sabato 12 novembre 2016

Nulla si muove a favore del presidio sanitario di Anagni

                                        Il Comitato  “ Salviamo l’ Ospedale di Anagni  


Sono passati  ben 18 mesi da quando l’atto aziendale della ASL di  Frosinone approvato con  DCA 1 Aprile 2015 n. U00134, decretava con 8 righe un minimo di riorganizzazione sanitaria del Presidio di Anagni, ben poca cosa, ovviamente, di fronte  alle esigenze di servizi sanitari della popolazione residente a nord della provincia di Frosinone.
Tuttavia, quelle poche righe rappresentano ancora una speranza da cui ripartire e la  loro attuazione permetterebbe una  concreta offerta di assistenza  sanitaria per molte necessità di intervento, evitando inutili file e sovraffollamenti del Pronto Soccorso di Frosinone o di Colleferro, per quelle patologie, codici  verdi e  gialli, che potrebbero essere trattate in loco, in linea con quanto  è prescritto dai Livelli  Essenziali  di Assistenza  ( LEA).

Pertanto, le proposte di riorganizzazione e ottimizzazione del lavoro all’interno del Presidio Sanitario di Anagni si possono sintetizzare come segue :
assegnazione di almeno 3 medici per il  Punto di Primo Intervento, di cui un anestesista rianimatore e due  medici di Medicina d’ urgenza.
Assegnazione di almeno 3 tecnici di laboratorio che insieme ai due già in servizio garantirebbero l’operatività del Laboratorio analisi nelle  ore  diurne  e la reperibilità nelle  notturne, stante l’ elevato numero di prestazioni attualmente  effettuate.
Acquisto di una nuova apparecchiatura  per esami Tac.
Acquisto di un nuovo ecografo multidisciplinare a disposizione dei Cardiologi, dei chirurghi, dell’ urologo e dei medici del P.P.I.
Rinnovo e ammodernamento delle  apparecchiature radiologiche.
Si sottolinea  l’importanza  del prossimo arrivo del Tomomammografo, donato da BANCANAGNI, che aprirà una nuova prospettiva nel campo della  prevenzione del cancro della  mammella.
Tale forma di riorganizzazione avrebbe  anche la  disponibilità, più volte dichiarata, di personale infermieristico qualificato, già dipendente dell’ Ospedale di Anagni, che collaborerebbe in forma volontaria, previa   stipula  di assicurazione.
Anche la  copertura economica potrebbe ricavarsi dai Fondi Regionali destinati attualmente al PAT, temporanea e inutile prestazione  sanitaria che coinvolge i medici di base per la stessa assistenza prestata dal  Punto di Primo Intervento, e che determina un’evidente dispersione di  risorse.   
                  A tali  richieste va premessa  una  condizione indispensabile: 
L’ Ospedale deve essere  messo in sicurezza con i provvedimenti necessari a garantire la vigilanza degli accessi e degli ambienti per  scongiurare danneggiamenti  e furti di apparecchiature, come è accaduto di recente.
In questi giorni verrà sottoposto a revisione, come  da  regolamento, l’ Atto Aziendale e anche il Sindaco Bassetta avrà la possibilità di intervenire nella discussione  per chiedere:
 
L’attuazione e il rafforzamento del testo attuale, sottoscritto a suo tempo dal Sindaco del Comune di Anagni e che rappresenta per il primo cittadino di Anagni, come  per ogni altro sindaco, l’ esercizio della  sua  funzione di tutela responsabile della  salute  dei cittadini.
L’ intervento della  ASL per chiarire  la situazione, ibrida e contraddittoria, della  struttura, e bloccare quanto sta succedendo perché,  al di là di contrasti  interni  all’ Azienda, sono inaccettabili i disagi e i rischi sopportati da decine e decine di persone già assistite o che  hanno necessità di esserlo.

Nel frattempo, quali sono state le azioni concretamente effettuate per la riorganizzazione dell’ Ospedale da parte, in primo luogo, del Sindaco di Anagni e di quelli dei Comuni  limitrofi che ad Anagni fanno riferimento?
Alla votazione della delibera da parte dei 9 Consigli Comunali per il riconoscimento di area  disagiata  per il  grave stato di criticità economico - sociale – ambientale e sanitario del territorio, con la richiesta di un ospedale  sede di pronto soccorso con delle caratteristiche organizzative  di base, doveva far seguito la immediata  presentazione della richiesta nelle sedi opportune, Regione e Ministero della Salute.
Sembra invece che i sindaci si siano accontentati di aver votato la delibera e sono perciò  doppiamente rinunciatari, in quanto hanno tutti riconosciuto la drammaticità socio-sanitaria del nostro territorio, ma non si sono prodigati e non si  prodigano con tutte le loro forze per proporre direttamente  e convintamente al Commissario  Zingaretti la soluzione di almeno uno dei problemi  di questo territorio, quello dell’ assistenza sanitaria.
La loro inerzia di fatto rischia di diventare complicità.
Lo stesso disinteresse e disimpegno sono del tutto evidenti nella non azione dei  rappresentanti politici regionali e parlamentari, eletti con i  voti dei cittadini dell’area nord della provincia. Eppure le interrogazioni dei parlamentari e dei consiglieri regionali in molti casi sono state determinanti per la riapertura di Ospedali e Pronto Soccorso. Per fortuna i referenti locali cominciano a prendere atto dell' inerzia di questi politici. Come si evince dall’apprezzabile  intervento  del segretario del Circolo PD di Anagni, prof. Francesco Sordo, che  ha  coinvolto gli altri Circoli del territorio per un impegno  immediato e concreto sulla situazione di  emergenza dell’ Ospedale di Anagni.
Come intendiamo proseguire noi del Comitato Salviamo l’Ospedale di Anagni “ ?

In assenza di risposte immediate e soddisfacenti,  prenderemo iniziative che coinvolgano tutti i cittadini dei comuni interessati, associazioni e gruppi politici che hanno a cuore la sanità nel nostro territorio, chiamando a rispondere in un’ Assemblea pubblica, tutti i rappresentanti politici espressi dalla  nostra  provincia.

venerdì 11 novembre 2016

La vittoria di Trump: il volto disgustoso dell'imperialismo

dichiarazione del Segretariato della
Lit - Quarta Internazionale
 

Il repubblicano Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti. Nonostante in termini di voti ci sia stato un virtuale pareggio tra lui e Hillary Clinton, Trump ha avuto una chiara maggioranza tra i "grandi elettori".
E' ancora presto per trarre tutte le conclusioni da un evento politico di questa grandezza, però possiamo fare una prima analisi che sarà necessario approfondire in seguito.
La vittoria di questo personaggio borghese, populista di destra (con posizioni xenofobe, razziste e maschiliste), contro gli apparati di entrambi i partiti tradizionali, ha provocato un forte impatto negli Stati Uniti e in tutto il mondo e si stanno sviluppando grandi dibattiti sul significato di quanto è avvenuto.
Tutti gli analisti coincidono nel segnalare che Trump ha guadagnato voti tra ampi settori di elettorato bianco delle regioni rurali, di piccoli proprietari e specialmente il voto di lavoratori bianchi impoveriti, i settori colpiti dai costi della deindustrializzazione, dalla crisi, dai bassi salari, dalla precarizzazione del lavoro e dalla disoccupazione. Una caduta sociale che non è stata frenata dal "recupero" economico del periodo di Obama e dalla diminuzione della disoccupazione.
In questi settori ha sfondato il discorso razzista, xenofobo e reazionario di Trump contro gli immigrati, i suoi attacchi al "sistema dei politici" e le sue false promesse per cui "basta lavorare duro e seriamente" perché ritorni la "grandezza degli Stati Uniti" e si "recuperi il sogno americano". Questo discorso populista di destra gli ha consentito non solo di vincere nelle roccaforti abituali dei repubblicani ma anche in Stati dove l'elettorato era più oscillante e anche negli storici insediamenti degli operai industriali bianchi come il Michigan (Detroit). Questo settore di lavoratori ha espresso in questo modo la sua frustrazione e rabbia contro "il sistema", rompendo col Partito democratico e svoltando a destra, sostenendo Trump.
Questo voto dei lavoratori bianchi mostra l'assenza di un'alternativa chiara e indipendente, di una direzione classista e rivoluzionaria, che lavori per l'unità della classe lavoratrice, combattendo i pregiudizi razziali e le ideologie borghesi, cominciando per quelle diffuse nel proprio Paese.
E' necessario precisare però il peso reale di questo appoggio tra i lavoratori: non dimenticando che gli elettori di Trump rappresentano comunque appena il 25% dell'elettorato reale (e che questa percentuale include gli agrari e le classi medie delle zone rurali). Per questo non si può spiegare perché Trump ha vinto se al contempo non si considera il discredito elettorale del Partito democratico e la rottura a sinistra di una parte della sua base elettorale, che non ha votato né la Clinton né Trump. Alla base di questo discredito c'è la profonda delusione che hanno prodotto i governi della presidenza Obama in cui settori di massa avevano riposto delle aspettative.
Obama ha governato "per i ricchi" senza risolvere nemmeno uno dei problemi più sentiti dalle masse; ha condotto una politica dura e repressiva, attaccando gli immigrati "illegali" e avallando l'ondata di violenza, repressione e omicidi di giovani neri compiuti dalla polizia.
A ciò si somma il fatto che la Clinton era una candidata chiaramente di destra (appoggia incondizionatamente Israele e i crimini del sionismo; ha sostenuto e promosso tutte le guerre e le invasioni di altri Paesi degli ultimi vent'anni; ha sostenuto la persecuzione degli immigrati latinoamericani e la repressione dei neri) e, inoltre, una candidata priva di qualsiasi carisma tra le masse. Anzi, era una candidata che suscitava ostilità.
Il peggioramento socio-economico che abbiamo citato non solo ha provocato movimenti verso destra ma ha generato anche una svolta a sinistra di settori di massa, che si è espressa nell'alto numero di voti raccolti da Bernie Sanders nelle primarie del Partito democratico.
Al di là di ciò che effettivamente è Sanders, egli si è presentato come qualcosa di "nuovo", un "socialista" critico dei danni prodotti dal capitalismo. In questo modo ha attirato la simpatia di milioni di giovani. Tanto che secondo alcuni analisti è possibile che se il candidato fosse stato Sanders avrebbe potuto battere Trump.
Ma la candidatura della Clinton ha chiuso questa possibilità e ha portato alla rottura di una buona parte dei sostenitori di Sanders con il Partito democratico: secondo un sondaggio, solo una metà dei giovani che appoggiarono Sanders hanno votato per la Clinton. Un'altra rottura importante si è prodotta con una parte della popolazione e della gioventù nera (rappresentata dal movimento Black Lives Matter) che non ha sostenuto la Clinton.
In entrambi i casi si tratta di ampie rotture sul versante di sinistra, altamente progressive.
La maggioranza della sinistra mondiale sta guardando solo al mero dato elettorale e per questo trae la conclusione che l'elezione di Trump sarebbe espressione di una "svolta reazionaria" che attraversa il mondo.
Noi della Lit non concordiamo con questa analisi. Esiste una polarizzazione crescente che ora si esprime negli Stati Uniti.
Per realizzare le sue proposte, Trump dovrà scontrarsi con due ostacoli. Il primo è la lotta di classe. Al di là delle sue promesse populiste, Trump non ha altra possibilità che attaccare le masse e i lavoratori a vantaggio del capitalismo imperialista.
Può darsi che un settore dei lavoratori bianchi che lo hanno votato lo sostenga nei suoi attacchi agli immigrati e ai neri; però è probabile anche che un altro settore si disilluda rapidamente e in questo caso l'attuale sostegno a Trump si trasformerebbe nel suo opposto.
Gli altri settori (coloro che non lo hanno votato) già vedono Trump come un nemico. Per esempio, un giorno dopo le elezioni, giovani attivisti di varie città degli Stati Uniti hanno dato vita a numerose manifestazioni di migliaia di persone contro il nuovo presidente: cosa che non si era mai vista negli Stati Uniti. Sono giovani che non hanno votato né per Trump né per la Clinton e che non si sentono rappresentati da nessuno. Sono i primi segnali di una nuova tendenza?
Il secondo ostacolo che Trump dovrà affrontare sono le organizzazioni della borghesia imperialista che hanno cercato di evitare l'elezione di Trump perché non lo considerano "affidabile" e non concordano con le sue proposte. Alcune di queste proposte, infatti, riguardano gli interessi del cuore dell'economia imperialista statunitense (la borghesia finanziaria e il suo parassitismo). Trump è disposto ad affrontare questo scontro? In questo caso, è inevitabile che si producano scintille.
Una parte delle proposte di Trump sono contrapposte al metodo che definiamo della "reazione democratica" che è stato il metodo tattico usato dall'imperialismo nel mondo negli ultimi decenni per contrastare le rivoluzioni e le lotte, da dopo la dura sconfitta che gli Usa hanno subito in Vietnam nel 1975. Questo metodo consiste nel difendere gli interessi dell'imperialismo alternando al "bastone" la "carota" delle negoziazioni, degli accordi, delle elezioni.
Nel 2001 Bush cercò di modificare questa politica a favore di un'altra, più bonapartista e bellicista: la "guerra al terrorismo". Però è stato duramente sconfitto in Irak e in Afghanistan e ciò ha prodotto una crisi profonda per l'imperialismo nel mondo (e anche all'interno degli Stati Uniti). L'elezione di Obama significò un tentativo di rispondere a questa situazione e di tornare alla politica della "reazione democratica" dell'imperialismo in forma piena (recentemente appoggiandosi anche sul ruolo del nuovo papa Francesco).
Trump romperà con la politica di accordi praticata coi Castro a Cuba, con le Farc in Colombia, con l'Iran in Medio Oriente? Romperà con la tattica di utilizzare il metodo delle elezioni nei Paesi semicoloniali? Ricordiamoci che Bush cercò di modificare almeno parzialmente questa tattica ma si ruppe i denti contro la reazione delle masse nel mondo e ciò indebolì lo stesso regime politico degli Stati Uniti.
Nell'edizione in spagnolo, il New York Times (un giornale molto legato alla borghesia finanziaria imperialista), analizzando la situazione e alcune proposte di Trump, ha messo in guardia: "Il prossimo presidente dovrà fare fronte alle richieste di un Paese frantumato. Se cercherà di imporre misure repressive contro le minoranze etniche contro cui ha condotto la campagna elettorale, specialmente gli ispano-americani e i musulmani, provocherà una resistenza feroce."
Anche gli imperialisti europei hanno espresso la loro preoccupazione: il presidente francese Hollande (utilizzando uno humor acido) ha dichiarato: "mi congratulo con il nuovo presidente degli Stati Uniti perché è quanto si fa abitualmente. Però non posso nascondere la nostra inquietudine."
In altre parole, al di là della stessa dinamica della lotta di classe negli Stati Uniti e nel mondo, l'elezione di Trump produce una crepa profonda nella borghesia imperialista statunitense e mondiale. Crepa dalla quale, come diceva Lenin, possono emergere mobilitazioni e lotte dei lavoratori e delle masse.
Per questo, con la dinamica che aprono, crediamo che se queste elezioni esprimono qualcosa è essenzialmente l'acuirsi degli elementi di crisi che vive il regime politico statunitense. A nostro giudizio, l'elezione di Trump, lungi dal chiudere questa crisi, può ampliarla.
Come rivoluzionari, il nostro compito è promuovere le lotte contro questo nuovo nemico negli Stati Uniti e nel mondo. Come abbiamo visto, negli Stati Uniti le mobilitazioni sono già iniziate.
Bisogna contrastare le divisioni xenofobe, razziste e maschiliste che i nostri avversari cercano di imporre tra i lavoratori e bisogna unificare tutte le lotte e le rivendicazioni contro il nuovo governo: la mobilitazione già in corso dei giovani va unita con la lotta per i 15 dollari di salario orario, con la difesa della salute e dell'educazione pubblica, con la lotta per i diritti degli immigrati (a partire da quelli latino-americani, i più sfruttati), con le rivendicazioni di Black Lives Matter contro la repressione e gli omicidi per mano poliziesca, con la lotta per la difesa dei diritti dei neri.
In questo percorso di lotta, è necessario avanzare contemporaneamente nella costruzione di un partito operaio, socialista e rivoluzionario che esprima gli interessi di tutti i settori della classe lavoratrice e assuma la lotta contro tutte le oppressioni.
Oggi nel mondo, con l'elezione di Trump cade la maschera ipocrita e "simpatica" di Obama (che tanta confusione ha generato nelle masse). L'imperialismo torna a mostrare il suo vero volto disgustoso: xenofobo, razzista, maschilista, sfruttatore e prepotente. Questo può in definitiva favorire la crescita della coscienza e della lotta antimperialista in tutto il mondo, così come accadde nel periodo di Bush in cui folle gigantesche si riunivano nelle piazze per contestarlo in ogni Paese che visitava.
Riempiamo le piazze di manifestazioni contro Trump e contro l'imperialismo!
 

Lettera aperta ai Sindaci dell’Ato 5 Lazio meridionale - Frosinone

Comitato provinciale acqua pubblica Frosinone


Frosinone, 11/11/2016

Ma la tutela, il governo e la gestione dell’acqua sono in mano agli amministratori pubblici o agli imprenditori e commercianti?

Signori sindaci,
 il Comitato Provinciale Acqua Pubblica, parte del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, vuole fare un po’ di chiarezza dopo le sciocchezze ed il terrorismo sparsi a piene mani in queste settimane e Vi invita ad informarVi di quanto segue prima di assumere una qualunque decisione in ordine alla drammatica questione della gestione del Servizio Idrico.
a)      In primo luogo le contestazioni fatte dalla Segreteria Tecnica Operativa all’indomani dell’Assemblea dei sindaci del 18 febbraio 2016 sono state parzialissime rispetto alle inadempienze di ACEA ATO 5 S.p.A., che non riguardano solo quelle legate agli investimenti definiti nel 2015 ma riguardano gli obblighi contrattuali, scritti nero su bianco nella Convenzione di Gestione e nel Relativo Disciplinare Tecnico.  Abbiamo chiesto per tempo alla Segreteria Tecnica ed alla Consulta dei Sindaci di integrare le contestazioni fatte al gestore, ma costoro se ne sono guardati bene.
b)      E’ falso che in caso di risoluzione del contratto i singoli comuni si vedrebbero gravati dei relativi costi. Basta leggere il contratto per verificare che al gestore uscente devono essere riconosciute solo le somme effettivamente impiegate e non ancora recuperate con le fatture.
c)       La determinazione di queste somme dovrà avvenire attraverso un’apposita commissione bilaterale e, se si considera che ACEA ATO 5 S.p.A. ha chiuso gli esercizi 2014 e 2015 con un utile di oltre 10 milioni l’anno, non si capisce quali ulteriori somme possa richiedere.
d)      La magistratura che eventualmente sarebbe chiamata a dirimere l’eventuale controversia su questo punto è quella ordinaria e non certo il TAR di Latina.
e)      E’ sempre falso che in caso di risoluzione del contratto i singoli comuni si vedrebbero gravati dei relativi costi, in quanto, sempre in base ai documenti contrattuali ed alle leggi, dette somme andrebbero a gravare sul nuovo Piano d’Ambito e sulla determinazione delle relative tariffe (quindi, di fatto, non cambierebbe niente - almeno in meglio - rispetto all’ipotesi in cui i conguagli pretesi da ACEA fossero contabilizzati sulle fatture dei prossimi anni di … ACEA).
f)       Non è vero che in caso ACEA ATO 5 S.p.A. fosse cacciata si dovrebbe necessariamente fare una nuova gara ed affidare il servizio ad un altro privato.
g)      Nei prossimi giorni il governo approverà la versione definitiva del Testo Unico dei Servizi Pubblici Locali e rilevanza Economico Generale e per espressa affermazione del ministro Madia l’acqua è stata esclusa, come richiesto dal Forum e votato dalle Commissioni di Camera e Senato, dal decreto  e pertanto resta la possibilità della gestione pubblica del Servizio Idrico.
h)      La Regione Lazio deve dare attuazione alla legge 5/2014 che riporta le scelte e le decisioni sulla gestione dell’acqua all’interno dei Consigli Comunali con la partecipazione dei cittadini.
i)        Per quanto riguarda il problema delle risorse necessarie alla gestione del servizio è pura illusione che l’affidamento al privato risolva la questione, perché il privato reperirà le risorse necessarie sui mercati finanziari che finiranno per assumere il controllo sia degli investimenti che delle tariffe.
j)        Solo se il gestore è pubblico è possibile attivare forme di finanziamento alternative, come ad esempio i Buoni Ordinari Comunali (o Provinciali).
Nella sostanza, signori sindaci, attenzione a chi bandisce con false promesse e vi minaccia con i peggiori orrori, perché fondamentalmente è in mala fede.


Comitato provinciale acqua pubblica Frosinone

giovedì 10 novembre 2016

Tavolo acqua pubblica M5S

Attivisti tavolo acqua pubblica provinciale M5S



Il- tavolo acqua pubblica provinciale M5S ha inviato comunicazione tramite mail a tutti i Sindaci e i Presidenti di Consiglio di quei comuni che lo scorso 13 ottobre all'ultima assemblea dei sindaci sono stati assenti o hanno votato SI accettando le controdeduzioni di ACEA.

Con la comunicazione suddetta il tavolo chiede a questi comuni di indire urgentemente un consiglio comunale straordinario (prima della prossima assemblea dei Sindaci) con all'ordine del giorno la definitiva risoluzione contrattuale con il gestore privato. Riteniamo infatti utile al fine di garantire la volontà popolare espressa che i Sindaci affidino ai consigli comunali una decisione così importante per i loro concittadini assumendosi tutte le responsabilità che la loro figura richiede.

Gli attivisti del tavolo ritengono che il cammino del nostro territorio si trovi ad un bivio molto importante, continuare con ACEA la gestione del servizio idrico la quale ha come unico obbiettivo il profitto nonostante le lamentele dei cittadini ciociari o rescindere il contratto per tutte le gravi inadempienze dello stesso gestore e riappropriarsi finalmente della gestione delle nostre sorgenti togliendola di fatto dalle grinfie della massimizzazione del profitto.

Nel giorno decisivo quindi i Sindaci locali sono chiamati a scegliere in primo luogo partecipando all'assemblea e quindi alla votazione. Non è raro infatti il caso di sindaci assenti oppure presenti ma che abbandonano l'assemblea pochi istanti prima del voto e in secondo luogo votando in maniera consona alla volontà dei loro concittadini ossia per la risoluzione del contratto.

Il tavolo acqua ritiene che attualmente l'unica strada percorribile sia quella della risoluzione contrattuale applicando quella volontà popolare espressa da anni anche dai comitati e associazioni ciociare. 
Di seguito a titolo informativo l'elenco dei comuni i cui sindaci risultavano assenti all'ultima assemblea o che hanno votato SI: 

Arce,Anagni,Arpino,Atina,Ausonia,Broccos­tella,Casalattico,Castelliri,Ceprano,Cofelice,Colle S.Magno,Collepardo,Esperia,Ferentino,Fonta­­na Liri,Fontechiari,Gallinaro,Isola del Liri, Morolo,Pasena,Patrica,Posta Fibreno,S.Donato Val Comino,San Vittore del Lazio , Santopadre,Serrone,Supino,Trivigliano,Va­­llemaio,Veroli,Vicalvi,Villa Latina. 

Rendiamo quindi pubblico l'appello ai Sindaci di tali comuni: convocate d'urgenza il consiglio comunale , si decida in quella sede per la risoluzione contrattuale con l'attuale gestore Acea Ato5 Spa e finalmente nella prossima Assemblea date corso definitivamente alla volontà dei vostri concittadini.

mercoledì 9 novembre 2016

Trump ha vinto e allora?

Luciano Granieri




Ha- vinto Trump, evviva Trump. I media   italiani asserviti all’establishment  dem si stracciano le vesti prefigurando un futuro di stragi e catastrofi  , in conseguenza della vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane.  Uno  scenario  drammatico che   neanche la vittoria del No al referendum costituzionale   potrebbe eguagliare .

Ha vinto Trump, la peggior specie di faccendiere puttaniere. Uno  che  incita all’evasione fiscale, razzista, fascista, maschilista, omofobo. Un ultraliberista egoista, egocentrico  che promette posti di lavoro e sicurezza ai poveracci, ma poi li priva delle più elementari protezioni sociali.  E’ vero, Donald Trump è questo tipo di Presidente, peggio di Reagan, Bush padre e figlio . Ma saranno affari  degli americani, soprattutto per le questioni interne. 

In   politica estera, Obama, Hilary o Donald pari sono. L’intervento in Siria, non l’ha deciso  Trump, men che meno l’aggressione alla Libia.   L’imposizione  al governo italiano affinchè schierasse 140 soldati in Lettonia al confine con la Russia  è opera dell’establishment democratico di Obama. La candidatura della signora Clinton  è stata sostenuta da una variegata coalizione comprendente banchieri, speculatori finanziari,     veterani della guerra fredda di Bush, come Paul Wolfowitz, fino agli sceicchi dell’Arabia Saudita, i migliori clienti delle fabbriche di armi italiane, usate per devastare lo Yemen e armare  le truppe del califfato, senza  contare l’esaltazione dell’alleato israeliano che contraddistingue tanto la Clinton che Trump.

 L’asservimento del Governo italiano all’imperialismo americano rimarrà immutato, indipendentemente da colui che abiterà la casa bianca. Renzi lo ha già precisato. Quindi a noi cosa ci cambia?  Nulla. Anzi, salta quel velo di ipocrisia, proprio dei movimenti riformisti , per cui sotto il  falso perseguimento della giustizia sociale si realizzano politiche di massima tutela al potere delle banche e della speculazione finanziaria. Con Trump, almeno, si ha a che fare  con  un nemico di classe autentico, fautore dichiarato   dell’arricchimento dei miliardari a spese delle classi subalterne.  

In realtà  il problema prioritario   per l’establishment finanziario non era combattere Trump, ma fare in modo che al duello con il lobbista newyorkese   ci arrivasse la Clinton e non il pericolosissimo Bernie Sanders. Il democratico, sfidante di Hilary alle primarie, lungi dall’essere un pericoloso bolscevico, proponeva nel suo programma un minimo di tutele sociali, di redistribuzione del reddito, di salvaguardia dell’ambiente, ma soprattutto era supportato, lui settantacinquenne, da una base giovanile molto numerosa. Una iattura per le banche e un ostacolo per  le libere scorribande dei capitali privati. Ricordiamo come i media  americani e non solo - i giornali italiani hanno pubblicato molto in merito - hanno sollevato forte e chiaro l’allarme che la politica troppo socialista di Sanders avrebbe condotto i democratici ad una sconfitta certa. Con Hilary Clinton, invece, la conquista della Casa Bianca sarebbe stata una formalità vista l’inconsistente  stravaganza di Trump. Come abbiamo constatato  la previsione di politici e osservatori democratici  si è rivelata del tutto errata.  

A proposito dei giornalisti italiani che vedevano in Sanders lo sfidante sconfitto e nella Clinton la sicura trionfatrice su Trump. Oggi questi si disperano , non solo per la deriva razzista e militarista che imboccherà l’America di Trump, ma sottolineano preoccupati come i repubblicani esprimano, oltre che il Presidente, anche la maggioranza assoluta al congresso, tanto alla camera quanto al senato, e che Trump nominerà per la Corte Suprema, (più o meno l’equivalente della nostra Corte Costituzionale), giudici di stretta osservanza conservatrice. Un’occupazione assoluta delle istituzioni che fa emergere, secondo questi osservatori,  una pericolosa deriva autoritaria nella nuova America di Trump. 

Quegli stessi giornalisti, però invitano un giorno si e l’altro pure, a votare la riforma Renzi-Boschi il 4 dicembre prossimo. Eppure quella riforma, insieme con la legge elettorale, consente ad un partito di occupare la Camera, esprimere il Presidente del Consiglio e nominare i giudici costituzionali. Lo stesso che sta avvenendo oggi negli Stati Uniti. Oltreoceano ciò costituisce un emergenza democratica, qui in Italia invece non esiste alcun pericolo di deriva autoritaria e chi lo afferma è un pericoloso disfattista. E’ proprio vero la democrazia è un fatto di opinione. A parità di quadro istituzionale se comanda Trump si è sotto dittatura, se comanda Renzi le prerogative democratiche non vengono minimamente intaccate. Vedi come è strana la storia!

Domenica iniziativa presso La Tenda

Comitato di Lotta per il lavoro


IL CICLONE TRUMP SCONVOLGE IL MONDO. “A FROSINONE, SENZA PAURA, C’ABBIAMO GIA’ OTTAVIANI!” 
Di chi vorranno essere rappresentanti i partecipanti alle cosiddette ‘primarie libere’ di Frosinone? Dei poteri forti, delle coop romane, dei palazzinari che da anni sono favoriti in questa città oppure dei cittadini vessati, privi di servizi, disoccupati, precari, abbandonati che subiscono da anni una politica di rapina da parte delle amministrazioni presenti in città?
Ecco, i cittadini e le cittadine di Frosinone che protestano sotto una tenda da 952 giorni non solo non parteciperanno alle farneticanti  primarie, ma organizzeranno per domenica un sit in presso la tenda di piazza VI dicembre dalle ore 17 per testimoniare il vero volto dell’Amministrazione: debiti, miseria, devastazione ambientale, inquinamento, spregio della memoria e della storia, politiche di saccheggio della cosa pubblica, uso spregiudicato dei meccanismi della amministrazione, arresti e tanto altro.
Ma non è solo di denuncia il motivo della manifestazione: essa vuole destare le coscienze e proporre, attraverso un coinvolgimento della cittadinanza, un modo più incisivo di costruire l’appuntamento elettorale del 2017 alle forze che a parole oggi si dicono in opposizione al ‘pavone’ vincente. 
C’è bisogno di unità per costruire una prospettiva politica nuova per rompere questa gabbia creata intorno alla città e ai cittadini, per scardinare la politica priva di etica, di giustizia sociale, di democrazia, di accaparramento di pochi delle risorse di tutti. 
Non passa giorno che l’attuale gestione della città (acqua, terme romane, inquinamento, multiservizi, bilancio, solo per citarne alcune) spinga i lavoratori, i precari, i disoccupati a rompere con il passato chiedendo responsabilità a chi ha la forza di impegnarsi per tirare fuori i cittadini da questo pantano.
I protagonisti della vicenda della ex Frosinone Multiservizi si stanno organizzando in lista civica “La Tenda” dove far confluire la propria rabbia davanti alla tracotanza del potere e anche la voglia di cambiamento di tutti coloro che sentono di difendere la città e soprattutto i ‘benicomuni’ oggi alla mercé di pochi.

martedì 8 novembre 2016

Eventi a sostegno del No

Luciano Granieri

La data del 4 dicembre, giorno in cui dovremo votare la Deforma costituzionale Renzi-Boschi-Verdini, si sta avvicinando molto velocemente. Per questo si moltiplicano gli eventi a favore del No in tutta la Provincia. Manifestazioni, dibattiti,  momenti culturali e artistici ,  cui parteciperemo come comitato per il No della Provincia di Frosinone. Noi la claque asservita non ce l'abbiamo, a differenza di Renzi,  al cui comizio di ieri a Frosinone ha assistito un'invasata,  quanto estasiata, folla di pretoriani, comprendente i maggiorenti del Pd ciociaro: senatori, deputati, presidenti di provincia, sindaci, assessori, consiglieri, potraborse, fino a quelli che puliscono i cessi delle sezioni dem  (se ancora esistono). Noi ci confronteremo con la gente comune, col popolo. Ma se anche  qualche pretoriano volesse  partecipare, sarà bene accolto, non cacciato via. Noi non mandiamo a quel paese nessuno. 

Per permettere a tutti di    orientarsi fra i vari eventi di seguito pubblico le locandine:

 Al Festival dei Poeti, evento culturale : Mercoledì 9 novembre ore 18,00 Cinema Teatro Manzoni Isola Liri



Conferenza dibattito sulle ragioni del No: Sgurgola 11 novembre 2016 ore 17,30 presso la Casa della Cultura


Le ragioni del No: incontro con Marco Ferrando Portavoce Nazionale del Partito Comunista dei Lavoratori: Ceprano 13 novembre ore 18,00 sala consiliare 

Sit-In per il No con musica, video, e confronti aperti: 21 novembre dalle ore 20,30 P.zza S.Ormisda 
Frosinone. (Locandina da editare)


Incontro dibattito sulle ragioni del No partecipano:  Luisella Costamagna e Giorgio Cremaschi:
23 novembre ore 17,00 Cinemateatro Mangoni Isola del Liri.



Queste sono solo gli eventi organizzati dal comitato per il No, ma molti  altri appuntamenti sono in calendario . Quindi  invitiamo coloro i quali hanno messo in cantiere altri incontri a comuncarcelo.

Le ragioni del No in un'intervista al quotidiano "la Provincia"

Pubblico di seguito l'intervista  che ho rilasciato al giornalista Cesidio Vano, del quotidiano locale "la Provincia" sulle ragioni per cui votare No al referendum costituzionale. Il pezzo è sull'edizione odierna del giornale.
Luciano Granieri.


Ritiene davvero che il Referendum possa essere un attacco alla nostra democrazia?

La riforma è un attacco alla democrazia . Alle  elezioni politiche,  se passerà la riforma,  riceveremo solo la scheda per eleggere i deputati . Viene eliminata la scheda per il Senato, ma non il Senato.  Non poter votare una camera con potere legislativo , per quanto ridotto , come il Nuovo Sanato è uno strappo a quella sovranità popolare che appartiene al popolo, come da art.1 della Costituzione. Ciò   determina  un depauperamento delle prerogative democratiche.  Ancora, l’istituto del “voto a data certa”, in base al quale    il governo,  su una legge di propria emanazione, concede alla camera 70 giorni per analizzarla , dopodiché,  trascorso questo periodo,   la  stessa  sarà licenziata comunque,  senza tener conto del giudizio espresso dai deputati, è una chiaro esproprio alla prerogativa democratica del Parlamento che è, evidentemente, succube dell’esecutivo e del premier che lo comanda. Infine, il principio di salvaguardia nazionale in base al quale il governo  centrale può  espropriare alle regioni e agli enti locali la prerogativa di decidere  su eventuali provvedimenti che dovessero interessare il territorio, è un altro sovvertimento delle dinamiche democratiche . Riepilogando . Non si vota più il Senato, il governo approva  leggi senza curarsi della deliberazione parlamentare, inoltre   può sottrarre agli enti locali il potere di decidere su provvedimenti che li riguardano. Non è questo un attacco alla democrazia?

Qual è la sua idea sul rapporto tra referendum e legge elettorale?

Legge elettorale e riforma sono intimamente connesse nel determinare l’assoluto potere di una minoranza. In base alla riforma   i poteri  legislativi ,di determinazione  degli organi di controllo (elezione del presidente della Repubblica, dei membri della Corte Costituzionale  e del CSM) , sono prerogativa  quasi esclusiva della Camera dei Deputati e del governo a cui questa da la fiducia .  La  nuova  legge elettorale riguarda, per l’appunto,  solo l’elezione dei deputati. Nell’Italicum è previsto un ballottaggio fra i due partiti che avranno ottenuto più voti. Chi vince  si prende il 54% dei seggi, e diventa padrone assoluto dell’assemblea. Facendo due conti ,in base alle ultime elezioni politiche, il 25% dei voti  potrebbe essere sufficiente per consentire ad un partito l’accesso al   ballottaggio e conseguire la vittoria. Considerato che quel 25%  è calcolato sul numero dei votanti e non degli aventi diritto, cioè solo sul 70% circa della popolazione elettorale, ecco che basterà ottenere l’esiguo consenso di poco più di dieci milioni di cittadini per prendersi tutto, Parlamento, Governo e organi di garanzia.  Ricordo che il  recente referendum abrogativo per le trivellazioni marine è stato votato da circa 15milioni di cittadini e non ha raggiunto il quorum. Lo stesso numero di elettori sarebbe invece  sufficiente per consentire ad un partito di prendere il potere assoluto , con buona pace del rispetto del principio della rappresentanza.


Il fronte del No oggi appare quanto mai frastagliato, un po' come il centrodestra. Il referendum poteva essere invece l'occasione per una riunificazione?

Volendo attenerci al merito, il rifiuto dell’attuale riforma è comune a forze che hanno idee diverse sul come debba riformularsi la Carta. C’è chi rifiuta la riforma perché troppo antisociale e di deriva autoritaria , chi la boccia per l’esatto contrario,  ossia preferirebbe la declinazione di una Repubblica Presidenziale tout court. Un quadro così conformato   potrebbe stare nell’alveo di una corretta discussione su un dispositivo comune a tutti, unitario,  teso a determinare  le regole di una convivenza civile e democratica. I costituenti erano di estrazione ideologica ampia, diversa , su alcune tematiche antitetica,    eppure sono riusciti a formulare un documento estremamente efficace, unitario  in grado di tutelare quasi  tutte le sensibilità ideologiche. Oggi, vuoi per la natura dei contendenti, lontani anni luce dalla sensibilità  dei   costituenti, vuoi per meri interessi di parte, il referendum difficilmente sarà un elemento unificante,  salvo che per l’acredine e il sentimento di rivalsa verso il presidente del consiglio. Sentimento che alberga soprattutto  nella minoranza del Pd.

Cosa pensa dei messaggi pubblicitari, dei talk show, i tg... non le sembra che abbiano creato grande confusione?

Più che confusione  la comunicazione sulla materia referendaria ha creato noia e disaffezione. I  cittadini non vivono le vicende costituzionali come prioritarie. Su  una popolazione  che continua ad impoverirsi sempre più, che ha grandi difficoltà ad accedere  agli elementi  primari necessari  alla   sopravvivenza, come  lavoro, sanità, istruzione, poco fanno presa le vicende referendarie . La comunicazione a favore del Si è vissuta  come la solita pletora di promesse renziane che mai si realizzeranno , quella per il No, si divide fra  la percezione di un’avversione conclamata, ma poco attrattiva,  a Renzi, e un’analisi necessaria, ma forse troppo tecnica delle ragioni del No. Eppure le nefaste  ripercussioni pratiche dell’affermazione della riforma Renzi-Boschi andrebbero comunicate chiaramente. Un esempio. Nella  nostra città, la più inquinata d’Italia,  è in previsione la  realizzazione  di  un impianto a biomasse nei pressi dell’aeroporto. La ditta che  lo avrebbe  dovuto realizzare, dopo aver ricevuto da Asi, Arpa, Provincia e Comune di Frosinone le necessarie autorizzazioni ha dovuto fermare il progetto per un ripensamento del sindaco di Frosinone che, nel pieno dell’emergenza inquinamento, e  in presenza di una forte pressione popolare,   ha dovuto sospendere le autorizzazioni concesse. Ricordo  che un impianto a biomasse è  insediamento ad altissimo impatto ambientale.  Se fosse stata in vigore la riforma Renzi-Boschi, il governo avrebbe potuto far valere il principio di salvaguardia nazionale, autorizzando la costruzione dell’impianto sulla testa e la salute dei  cittadini  senza che nessun ente avrebbe potuto mettere bocca. Considerando  il massimo’interesse che multinazionali e potentati finanziari hanno verso queste strutture, grazie alla loro estrema redditività,  l’imposizione del principio di salvaguardia nazionale  sarebbe stato più che probabile , con buona pace della salute dei cittadini. Non è un caso che la comunità finanziaria, JP Morgan in testa,  è strenua fautrice di questa riforma.


Dopo il referendum secondo lei che quadro politico ci ritroveremo davanti?

Sicuramente  entrambi gli esiti avrebbero la conseguenza di attivare una stagione di vendette fra vincitori e vinti. Ciò in conseguenza del fatto che tutta le vicenda sulla riforma costituzionale è stata costruita come elemento divisivo fra i tifosi e i detrattori di Renzi. Un’impostazione distorsiva e  malsana  per una materia che dovrebbe essere il più possibile condivisa ed unificante. Considero però quello appena descritto un  quadro  proprio delle dinamiche tutte interne ai comitati elettorali nati  sulle ceneri  dei vecchi partiti. La politica c’entra poco. Lo scenario politico, sociale cambierà in modo diverso. Se vincerà  il Si  le rivendicazioni sociali saranno estremamente più difficili,  le imposizioni che la comunità finanziaria, le lobby e le multinazionali opereranno contro i diritti della collettività saranno costituzionalmente giustificate . Se vincerà il No rimarrà la lotta dura, ma meno ardua, per il rispetto della Costituzione vigente .  Perché, giova ricordarlo, in molti aspetti la Carta non è mai stata applicata. In conclusione sarebbe molto più salutare per la popolazione impegnarsi a far rispettare la Costituzione piuttosto che cambiarla.



lunedì 7 novembre 2016

A 99 anni dall’Ottobre rosso

Alberto Madoglio

Il- 7 novembre 1917 (25 ottobre secondo il vecchio calendario giuliano, fino ad allora in uso nell’Impero russo), alla fine di un lungo percorso rivoluzionario iniziato nel febbraio dello stesso anno, i bolscevichi di Lenin e Trotsky deposero il governo imperialista diretto dal socialista rivoluzionario Kerensky, e proclamarono, per la seconda volta nella storia (dopo la Comune del 1871), il governo della classe operaia.
Non solo una commemorazione ma un insegnamento per l’oggi
Ricordare quegli eventi per noi non vuol dire guardare con nostalgia a un passato glorioso che non tornerà più. Ciò che accadde in Russia nel 1917 segnò senza ombra di dubbio uno dei più importanti (se non il più importante) avvenimenti della storia dell’umanità; parte della sua importanza risiede nell’attualità di ciò che avvenne e cioè che i lavoratori non sono destinati, per qualche legge naturale, a vivere oppressi da una piccola minoranza di sfruttatori, ma in determinati momenti e condizioni possono prendere nelle loro mani il proprio destino e costruire una società in cui il profitto e lo sfruttamento non siano più la legge che governa la società.
Gli esponenti delle classi dominanti fin da subito cercarono di distruggere ciò che i bolscevichi avevano creato, temendone anche l'effetto-contagio. Quando non ci riuscirono con l’uso della forza (vennero infatti sconfitti dall’Armata Rossa, creata e guidata da Trotsky, dopo oltre cinque anni di sanguinosa guerra civile imposta in Russia dalle potenze del cosiddetto occidente civilizzato), usarono (e continuano ad usare) le armi della calunnia, della disinformazione e della falsificazione per cercare di cancellare quell'evento grandioso.
La rivoluzione non inizia e non finisce a Pietrogrado
Apparso chiaro che il nuovo modello di società creato dai bolscevichi per il popolo russo non era un fenomeno passeggero, intellettuali, borghesi e governanti di tutti i Paesi del mondo si diedero da fare per sminuirne l’importanza e l’universalità. Dissero che gli eventi del 1917 erano dipesi da circostanze eccezionali non ripetibili altrove (la presenza di un regime dispotico come quello dello zar, la prima guerra mondiale ecc). E che i comunisti russi erano il prodotto dell’arretratezza civile e culturale di quella nazione.
La realtà era completante differente. Esperienze rivoluzionarie vi furono prima e dopo la rivoluzione del 1917 e in molti Paesi del mondo: nella primavera del 1871 una prima, seppur di breve durata, rivoluzione portò al potere la classe lavoratrice a Parigi, una delle metropoli più ricche ed evolute dell’epoca. Qualcosa di simile accadde in Germania tra il 1918 e il 1923, in Italia tra il 1919 e il 1920, in Spagna nel 1936, in Austria e Francia nella metà degli anni 30 del XX secolo. Abbiamo poi assistito a processi rivoluzionari in Italia (tra il 1943 e 1948), Cina (1949), Yugoslavia, Francia (1968), Portogallo (1975), e, arrivando ai giorni nostri, le rivoluzioni che a partire dal 2011 hanno infiammato il Nord Africa e il Medio Oriente (Tunisia, Libia, Egitto, Siria ecc.).
Tutto ciò dimostra che il caso russo non era qualcosa di irrepetibile: le rivoluzioni sono una risposta alle contraddizioni della società capitalistica.
L’Ottobre ’17 non fu dovuto a cause irripetibili
Lo stesso conflitto scoppiato nell’agosto del 1914 e durato oltre quattro anni, non era una parentesi di follia in un’epoca di pacifico sviluppo tra le nazioni, ma il modo in cui le varie potenze economiche mondiali sono portate a risolvere i conflitti fra loro nell’epoca del dominio dell’imperialismo. La seconda guerra mondiale e l’infinita serie di conflitti regionali che si sono succeduti negli ultimi cento anni sono la prova lampante di questa “terribile” necessità.
Tra i vari partiti socialisti che cominciarono a formarsi tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, e che diedero vita alla Seconda Internazionale, il partito di Lenin fu quello che in maniera più conseguente tentò di mettere in pratica l’insegnamento di Marx ed Engels: l’impossibilità di riformare il capitalismo nell’interesse della gran massa della popolazione, e la necessità di spezzare per mezzo della forza rivoluzionaria l’apparato dello Stato borghese che, lungi dall’essere l’arbitro neutrale che risolve i conflitti tra classi differenti, è lo strumento attraverso il quale la borghesia cerca di perpetuare il suo potere. Sostituire cioè alla dittatura della borghesia, una minoranza della popolazione, la dittatura del proletariato, cioè il governo della maggioranza della popolazione.
Già nel 1905, in concomitanza con la crisi che colpì il regime zarista, i bolscevichi tentarono di far sì che la rivoluzione scoppiata in Russia potesse portare al potere la classe lavoratrice. Quel tentativo come sappiamo fallì ma da quell’esperienza i bolscevichi trassero tutta una serie di insegnamenti che consentì loro di trionfare una dozzina di anni dopo. In quella rivoluzione apparve per la prima volta quello strumento di lotta che la classe operaia si sarebbe data per organizzare e gestire il proprio potere: il Soviet.
Quando nel 1914 scoppiò il primo conflitto mondiale, per la classe operaia internazionale si trattò di una sconfitta storica. Le sue organizzazioni tradizionali, partiti e sindacati, invece di fare appello alla fratellanza internazionale si schierarono al fianco delle rispettive classi dominanti, e contribuirono a mandare al macello milioni di operai e contadini.
In quell’epoca buia, solo i bolscevichi e pochi altri tra i vecchi membri dei partiti aderenti alla Seconda Internazionale, gli spartachisti tedeschi di Liebknecht e Luxemburg fra tutti, compresero che la sola soluzione per porre fine non solo a quella carneficina ma a tutte le guerre era trasformare la guerra imperialista in una guerra civile degli operai contro i loro sfruttatori. La guerra mostrò rapidamente il suo vero volto: oltre ai morti che si contavano a milioni sui campi di battaglia, miseria e fame colpivano le popolazioni civili. Proteste, scioperi, manifestazioni cominciarono a verificarsi nei vari Paesi belligeranti.
Da Febbraio a Ottobre passando per (le tesi di) Aprile
Una di queste manifestazioni, che vide protagoniste le donne operaie di Pietrogrado, diede inizio alla rivoluzione di Febbraio che in pochi giorni portò all’abdicazione dello zar e alla formazione di un governo provvisorio formato da partiti borghesi che cercavano di far sì che la Russia continuasse nello sforzo bellico e che soprattutto il potere economico e politico rimanesse nelle mani delle grandi famiglie capitaliste.
Come nel 1905, si formarono immediatamente dei Soviet, veri e propri organismi operai. Si venne a formare dunque una situazione di dualismo di potere: da una parte quello espresso dalla Duma (parlamento) e dal governo provvisorio che rappresentava gli interessi delle classi dominanti. Dall’altra quello dei Soviet (consigli) che rappresentava il potere proletario. Ben presto si capì che questo era un equilibrio instabile e che, presto o tardi, uno dei due poteri avrebbe prevalso sull’altro.
Lo sviluppo degli avvenimenti non fu lineare, e in molte occasioni sembrò che la rivoluzione dovesse fallire ancora una volta. Ciò non accadde perché il partito bolscevico fin dalla sua nascita si era formato come un partito centralmente organizzato, basato su un chiaro programma per l’azione, e che anche se all’inizio seguì alcuni suoi leader propensi ad accordarsi con gli altri partiti, riformisti, della classe operaia (menscevichi di Martov e socialrivoluzionari di Kerenskij) e a collaborare col governo "di sinistra" della borghesia, riuscì a correggere la sua linea.
Questo avvenne soprattutto grazie a Lenin. Il leader dei bolscevichi tornò dal suo esilio svizzero in aprile e lanciò una dura campagna politica per riorientare politicamente il partito e sconfiggere la linea di collaborazione di classe sostenuta da Kamenev e Stalin. Le "Tesi di Aprile" furono lo strumento politico grazie al quale Lenin vinse la sua battaglia che consentì poi il trionfo dell’Ottobre.
Altri momenti rischiarano di far naufragare il processo rivoluzionario. Le giornate di Luglio, in cui la classe operaia di Pietrogrado accelerò i tempi non ancora maturi dell’insurrezione, segnarono un momento di riflusso. Ma fu solo una breve pausa.
L’incapacità del governo composto dai partiti riformisti di accogliere le richieste della popolazione diede una nuova possibilità ai bolscevichi. Questi nel frattempo si erano ulteriormente rafforzati grazie alla adesione dell'organizzazione (gli Interdistrettuali) che faceva capo a Trotsky, il quale divenne da allora, per usare le parole di Lenin, "il migliore di tutti i bolscevichi".
Un tentativo di golpe reazionario imbastito dal generale Kornilov tra l’agosto e il settembre 1917 servì per dimostrare una volta per tutte che solo una rivoluzione socialista compiuta avrebbe potuto salvare gli operai e i contadini da ulteriori lutti e sacrifici. Conquistata la maggioranza nei Soviet operai in tutta la Russia, ottenuto il controllo militare della capitale, il 25 ottobre ci fu l’insurrezione (nonostante il vero e proprio boicottaggio di quella decisione da parte di due importanti dirigenti del partito come Zinoviev e Kamenev). Assaltato il Palazzo d’Inverno, sede del governo, arrestati alcuni ministri, non Kerenskij che era riuscito a fuggire, il Congresso Panrusso dei Soviet votò a larghissima maggioranza a favore della presa del potere.
I primi provvedimenti riguardarono la richiesta della pace immediata e la distribuzione della terra ai contadini.
Dalla tribuna del congresso Lenin esclamò: "passiamo ora all’edificazione dell’ordine socialista."
Quello che i bolscevichi di Lenin e Trotsky fecero allora rimarrà per sempre come uno degli episodi più gloriosi della storia dell’umanità che niente, nemmeno la degenerazione di quel sistema avvenuta per opera di Stalin e della sua cricca burocratica, potrà mai cancellare.
Ma come accennato all’inizio, noi vediamo in quegli avvenimenti non solo un grande fatto del passato ma un esempio per la azione, presente e futura, dei lavoratori in lotta.
Ottobre 1917: attualità di una rivoluzione
Varie sono “lezioni” che possiamo trarre dall’Ottobre ‘17.
Se è vero che le rivoluzioni possono scoppiare al di là della volontà di chi le teme o di chi le auspica, in Russia si poté trionfare perché c’era un partito che si poneva l’obiettivo di guidare le masse fino alla vittoria.
Cosa differenziava i bolscevichi dalle altre organizzazioni, riformiste, della classe operaia (ad esempio dai menscevichi e dai socialisti rivoluzionari)?
Essere un partito centralizzato e fondato sulla militanza quotidiana dei suoi membri. Essere dotato di un programma unico, che riconosceva, non solo a parole, la necessità di lottare per la presa del potere della classe operaria attraverso il processo rivoluzionario. Usando perciò il programma delle rivendicazioni transitorie (legare ogni lotta e ogni rivendicazione immediata a una più generale lotta per la presa del potere da parte della classe operaia) e della rivoluzione permanente (interpretando il processo rivoluzionario non divisibile in tappe separate, ma come un movimento organico in cui le rivendicazioni e gli obiettivi democratici dovevano necessariamente svilupparsi verso una soluzione socialista). Un partito quindi che non si opponeva solo ai governi guidati direttamente dalla borghesia ma anche a quelli diretti dai suoi agenti riformisti: nell’ottobre del 1917 la rivoluzione fu - ricordiamolo ancora - contro un governo della sinistra, per usare un linguaggio dei giorni nostri.
I bolscevichi erano coscienti che la rivoluzione non poteva rimanere limitata ai confini nazionali, ma doveva espandersi a livello mondiale. Per questo la Terza Internazionale, pur fondata nel marzo del 1919, fu la parola d’ordine lanciata da Lenin fin dal 1914, davanti al fallimento della Seconda Internazionale che attraverso le sue sezioni nazionali aveva appoggiato il macello della prima guerra mondiale e aveva sostenuto i governi della borghesia.
Questi insegnamenti, che non erano altro che il ritorno al programma originario dei comunisti fin dai tempi di Marx e Engels, furono abbandonati dai riformisti che in Russia si schierarono al fianco delle forze reazionarie che volevano schiacciare il governo dei bolscevichi.
Oggi, nonostante gli insegnamenti del passato, riformisti di tutti i tipi si illudono di poter migliorare questo sistema politico e sociale, governandolo insieme alle forze della borghesia. E, nel farlo, paradossalmente alcuni di loro (lo ha fatto proprio oggi Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione, già ministro in un governo imperialista) rivendicano la rivoluzione del 1917. A loro diciamo: giù le mani dalla rivoluzione russa! L'eredità di quella storia è solo dei lavoratori e dei giovani che sono impegnati per rovesciare il capitalismo, non certo di chi cerca di illudere i lavoratori che questo sistema può essere governato diversamente.
Il prossimo sarà il centesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre. Facciamo in modo che il 2017 sia l’anno in cui nuove rivoluzioni possano iniziare.

clip a cura di Luciano Granieri

domenica 6 novembre 2016

Le ragioni del No in dodici battute

Luciano Granieri






Fra le tante stupidaggini  profuse in quantità industriali  da Matteo Renzi alla congrega della nuova P2, svoltasi in Firenze,  nel week-end appena trascorso, una in particolare    mi è rimasta in mente. Rivolgendo un'invettiva a  Marco Travaglio, l’imbonitore fiorentino ha accusato alcuni  giornalisti, come il direttore de “Il Fatto Quotidiano”, di  essere capaci  esclusivamente di riversare veleno da una tastiera di computer  e dalle pagine di un giornale , senza avere il coraggio di sostenere un confronto diretto con coloro i quali vengono contestati.  Non hanno il coraggio,  cioè, di guardare negli occhi i soggetti dileggiati  a mezzo testo scritto. Un accusa di codardia  rivolta alla persona, o alle persone, che sono contrarie alla deforma  e  magari lo scrivono pure.

 Non so se Matteo ha  ragione. Resta il fatto che i così definiti “smanettoni da tastiera” scrivono molto meglio di lui e della sua squadra di “costituenti” , basta leggere la riforma Renzi-Boschi-Verdini per rendersene conto.  Inoltre volendo allargare lo spettro c’è da rilevare come i blog e , i social, sono il solo veicolo dove le ragioni del No possono trovare  ampio spazio, considerato l’ostracismo che i media, pesantemente occupati dall’esercito governativo, operano  nei confronti dei contrari alla riforma. 

Per quanto attiene al coraggio di guardare in faccia e confrontarsi a viso aperto con  il proprio contendente, non credo che questo manchi a Marco Travaglio. In verità il coraggio di cui sopra non farebbe difetto neanche ad altri redattori di post e articoli contrari alla riforma. Solo che a questi non viene proprio concessa la possibilità di confrontarsi guardando negli occhi il proprio interlocutore . Ne sono testimonianza  le bastonate che i manifestanti a favore del No hanno preso sabato scorso a Firenze proprio mentre si accingevano a contestare la congrega della nuova P2. 

Domani Matteo Renzi sarà a Frosinone per una tappa del suo tour elettorale. Un evento organizzato in tutta fretta, per certi versi inaspettato. Sarà perché improvvisamente la popolazione ciociara  si è decisa a votare No? Sarà che le   stupidaggini commesse dalla senatrice Spilabotte nelle ultime sortite hanno convinto anche gli irriducibili del Si a votare No tanto da imporre l’intervento  riparatore del Premier Segretario? Sarà che il Pd di Frosinone si sta disgregando?  Lo ignoro e neanche mi interessa. 

Sicuramente non sarà permesso a nessuno di noi smanettoni di esibire  il coraggio per affrontare Matteo Renzi nel merito della riforma . Però  noi del comitato per il No di Frosinone  siamo pieni di risorse, il nostro dissenso, oltre che descriverlo e proclamarlo ogni giorno attraverso articoli, confronti e dibattiti,  lo abbiamo messo in musica. Il blues del No è l’esaltante composizione artistica che a colpi di 12 battute spiega il motivo per cui è necessario votare No. Matteo Renzi  probabilmente non lo vedrà mai, e mai potrà apprezzare le emozioni che regala l’improvvisazione su una scala pentatonica. 

Non importa. Noi comunque domani saremo li ad aspettare il Premier e vedere se lui ha il coraggio di guardare negli occhi qualcuno di noi.    

Good Vibrations for No