento a difesa dell’acqua bene comune e a difesa dell’ambiente. Scrivono i
Wu Ming: “La nascita del grillismo è una conseguenza della crisi dei movimenti
altermondialisti di inizio decennio. Man mano che quel fiume si prosciugava, il
grillismo iniziava a scorrere nel vecchio letto. Nei primi anni, i liquidi erano
ancora 'misti', e questo ha impedito di vedere cosa si agitava nel miscuglio,
oltre ad attenuare certe puzze. In seguito, la crescita tumultuosa del M5S è
divenuta a sua volta una causa – o almeno una concausa importante – dell’assenza
di movimenti radicali in Italia (…) Non c’è lotta 'civica' su cui il M5S non
abbia messo il cappello, descrivendosi come suo unico protagonista. Temi,
rivendicazioni e parole d’ordine sono stati cooptati e rideclinati in un
discorso confusionista e classicamente 'né-né', cioè che si presenta come oltre
la destra e oltre la sinistra” (11).
La posizione dei Wu Ming, che si potrebbe
definire come una caratterizzazione del grillismo come calmiere della lotta di
classe e parassita dei movimenti, è condivisibile ma incompleta. Infatti non si
spiega il fallimento di tutti i movimenti citati e non si offre una prospettiva
concreta aldilà dell’infantile slogan del “tifare rivolta” nel M5S. Quello che
manca nell’analisi dei Wu Ming è la questione della direzione dei movimenti. Una
questione occultata perché non conforme all’identità politica di questo
collettivo letterario, affezionato all’autorganizzazione e al pregiudizio nei
confronti di qualunque direzione. La realtà è che se Grillo ha potuto
strumentalizzare i pochi movimenti sorti in Italia in questo periodo, in un
quadro di mancanza di conflitti radicali, questo è accaduto proprio perché
è mancata e manca tuttora una direzione politica realmente rivoluzionaria. Il
movimento altermondialista in Italia è stato un nulla di fatto proprio perché
alla sua guida c’erano da una parte Rifondazione comunista, che usava le
mobilitazioni come trampolino elettorale, e dall’altra le Tute bianche, che
giocavano con le forze dell’ordine ed erano dedite alla rappresentazione
scenografica di un scontro mimato. Grillo si è nutrito anche del tradimento del
riformismo e della mancanza di una sinistra di classe. Tematiche come la difesa
dell’acqua pubblica, la lotta No Tav, la critica della casta, avrebbero dovuto
convergere su una piattaforma rivoluzionaria e anticapitalista. Se questo non è
avvenuto e si è lasciato il campo alla falsa rivoluzione a cinque stelle, ciò è
in gran parte dovuto alla capitolazione di tutta la sinistra riformista, alla
sua compromissione con la grande borghesia e con la sua "casta" politica.
Promuovere e unificare le vertenze del mondo
del lavoro, collegarle alle istanze dei movimenti, sviluppare un programma di
rottura rispetto alle logiche di mercato, ricostruire nelle lotte un partito comunista rivoluzionario, internazionale, un sindacato di
classe e di massa: tutto questo è necessario per far saltare il “tappo” con cui
Grillo e Casaleggio impediscono un reale sovvertimento del sistema
capitalistico. Questo faremo a partire dalle mobilitazioni del prossimo periodo,
cercando di guadagnare a questa prospettiva anche quei lavoratori e giovani
attivisti che oggi sostengono il grillismo ma che sono in cerca di una
prospettiva alternativa a questo sistema e ai suoi
difensori (di ogni genere). Una prospettiva che certo non è quella di Grillo e
Casaleggio e che potrà essere costruita solo dalle masse in lotta e dai
rivoluzionari.