sabato 11 giugno 2016

Provincia di Frosinone, anni di lotte per l'acqua pubblica. Una retrospettiva resistente.

Luciano Granieri



Il 12 e 13 giugno del 2011 oltre 26milioni di cittadini decidevano che  sull’erogazione dell’acqua nessun soggetto, sia esso pubblico, si esso privato, potesse ricavare profitti. Al di la delle implicazioni generali relative alle diverse multi-utility che dall’espressione referendaria dei cittadini, ricevevano uno stop decisivo al loro business  , nella nostra Provincia il soggetto in questione era ed è Acea. Il risultato dei referendum, costituì un vero schiaffo in faccia alle èlite e alle multinazionali che da tempo avevano pianificato di sviluppare profitti sui servizi indispensabili per le persone , come l’acqua, la sanità, lo smaltimento dei rifiuti. Tanto fu il clamore che  il  referendum sull’acqua, finì incluso nella famosa lettera inviata dalla  BCE al governo italiano  esattamente 2 mesi dopo, agosto 2011, il pronunciamento dei cittadini. Una delle prescrizioni  della missiva riguardava proprio l’obbligo di vanificare il risultato referendario. Ci hanno provato un po’ tutti, il Governo Monti prima, il Governo Letta poi, ma oggi - attraverso il decreto Madia sui servizi pubblici locali,  che reintroduce per filo e per segno, con le stesse parole, in spregio all'espressone democratica dei cittadini,  la norma  sulla remunerazione del capitale investito, sonoramente bocciata dal referendum - il Governo Renzi è ad un passo dal realizzare l'impresa . Frosinone, Provincia pilota di tutte le brutture che vengono decise contro la popolazione , è stato il primo territorio a scoprire gli effetti nefasti della bolletta comprendente la remunerazione del capitale investito. Grazie ad Acea  che sin dal 2003 ha imperversato sul nostro territorio, imponendo prezzi per l’acqua pari al costo di un Barolo dell’82.  I cittadini Ciociari sono stati fra i primi a raccogliere le firme per i referendum, a condurre una strenua campagna referendaria e a gioire per il risultato. Non  avevamo capito,  quel 13 giugno del 2011,  che la battaglia non era vinta, non era neanche iniziata. Per ricordare quei momenti, pubblichiamo di seguito alcuni video che ripercorrono tutta la battaglia per l’acqua pubblica  andata in scena nella nostra Provincia. Battaglia, lo ricordiamo,  ancora non   vinta.  Sta a noi continuare la lotta, cominciando ad invocare il ritiro del decreto Madia sui servizi pubblici locali,attraverso la firma della petizione popolare che ne chiede l'annullamento. E’ una cavalcata interessante ma  un po’ lunga, dunque armatevi di pazienza.

Buona Visione.


Campagna raccolta firme

28 aprile 2011



La campagna referendaria.

4 giugno 2011.



10 giugno 2011




La vittoria

13 giugno 2011




Dopo il risultato referendario nulla accade

Manifestazione 8 ottobre 2011



Acea continua le vessazioni i cittadini protestano spalleggiati da alcuni politici locali.

27 ottobre 2011



Fra protese e lotte si arriva al marzo 2013. Il forum nazionale dei movimenti per l'acqua, dopo aver raccolto le firme, presenta  alla Regione Lazio una legge d'iniziativa popolare per  la gestione partecipata  del servizio idrico così come prescritto dal referendum.Un anno dopo la Regione Lazio, con sorpresa dei movimenti, approva all'unanimità,(legge 5 /2014) ma si attende la promulgazione dei decreti attuativi.

22 marzo 2014


Passa un anno. Acea continua a vessare i cittadini, non controllata dai sindaci componenti l'autorità d'ambito. La regione cincischia nell'approvare i decreti attuativi della legge 5/2014, intanto si cominciano a scoprire i giochi del Governo Renzi che non ha la minima intenzione di dare seguito alla deliberazione referendaria del giugno 2011.

13 marzo 2015


Estate del 2015. La Regione Lazio nonostante le promesse dell'assessore Refrigeri, ancora non approva i decreti attuativi della legge 5
I comitati per l'acqua pubblica irrompono per protesta nell'aula consiliare regionale.

02 luglio 2015


Siamo nel 2016, dopo 5 anni, non solo le deliberazioni del referendum non sono applicate,ma anzi rischiano di essere spazzate via del decreto Madia. La  legge regionale 5/2014, anch'essa espressione dei cittadini essendo una normativa d'iniziativa popolare, rimane inapplicata perchè la Regione Lazio ancora non ha approvato i decreti attuativi. Finalmente i sindaci dell'autorità d'ambito  della Provincia,  in odore di campagna elettorale, votano la messa in mora di Acea, primo atto della rescissione per colpa del contratto. Ma incombe ancora  il decreto Madia che se approvato esautora un qualsiasi tipo di autorità pubblica di controllo nel  deliberare contro i gestori privati. Intanto Acea incattvita dalla decisione dei sindaci affibbia ai cittadini un conguaglio di 75 milioni di differenze tariffarie, somma certificata dal Tar di Latina e dal Consiglio di Stato. I movimenti sono ancora in piazza, bruciano le bollette per chiedere la rescissione del contratto con Acea, il ritiro del decreto Madia sui servizi pubblici locali e l'approvazione dei decreti attuativi della legge regionale 5/2014.

27 maggio 2016


Siamo arrivati alla fine del video racconto. La lotta  invece  è ancora clamorosamente in corso. Nella narrazione mancano diverse tappe. In 5 anni conflittuali  e di rivendicazioni gli eventi sono stati molti. Abbiamo cercato con i nostri video di riassumere i momenti  salienti della vicenda. Ora si sta giocando forse la partita finale, perchè come ribadito più volte, se passa la legge sui servizi pubblici a rilevanza economica, il già citato decreto Madia, le multi-utility come Acea, Hera, A2A, sono pronte a spartirsi il territorio e fare profitto su una risorsa naturale fondamentale per la vita dei cittadini come l'acqua. Siamo all'epilogo? Arrendersi alla dittatura del profitto dipende solo da noi.

venerdì 10 giugno 2016

E il compagno Conte esclamò: Renzi chi?

Luciano Granieri


Il 2 giugno scorso, presso l’associazione culturale”Oltre l’Occidente, Roberto Salvatori ha presentato il suo secondo libro dedicato alla resistenza a sud di Roma e in Ciociaria  . Nel testo, pubblicato  per l’edizioni Annales,  dal titolo : Enrico Giannetti, gli ideali di una vita, Salvatori descrive l’attività di Enrico Giannetti, partigiano di Paliano, coordinatore delle bande partigiane attive in Ciociaria e dirigente provinciale del Partito Comunista durante il periodo bellico e nel dopoguerra. 

La presentazione del libro  ha costituito   una parte importante di un evento  organizzato da diverse associazioni, fra cui Aut-Frosinone, Osservatorio Peppino Impastato, Oltre l’Occidente, Uno e Tre sito web, Confederazione COBAS, Anpi Provinciale, nel quale si è analizzato il percorso storico che ha portato dalla resistenza alla proclamazione della Repubblica, alla promulgazione della Costituzione. Una particolare attenzione è stata riservata al processo storico avvenuto nella nostra Provincia.

 Con Salvatori ne hanno parlato Francesco Notarcola, presidente dell’Osservatorio Peppino Impastato, lo storico Maurizio Federico e lo scrittore Angelino Loffredi.  Ne è scaturito un dialogo, che ha svelato l’esistenza e la tenace attività di straordinari personaggi della nostra terra. Oltre che il partigiano Enrico Giannetti, incredibili sono state le gesta dei sette fratelli Pallone di Sgurgola, 6 comunisti ed un anarchico, i quali, sparsi per il mondo a seguito della persecuzione fascista, hanno tenuto un rapporto epistolare, in cui si discettava esclusivamente di teorie politiche, di differenza fra comunismo, comunitarismo e anarchia, tralasciando completamente implicazioni personali del tutto normali negli scambi epistolari  fra fratelli, ma non per i fratelli Pallone. Uno di loro Alberto, ha partecipato alla guerra civile in Spagna nel 5° reggimento, ha partecipato alla resistenza  armato del suo fedelissimo bombardino, uno strumento musicale simile alla tromba. 

Un altro personaggio particolare è stato il compagno Conte di Sora, che, presto scappato in Francia, e  anch’egli combattente in Spagna, confinato a Ventotene, come Giannetti, tornò a Frosinone non parlando una parola d’Italiano ma uno slang franco-spagnolo.  Fatto che gli impedì, nonostante la sua importante storia di combattente, di candidarsi alle elezioni del ’46. Abbiamo appreso  quali siano state le implicazioni politiche nella nostra Provincia, dopo la liberazione e dopo il referendum del 2 giugno. 

E’ stato curioso apprendere come nella tornata elettorale del ’48 il Partito Comunista ottenne un numero di voti  addirittura inferiore agli iscritti al circolo cittadino.  Ne è scaturita una narrazione affascinante, un quadro esauriente e completo di come gli eventi della resistenza e della liberazione abbiano influenzato la popolazione  della nostra Provincia.  E’ stato un modo  straordinario di festeggiare il 2 giugno, una di quelle ricorrenze, come il 25 aprile, il primo maggio ultimamente snobbate e svuotate dei loro valori fondamentali che si racchiudono nell’art.1 della Costituzione: L’Italia è una Repubblica (2 giugno) democratica (25 aprile) fondata sul lavoro (1 maggio).

 Entrare così in profondità nelle vite di personaggi incredibili, come Enrico Giannetti, i fratelli Pallone  e il compagno Conte, conoscerne i sacrifici e la costanza nella lotta, rende ancora più consapevoli  di come  i personaggi al soldo delle multinazionali che governano l’Italia non possano e non debbano  far passare il loro scempio costituzionale. Per quella Costituzione, i Giannetti, i Pallone, i Conte, hanno sopportato  sofferenze indicibili e visto molti loro compagni morire. Non possono un Renzi, una Boschi, un Verdini qualunque, disporre a piacimento di una Carta nata dal sacrificio e dallo sforzo di uomini e donne, i quali hanno deciso di scrivere nella Costituzione  il loro ideale di società basato sulla dignità della persona umana. 

E’ dunque nostro compito, attivarci per  denunciare la sciagurata revisione costituzionale che Renzi e Boschi vogliono imporre, distogliendo, grazie ad un’informazione connivente, dai contenuti nefasti della riforma, per portare la vicenda sul terreno personalistico. Se la nostra nuova Costituzione  non passa il andremo a casa, è questo il mantra che Renzi e la Boschi stanno salmodiando nelle loro apparizioni televisive. Ma la questione non è legata a Renzi. E’ necessario votare NO al referendum per bocciare un dispositivo sbagliato, farraginoso e pericoloso. Di Renzi ci interessa il giusto, cioè nulla. Se fosse ancora vivo Giannetti, o il compagno Conte, probabilmente al solo ascoltare il nome del Presidente del Consiglio risponderebbero: Renzi chi?  

Di seguito un estratto in tre video della discussione più propriamente storica l’evento integrale è disponibile sulla pagina  YOUTUBE DI OLTRE L'OCCIDENTE

Immagini tratte da Cioceconleali WEB TV.



Acqua Pubblica - Buon compleanno referendum! 5 anni fa abbiamo vinto contro le privatizzazioni di Ronchi, oggi fermiamo il decreto Madia!

Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua





In questi giorni il referendum sull'acqua bene comune e per la difesa dei servizi pubblici compie 5 anni. Sono stati anni vissuti pericolosamente. Anni in cui l'esito referendario è stato ripetutamente messo sotto attacco dai Governi succedutisi alla guida del Paese. Solo la persisente mobilitazione del movimento per l'acqua ha finora evitato che venisse completamente stravolto.
Il 12 e 13 giugno 2011, infatti, oltre 26 milioni di persone si recarono alle urne per bloccare il progetto del Governo Berlusconi di definitiva privatizzazione dell'acqua e dei servizi pubblici locali.
10 giorni prima della scadenza referendaria l'allora Sindaco di Firenze, Matteo Renzi, pubblicava sul suo profilo Facebook il seguente post: “Referendum. Vado a votare sì all’acqua pubblica ...".
Ora Matteo Renzi è Segretario del PD, Presidente del Consiglio e il PD è il principale partito di maggioranza.
Quali migliori condizioni per attuare l'esito referendario e rispettare la volontà popolare?
Ma qual'era la volontà popolare?
Così la riassumeva la Corte costituzionale: "rendere estraneo alle logiche del profitto il governo e la gestione dell’acqua."
Invece il Governo ha deciso di muoversi lungo una direzione contraria, soprattutto con i decreti attuativi della legge Madia, i cui obiettivi espliciti, riportati nella relazione di accompagnamento, sono “la riduzione della gestione pubblica ai soli casi di stretta necessità” e il “rafforzamento del ruolo dei soggetti privati”.
Il decreto Madia sui servizi pubblici locali vieta, inoltre, la gestione pubblica per i servizi a rete, quindi acqua inclusa, e ripristina l’”adeguatezza della remunerazione del capitale investito” nella composizione della tariffa, nell’esatta dicitura che 26 milioni di cittadini avevano abrogato.
E' significativo che proprio mentre milioni di italiane e italiani stanno per votare le future amministrazioni delle loro città, il Governo discuta un decreto che, di fatto, viola l'art. 75 della Costituzione e sposta la gestione dei servizi pubblici dai consigli comunali ai consigli di amministrazione. Bloccare questo progetto è innanzitutto una questione di democrazia.
Per cui in questi giorni sono in programma decine di iniziative diffuse sui territori e prosegue la raccolta firme sulla petizione popolare per il ritiro di questi decreti nell'ambito del “Firma Day” promosso dalla campagna sui referendum sociali e costituzionali.
Inoltre, come movimento per l'acqua, contestiamo lo stravolgimento della legge per la ripubblicizzazione dell'acqua compiuta dalla maggioranza alla Camera il 20 Aprile scorso.
Per questo nei giorni in cui ricorre il 5° compleanno del referendum nelle iniziative in programma intendiamo ribadire la richiesta di ritiro immediato del decreto Madia e il ripristino del testo originario della legge per l'acqua.
Roma, 10 Giugno 2016.

giovedì 9 giugno 2016

Appello referendario

Associazione Culturale Oltre l'Occidente


Mancano pochi giorni alla fine della campagna referendaria che vede singoli e organizzazioni impegnate nel raccogliere almeno 500 mila firme nell’eventualità, nel 2017, di votarli.
SI fa appello al massimo sforzo per le prossime due settimane anche alla luce del numero di 300 mila firme finora raggiunte e che quindi necessita di un ulteriore forte impegno. Entro i primi 20 giorni di giugno dovranno essere terminate le raccolte, completi delle firme autenticate e certificate, per poi avviarsi ad essere depositati presso la Corte di Cassazione a Roma ai primi di luglio.
Nella provincia di Frosinone sono previsti banchetti referendari a:

FROSINONE – sabato via Aldo Moro ore 16-21
CEPRANO  - sabato 9 / 20
CASSINO – sabato – 16 / 20
PIEDIMONTE SAN GERMANO – domenica – 17 / 20
ARPINO – domenica – 9 / 13
ROCCASECCA – domenica – 9 / 13
PICO – domenica 9 / 13
FERENTINO - Sabato mattina al mercato (via della stazione), pomeriggio Piazza Matteotti (Municipio) 


I referendum istituzionali comprendono prima di tutto la richiesta di referendum, come previsto dall’articolo 138 della Costituzione, per sottoporre al giudizio popolare la  legge costituzionale Boschi-Renzi. Anche se il referendum è fissato per legge e si svolgerà ad ottobre si tratta di un’iniziativa, ha dichiarato Alfiero Grandi, «per sottolineare che le decisioni in materia costituzionale riguardano tutti i cittadini e che la volontà popolare deve entrare in campo immediatamente».
Opporsi, poi, all’Italicum è necessario e dirimente per il funzionamento della nostra democrazia fin troppo sbilanciata verso gli esecutivi (vedi i sindaci potestà e la mancata elezione dei consigli provinciali!). Il premio di maggioranza è una aberrazione che con la scusa della governabilità riduce gli spazi di rappresentanza di tutte le cosiddette minoranze consentendo ad un’altra minoranza il dominio dei numeri e quindi delle scelte. Governare democraticamente è soprattutto confronto e mediazione possibilmente ad armi pari tra forze che rappresentano la gran parte della realtà, già di per sé poco riducibile ad essere rappresentata dignitosamente. In ogni caso meno rappresentanza  c’è meno difesi sono gli interessi delle classi meno abbienti, più il “capitale”, o che dir si voglia, imperversa per portare a casa risorse, reddito e futuro di tutti. Se aggiungiamo l’abolizione capilista bloccati allora la scelta democratica diventa inesistente.
La “buona scuola” immagina qualcosa che, a prescindere se bella o brutta, si dirige comunque lontano da quella che noi pensiamo sia l’istruzione. Per chi ha occasione di viverla da genitore ci si accorge che in questi anni con le riforme verso l’autonomia non si sono avuti nemmeno tiepidi segni di miglioramento. Anzi, la sensazione che rimane è che se tuo figlio fosse a casa non perderebbe didatticamente alcunché. Sembra anzi che la scolarizzazione di massa sia una occasione eccezionale per recuperare risorse economiche (dalle famiglie soprattutto) e far passare ideologie di competizione piuttosto che una attenzione alla costruzione di un cittadino libero e critico e che faccia proprio il senso di uguaglianza. Il percorso “liberalizzato” della scuola è chiaro; ora pur non avendo una capacità politica ed ideologica di proporne un altro, almeno opponiamoci ai disegni di sgretolamento esistenti!
Sui referendum ambientali poco ci sarebbe da aggiungere in base alla coscienza collettiva e alla responsabilità per il futuro. I referendum che si oppongono a nuovi inceneritori e a trivelle disruttrici e a bloccare la privatizzazione dell’acqua non possono assolutamente non trovarci d’accordo davanti alla drammatica situazione di mettere a repentaglio il futuro del pianeta per la gestione delle risorse sull’altare del “libero mercato”. Lo sviluppo come mantra piuttosto di una forte e non più rinviabile decrescita dovrebbe essere elemento da superare nel più breve tempo possibile nelle agende politiche per un altro mondo possibile.
i quesiti sono di seguito elencati:
Contro la “buona scuola”–        Quesito 1. Abrogazione di norme sui finanziamenti privati a singole scuole pubbliche o private
–        Quesito 2. Abrogazione di norme sul potere del dirigente di scegliere i docenti da premiare economicamente e sul comitato di valutazione
–        Quesito 3. Abrogazione di norme sull’obbligo di almeno 400-200 ore di alternanza scuola-lavoro
–        Quesito 4. Abrogazione di norme sul potere discrezionale del dirigente scolastico di scegliere e di confermare i docenti nella sede
Per l’ambiente–        Bloccare nuove attività di prospezione, ricerca e coltivazioni di idrocarburi (Legge 9/1991)
–        Bloccare il Piano Nazionale per nuovi e vecchi inceneritori, abrogazione parziale dell’art. 35 della Legge 133/2014
Contro l’Italicum–        Abolizione capilista bloccati (legge detta Italicum)
–        Abolizione del premio di maggioranza (legge detta Italicum)
riforma costituzionale (referendum indetto per ottobre 2016)– quesito con la richiesta di referendum, come previsto dall’articolo 138 della Costituzione, per sottoporre al giudizio popolare la  legge costituzionale Boschi-Renzi

mercoledì 8 giugno 2016

ELEZIONI AMMINISTRATIVE: IL GOVERNO RENZI E’ SEMPRE PIU’ DEBOLE. PREPARIAMOCI A CACCIARLO CON LA LOTTA E CON UNA VALANGA DI “NO”!

Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia


Il PD renziano esce pesantemente indebolito dal primo turno delle amministrative. Perde una caterva di voti (circa il 25% rispetto alle passate comunali: 40 mila a Bologna, 100 mila a Roma, 20 mila a Torino, disastro assoluto a Napoli con tanto di commissariamento; molto di più se paragonato con le politiche ed europee). E’ superato clamorosamente dal M5S a Roma e Torino e si trova costretto a passare per i ballottaggi (ma a Napoli ne rimane fuori). Vedremo i risultati, intanto ci rallegriamo per la sconfitta di Renzi e del suo partito, che sono oggi nel nostro paese gli alfieri della politica neoliberista, dei progetti reazionari e guerrafondai al carro della UE e della NATO.
     Il quadro politico vede la fine del bipolarismo. La crescita del M5S è limitata, non avendo solide basi sociali organizzate e un progetto politico. Berlusconi e FI sono in crisi, le destre rimangono divise, ma possono tornare a galla in una situazione di forte instabilità economica e politica, con una politica demagogica e xenofoba.
     Da parte loro, i socialdemocratici non riescono a raccogliere i voti di protesta dei lavoratori malcontenti e impoveriti, a causa della fiacchezza della loro proposta politica keynesiana e filo-capitalista e della scarsa credibilità del ceto politico che compone la loro direzione. 
     L’astensionismo continua a crescere in modo costante, in particolare nelle grandi città del nord. L’affluenza media è stata del 62,14% (ma è del 40% al sud) con un calo di 5,28 punti rispetto alle amministrative precedenti. Ciò dimostra che le grandi masse esprimono una profonda sfiducia in tutti i partiti borghesi e piccolo-borghesi, mentre i loro settori più avanzati manifestano una tendenza al cambiamento che mette in discussione l’attuale sistema barbaro e morente.
     Le amministrative, come il recente referendum sulle trivelle, hanno segnato un’altra tappa del declino politico del bulletto fiorentino. Il suo progetto politico, in particolare il “partito della nazione”, si rivela inconsistente, perdendo consensi a rotta di collo.
     Renzi non ha più presa su vasti strati operai e popolari. Il PD neoliberista paga in termini elettorali la sua politica di austerità, il Jobs Act, i tagli allo stato sociale, la disoccupazione che risale, le mancate promesse, etc.
     Ora il segretario-premier per sopravvivere deve puntare tutte le sue carte sul referendum costituzionale di ottobre. Ma le masse popolari gli diranno ancora una volta NO e la bolla di sapone renziana scoppierà assieme al suo governo.
     In queste circostanze, chiamiamo la classe operaia, tutte le forze comuniste, rivoluzionarie, progressiste, sinceramente democratiche, a partecipare e sostenere le lotte in corso, a partire da quella dei metalmeccanici per il contratto, a costruire Comitati per il NO nei luoghi di lavoro, nei quartieri, per sbaragliare le controriforme e cacciare Renzi, per aprire la via a un’alternativa politica di rottura rivoluzionaria col neoliberismo e con lo stesso capitalismo.
     Per quanto riguarda l’azione da svolgere nei comuni, rilanciamo la proposta di creazione di Comitati cittadini con carattere di classe e di massa, unitari e rivolti ai lavoratori e alle masse popolari, per opporsi all’offensiva capitalista, alla reazione, per denunciare le ingiustizie, unire e mobilitare le masse per il miglioramento degli standard di lavoro e di vita, senza coltivare nessuna illusione elettoralista. Allo stesso tempo, vanno costruiti a livello locale organismi unitari intersindacali, che contribuiscano allo sviluppo del fronte unico di lotta nei posti di lavoro e spingano alla difesa intransigente degli interessi economici e politici dei lavoratori sfruttati.
     Il governo Renzi e le politiche antipopolari e guerrafondaie delle classi sfruttatrici possono e devono essere battuti. Per farlo serve la discesa in campo della classe operaia e delle masse popolari, lo sviluppo dell’organizzazione diretta delle masse operaie e popolari, volta alla distruzione del vecchio sistema capitalistico e alla costruzione del nuovo sistema socialista. 
     Di fronte a questi grandi compiti, diventa sempre più urgente unire i comunisti e i migliori elementi del proletariato in un autentico Partito comunista, strumento indispensabile per elevare la coscienza di classe dei proletari e dirigere la lotta di classe verso i suoi scopi storici e immediati.
Uniamoci, organizziamoci, lottiamo!

Nasce il Fronte di lotta No Austerity Facciamo come la Francia!

di Fabiana Stefanoni
 

Sabato 28 maggio e domenica 29 maggio si è svolta Firenze la prima Conferenza nazionale di No Austerity. Dopo quasi 4 anni di vita, No Austerity ha deciso di fare un importante passo in avanti. Per citare l'appello attorno cui si è costruita la Conferenza nazionale, No Austerity ha deciso di “evolversi”: non più solo un coordinamento di realtà di lotta fondato sui principi e la pratica della solidarietà di classe, ma qualche cosa di più, un soggetto più strutturato in grado di promuovere iniziative di lotta. Un passaggio che è stato rimarcato, simbolicamente, con un cambio del nome: non più coordinamento ma fronte di lotta No Austerity.
 
Una Conferenza nata dalle lotte
La Conferenza nazionale ha visto una significativa partecipazione di tante delegate e delegati (più diversi invitati) da molte regioni d'Italia: Toscana (Firenze e Lucca), Lombardia (Milano, Bergamo, Cremona), Piemonte (Pinerolo), Veneto (Vicenza), Emilia Romagna (Modena, Parma, Bologna), Lazio (Roma), Puglia (Bari e Bat), Campania (Salerno), Sicilia (Palermo, Catania, Caltanissetta). Una partecipazione tanto più significativa perché è stata totalmente autofinanziata (dal viaggio al pernottamento) dalle realtà di lotta aderenti al coordinamento. Tante compagne e compagni hanno percorso migliaia di km per essere presenti a questo appuntamento, ritenendolo, a ragione, fondamentale ai fini dello sviluppo della lotta di classe in Italia.
I lavori sono iniziati sabato mattina, con i saluti alla Conferenza da parte di Chiara Pannullo, di No Austerity Firenze e delle Donne in Lotta. Subito dopo, la parola è passata a Ivan Maddaluni e Diego Bossi, che hanno fatto un bilancio di questi quattro anni di vita di No Austerity e proposto alla discussione la nuova Carta dei principi.
Un inizio dei lavori importante anche dal punto di vista simbolico. Abbiamo voluto che fosse una compagna a salutare i presenti, perché da sempre No Austerity riconosce la battaglia contro il maschilismo di primaria importanza. Importante anche la scelta dei relatori, che rappresentano la profonda inserzione di No Austerity nelle battaglie quotidiane della classe lavoratrice.
Ivan Maddaluni è uno dei ferrovieri che hanno organizzato in questi anni duri scioperi contro le misure di austerity del governo: i lavoratori dei trasporti sono tra i più colpiti sia dai tagli che dalle leggi antisciopero. Al contempo, i ferrovieri sono tra coloro che hanno dimostrato con più determinazione la volontà di resistere e continuare a lottare: proprio pochi giorni prima della Conferenza, hanno promosso un riuscitissimo sciopero (indetto dai sindacati di base) che ha avuto un'altissima adesione. Uno sciopero, tra l'altro, organizzato contemporaneamente agli scioperi dei ferrovieri in Francia contro il Jobs Act di Hollande.
Diego Bossi, che ha presentato la Carta dei principi, è un operaio della Pirelli, una delle fabbriche i cui operai in passato hanno dato vita alle lotte più dure, e che ancora oggi conosce una importante presenza di avanguardie operaie, organizzate col sindacalismo conflittuale (emblematica la solidarietà che gli operai dei tre stabilimenti Pirelli - Bollate, Milano e Settimo Torinese - hanno espresso alla dura lotta degli operai della Bridgestone di Bari.

Il dibattito, fin dal primo giorno, è stato molto partecipato, con operaie e operai di diverse fabbriche, lavoratrici e lavoratori del pubblico impiego, delle cooperative, dei trasporti, della logistica, della scuola e della sanità. Presenti anche rappresentanti dei comitati dei disoccupati e dei pensionati. Diversi gli immigrati in sala: una presenza importante, sia perché sono stati tra i protagonisti degli scioperi e delle lotte più dure, sia per ribadire la necessità di lottare con forza contro il razzismo.
Il momento più emozionante è stato sicuramente l'intervento di Emmanuelle Bigot, del sindacato di base francese Solidaires, che ci ha portato anche i saluti della Rete sindacale internazionale di solidarietà e di lotta (a cui il Fronte di Lotta No Austerity aderisce). Emmanuelle è attivista di Sud Rail, il settore di Solidaires che organizza i ferrovieri: ci ha comunicato col suo combattivo saluto tutto l'entusiasmo delle lotte in Francia, che ha riempito la platea di grandi speranze per la ripresa delle lotte, su larga scala, anche qui in Italia. Il suo saluto (che si può leggere qui: 
QUI ) è stato accolto con un lungo applauso in piedi da parte di tutti i presenti.
Questa parte del dibattito si è conclusa con la replica della sottoscritta: in realtà, come ho precisato da subito, più che di una replica è stata la conclusione del dibattito che ha visto una straordinaria, e per certi versi inaspettata, sintonia tra tutte e tutti i presenti. Una sintonia che nasce dalla ferma convinzione, sperimentata nei luoghi di lavoro, che per sconfiggere i padroni e il governo è necessario lottare uniti. E' necessario, appunto, costruire e rafforzare un vero e proprio “fronte di lotta”.
 
Tanti temi in discussione
La seconda parte del dibattito è stata organizzata dalle Donne in Lotta di No Austerity, con una efficace e sferzante relazione di Conny Fasciana, lavoratrice siciliana del pubblico impiego. Il dibattito, coordinato da Patrizia Cammarata, ha visto la partecipazione di diverse donne, che nei loro interventi hanno denunciato la condizione di doppia oppressione che vivono in questa società. Una condizione che si aggrava sempre più con i tagli dei servizi e i licenziamenti e che ha come aspetto più macabro l'aumento impressionante dei femminicidi. Numerosi anche gli interventi dei compagni, che hanno dimostrato di seguire con attenzione - e recepire seriamente - l'intervento delle Donne in Lotta.
La sera, dopo cena, l'impegno politico non si è fermato: Tiziano Terri, operaio licenziato da Electrolux e attivista di No Austerity a Firenze, ha introdotto un interessante dibattito sulla Palestina, con la presentazione del libro Gaza e l'industria israeliana della violenza (presente uno degli autori, Alfredo Tradardi).
La domenica i lavori sono ricominciati la mattina presto, con una relazione di Giuseppe Martelli dell'Usi sulla lotta contro il Jobs Act e l'accordo della vergogna. La relazione è stata anche un'occasione per raccontare le importanti lotte che le lavoratrici e i lavoratori delle cooperative settore sociale stanno portando avanti a Roma, spesso avendo come controparte un sistema mafioso che è stato giustamente definito “Mafia Capitale”.
A concludere la due giorni, la relazione di Graziano Giusti, operaio di No Austerity Bergamo, ha toccato uno degli aspetti centrali di questa Conferenza: l'aspetto organizzativo. Si è discusso e votato un regolamento per dare traduzione pratica concreta agli enunciati della Carta dei principi. Un regolamento ispirato alla necessità di favorire la massima partecipazione della base, delle lavoratrici e dei lavoratori che lottano nei luoghi di lavoro, degli attivisti che costruiscono quotidianamente No Austerity nei territori.
Positivamente, oltre ad Alternativa comunista e ai compagni di orientamento anarchico (che fin dall'inizio hanno sostenuto attivamente la costruzione di No Austerity), nuove organizzazioni politiche della sinistra di classe oggi sostengono il Fronte di Lotta No Austerity e hanno dato il loro contributo alla riuscita della Conferenza: Pagine Marxiste-Coc, il Pcl di Firenze, compagne e compagni di Rifondazione comunista, Red Militant.
Per maggiori dettagli, rimandiamo alla lettura del report, della Carta dei principi e del regolamento approvati sul sito del Fronte di lotta No Austerity: 
http://www.coordinamentonoausterity.org/docconf2016 .
 
Facciamo come la Francia!
L'aspetto più importante della prima Conferenza nazionale del Fronte di lotta No Austerity è sicuramente la capacità che ha avuto di rompere alcune delle barriere che oggi ostacolano, in Italia, lo sviluppo della lotta di classe. Chi resiste quotidianamente nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro conosce bene il ruolo di pompieri delle lotte che svolgono i grandi apparati burocratici (Cgil, Cisl e Uil in primis), che svendono la rabbia dei lavoratori in cambio di pochi privilegi per i loro funzionari milionari. Ma conosciamo anche bene la deleteria tendenza al settarismo e all'autoreferenzialità da parte delle direzioni del sindacalismo di base e conflittuale: tendenze che in alcuni casi hanno portato a scelte opportuniste, come la firma del famigerato accordo della vergogna sulla rappresentanza.
A Firenze tutte le realtà presenti hanno ribadito la loro volontà di porre davanti a tutto la necessità dell'unità di classe, nel rispetto della democrazia operaia, cioè della partecipazione reale delle lavoratrici e dei lavoratori.
Quando nel 2012 abbiamo inaugurato la straordinaria esperienza di No Austerity, che ha saputo crescere e rafforzarsi nonostante i tentativi di tanti di ostacolarne la crescita, era presente, con noi, il compagno Dirceu Travesso (Didì), della Csp Conlutas, che, benché gravemente malato (è morto pochi mesi dopo), ha voluto accompagnarci nel varo di questo ambizioso progetto di costruzione dell'unità delle lotte. Penso che il miglior modo per concludere questo resoconto sia proprio quello di ricordare le sue parole di allora. Ci diceva Didì: dovete costruire delle vele robuste di modo che, quando il vento delle lotte ricomincerà a soffiare, sarete preparati per navigare molto lontano. E in questi anni abbiamo proprio fatto quello che lui ci ha suggerito: oggi, dopo questa Conferenza, le nostre vele sono molto più robuste di allora. Aspettiamo il vento, augurandoci di poter presto seguire l'esempio delle lavoratrici e dei lavoratori francesi.
 

martedì 7 giugno 2016

Metalmeccanici: a suon di scioperi diamo il segnale che si ricomincia a fare sul serio!

Da: Scintilla, n. 70 – giugno 2016
Organo di Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia

Come era prevedibile si è giunti alla rottura nella vertenza per il contratto metalmeccanico.
Di fronte alla chiusura di Federmeccanica e Assistal, i sindacati FIOM-FIM-UILM hanno proclamato 12 ore di sciopero (4 ore a livello locale e lo sciopero di 8 ore con manifestazioni regionali il 9 e 10 giugno) e due sabati con il blocco degli straordinari e della flessibilità.
I padroni non ne vogliono sapere di aumenti decenti per tutti. Vogliono elargire una mancia solo per i lavoratori che stanno al di sotto dei minimi tabellari. Per gli altri operai rimarrebbe solo la contrattazione aziendale, che nelle concrete condizioni in cui versa oggi la massa operaia, significa di fatto nessun aumento oppure aumenti legati alla produttività e al “merito” individuale, ovvero ai profitti dei padroni.
Tutto questo non deve passare! Invitiamo tutti gli operai, nonostante la debolezza delle piattaforme sindacali e la politica dei vertici sindacali confederali collaborazionisti, a partecipare in massa a queste iniziative di lotta e rendere questa mobilitazione la più radicale e unitaria possibile, per sconfiggere il disegno dei padroni e del governo Renzi che vogliono cancellare il contratto nazionale collettivo.   
Non lasciamo gestire gli scioperi dai burocrati e dagli opportunisti! E’ necessario trasformarli in veri scioperi di massa, sviluppare una forte mobilitazione nelle fabbriche e nelle piazze, che veda la partecipazione delle altre categorie sotto attacco, dei disoccupati, fino a giungere a un vero sciopero generale nazionale (visto che l’attacco è a tutti i lavoratori e ai giovani disoccupati e precari).
Occorre dare una risposta di classe e rivoluzionaria a queste posizioni vergognose e arroganti dei padroni, sostenuti e spinti all’attacco da Renzi Occorre rivendicare veri CCNL che garantiscano adeguati aumenti salariali subito e per tutti, il blocco dei licenziamenti, l’abolizione del Jobs Act,  la riduzione dell’orario, dei ritmi e dei carichi di lavoro senza perdita di salario, la fine dei contratti precari, il miglioramento delle condizioni di lavoro, la difesa dei diritti, delle libertà e delle agibilità sindacali.
Questa mobilitazione dovrà inserirsi, traendone le dovute lezioni, nella ripresa delle lotte operaie che stanno montando in queste settimane in Europa (Francia, Belgio, Grecia...).
E’ evidente che manca in Italia una vera opposizione politica e sindacale di classe all’attacco sferrato dal capitale.
Ma questo non significa che dobbiamo lasciare alla direzione dei riformisti e degli opportunisti le lotte contro i piani della borghesia. In ogni sciopero, in ogni protesta dobbiamo contrapporre la solidarietà e la lotta di classe alla linea di svendita.
Operai, è ora di ricominciare a lottare sul serio e ad organizzarci come si deve se non vogliamo arretrare ancora!
Compito dei comunisti e degli operai più avanzati e combattivi è lavorare per costruire il fronte unico di lotta del proletariato, unificare le lotte per i contratti e inserirle all’intero della più generale battaglia contro il sistema capitalista, collegare e sviluppare l’opposizione sindacale di classe dentro e fuori i sindacati.
Nelle lotte odierne va lanciata la formula del “Governo degli operai e degli altri lavoratori sfruttati” che riassume e sintetizza il contenuto e l’obiettivo politico delle lotte e delle rivendicazioni della classe operaia, ponendo ai larghi strati sfruttati e oppressi il problema del potere politico.
Il modo migliore per risalire la china e prepararci a battaglie decisive è stringere legami più stretti fra i migliori elementi del proletariato, lavorare per costruire un autentico Partito comunista, strumento indispensabile per dirigere la lotta di classe per il comunismo.

lunedì 6 giugno 2016

Bella la riforma costituzionale, bello l'Italicum, ma se non vince Renzi?

Luciano Granieri


Mamma che caciara dopo la prima tornata di  amministrative! Il Pd ha perso, ha pareggiato, ha vinto di misura. Il M5S ha trionfato, si ma solo a Roma e a Torino, poi li voglio vedere i penta-stellati elargire ai romani un reddito di cittadinanza pari a circa 800 euro con un debito che nella Capitale sta a 13 milioni di euro .  Il centrodestra? Meloni accusa: Berlusconi ha giocato  a perdere, candidando prima Bertolaso ex dirigente della distruzione civile e poi il palazzinaro  Marchini . Perché contribuire a mandare al ballottaggio Bobo Giachetti al posto della sorella d’Italia, avrebbe potuto   assicurare  all’ex cavaliere   prebende  governative per le sue aziende. 

Renzi? Come al solito dice stronzata. La disfatta di Napoli sarà  pagata a caro prezzo dai vertici locali del Pd. Verranno commissariati.  Già come se la scelta della  Valente  candidato a sindaco, gli imbrogli ai gazebo,  e l’associazione a delinquere con i Verdininani, causa della debacle partenopea, non siano  emanazione diretta del Segretario Presidente per tenere in piedi il suo Governo e cercare alleati in vista del referendum di ottobre. 

Per altro Renzi definisce eroico il risultato di Giachetti  capace di raggiungere il ballottaggio in uno scenario, quello di Roma, ostile ai piddini e favorevole a  penta-stellati e post  fascisti. Potrebbe essere utile ricordare al segretario che prima del suo intervento, finalizzato  a sparigliare l’amministrazione capitolina,  sollecitato da  Caltagirone e da Cerroni, il Pd già governava la Capitale, con Ignazio Marino. E’ da buon segretario defenestrare un sindaco del proprio partito, avendo la quasi matematica certezza che il successore sarà di uno  schieramento avverso? Se lo impongono Acea e il ras della monnezza  si. 

Questi  sono i rumors più assordanti. E’ interessante però  porre attenzione alle esternazioni sussurrate, sottotono,  coperte dalla caciara di cui sopra, perché spesso sono fondate sulla sincerità. Stamattina il direttore di Radio Capital, nonché giornalista di Repubblica, Vittorio Zucconi, esimio rappresentante di quell’eletta schiera che si vende alla sera, ma anche alla mattina, perché tiene famiglia, preoccupato del risultato elettorale avanzava decisi dubbi sull’Italicum. 

Il ragionamento era il seguente: di fronte ad un’affermazione importante  del Movimento 5 Stelle, non sarà il caso di rivedere la faccenda del premio di maggioranza? E’ importante  perché se alle elezioni politiche i penta-stellati dovessero ripetere la performance delle amministrative, si prenderebbero tutto, governerebbero praticamente senza opposizione. Complimenti Zucconi grande scoperta! Potrebbe anche essere che sia Salvini ad accedere e vincere il ballottaggio per le politiche, e allora chiusura delle frontiere,  cannoneggiamenti contro le carrette del mare con i migranti a bordo.  

Ma non c’è da preoccuparsi. Matteo Renzi sicuramente avrà previsto tutto. Modificherà L’Italicum per cui se vince il Pd tutto rimarrà invariato, se il Pd arriva al ballottaggio, ma perde,  il premio di maggioranza andrà al partito uscito sconfitto, se il Pd non dovesse  nemmeno accedere al turno di ballottaggio, in nome della rappresentanza,  lo stesso premio  sarà ad appannaggio del primo, o secondo, o terzo, partito, dipende come si classificheranno i Dem, che  non avrà avuto  accesso al secondo turno “dentro o fuori”.  Il dubbio di Zucconi è sacrosanto. L’Italicum,  è ottimo perchè insieme alla DEFORMA costituzionale è il caposaldo  di un disegno teso a incoronare Matteo Renzi come unico e inossidabile condottiero, ma se vince un altro? 

domenica 5 giugno 2016

5 giugno 1975, Margherita (Mara) Cagol, membro del comitato esecutivo delle Br moriva colpita a morte da un carabiniere.

Tratto dal libro:  A Viso Aperto, di Renato Curcio e Mario Scialoja. Pubblicato nel 1993 per Monadori

La cascina Spiotta
Renato Curicio, intervistato da Mario Scialoja, ripercorre le drammatiche fasi dell’omicidio della moglie Margherita (Mara)  Cagol.


Margherita Cagol è morta il 5 giugno 1975 alla cascina Spiotta,dove teneva prigioniero l’industriale Vallarino Gancia. Nella sparatoria fu ucciso anche il carabiniere  Giovanni D’Alfonso. Perché avete deciso quel sequestro?
Si è trattato del nostro primo sequestro a scopo di finanziamento. Fino a quel momento i soldi ce li eravamo procurati con le rapine alle banche ….. Ma con l’andare del tempo l’organizzazione era diventata sempre più grossa e le esigenze della clandestinità ancora più complesse e onerose….Gli attacchi  alle banche spesso fruttavano solo piccole somme. Nell’aprile del ’75 ci riunimmo, Margherita, Moretti ed io, in una casa del piacentino per discutere  il da farsi:  pensammo che era venuto il momento di seguire l’esempio dei guerriglieri latino-americani che già da tempo sequestravano gli industriali per finanziarsi.
Come mai avete scelto proprio Villarino Gancia?
Puntammo su Gancia perché con lui potevamo agire in una zona che conoscevamo bene, perché l’operazione non comportava troppe difficoltà, perché era molto ricco e perché ci risultava che avesse finanziato  delle organizzazioni fasciste. Volevamo chiedere un riscatto di circa un miliardo, ma, soprattutto, miravamo ad un sequestro rapido, semplice e il meno rischioso possibile.
Tu hai partecipato all’azione ?
Non facevo parte del gruppo operativo perché ero super ricercato, la polizia aveva le mie foto, non mi potevo spostare con facilità. Avevamo studiato i movimenti di Gancia e stabilito che lo avremmo preso in una strada di campagna che percorreva abitualmente per andare alla “Camillina”, la sua villa-castello di Canelli, vicino ad Asti.  L’azione si svolse il 4 giugno e sis volse senza intoppi. Appena prelevato l’industriale venne caricato su un furgone e portato alla cascina Spiotta, sulle colline di Acqui Terme.
Cosa era la cascina Spiotta?
Un nostro rifugio segreto, molto tranquillo e ben situato: a circa un’ora di macchina da Milano, Torino e Genova. Un antico cascinale di pietra in mezzo alla vigna e agli alberi da frutta, sul cocuzzolo di una collina a pochi chilometri dal borgo di Arzello. Lo aveva scoperto Margherita e comperato per pochi milioni…..Avevamo fatto amicizia con una famiglia di contadini di un cascinale vicino…La figlia, di quindici-sedici anni, veniva spesso a trovarci, ci portava le uova fresche e il latte appena munto. Quando Franceschini ed io eravamo stati arresati e le nostre foto erano apparse su tutti i giornali , nessuno di loro aveva detto niente e così pensammo che potevamo fidarci…Tanto più che l’unica strada di accesso poteva essere controllata dalla casa lungo vari chilometri.
Chi rimase a sorvegliare Gancia?
Margherita e un altro compagno che non posso nominare perché non è stato inquisito per questa operazione. Il sequestro doveva durare al massimo quattro, cinque giorni….Ma la mattina successiva l sequestro ci fu l’irruzione dei carabinieri.
Come mai i carabinieri sono riusciti ad arrivare alla cascina senza essere visti lungo la strada che sale sulla collina?
Per colpa di una tragica disattenzione dovuta alla stanchezza. Il compagno che stava con Margherita  si era addormentato durante il suo turno di guardia.
Tu sai esattamente cosa è successo su nella vostra cascina quella mattina di giugno?
Si, ho ricostruito accuratamente i fatti parlando con il brigatista che si è salvato. Margherita, dopo avermi telefonato, torna alla Spiotta e , siccome è stata di guardia tutta la notte, dice al compagno: “Io adesso vado a riposare, controlla tu dalla finestra con il binocolo, se vedi qualcosa di sospetto avvertimi e ce la filiamo”. Il piano previsto era molto prudente: avevamo studiato le cose in modo da evitare ad ogni costo un conflitto a fuoco e per questo avevamo pensato di poter lasciare  solo due persone a sorvegliare il sequestrato. Se una pattuglia o qualcuno di sospetto si fosse avvicinato alla cascina , Margherita e il compagno dovevano legare ed imbavagliare Gancia abbandonandolo sul posto, correre dietro al dosso del nostro terreno, due minuti a piedi, scendere giù per un pendio e fuggire con un’auto che era stata lasciata apposta  vicino ad uno stradello sterrato. Il fatto che il sequestrato potesse essere liberato era previsto e accettato, proprio perché avevamo deciso di stare lontani da ogni rischio. Dunque Margherita va a dormire, il compagno si apposta davanti alla finestra con il binocolo, ma poco dopo viene preso da un colpo di sonno. E non si accorge che una 127 blu  dei carabinieri sale per la strada comunale , si ferma a controllare qualche cascina lungo il percorso, imbocca il viottolo sterrato  che porta da noi.  Lì doveva esserci un tronco d’albero  messo di traverso per permettere di guadagnare tempo in caso di fuga, ma anche questa precauzione era stata trascurata. I carabinieri arrivano nell’aia. Le finestre della cascina da quella parte sono chiuse, ma vedono due macchine posteggiate sotto il porticato. Capiscono  che c’è qualcuno. Prudenti, spostano a retromarcia la loro auto sul lato dell’edificio bloccando lo stradello d’accesso. Poi cominciano a chiamare e bussare alla porta. Margherita si sveglia di botto. Dalla finestra vede i carabinieri, pensa si tratti di una pattuglia che gira a piedi per la campagna: “Non ti sei accorti di niente, ci sono i carabinieri, che si  fa?” dice al compagno allibito. Dopo un attimo di indecisione stabiliscono di affrontare i militari per tentare di raggiungere le macchine e scappare. I carabinieri, però, insospettiti del fatto che dalla casa non arriva risposta, non si fanno prendere alla sprovvista. Quando Margherita e il compagno si buttano fuori dalla porta con i mitra imbracciati e le bombe a mano Srcm pronte, esplode istantaneo il conflitto a fuoco. I colpi si susseguono a raffica e viene lanciata anche una bomba. Due carabinieri, colpiti gravemente, rimangono a terra. Uno di loro, l’appuntato Giovanni D’Alfonso, morirà pochi giorni dopo; l’altro, Umberto Rocca, perderà un occhio e un braccio. Il terzo scappa per i campi. Margherita ha una leggera ferita al braccio il compagno è illeso. Riescono a salire sulla loro auto, lei parte per prima a tutto gas. Girato l’angolo della casa si trova davanti la 127 dei carabinieri e per non sbatterci contro finisce con le ruote nel fosso. Il compagno che la segue rimane bloccato anche lui. Vengono subito presi sotto tiro da un quarto carabiniere che era stato lasciato di guardia in quel punto. Margherita esce dalla macchina disarmata , il compagno ha invece due Srcm in tasca. Gli viene ordinato di sedersi sul prato con le mani alzate. Sono prigionieri. Il compagno informa Margherita che ha le bombe e propone di tentare la fuga appena il carabiniere che li tiene di mira  si distrae un attimo. Lei è d’accordo. Il carabiniere a un cero punto si allontana di qualche passo per andare alla macchina e sollecitare i soccorsi via  rado. Il compagno si alza di scatto, lancia malamente la bomba che esplode senza fare danni  e si precipita in direzione del bosco. Margherita non è abbastanza veloce: rimane sotto il tiro del carabiniere che preferisce controllare lei piuttosto  che aprire il fuoco contro il fuggiasco. Il  compagno arrivato al riparo, si ferma per capire se è ancora possibile tentare qualcosa. Dopo qualche minuto sente un colpo. Forse anche una raffica di mitra. Si affaccia sul prato, capisce che non c’è più niente da fare e si allontana. I risultati dell’autopsia parlano chiaro. Margherita era seduta con le braccia alzate. Le è stato sparato un solo colpo di pistola sul fianco sinistro, proprio sotto l’ascella. Il classico colpo per uccidere….
La morte di  tua moglie è stata un dramma personale che ha anche modificato il tuo rapporto con la militanza e la lotta armata?
Quell’avvenimento ha cambiato molte cose: non solo per me, ma anche per le Brigate Rosse. Abbiamo per la prima volta vissuto veramente da vicino l’incontro con la morte e con il suo bagaglio di significati. La morte di Margherita, mia moglie, una nostra compagna, un capo colonna, e anche la morte di un carabiniere, padre i famiglia: questo l’epilogo drammatico di un’operazione che avevamo studiato in modo da evitare lo scontro a fuoco. Il grave fallimento ci portò a una durissima autocritica, ma anche alla presa di coscienza che continuare per la nostra strada significava accettare in concreto- e non solo come ipotesi astratta- il peso della morte, sia nel nostro campo che in quello avverso…
“…..E’ caduta combattendo Margherita  Cagol, “Mara”, dirigente comunista e membro del comitato esecutivo delle Brigate Rosse. La sua vita e la sua morte sono un esempio che nessun combattente per la libertà potrà mai dimenticare…Non possiamo permetterci di versare lacrime sui nostri caduti, ma dobbiamo imparare la lezione  di lealtà, coerenza, coraggio ed eroismo….Che tutti i sinceri rivoluzionari onorino la memoria di “Mara” meditando l’insegnamento politico che ha saputo dare con la sua scelta, con la sua vita. Che mille braccia  si protendano per raccogliere il suo fucile! Noi, come ultimo saluto le diciamo: “Mara, un fiore è sbocciato e questo fiore di libertà le Brigate Rosse continueranno a coltivarlo fina alla vittoria.”
Questi sono alcuni passi di un famoso volantino che le Br hanno diffuso il giorno dopo la morte di tua moglie. Un testo anomalo che mischia la commozione umana alla retorica guerrigliera. Lo hai scritto tu personalmente?
Si l’ho scritto io di getto….Il linguaggio che mi è venuto naturale usare esprime due rapporti diversi e contradditori con l’avvenimento: da un lato, la commozione e le tensioni personali, e dall’altro, l’esigenza di inquadrare il fatto nell’ambito politico della lotta armata . E’ vero che si tratta probabilmente dell’unico documento delle Br nel quale alla  freddezza del lessico politico-ideologico si sovrappone l’espressione di emozioni personali…Probabilmente quel volantino può essere letto come un documento cinico e, magari, grottesco. Oppure come un testo che esprime in pieno la contraddittorietà di venti umani in cui la politica e la lotta si fanno anche vita e morte.
Il volantino finisce con la parola “vittoria”: nel 1975 credevi davvero che la vostra lotta armata potesse conquistare un qualche tipo di vittoria?
Non ho mai pensato che lo sbocco vittorioso della lotta armata  dovesse significare la conquista del potere. Ma d’altro canto non ci si batte, come noi abbiamo fatto, pensando di essere per forza sconfitti. Sintetizzando le cose con una formula elementare, posso dire che quella società in cui vivevamo non mi andava assolutamente bene, non volevo a nessun costo accettarla, lottavo per cambiarla. E la parola “vittoria” significava la speranza di riuscire a modificare , almeno in parte lo stato delle cose….
Oggi credo di poter dire che il mio errore di valutazione della politica è stato quello di attribuire un peso eccessivo alla Democrazia Cristiana. Mi sono accorto che il regime teneva bloccata la situazione  era di fatto un blocco di alleanze che coinvolgeva l’intero sistema dei partiti, anche quelli di opposizione. Un’opposizione finta! In realtà, il “cuore dello Stato” che volevamo colpire non era rappresentato solo dalla Dc, ma da tutto il complesso politico-istituzionale che proteggeva se stesso in una continuità di regime. In quella situazione, comunque, per ottenere delle riforme vere si sarebbe dovuto scardinare il blocco e quindi “fare la rivoluzione”. Per ottenere le riforme bisognava armarsi.