sabato 7 settembre 2013

Da una scarpetta rossa può nascere un fiore

Luciano Granieri


“L’arte contro il femminicidio” è l’evento organizzato dalla rete la Fenice con Bonaviri, l’Associazione Collettivocinque con Maccotta, e  il contributo di altre realtà associative, intellettuali, artiste-i. Nel dettaglio domenica 22 settembre  presso la Villa Comunale di Frosinone, si svolgeranno nel corso di tutta la giornata  una serie di eventi culturali  e artistici legati al tragico tema del femminicidio.

E’ un primo passo quanto mai necessario per sensibilizzare un’opinione pubblica che per retaggi culturali è refrattaria alla corretta comprensione di un vero e proprio allarme sociale. L’iter di conversione  del decreto legge sulla materia  inviato alle camere dal consiglio dei ministri, con la Camera dei deputati semi deserta nella convocazione del 20 agosto,   e  gli insulti volati da esponenti della lega, del Movimento 5 Stelle all’indirizzo del  presidente della Camera Laura Boldrini,  danno la dimensione di quanto spinosa sia la questione.

Quando si tende a minimizzare un problema ad esorcizzarlo, significa che se ne ha paura, si mette in atto quasi una campagna negazionista. Ma perché a parole il femminicidio è aborrito da tutti poi, nei fatti, quando si prova a chiedere un impegno concreto contro tale orrendo crimine, proliferano distinguo e titubanze?  La risposta è quanto mai semplice, perché la questione investe il problema mai risolto della differenza di genere. La pari dignità umana fra uomo e donna esiste solo in teoria, ma nella pratica sconta pregiudizi culturali sedimentati in millenni  di organizzazione patriarcale della società. A questa si è sovrapposto il pesante fardello costituito  dalla ferrea determinazione dei ruoli specifici fra generi  insiti nella famiglia borghese.

E’ infatti l’organizzazione familiare classica  della borghesia cattolica  che, in virtù della sua funzione di organizzazione sociale intermedia fra il potere e i cittadini ,  ha definitivamente sancito nel corso dei decenni  la differenza di genere, condannando la donna a soccombere rispetto al maschi e a subirne la tirannia.
Sin dalla nascita certi ruoli sono già ben definiti come riproduzione dell’ideologia dominante  borghese maschilista. Se nasce un  maschio il papà si riempie di orgoglio perché la sua schiatta può sopravvivere, il seme non si perde, sull’erede    sono riposte le speranze affinchè raggiunga quei traguardi che il  genitore  non è riuscito ad ottenere. Se nasce una femmina ci si consola pensando che le donne restano in casa, si occupano dei figli e su di loro si può contare per l’assistenza nella vecchia.

La scelta di giocattoli è predeterminata, al maschio si regaleranno, pistole, robot, finti arnesi da lavoro e auto modelli, la femmina dovrà invece giocare con bambole, pentoline, piccoli articoli per toilette. La famiglia ha la necessità di assegnare ai nuovi nati ruoli funzionali al rispetto del modello imposto dall’ideologia dominante,  che nel secolo scorso, ma anche oggi, pur con le diverse declinazioni imposte dalle accelerazioni ultra liberiste è quello borghese.
In realtà l’ingresso prepotente della tirannia del mercato nell’organizzazione della società, ha prodotto ancora più sconquassi nella determinazione della condizione femminile. La sottomissione della attività umane alla dittatura del Pil, ha determinato la necessità per la donna di trovarsi un lavoro retribuito, ossia di diventare soggetto produttivo, oltre  che riproduttivo.

Nel contempo però, le attività inerenti alla cura dei figli, della casa, sempre in nome del retaggio culturale borghese, pur in presenza di una organizzazione familiare maggiormente rarefatta,  non sono mai passate di mano, sono sempre rimaste prerogativa del genere femminile il quale si è ritrovato ad assolvere compiti produttivi e riproduttivi insieme con un’imponente aggravio di stress fisico e mentale. Oppure a subire lancinanti sensi di colpa nel caso in cui l’attività lavorativa retribuita, sostituisse completamente l’attività di cura delle persone. Come se il lavoro anziché elemento di emancipazione per la donna  fosse causa di vergogna perché  la distoglie   dai ferrei compiti a lei assegnatigli dal modello borghese.
Inoltre la stagione ultra liberista, iper -consumista ha spostato i valori di stima della persona, dalla qualità del soggetto alla quantità degli oggetti che  possiede,  di conseguenza  gli oggetti acquistano valore in quanto strumento di esaltazione della propria autostima. Si vale per ciò che si ha e non per quello che si è.

In questa ottica, grazie a  martellanti operazioni di mistificazione culturale orientate alla mitizzazione del possesso, si è spacciato un processo di oggettivizzazione della donna come emancipazione femminile. Ossia se la donna per i motivi che ho descritto prima non può essere stimata come soggetto, può sicuramente essere apprezzata come oggetto. In pratica viene valorizzata come mezzo utile all’autostima del maschi che la possiedono.  
Essa si apprezza secondo un valore puramente commerciale che spesso costa molto, anzi più costa e più esalta le doti di chi la possiede. Da qui   si realizza  il successo anche economico di una donna che vende il suo corpo all’uomo, come fosse merce. Questa  non è emancipazione, è ulteriore deterioramento della dignità umana che si sminuisce   attraverso il degradarsi da soggetto a oggetto.Tale dinamica purtroppo è ormai acquisita, è sedimentata,  è divenuta senso comune anche per colpa di  molte donne che  hanno accettato il nuovo stato e anzi cercano il successo attraverso questa dinamica, che è assurta ad entità valoriale all’interno della stessa famiglia. Quanti genitori  spingono le figlie a mostrarsi, a partecipare ai provini delle immonde trasmissioni televisive che hanno inquinato e devastato lo sviluppo culturale della società’.

Ma un oggetto, per quanto prezioso possa essere, è sempre un oggetto, un entità  completamente succube della persona che lo possiede. Un oggetto non si ribella, un oggetto si può buttare via quando non serve più e la cosa non è immorale. Ecco perché l’uomo che riceve un rifiuto da una donna, percepita come oggetto di sua proprietà,  non lo accetta. Una donna oggetto, può essere buttata via quando diventa obsoleta, quando stanca. La cosa non è immorale. Ecco quindi la reazione violenta al rifiuto.

Infine a questi aspetti si aggiunge una profonda modificazione dei rapporti relazionali interpersonali.  Ovvero la consuetudini di affermare le proprie ragioni non dimostrandone, secondo logica,  la bontà, ma semplicemente urlando più di chi queste ragioni contesta e ne propone di alternative. Negli scambi dialettici  si impone, non chi riesce a dimostrare la giustezza delle proprie idee,  ma chi urla di più, chi sovrasta gli altri con i decibel   dalla propria voce, chi di fatto usa atteggiamenti prevaricanti e violenti. E qui si chiude il cerchio.
Su un’atavica concezione di inferiorità femminile imposta dal retaggio patriarcale e dall’organizzazione borghese della collettività , si sovrappone l’oggettivizzazione mercificante del corpo femminile frutto avvelenato della società consumistica, e l’uso sistematico e acquisito della violenza come unico modo di imporre la propria volontà.

In questo quadro l’approvazione di una legge, pur sacrosanta, non è sufficiente. Le azioni da mettere in campo dovevano essere assolutamente rivoluzionarie.   Lasciare liberi i bambini di scegliere con quali giochi trastullarsi. Forse ad un maschio poteva capitare di divertirsi più con le pentoline e a una femmina di preferire le automobiline. Non sminuire le attività riproduttive rispetto a quelle produttive. In una società basata sul benessere e non sul pil, la cura delle persone e dell’ambiente  è altrettanto importante se non più importante dell’acquisizione di un reddito.  Entrambi  i generi debbono essere ritenuti in grado di espletare con un uguale dignità sia l’una che l’altra funzione.  Combattere l’individualismo sfrenato tipico delle società ultra liberiste. Un individualismo che coinvolge in maggior misura l’egolatria e il machismo maschile, a fronte della mercificazione del corpo femminile. E infine ricondurre i rapporti interpersonali nel solco del reciproco ascolto e del reciproco rispetto.


E’ utopia? Forse si, intanto cominciamo a promuovere e ad aderire a manifestazioni come quelle di domenica prossima alla Villa Comunale organizzata dalla rete la Fenice e dal Collettivocinque, chissà dalle scarpette rosse può nascere un fiore.

Brasile, sciopero del 30 agosto

Dalla Redazione di Opiniao Socialista
(settimanale del Pstu, sezione brasiliana della Lit-Quarta Internazionale)



La giornata nazionale di sciopero avrebbero potuto avere effetti ancora maggiori se non ci fosse stato il boicottaggio della Cut [il sindacato legato al Pt di Lula e al governo, ndt].
La giornata nazionale di lotta e paralisi indetta dai sindacati per il 30 agosto ha scosso il Paese. Paralisi, totali o parziali, blocchi di strade e viali, manifestazioni pubbliche hanno caratterizzato la giornata, mostrando che, quasi tre mesi dopo l'esplosione delle proteste di giugno che sorpresero il Brasile, persiste la disponibilità delle masse popolari alla lotta, soprattutto tra i lavoratori. La giornata di sciopero si pone dunque in continuità con quella dell'11 luglio, che mostrò l'ingresso in scena della classe operaia nelle manifestazioni, con le sue organizzazioni e i suoi metodi di lotta, facendo registrare una ascesa delle lotte.
Il 30 agosto è stato caratterizzato da mobilitazioni di settori di peso come i metalmeccanici, i minatori, i lavoratori dell'edilizia civile, del petrolio, gli impiegati pubblici e i giovani. L'adesione dei lavoratori del trasporto pubblico è riuscita a fermare, per almeno qualche ora, sette capitali [il Brasile è una federazione di Stati, ndt]: Fortaleza, Salvador, Natal, Belo Horizonte, Porto Alegre, Sao Luis e Palmas. A São José dos Campos, importante polo industriale all'interno dello Stato di San Paolo, si sono fermati almeno 27000 operai di 25 fabbriche, tra cui i lavoratori della General Motors. Hanno incrociato le braccia anche i lavoratori metalmeccanici della zona di Minas, e i minatori del complesso Csn (Compagnia Siderurgica Nazionale).
I lavoratori del petrolio hanno fermato le raffinerie, come la Cubatão (San Paolo) e la Comperj (Complesso Petrolchimico di Rio de Janeiro).  A Santos, i manifestanti hanno bloccato l'ingresso della città, e l'autostrada Anchieta. I lavoratori dell'edilizia civile hanno svolto un ruolo importante, come a Belem e Fortaleza. Il 30 ha fatto inoltre registrare importanti mobilitazioni fra i dipendenti pubblici, tanto federali quanto statali e locali, provenienti da diverse zone, soprattutto lavoratori dell'istruzione.
La giornata di mobilitazioni non ha unificato soltanto le diverse categorie, la maggior parte delle quali sta cominciando o ha già cominciato una battaglia per il salario, ma anche diversi processi di lotta in atto in varie parti del Paese. Nel Rio Grande del Nord, ad esempio, i lavoratori della sanità, dell'istruzione e della pubblica sicurezza hanno fatto uno sciopero massiccio confluito nel movimento " Via Rosalba!", finalizzato alla cacciata della governatrice, che sta facendo sprofondare lo Stato nel caos più totale.
Qualcosa di simile si è verificato anche a Río de Janeiro, dove una massiccia mobilitazione del settore dell'educazione si è unita alla serie di manifestazioni contro il governatore Sergio Cabral (Pmdb) e la violenza della polizia, espresse principalmente nello slogan che si è diffuso per il  Paese: "Dov'è Amarildo?" [Abitante di una favela arrestato e fatto sparire dalla polizia, nda].

Giugno è ancora vivo
Proprio come è avvenuto l'11 luglio, è quasi impossibile che qualcuno in questo Paese non abbia percepito, o almeno letto sulla stampa, le conseguenze di questa giornata di mobilitazioni. Esse mostrano che l'impegno alla lotta continua più forte che mai, a quasi tre mesi dall'ondata di manifestazioni che aveva interessato il Paese. E rivela inoltre come i problemi per cui si scese allora in piazza persistano .
"I lavoratori sono scesi in piazza, in questa giornata, per esigere il cambio di questo modello economico, la fine dei tagli allo Stato sociale, l'accantonamento del progetto legislativo 4330 [precarizzazione del lavoro, ndt], la fine delle concessioni petrolifere, in breve, un cambiamento completo della politica attraverso cui il governo soddisfa tutte le richieste delle banche e del padronato peggiorando le condizioni di vita del proletariato brasiliano", dice José Maria de Almeida (Zé Maria), dirigente della Csp-Conlutas [il principale sindacato di base del Brasile e dell'America Latina, in cui hanno un ruolo di primo piano i nostri compagni del Pstu, ndt] e nota figura pubblica del Pstu [la sezione brasiliana della Lit-Quarta Internazionale, di cui il Pdac è sezione italiana].

Il boicottaggio della Cut
Purtroppo, la direzione della Cut, che aveva già impresso una frenata alle manifestazioni, in seguito a una manovra del governo federale che aveva promesso l'apertura di una trattativa intorno ad alcune rivendicazioni, per deviare e fare estinguere le proteste, non ha mobilitato la sua base e in alcuni luoghi ha boicottato gli scioperi e le manifestazioni. Nella regione dell'Abc, il sindacato non si è mobilitato a supporto dello sciopero dei lavoratori del settore metallurgico. Anche a San Paolo, dove dirige la categoria dei bancari, non ha indetto alcuna assemblea per promuovere un blocco nel settore. A Rio de Janeiro, la Cut ha boicottato la manifestazione unitaria, che ha coinvolto 3000 persone.
Purtroppo, questa posizione della Cut, volta ad evitare ulteriori problemi al governo federale, ha impedito che il 30 agosto potesse avere effetti ancora maggiori.

Il ruolo della Csp-Conlutas
D'altra parte, è impossibile analizzare questa giornata di mobilitazioni senza parlare del ruolo svolto dalla CSP-Conlutas. Anche se minoritaria, è stata di fondamentale importanza in questa giornata di lotta, avendo bloccato non solo i settori che dirige, come gli operai dell'edilizia civile di Fortaleza e Belem, o i lavoratori del settore metallurgico di São José e di Minas, ma dando sostegno alla mobilitazione dei lavoratori, come nel caso ad esempio di Recife, dove ha contribuito a paralizzare i trasporti stradali.
E ' importante adesso puntare alla continuità della lotta, mettendo alla prova le dirigenze sindacali affinché mobilitino le loro basi, senza accettare accordi al ribasso, così come quello che il governo vuole imporre in ambito pensionistico. E' inoltre essenziale, in questo processo, rafforzare le reali alternative di lotta, come la CSP-Conlutas e Anel (Assemblea Nazionale degli Studenti Liberi, uno dei principali sindacati studenteschi del Brasile, federato alla Csp Conlutas, ndt), la cui importanza è risaltata in questo 30 agosto.

(traduzione dallo spagnolo di Mauro Buccheri)

Mobilitiamoci in difesa della Costituzione

ANPI – Comitato provinciale di Frosinone

L’ANPI di Frosinone esprime forte preoccupazione per l’ennesimo tentativo di riduzione della Costituzione a semplice terreno di tattica politica che ravvisa nelle proposte di deroga all’art. 138 della Carta in chiave autoritaria.
Ancora una volta la Carta costituzionale, unica garanzia del permanere di un sistema di poteri democratico e bilanciato nell’Italia risorta dalle macerie della dittatura, è fatta oggetto di assalti poderosi con obiettivi dichiarati di destabilizzazione dei suoi dispositivi di tutela. Si tenta nuovamente di demolirne l’impianto e la sicurezza attraverso meschini giochi di aritmetica parlamentare, non in funzione di una visione lungimirante, sia pure alternativa a questa democrazia, bensì in conto ad un disperato tentativo di autosalvataggio di una classe dirigente screditata e senza più raccordo alcuno con le istanze concrete e reali della società che domina senza rappresentare.

Questi giochi, oltre che meschini e per quanto pericolosi, sono in tutta evidenza anche miopi per quei settori – che auspichiamo ridottissimi – della parte progressista della società e del Parlamento, che sembrano ipnotizzati dalla paura di perdere posizioni di forza nelle Istituzioni e di conseguenza rischiano di cedere alla tentazione di atrofizzazione dei dispositivi di garanzia costituzionale.

L’ANPI di Frosinone ha lanciato pertanto, insieme all’allarme per la nuova ondata reazionaria che si profila, un appello alla partecipazione attiva di tutti coloro che hanno a cuore la difesa delle condizioni che hanno permesso lo svolgimento della dialettica politica e del progresso civile italiani nonostante le forti, massicce e continue offensive sferrate dai suoi avversari nel corso di tutta la vita repubblicana. Una partecipazione che deve vedere impegnate tutte le forze disponibili nelle scuole, nei luoghi di lavoro e di ritrovo, nelle piazze, nei mercati e dovunque la gente si incontri e discuta, per informare, mobilitare, formare e sviluppare la coscienza critica collettiva del pericolo che corriamo e della necessità di fermare, ancora una volta, gli aggressori della Costituzione.

Il nostro popolo ha dato innumerevoli prove di presenza ed è riuscito molte volte a scongiurare il pericolo involutivo, basti pensare alle leggi truffa e via via fino al terrorismo, fino alle risposte referendarie sui precedenti tentativi di controriforma costituzionale (ultimo lo strabiliante risultato del referendum del 2006). Tuttavia oggi molti fattori giocano a favore della sfiducia e della rinuncia, primi nemici della partecipazione democratica: la crisi provocata dalla finanziarizzazione dell’economia, la sfiducia generale in una classe dirigente che ha dato spettacoli indegni di un paese appena normale, il moltiplicarsi del livello del disagio sociale, possono far crescere il disinteresse nelle grandi battaglie ideali e politiche, possono cioè concimare la pianta della rassegnazione.

Tutto questo richiede uno sforzo collettivo, unitario, trasversale, fondato non sulla pur legittima rivendicazione di parte delle singole forze e dei singoli soggetti, ma sullo spirito nazionale e – vorremmo dire senza essere fraintesi – patriottico, nel rispetto delle radici della nostra democrazia e della nostra libertà per proseguire nella costruzione di una vera democrazia compiuta.
Contattate l’ANPI di Frosinone attraverso la sua pagina Facebook, o l’indirizzo anpifr@libero.it, organizzate nei vostri luoghi di vita riunioni e iniziative, anche piccole, dove tutto questo possa diventare politica.
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Di seguito un video relativo alla manifestazione in difesa della costituzione che già si tenne a Roma  nel Marzo del 2011
Luciano Granieri.

venerdì 6 settembre 2013

Nasce il Coordinamento Comuni Attivi per l’Acqua Pubblica

Coordinamento Provinciale Acqua Pubblica Frosinone


Gli amministratori presenti all’assemblea proposta dal Coordinamento Provinciale Acqua Pubblica di Frosinone svoltasi in data 5 settembre c.a. presso la sala di rappresentanza dell’Amministrazione Provinciale, nell’auspicare che la Conferenza dei Sindaci di lunedì 9 settembre c.a. deliberi senza ulteriori dilazioni la risoluzione del contratto con il gestore Acea Ato5 spa, ritengono indispensabile che i Comuni dell’Ato si diano una struttura di coordinamento volta non solo a seguire la vicenda dell’attuale gestione ma anche ad
individuare ed affrontare le problematiche connesse al percorso di ripubblicizazzione del servizio che è, e deve restare, l’obiettivo ultimo che deve essere conseguito.
In questo senso si è costituito il Coordinamento denominato Comuni Attivi per l’Acqua
Pubblica che si pone come primi obiettivi:

la raccolta al suo interno di tutte le Amministrazioni a prescindere dai diversi
orientamenti politici

‐ l’effettiva risoluzione del contratto per colpa del gestore Acea Ato5

‐ l’approvazione da parte del Consiglio Regionale del Lazio della nuova legge di riassetto del Sistema Idrico Integrato proposta col meccanismo del referendum propositivo dai Comitati della Regione Lazio e da decine di Comuni tra cui il Comune di Cassino.

Al Coordinamento Comuni Attivi per l’Acqua Pubblica hanno già aderito i sindaci e gli amministratori dei comuni di:
Cassino
Torrice
Cervaro
Veroli
e il Comune di Fiuggi rappresentato dalla minoranza.
Gli Amministratori di tutti i comuni sono vivamente invitati ad inviare la loro adesione al seguente indirizzo mail caap.frosinone@gmail.com

 Frosinone, 05/09/2013


giovedì 5 settembre 2013

Siria L’intervento militare è un déjà vu che chiama altra violenza

Luisa Morgantini: AssoPacePalestina 

“Facciamo nostro l'appello di Papa Francesco e aderiamo alla giornata di mobilitazione e di digiuno del 7 settembre per dire il nostro no alla guerra.
 
L’intervento militare in Siria è un déjà vu che non avremmo voluto veder ripetere. Libia, Iraq, Afghanistan, Kossovo, Vietnam: come in quei casi, il copione sembra già scritto.
 
Si creano ad arte situazioni di panico e orrore, in alcuni casi sulla base di episodi realmente accaduti ma viziati per la difesa dei propri interessi geopolitici.
 
Come in quei casi, anche per la Siria, chi paga sono i civili, uomini donne e bambini, costretti a lasciare le loro case per riversarsi in campi profughi già strabordanti, come quelli palestinesi in Libano, o trucidati sotto gli occhi di tutti e con le stesse armi vendute da chi ora si mostra scandalizzato per i crimini commessi, e ancora una volta i palestinesi vengono abbandonati alla politica coloniale israeliana" è quanto dichiara Luisa Morgantini, già Vice Presidente del Parlamento Europeo, tra le fondatrici delle Donne in nero contro la guerra e la violenza e Presidente di AssoPacePalestina
 
“Il fatto che quello di Assad, così come quello di Saddam o Gheddafi, siano stati regimi dittatoriali – continua la Morgantini – non si discute. Ma invece di cercare una soluzione politica, con la partecipazione della popolazione, ancora una volta in nome delle difesa dei diritti umani si sceglie la strada militare e si commettono crimini.
 
La pace e la democrazia non si fanno con le armi.
 
Dobbiamo agire per far si che prevalgano posizioni di buon senso, come quelle che il governo italiano ha espresso finora.
 
Il movimento per la pace e la nonviolenza  è certamente indebolito e frammentato,  ma vale la pena continuare a impegnarsi nella costruzione della cultura della nonviolenza, per la pace e la giustizia, come quotidianamente ci insegnano i palestinesi, gli israeliani e gli internazionali che si oppongono all’ occupazione militare della Palestina”.

Acea Ato5. Una diga per l'acqua pubblica

Consulta dell'ambiente di Piedimonte San Germano

Nella mattina del 30 Agosto la “Consulta dell’Ambiente di Piedimonte”, ha protocollato (indirizzata al Sindaco Iacovella, al Vice Sindaco-Assessore alla Cultura Bellini, all'Assessore alla Manutenzione D'Alessandro, all'intera Giunta e Consiglio Comunale) la richiesta della presenza del Sindaco (e/o suo delegato) di Piedimonte S.G. alla “Conferenza dei Sindaci” per l’Assemblea dell'ATO 5 del 9 Settembre per la “Risoluzione Contrattuale con ACEA (in forza dell’art. 34) della Convenzione di Gestione”. Premesso che l'acqua è un bene essenziale e insostituibile per la vita e, pertanto, la disponibilità e l'accesso all'acqua potabile è necessaria per il soddisfacimento dei bisogni collettivi che costituiscono un diritto inviolabile dell'uomo, un diritto universale, indivisibile, che si può annoverare fra quelli di cui all'art.2 della Costituzione Italiana, la “Consulta dell’Ambiente” (congiuntamente con altre Consulte, Attivisti, Comitati Cittadini, Associazioni e Movimenti per la tutela e la difesa dell’Acqua Pubblica) esprime la sua più totale disapprovazione della “Gestione del Servizio Idrico Integrato” che la società ACEA ha effettuato in questi anni,e chiede al Sindaco e all'Amministrazione Comunale tutta, d’impegnarsi in prima persona in una forte e concreta azione politica nell'Assemblea dell'ATO 5. Riepilogare nel dettaglio tutte le vicende ACEA risulterebbero un esercizio inutile, ritenendo che l’Amministrazione Comunale sia adeguatamente informata e aggiornata sulla qualità del servizio che la società ACEA ci ha fornito e ci fornisce sino ad oggi. Perciò, attendiamo importanti novità, per mettere definitivamente la parola fine a questo supplizio dei cittadini della Provincia e nello specifico della Città di Piedimonte. Però per non dimenticare, ricordiamo che la Conferenza dei Sindaci dovrebbe tutelare i cittadini dell’intera Provincia, controllando l'operato del gestore. Peccato che fino ad oggi, i cittadini della Provincia non se ne siano ancora accorti. Ci siamo sentiti poco, o per meglio dire, per nulla tutelati. Siamo certi, che (in seno alla Conferenza dei Sindaci) avrà avuto modo di verificare i disservizi e le inadempienze di ogni genere, tra le quali:
• penuria d'acqua e/o frequenti e reiterate interruzioni del servizio (spesso senza preavviso);
• mancanza di investimenti;
• comparto della depurazione completamente allo sbando con condizioni d’inquinamento catastrofici censurati dall'Arpa Lazio;
• bollette con tariffe da record, le più alte di tutte le Province laziali. Basate su consumi presunti e             continui conguagli, in quanto ACEA è venuta meno all'obbligo delle due letture l'anno;
• consumo minimo impegnato di 108 mc/l'anno (che grida vendetta, soprattutto per gli
• anziani e i meno abbienti);
• minacce agli utenti di riduzione o chiusura del flusso di acqua, a causa di controversie
(come se ACEA fosse il proprietario dell'acqua);
• mancato versamento degli oneri concessori dell'ACEA all'ATO 5;
• mancato accantonamento delle quote della depurazione con nessun rimborso agli utenti;
• presenza di arsenico nell'acqua comunicata con 20 giorni di ritardo (Ceccano);
• durezza dell'acqua oltre ogni limite (Collelavena di Alatri).

Ciò è confermato dal fatto che 34 Sindaci della Provincia di Frosinone hanno chiesto al Commissario Patrizi, la convocazione urgente della Conferenza dei Sindaci per votare la “Risoluzione Contrattuale con ACEA”. Ricordiamo il lavoro incessante e meticoloso di oltre 20 Associazioni, Consulte, Comitati Cittadini, Movimenti e numerosi Attivisti (tra le quali spiccano il Comitato CO.CI.DA.e il Coordinamento Provinciale dell’Acqua Pubblica di Frosinone) che hanno avuto modo di verificare e segnalare più volte i disservizi della società ACEA nella Gestione del Servizio Idrico poc’anzi descritte, alle quali esprimiamo i nostri più sentiti ringraziamenti. Non ultimo ricordiamo l’essenza del suo essere Sindaco: la volontà dei cittadini. Le Associazioni, le Consulte, i Comitati Cittadini, i Movimenti e i numerosi Attivisti, hanno raccolto in Provincia di Frosinone circa 9.000 firme di cittadini/e che testimoniano la volontà a voler risolvere il contratto con ACEA. Inoltre, non è possibile dimenticare o far finta di niente, di fronte all’esito del Referendum Popolare del 12 e 13 Giugno 2011 che ha visto in Provincia di Frosinone il 97% degli elettori (96,8% nel Comune di Frosinone) esprimersi contro la privatizzazione dell’acqua. La decisione è già stata presa dai cittadini, e agli amministratori rimane esclusivamente il compito di tradurla in atti concreti. Per noi della “Consulta dell’Ambiente di Piedimonte”dire che l’acqua deve essere pubblica e non può avere padroni è semplicemente un’ovvietà, ma vedere Amministratori che si ostinano a non voler dar seguito alla volontà popolare è particolarmente frustrante. Infine, chiediamo Sindaco Iacovella, che il prossimo 9 Settembre in sede di Conferenza dei Sindaci, al 2° punto all’Ordine del Giorno vi è la “Risoluzione Contrattuale con ACEA”, e poiché Lei rappresenta un Comune di circa 6.500 abitanti (in quanto delegato da tutti i cittadini del Comune di Piedimonte) di assicurare la propria presenza(e/o di un suo delegato ad hoc), perché di fondamentale importanza per il raggiungimento del quorum del 50% della popolazione Provinciale, in modo tale che tutti i cittadini possano essere comunque rappresentati nell'Assemblea dell'ATO 5, votando al 2° punto all’Ordine del Giorno, la “Risoluzione Contrattuale con ACEA (in forza dell’art. 34) della Convenzione di Gestione", assecondando (almeno in questa occasione) la volontà dei cittadini che amministra. Noi ci saremo, auspicandoci la massima partecipazione di tutti i cittadini dell’intera Provincia di Frosinone.



Una giornata contro il "femminicidio" ma non solo

Redazione  http://unoetre.it/


Il 4 settembre si sono riunite a Frosinone in Vicolo Moccia la Rete La Fenice con Bonaviri e l’Associazione Collettivocinque con Maccotta che grazie al contributo delle tante realtà associative e civiche impegnate in provincia ed oltre (come Pari o Dispare e le Cooperative delle terre confiscate alla mafia del casertano), di intellettuali, artiste-i, delle donne dei sindacati unitari, del Telefono Rosa, della Fondazione del Giardino delle Rose Blu, del Conservatorio di Frosinone, dell’Università di Cassino e del Lazio meridionale hanno organizzato  una forma di mobilitazione dell’opinione pubblica in ciociaria a garanzia delle pari opportunità e contro il femminicidio.
L’evento “ L’arte contro il Femminicidio”, che occuperà l’intero arco della giornata di domenica 22 settembre presso la Villa Comunale di Frosinone prevede una mostra fotografica a tema, uno spazio espositivo delle scarpe rosse, spettacoli di arte varia, la proiezione di spezzoni di film storici attinenti, la presentazione di un volume scientifico, testimonianze attive, dibattiti sulle prospettive aperte dalla legge e sulle ragioni di così orribili ed intollerabili reati che sono il retaggio di problemi di parità fra i generi, non risolti. Atti, questi, che colpiscono quanto di più profondo c’è nel bisogno di relazione delle persone: la fiducia nel prossimo che è il cuore degli affetti e della convivenza umana minando all’origine ogni capacità di sentirsi corpo unico.
La società civile non viene mai consultata e la politica non consente traduzioni di quel messaggio originario che vuole un cambio nell’approccio concettuale all’implementazione della legge e della prevenzione.  Il gruppo di lavoro che si è costituito intende portare avanti un percorso itinerante -anche in tutti quei territori che stanno appoggiando l’iniziativa- che informando e formando diverrà  base di sviluppo di buone pratiche a garanzia delle pari opportunità per la creazione di uno strumento a favore della rete fra donne e per il cambiamento dell’attuale paradigma imperante.


foto di Iganzio Mazzoli




Video Pubblicato da Aida Hamdi, segnalatoci dalla Jazzista Maria Pia De Vito

mercoledì 4 settembre 2013

Nasce a Frosinone il comitato promotore per la difesa della Costituzione

Luciano Granieri

Anche il sottoscritto ha partecipato al primo incontro per la difesa della Costituzione  tenutosi a Frosinone presse la sede della Confederazione  Italiana Agricoltori, organizzato dal costituendo Comitato promotore per la difesa della Costituzione. 

Ho aderito al comitato  che,  in sede locale vede la partecipazione di esponenti locali di partito, movimenti e sindacati:  Sel, M5S,  PdCI, Rifondazione, FIOM Cgil, ANPI . Il programma  consiste nel  promuovere la firma dell’appello in difesa della Costituzione proposto  dal “Fatto Quotidiano e aderire al percorso pianificato in difesa della carta  da Stefano Rodotà, Maurizio Landini FIOM,  a cui si sono aggiunti Gustavo Zagrebelsky  di Libertà e  Giustizia, don Luigi Ciotti di Libera e  Lorenza Carlassarre , l’ex saggia  che ha abbandonato i 42 membri  della commissione riforme  incaricati di mettere a punto le riforme istituzionali,   in polemica con le modalità operative e decisionali imposte dall’esecutivo  

Il percorso prevede la costituzione di comitati locali che l’8 settembre potranno dare vita ad un’assemblea nazionale a Roma e  indire una manifestazione, sempre nella capitale,  per il 5 ottobre prossimo. All’incontro organizzato per costituire il Comitato di Frosinone, hanno partecipato i deputati Nazareno Pilozzi di Sel e Luca Frusone del  Movimento 5 Stelle. 

I parlamentari,  esponenti della minoranza,  hanno illustrato alla platea le enormi difficoltà e la strenua lotta che stanno affrontando in Parlamento per bloccare l’approvazione del progetto di legge costituzionale che intende manomettere, seppure in deroga, l’articolo 138. Come è noto questo articolo regola le modalità per modificare la seconda parte della costituzione. 

Essendo la materia estremamente delicata l’art. 138 impone che la proposta di modifica costituzionale debba essere approvata dai due terzi del Parlamento attraverso quattro votazioni in aula, due alla Camera e due al Senato.  I passaggi fra le camere devono avvenire in un  arco di tempo previsto per ogni convocazione di tre mesi.  Nel caso in cui dopo i quattro passaggi alle camere, che avverranno quindi  almeno in un anno,  il disegno di riforma costituzionale fosse  approvato a maggioranza semplice, cioè con una maggioranza inferiore ai due terzi del Parlamento, si dovrà consultare il popolo per chiederne   l’approvazione a mezzo referendum confermativo. 

 Nelle intenzioni del governo si vorrebbe ridurre il tempo di passaggio fra una Camera e l’altra da tre mesi a 45 giorni, in modo da velocizzare l’approvazione delle riforme costituzionali proposte dai 42 saggi nominati dal Presidente della Repubblica. Tali proposte, fra l’altro,  non potranno essere emendate, è  quindi del tutto evidente che  si agirebbe secondo le modalità di un decreto legge prassi del tutto fuori luogo per la discussione di modifiche alla Costituzione. 

Dopo l’illustrazione da parte  dei parlamentari di queste perverse e contorte dinamiche è iniziato il dibattito che ha visto protagonisti esponenti di partiti movimenti e sindacati. A moderare gli interventi  è stato   il segretario provinciale del PdCI Oreste Della Posta. Al di là del fatto che tutti hanno aderito al Comitato, il dibattito si è sviluppato attraverso contributi differenti fra di loro. 

Molti hanno puntato l’ìndice sulle dinamiche di esproprio del potere legislativo al Parlamento da parte dell’esecutivo, altri hanno messo in risalto le storture anticostituzionali della legge elettorale.   C’è  stato chi ha fatto notare come si stia compiendo il piano pidduista, Rinascita Democratica. Con il sovvertimento del dettato costituzionale a cui manca la sottomissione della magistratura al potere politico e la svolta presidenzialista per realizzarsi completamente.  

Angelino Loffredi del blog Unoetre  ha messo in risalto come in nome della difesa della Costituzione si  stesse riformando un movimento  unitario comprendente esponenti di formazioni  spesso in contrasto fra di loro. Una partecipazione ampia che va da Sel alla FIOM, dal Prc al PdCI, dal Movimento 5 Stelle alla CGIL, all’ANPI, fino ad arrivare ad esponenti di posizioni molto radicali come il sottoscritto e Francesco Notarcola della consulta delle associazioni e presidente dell’Osservatorio Peppino Impastato.  

Proprio dal mio intervento, da quelli di Giovanni Morsillo presidente provinciale dell’Anpi  e di Francesco Notarcola è scaturita una analisi che è andata oltre il presente e ha messo in luce come la Costituzione  sia stata fatto oggetto in passato di continui attacchi da parte di una classe borghese che ha sempre mal digerito l’architettura solidaristica della Carta. 

Se fino ad oggi si è minimizzato e anzi si sono agevolati continui strappi ai danni dello spirito costituzionale, diventa ora difficile arginare l’assalto definitivo al sistema di protezione dell’articolo 138. Nessuno nelle varie legislature che si sono succedute dal dopoguerra ad oggi si è battuto affinchè, ad esempio,  l’articolo 41 venisse rispettato totalmente.  Non solo nella prima parte dove si promuove la libertà dell’iniziativa privata,  ma anche nella seconda dove si precisa che la medesima  iniziativa  privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. I molteplici casi di aziende che chiudono per delocalizzare la produzione all’estero lasciando nel dramma della disoccupazione intere famiglie, sta a dimostrare come l’articolo 41 sia stato sempre disatteso. 

E che dire dell’art.33 in cui si determina la titolarità assoluta dell’istruzione pubblica,  e si concede il diritto ad enti privati di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri  per lo Stato?  Una norma che   per  decenni    è stata disattesa  e lo è ancora di più oggi per foraggiare le scuole private cattoliche ed altri istituti funzionali a formare le future classi elitarie. 

Di esempi come questi ce ne sono molti altri. Ma ciò che è ancora più grave riguarda gli sfregi anche lessicali che ancora oggi si perpetuano ai danni dello spirito Costituzionale. La parola “Premier” è anticostituzionale, esiste il Presidente del consiglio. Indire le primarie per far scegliere agli elettori  il candidato premier che verrà scritto sulla scheda elettorale è profondamente anticostituzionale . Il Presidente del Consiglio (non il premier) viene nominato dal Presidente della Repubblica e non dagli elettori. Eppure queste storture sono ancora oggi maldestra consuetudine che coinvolge anche un partito, Sel, il quale sostiene  il comitato in difesa della Costituzione.  

In conclusione la lotta per la difesa della Costituzione è sacrosanta, ma si  deve partire dalla consapevolezza che è necessario adoperarsi affinchè  venga finalmente attuata e rispettata rigorosamente. E’ difficile difendere un fortino quando già gran parte delle sue strutture difensive sono  state espugnate senza neanche combattere. 

 Dunque  con entusiasmo ho aderito al comitato.  Attraverso Aut e con la collaborazione del blog Unoetre,  che condivide con noi questa battaglia, informeremo e daremo conto della varie iniziativa che animeranno questo progetto. Resta il fatto però che la difesa della Costituzione deve essere un impegno permanente e costante e non plasmabile ad esigenze che con lo spirito costituzionale non hanno nulla a che fare.

Salviamo la Costituzione anche a Frosinone

Il Comitato Promotore per la difesa della Costituzione


Come affermato da vari esponenti dell’opposizione il governo intende cambiare l’art.138 della costituzione per introdurre l’elezione diretta  del Presidente della Repubblica.
In questo quadro tanti di noi hanno aderito alla petizione lanciata dal “Fatto Quotidiano” che ha già raggiunto, ad oggi più di 418.000 firme.
Invitiamo chi non l’avesse ancora fatto ad aderire  cliccando sul seguente link

Anche nella nostra Provincia varie personalità e vari partiti hanno messo in programma una riunione per costruire un comitato per la difesa della Costituzione.

Prime adesioni a questa iniziativa: Nazareno Pilozzi  deputato di Sel, Luca Frusone deputato del Movimento 5 Stelle, Giovanni Morsillo Presidente Provinciale ANPI, Oreste Della Posta segretario provinciale PdCI, Ugo Moro Presidente regionale PdCI, Ornella Carnevale sindaco di Pico e segretario provinciale Prc, Dionisio Paglia consigliere comunale di Alvito, Riccardo Palma Prc Cassino, Donato Gatti Segretario Provinciale Fiom CGIL e Maurizio Federico  storico e giornalista.

Di seguito pubblichiamo un documento del Movimento 5 Stelle che descrive in modo sintetico ma efficace la lotta che deputati e senatori pentastellati stanno conducendo in Parlamento per bloccare il progetto di legge costituzionale di deroga all'Art.138.





martedì 3 settembre 2013

Via Bashar Al Assad! No all’intervento imperialista!

dichiarazione della Lit - Quarta Internazionale

I governi delle principali potenze imperialiste, oltre alla Turchia, stanno preparando un attacco militare alla Siria. Anche dopo la sconfitta di Cameron nel parlamento britannico che ha votato contro la partecipazione inglese al conflitto, il governo Obama ha dichiarato che è pronto per agire da solo, tutt’al più con l’appoggio della Francia.
Cinicamente, l’imperialismo afferma che quest’intervento armato avrebbe obiettivi “umanitari” e servirebbe a “proteggere civili” siriani usando come pretesto il brutale e riprovevole attacco con armi chimiche nei sobborghi di Damasco, in cui sono morte 1.400 persone.
Secondo il Washington Post, gli Usa stanno considerando un intervento militare limitato quanto alla sua durata e agli obiettivi. L’operazione militare, d’intesa con altre potenze, consisterebbe nel lancio di missili dal mare per pochi giorni contro obiettivi militari, nonnecessariamente circoscritto a quelli relativi all’armamento chimico.
La presenza nell’area del Mediterraneo orientale di diverse navi da guerra della marina statunitense armate con missili da crociera e in assetto da guerra, oltre a quelle appartenenti al Regno Unito e alla Francia, rafforzano quest’ipotesi.
Se si concretasse questa modalità, non sarebbe un’azione per rovesciare direttamente Al Assad, ma per indebolirlo forzando il regime ad accettare una soluzione e una transizione negoziate, politica – questa – finora privilegiata dall’imperialismo.
La stessa Casa Bianca lo ha confermato, attraverso il suo portavoce Josh Earnest, quando questi ha affermato dinanzi al Congresso statunitense che l’azione sarà “limitata” e che “in questo caso non si cerca un’invasione, né il cambio di regime”. Anche il presidente francese Hollande ha dichiarato che l’obiettivo sarebbe “frenare” l’uso di armi chimiche e che “non si tratta di rovesciare” Assad.
Nel novero delle possibilità militari, l’imperialismo sta vagliando le opzioni dal minor costo militare, in un Paese e in una regione scossi da un poderoso processo di rivoluzioni popolari. In questo quadro, quest’alternativa sarebbe la meno rischiosa per l’imperialismo che non si trova nelle condizioni politiche – solo il 25% della popolazione approva il coinvolgimento in un altro conflitto armato – per mettere le mani sulla Siria attraverso un attacco terrestre.
Anche l’ipotesi di una no‑fly zone viene considerata con la massima cautela, dato che le difese antiaeree del regime di Assad sono tutt’atro che disprezzabili.
Sappiamo che molti combattenti ribelli, che lottano eroicamente per liquidare una mostruosa tirannia che controlla il Paese da 40 anni e che dall’inizio della rivoluzione ha commesso le peggiori atrocità contro la popolazione civile, possono guardare a questo possibile intervento dell’imperialismo come un “aiuto” o una “protezione” nella loro impari lotta contro il despota di Damasco.
Nel quadro del nostro completo e incondizionato appoggio alla lotta delle masse popolari per rovesciare Assad, affermiamo che nessun intervento dell’imperialismo ha o avrà quest’obiettivo.
Non sarà un intervento “umanitario”, né per “salvare vite” o per “difendere i diritti umani”. Né tantomeno  perché “trionfi la rivoluzione”, dal momento che se gli Usa avessero voluto realmente aiutare i ribelli siriani affinché rovesciassero Assad, da molto tempo li avrebbero riforniti incondizionatamente delle armi pesanti di cui essi hanno tanto bisogno, come aerei, carri armati e missili antiaereo.
L’imperialismo si intromette per cercare di imporre il suo peso militare e per essere l’asse del nuovo potere dopo Assad, per influire direttamente e garantire un accordo che contempli i suoi interessi attuali e potenziali dopo una possibile caduta di Assad.
L’imperialismo interviene sempre con i suoi propri obiettivi, che invariabilmente passano per la brama di dominare direttamente l’economia e la politica del Paese aggredito. Questa è stata la ragione dell’invasione in Iraq e Afghanistan. E per la stessa ragione appoggia Israele nell’usurpazione del territorio e nella pulizia etnica contro il popolo palestinese e sostiene l’ultrareazionaria monarchia dell’Arabia Saudita, di cui si è servito per reprimere la giusta lotta dei lavoratori del Bahrein contro il suo governo, altro regime fantoccio dell’imperialismo.
E si tratta dello stesso obiettivo anche in Siria. Le presunte motivazioni umanitarie come quella di “proteggere i civili” rappresentano un canto delle sirene che non deve ingannare i combattenti siriani e la sinistra mondiale. La prova sta nella stessa condotta dell’imperialismo durante la guerra civile in Siria.
La politica dello stesso Obama, persino nel periodo successivo all’inizio della sollevazione popolare contro la dittatura siriana, è stata di appoggio ad Assad, che ha offerto preziosi servigi circa la sicurezza di Israele e la stabilizzazione della regione.
L’ipocrisia dell’imperialismo non ha limiti. Finché Assad è stato capace di garantire stabilità, Obama e le principali potenze europee hanno sempre chiuso gli occhi sulla repressione e i crimini della sua cruente dittatura.
L’imperialismo ha ritirato il suo appoggio al dittatore – ma non già al regime in sé – solo quando si è reso conto che mantenerlo, di fronte alla lotta armata delle masse popolari siriane, è diventato insostenibile dal punto di vista del principale interesse degli Usa in questo momento: stabilizzare il Paese e sconfiggere la rivoluzione in tutta la regione.
Tuttavia, la posizione dell’imperialismo a favore dell’uscita di scena di Assad non significa che abbia abbandonato la politica di negoziare una soluzione, fin dove è possibile, tra il regime e i settori filoimperialisti dell’opposizione, come il Consiglio Nazionale Siriano (Cns).
In questo quadro, di fronte a una guerra civile che destabilizza tutta la regione trascinandosi senza una soluzione nel breve termine, e di fronte al rifiuto di negoziare da parte della dittatura di Assad, gli Usa cercano di intervenire per poter sconfiggere la rivoluzione e garantire il proprio dominio, benché senza Assad.
Il loro obiettivo, allora, non è “liberare” il popolo siriano, ma cercare di trasformarsi nei nuovi signori tentando di imporre un dominio coloniale, così come hanno fatto con tanti altri Paesi.
L’imperialismo cerca il controllo diretto. Entrerà per tentare di impedire che siano le masse popolari siriane, o i ribelli che sono stati alla testa della lotta mettendo dolore, sudore e il sangue dei loro martiri, quelli che governeranno dopo la sconfitta del tiranno.
Anzi, esigerà il disarmo di tutti i rivoluzionari affinché essi – o i loro fantocci, che non mancano, né mancheranno – detengano il monopolio militare, cercando così di “stabilizzare” il Paese per salvaguardare i propri interessi. Ma nulla indica che rispettare questi piani sarà un compito facile per l’imperialismo, così come non sta accadendo, ad esempio, in Libia, proprio perché una grandiosa rivoluzione è in corso in Siria e in tutta la regione.

Perché il possibile intervento?
Per comprendere perché l’imperialismo interverrebbe militarmente adesso, quando invece durante tutto il conflitto ha evitato di farlo, è necessario analizzare la situazione militare in Siria.
In questi ultimi mesi, il regime ha ottenuto progressi militari importanti, recuperando le posizioni strategiche che erano passate nelle mani dei ribelli. Ma queste vittorie si fondavano principalmente sulla superiorità degli armamenti e sull’aiuto esterno ricevuto da Hezbollah, Iran e Russia. Senza di ciò, sarebbe stato molto difficile conseguire questi progressi.
Ne è prova l’evidente difficoltà che il regime incontra nel fare operazioni terrestri su larga scala con le sue truppe, prive del morale di cui sono provvisti i ribelli. Per questo ricorre sistematicamente ad assedi sostenuti da attacchi
aerei o al lancio di missili, che non richiedono il combattimento diretto. Secondo alcuni rapporti, il regime ha molte difficoltà e deve far ricorso a dure repressioni interne per evitare diserzioni in massa di soldati e ufficiali.
Ciò spiega perché, nonostante gli ultimi progressi dei lealisti alla frontiera col Libano e ad Homs, le diverse forze della resistenza continuano a controllare una parte importante del territorio di questo Paese. L’Esercito libero della Siria (Esl), pur subendo la controffensiva degli ultimi mesi, costata tremende perdite in vite umane e materiale militare, ancora controlla interi quartieri della stessa capitale, Damasco.
In altri termini, nonostante le vittorie militari, il regime non ha la capacità di schiacciare definitivamente la rivoluzione, neppure a Damasco. Lo stesso accade in altre importanti città, come Aleppo, dove recentemente i ribelli hanno preso una delle principali basi aeree del regime.
È questa situazione, di vittorie tattiche ma in un quadro a lungo termine più sconfortante, che ha spinto la dittatura a scatenare un sistematico e devastante bombardamento sui sobborghi di Damasco e, come risulta dalle denunce, a ricorrere al suo arsenale chimico su scala così larga come mai era accaduto. Il suo obiettivo, con questa escalation di attacchi, anche con gas velenosi, non può essere altro che lo sterminio, vale a dire ripulire Damasco dai ribelli e infondere in tutta la popolazione il terrore più completo.
L’imperialismo, di fronte a questa dinamica dalle conseguenze imprevedibili, cerca di risolvere a suo favore una situazione segnata da una guerra civile bloccata e che si trascina da due anni e mezzo in una regione strategica.
Interverrà per dimostrare una presenza militare in questa regione e forzare una negoziazione con Assad per una “transizione” che tenda a stabilizzare il Paese e l’area, condizione importante per continuare il saccheggio imperialista. Se la negoziazione non sarà possibile, cercherà di imporre un nuovo governo, senza Assad, sotto il suo diretto controllo.
Il castrochavismo usa le minacce di intervento imperialista per giustificare ancor di più il suo nefasto appoggio al dittatore genocida della Siria – come appoggiò il sanguinario Gheddafi – affermando che se lo attaccano è perché Assad sarebbe un “leader antimperialista e antisionista”. Già sta facendo appello perché le masse popolari e la sinistra appoggino e si uniscano ad Assad in virtù del suo presunto ruolo nella “resistenza” all’imperialismo.
Ma la realtà è totalmente diversa. Il regime del clan Assad non ha nulla di “antimperialista”. È stato una pedina importante nello schema di dominazione imperialista e sionista nella regione, essendo, soprattutto negli ultimi anni, fedele esecutore delle ricette neoliberali dell’Fmi e garante delle frontiere dello Stato sionista di Israele, contro cui non ha sparato un sol colpo in 40 anni, mentre massacra il suo stesso popolo.
Secondo la fantasiosa versione dei castrochavisti, Assad sarebbe anche un radicale oppositore di Israele e protettore dei palestinesi. Ma la realtà mostra che nel corso della guerra civile, fra tutti i crimini contro l’umanità che ha commesso, Assad si è ascritto quello di bombardare sistematicamente i campi profughi dei palestinesi quando un loro settore è passato con l’opposizione, come nel caso di Yarmuk, a Damasco, oggi sotto un assedio che impedisce loro di ricevere alimenti e medicinali.
Siamo completamente contro l’intervento dell’imperialismo, ma questo non può condurci ad appoggiare la sanguinaria dittatura di Assad, che massacra il suo popolo senza nessuno scrupolo, un popolo che lotta coraggiosamente per farla finita col suo regime. Questo sta invece facendo il castrochavismo, che perciò si è trasformato in complice degli orrendi crimini di questi dittatori.
La classe lavoratrice e le masse popolari del mondo intero debbono stare più che mai dal lato della rivoluzione siriana contro la dittatura di Assad e, al contempo, ripudiare l’intervento imperialista in questo Paese.
È necessario nei Paesi imperialisti smascherare la campagna mediatica in atto a giustificazione dell’intervento militare, mobilitandoci contro i governi che preparano i piani d’intervento armato. Dobbiamo denunciare il possibile intervento, benché si pretenda di dargli una veste “umanitaria” a partire dagli orrendi massacri di Assad, dal momento che il suo vero obiettivo è imporre nuovi padroni al popolo siriano.
La soluzione è un’altra: l’appoggio totale ai ribelli. Ciò significa l’invio, subito e senza condizioni, di armi pesanti, di ogni tipo di fornitura, come medicinali ed equipaggiamenti per la resistenza siriana, e l’apertura delle frontiere per il transito di questi aiuti e dei combattenti che siano disposti a combattere contro Assad.

Al contempo, dobbiamo rivendicare, in tutti i Paesi, l’immediata rottura delle relazioni diplomatiche e commerciali con la dittatura siriana.