L´illustre professor Panebianco il , 21
luglio 2017, dalle colonne del Corriere della Sera sferra un duro attacco alla
primaparte della Costituzione: un attacco molto
serrato quasi da farpensare a una nuova
stagione di tentativi di deformazione costituzionale come quella che abbiamo appena
terminato ditrascorrere con il voto
vittorioso del 4 dicembre 2016.
Nell´occasione si prende a pretesto la proposta
della "flat tax"(aliquota fiscale unica al 25%) considerandola la
panacea di tutti i mali anzi il provvedimento che, secondo l´autore
"darebbe unafrustata così vigorosa
alla nostra economia da farla ripartire algaloppo
dopo decenni di alternanza, tra stagnazione, recessione ebassa crescita".Ma c´è un però sulla strada dell´applicazione di questo possibilemiracolo: ed è la Costituzione, retro
gradatamente socialista secondoil
giudizio JP Morgan, che indulge nel difendere un´antistoricaprogressività della tassazione (L´articolo 53 della
Costituzionedella Repubblica Italiana
recita: Tutti sono tenuti a concorrere allespese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Eaggiunge: Il sistema tributario è informato a criteri diprogressività).Un ostacolo messo lì da un testo costituzionale che prevede una"Repubblica fondata sul lavoro" :
definizione frutto di un"compromesso
fra alcune forze (democristiani, socialisti, comunisti)che all´epoca non brillavano per adesione ai principi
liberali. Erauna Costituzione adatta a
qualsiasi uso. Servì ad ancorare l´Italiaal
mondo Occidentale dopo la vittoria democristiana sui socialcomunisti nelle elezioni del 1948 ma avrebbe potuto
diventare – senzabisogno di revisioni -
la carta fondamentale di una "democraziapopolare" se i social comunisti avessero vinto".Panebianco si è interrogato: "I risultati del
referendumcostituzionale hanno messo
fuori gioco per chi sa quante generazionila
possibilità di riformare la seconda parte della Costituzione (essersi mossi su
quel terreno è giudicato , da parte del professore,un grave errore da parte dei
"riformisti"). Perché allora noncominciamo
a discutere della prima? E´ sicuro, tanto per fare unesempio, che la nostra convivenza civile ci
rimetterebbe se la nostraRepubblica,
anziché essere fondata sul lavoro fosse fondata sullalibertà? E´ sicuro che se il diritto di proprietà,
anziché essererelegato tra i cosiddetti
"interessi legittimi" fosse riconosciutofra i diritti fondamentali, quelli su cui poggia la
libertà, ce lapasseremmo peggio?".E conclude : "Magari, chissà? Sarà la
discussione sulla flat tax che,finalmente,
costringerà molti a trattare meno acriticamente iprincipi costituzionali su cui si regge la Repubblica.E in precedenza aveva scritto : "Forse è
arrivato il momento dichiedersi se non
sia il caso di intervenire col bisturi sulla primaparte della Costituzione, sui famosi principi".Mi pare inutile segnalare, verso chi si è
battuto per la difesa dellaCostituzione
nell´occasione dell´ultima tornata referendaria, lapericolosità di queste affermazioni, vero e proprio
preludio a unattacco in grande stile
attraverso il dibattito sulla flat tax (chequalcuno già pronostica come il vero e proprio "oggetto delcontendere" della prossima tornata elettorale
legislativa, assiemealla questione
dell´Europa).In molti, nel corso dei
tanti anni di lavoro in difesa del dettato Costituzionale (tre occasioni: Bicamerale
D´Alema, progettoBerlusconi, deforma
renziana) avevamo tentato di segnalare ladelicatezza
dell´intreccio tra seconda parte (che veniva messa indiscussione nelle occasioni citate) e prima parte
(fintamente, inquei casi, ritenuta
intangibile).Adesso arriva, dalla prima
pagina dell´antico "Corriere dello Zar"l´attacco diretto.Occorre avere consapevolezza di questo stato di cose, a partire dallamancata risposta politica al voto del 4
Dicembre, e attrezzarsiall´evenienza
senza ritardi, sottovalutazioni, tentennamenti.La lettura di quest´articolo di Panebianco non deve lasciare dubbi :la difesa integrale della Costituzione
Repubblicana rimanel´imperativo
prioritario per tutti i conseguenti democratici e per la sinistra italiana (che deve considerare questo
punto "l´ubiconsistam" della
sua possibile ricostruzione come soggetto politico).
Una difesa che è necessario principi da un altro
elemento messo indiscussione
nell´articolo citato: quello della coerenza tra ilsistema elettorale proporzionale e il testo
Costituzionale.
Il 22 luglio 1927, esattamente 90 anni fa, in Via degli
Uffici del Vicario al n.35 nasceva l’AS Roma. Primo presidente l’on. Italo Foschi.
Per chi ama la Roma il 22 luglio è una data storica. Ma anche per la storia
del calcio quel 22 luglio può essere considerato un giorno importante. Di
seguito pubblico il racconto di questa nascita tratto da “La storia illustrata della Roma” una pubblicazione, curata dal giornalista e scrittore Lino Cascioli, uscita nel 1986 per "Edizioni Casa dello Sport".
Auguri splendida novantenne
Luciano Granieri
L’intesa venne raggiunta nel tardo pomeriggio. Faceva caldo
e aprirono le grandi finestre per respirare un poco e concedersi una pausa. “Allora siamo
d’accordo” disse l’on. Foschi “ la chiameremo Roma”. Dal cortile salì un fresco
odore di terra appena bagnata. Erano
andati avanti per ore , senza un’oscillazione, evitando con cura ogni possibile
avversità, quasi per vincere una scommessa segreta, a tutti sconosciuta. Fu
allora che Vincenzo Biancone improvvisò un discorsetto, mentre i fratelli
Crostarosa , da buoni padroni di casa, facevano saltare i tappi alle bottiglie
dello champagne: “Abbiamo messo in piedi un’intesa, adesso dobbiamo costruire
un società. E insieme alla società dobbiamo costruire una squadra. Il nostro
dovere è di farla subito grande, altrimenti avremmo sbagliato tutto e alzeremmo
i calici per salutare un generoso fallimento”. “E’ forse obbligatorio diventare
grandi?” Chiese Sebastiano Bartoli, nominato da pochi minuti segretario.
Faceva mostra di scherzare , parlando così, ma tutti sapevano
quanto anche lui ci credesse. E avevamo ragione, in fin dei conti. La lenta e
difficile ascesa del calcio romano aveva
messo in luce un ’Alba all’ultimo posto del girone A e la Fortitudo all’ultimo
posto del girone B. Avendo conquistato anche la Lazio il diritto alla serie A,
nel 1927-28 ci sarebbero state tre
squadre di Roma nel massimo campionato. Da qui era partita l’idea che aveva portato
alla nascita della Roma: meglio una squadra forte che tre squadre deboli. Ma la
Lazio rifiutò subito sdegnosamente ogni accordo, gelosa della sua tradizione.
Il suo presidente rispose che preferiva i giornalieri disinganni all’aspro
fiele di dover rinnegare la bandiera. Ed erano poi tanto sicuri che il conto
sarebbe tornato, come calcolavano nei loro sogni, il marchese Sacchetti,
Scialoia e i Crostarosa?
L’idea
piacque invece ai dirigenti del Roman
(nato nel 1903), della Fortitudo (1906) e dell’Alba (1911), che si erano dati
appuntamento per quel pomeriggio del 22 luglio 1927 in Via degli Uffici del
Vicario 35, nel cuore della vecchia Roma. “Non è mica obbligatorio diventare
grandi: ribattè Pietro Crostarosa, “all’inizio potremmo anche contentarci di
stare nel mezzo”.”Oh” rispose Vincenzo Biancone “questo è l’ultimo pericolo che
corriamo veramente”. Poi, per non sembrare polemico, girò il discorso su alcune
questioni marginali da risolvere.
Il mondo era alle soglie della prima, pesante recessione economica,
e ormai lontano dai fantasmi tragici della guerra mondiale. In Italia Mussolini
stava raggiungendo la consapevole pienezza del potere, e imponeva ormai
l’arrogante autorità del Partito Nazionale Fascista in ogni settore della vita
del paese, comprese le attività ricreative e gli sport. Il calcio era stato
assimilato a questa logica da pochi mesi ed erano già partite direttive per
riorganizzarlo in base a criteri più consoni alle nuove esigenze della politica
nazionale: girone unico, squadra azzurra più competitiva sulla scena mondiale,
ecc.
Il campionato organizzato su basi provinciali, fino ad
allora aveva proceduto impavido tra la beatitudine e il lacrimato dramma,
alimentando la passione in dosi minime, innocue, borghesi. Bisognava
esasperarne i contorni. I giocatori tesserati erano già 38.000, con circa 2.000
arbitri. Nei programmi dei nuovi dirigenti
nominati dal Partito presero corpo norme intese a incoraggiare il
trapasso dal dilettantismo sospetto al professionismo dichiarato. Le grandi
società del passato, di stampo agricolo e provinciale , come la Pro
Vercelli il Casale, dovettero cedere il
posto alle ambizioni delle squadre metropolitane.
Ormai soltanto i grandi stadi
Avrebbero infatti potuto ospitare quelle manifestazioni di massa capaci di
garantire la coreografia del consenso di cui si compiaceva i fascismo. Il primo
a recepire questo messaggio e a seminare tra le moltitudini di una grande città
il calore di un sogno di evasione fu Edoardo Agnelli, ponendo subito le basi
per trasformare in pochi anni la scialba Juventus, che aveva vivacchiato sino
ad allora, nella Signora degli scudetti. Le cinque consecutive vittorie dei
bianconeri, tra il 1930 e il 1935, furono il sintomo più chiaro del mutamento
dei tempi e che il calcio stava ormai
lievitando come industria dello spettacolo. Anche la Roma nasce dai fermenti di
queste nuove esigenze. I suoi dirigenti
avevano già fatto la scelta, disdegnando l’ombra mediana di un destino anonimo,
sospinti da qualche forza più intensa del loro stesso orgoglio. Ma c’erano
ancora molti problemi da risolvere febbrilmente.
Il primo nodo da sciogliere dopo il brindisi, fu la scelta
dei colori sociali , mentre strisce di caligine offuscavano il cielo serotino.
Si dissero però tutti d’accordo nel prediligere la maglia del Roman, rossa
bordata di giallo. Erano i colori del comune di Roma. Colori che scioccamente i
dirigenti della Lazio avevano snobbato, classicamente infatuati, agli albori
del secolo, del mito greco di Olimpia. Insomma avevano scelto quelli della
bandiera greca , con una decisione elitaria aristocratica , incomprensibile
alle masse, che invece accorsero subito al richiamo di Roma e dei vessilli
capitolini. E questo forse serve a spiegare perché la Roma fu subito squadra
visceralmente popolare, cara alla gente dei vecchi rioni e de suburbio.
Ma la discussione si riaccese con un accanimento senza
precedenti quando si trattò di scegliere il campo capace di ospitare tutti i
tifosi delle tre squadre. La Fortitudo giocava su campetto della Madonna del Riposo,
l’Alba in un prato dove adesso c’è Piazza Melozzo da Forlì e il Roman in Viale
Tiziano. Questi tre campi furono però tutti scartati. La preferenza venne data,
in via provvisoria, al Motovelodromo Appio, che bisognava però riadattare alle
nuove esigenze, in attesa di costruire
uno stadio di proprietà della Roma, accanto al monte dei cocci di Testaccio,
ricalcando il modello di quello
dell’Everton a Liverpool.
Un altro problema spinoso da risolvere fu quello della
squadra. Bisognava rinunciare a circa trenta giocatori, scegliendo tutti i
migliori, ma Italo Foschi non si lasciò sgomentare. Fu deciso di affidare
l’incarico ad una commissione tecnica composta da Pietro Crostarosa, Danilo Baldoni,
Vincenzo Bianconi, Amerigo De Bernardinis e Giuseppe Stinchelli. La discussione si fece così animosa e serrata
che spesso dovette intervenire, come paciere, lo stesso presidente. Alla fine
fu stabilito di mettere a disposizione dell’allenatore Garbutt (strappato al
Genoa) una rosa di ventotto elementi. Tredici avevano militato nella Fortitudo,
dieci provenivano dall’Alba, cinque infine vennero scelti dal Roman.
La formazione con cui la Roma scese in campo per la prima volta. In altro da sinistra: Il presidente Foschi, l'allenatore Garbutt, Ziroli, Fasanelli Bussich, Cappa, Chini , il massagiatore Cerretti e il suo vice Moggiani. Al centro: FerrarisIV, Degni, Rovida e (col pigiama da riserve) Bianchi. In basso: Mattei, Repetti e Corbyons.
Ormai la notte afosa gravava su quegli uomini stanchi come
una spessa tavola di ferro. Lungo il filo smussato dei vecchi palazzi che
circondavano Piazza Montecitorio, passavano uomini e cavalli.
Nominato prefetto a La Spezia, l’on. Italo Foschi fu presidente per poco
tempo.
La Roma scese per la prima volta in campo sul terreno del
Motovelodromo Appio, il 28 luglio 1927, battendo gli ungheresi dell’Ujpest per
2-1. Il primo gol messo a segno da un giocatore in maglia giallorossa venne
realizzato dalla mezzala Cappa. Fu il Livorno la prima formazione italiana che sfidò la Roma. I giallorossi vinsero con
un gol di scarto (3-2) e il centravanti Bussich, al suo esordio, mise a segno
due gol. Intanto bisognava superare
l’ostacolo dell’iscrizione al campionato.
L’iscrizione della Roma era
osteggiata dalla Lazio, allora molto influente a livello federale, e dalle
società del nord, che cercavano di impedirle l’attività agonistica ufficiale
condannandola allo stato di mora per un anno. La situazione era imbarazzante.
Un giornale di Milano, tanto per spiegare il clima con cui era stata salutata
la nascita della nuova società, scrisse infatti in quei giorni: “Questa Roma è
solo un sogno di mezza estate”.
Invece la soluzione per iscrivere la Roma al campionato
venne offerta da un’altra fusione, quella tra Doria e Sampierdarenese nella
Dominante, per cui la squadra giallorossa potè regolarmente disputare il
campionato, il 25 settembre 1927, incontrando il Livorno. La Roma vinse 2-0 con
gol di Ziroli e Fasanelli.
Il primo successo di un certo prestigio della nuova squadra
fu però la vittoria della Coppa CONI, un torneo
a due gironi che impegnava le quattordici squadre escluse dalle finali per lo scudetto. La Roma
battè in finale il Modena sul campo neutro di Firenze e l’annuncio della sua
vittoria, comunicato da un cartello esposto al balcone della redazione romana
della “Gazzetta dello Sport”, suscitò tale entusiasmo da bloccare il traffico
per le vie del centro.
I romani avevano già eletto la Roma a squadra del
cuore e accolsero con tutti gli onori
Fulvio Bernardini, che Renato Sacerdoti, diventato nel frattempo presidente
della società, aveva strappato all’Inter. Per l’esordio di Fulvio (Roma-Genoa
5-3) vennero fissati prezzi da capogiro: un biglietto dei popolari costò 5
lire, uno dei distinti 10 e un posto in tribuna centrale addirittura 20 lire!
In seguito a questa politica esosa da
parte della società nacquero le prime polemiche, ma vennero presto dimenticato
allorchè il grande “Fuffo”, schierato centravanti, mandò subito tutti in
delirio mettendo a segno due gol.
I primi derby furono disputati nella stagione
1929-30 la prima a girone unificato per cui Roma e Lazio si trovarono per la
prima volta di fronte. L’8 dicembre 1929 su disputò il primo derby sul terreno
dei biancazzurri. Manco a dirlo vinse la Roma per 1-0 con un gol di Volk
realizzato nella ripresa. Nella partita di ritorno disputata il 4 maggio 1930,
la vittoria della Roma fu ancora più netta (3-1) con reti di Bernardini, Volk e
Chini. Per la Lazio segnò Pastore. La lunga storia di vittorie del popolo
giallorosso contro l’aristocrazia
biancazzurra era iniziata.
Scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo come missionario uso la penna (anch’io appartengo alla vostra categoria) per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani. Trovo infatti la maggior parte dei nostri media, sia cartacei che televisivi, così provinciali, così superficiali, così ben integrati nel mercato globale.So che i mass-media , purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi economico-finanziari, per cui ognuno di voi ha ben poche possibilità di scrivere quello che vorrebbe. Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli stanno vivendo.
Mi appello a voi giornalisti/e perché abbiate il coraggio di rompere l’omertà del silenzio mediatico che grava soprattutto sull’Africa. (Sono poche purtroppo le eccezioni in questo campo!)
E’ inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane stato dell’Africa),
ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga.
E’ inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba ,il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur.
E’ inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni.
E’ inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa.
E’ inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua ad essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai.
E’ inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa nera.
E’ inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia dov’è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi.
E’ inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa , soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi.
E’ inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia , Sud Sudan, nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l’ONU.
E’ inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia a fine secolo di avere tre quarti del suo territorio non abitabile.
E’ inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi. (Lo scorso anno l’Italia ha esportato armi per un valore di 14 miliardi di euro!!)
Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi. Questo crea la paranoia dell’ ‘invasione’, furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi. Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con l’ Africa Compact , contratti fatti con i governi africani per bloccare i migranti Ma i disperati della storia nessuno li fermerà. Questa non è una questione emergenziale, ma strutturale al Sistema economico-finanziario. L’ONU si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa. Ed ora i nostri politici gridano:”Aiutiamoli a casa loro”, dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall’ENI a Finmeccanica.
E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum dove sono naufragati decine di migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti.
Davanti a tutto questo non possiamo rimanere in silenzio. (I nostri nipoti non diranno forse quello che noi oggi diciamo dei nazisti?). Per questo vi prego di rompere questo silenzio- stampa sull’Africa, forzando i vostri media a parlarne. Per realizzare questo, non sarebbe possibile una lettera firmata da migliaia di voi da inviare alla Commissione di Sorveglianza della RAI e alle grandi testate nazionali? E se fosse proprio la Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) a fare questo gesto? Non potrebbe essere questo un’Africa Compact giornalistico, molto più utile al Continente che non i vari Trattati firmati dai governi per bloccare i migranti? Non possiamo rimanere in silenzio davanti a un‘altra Shoah che si sta svolgendo sotto i nostri occhi.
Diamoci tutti/e da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa.
Una delegazione del PRC-SE è
stata presente alla festa della CGIL a Cassino,
le giuste battaglie per il Lavoro proposte dalle organizzazioni
sindacali e quindi anche della CGIL, troveranno sempre il nostro appoggio
convinto e militante.
Come sulle ultime importanti tematiche
promosse in materia di Voucher – appalti
- Articolo 18, Rifondazione Comunista si è spesa fortemente, mettendo in campo
il massimo dello sforzo.
Proprio per questo durante i
dibattiti si è fatto sentire il nostro dirigente storico Maddè Guglielmo,
mentre i rappresentanti del PD intervenuti “ragliavano” soluzioni e interventi rivoluzionari su Lavoro
e Ambiente, a nostro avviso un insulto al popolo di quella festa!!!
Ci dispiace che l’Onorevole
Pilozzi sia venuto a difendere il Jobs Act e le politiche del Lavoro dei
governi a guida PD, il suo attuale partito…
Nemmeno i governi Berlusconi
avevano mai osato in tema di Lavoro,
sono state distrutte conquiste storiche come il diritto a non essere licenziati,
sono state avallate scelte come la riforma delle pensioni, che impediranno a
tanti giovani di avere un lavoro perché occupati dai loro genitori ,dai loro
zii o dai loro nonni.
Si aggiunge anche l’ Assessore
Regionale Buschini, che ci è venuto a raccontare le storielle sui rifiuti e
sull’ambiente in provincia, e per non parlare della sanità!!!
Purtroppo , caro Assessore, le trame delle storielle a noi sembrano
troppo simili a quelle dell’allora Giunta Polverini .
Noi saremo sempre al fianco dei
Lavoratori e non cederemo mai di fronte all’arretramento dei loro diritti,
siamo disponibili a lottare per cambiare il declino e lo sfruttamento, con tutte
quelle organizzazioni sindacali che andranno in quella direzione
Diciamo grazie alla CGIL che
tramite i suoi iscritti e militanti, ogni giorno, lotta per garantire diritti e
tutele al mondo del lavoro.
Pertanto la nostra partecipazione
alla festa dei diritti di Cassino è stata molto sentita.
Eravamo oltre 300.000 a manifestare (ero presente a nome della FIOM Toscana) nei forum e nelle strade contro la globalizzazione liberista, contro il debito iniquo, per la democrazia partecipativa, per la conversione ecologica dell'economia, per la pace, per l'abbattimento delle barriere.
Ma a 16 anni di distanza cosa resta di quell'evento ? La globalizzazione speculativa finanziaria e l'economia liberista ha dilagato impoverendo ulteriormente i ceti medio bassi, i diritti sono stati ulteriormente tolti, il clima e l'economia fondata sul carbone prospera a danno del pianeta e dell'umanità, le guerre sono dilagate in Asia e Africa , la corruzione e delinquenza organizzata dilaga, i muri sono stati alzati, lo stato civile culturale delle persone si e' abbassato fino ad assistere ogni giorno a casi di razzismo, fascismo , femminicidio.
Le stragi e le torture perpetrate dalla polizia alla scuola Diaz e Bolzaneto con il massacro di centinaia di persone hanno inibito tutto il movimento che negli anni successivi non e' più stato all'altezza del G8 DI GENOVA .
Oggi assistiamo alla sceneggiata dell'allora vice Capo della polizia Gabrielli contro l'allora capo polizia De Gennaro dicendo che il G8 e' stato una catastrofe per la polizia e lui al posto di De Gennaro si sarebbe dimesso. Ma perchè non lo ha detto a quell'epoca ?
A 16 anni di distanza delle torture e la macelleria commessa da poliziotti nei confronti di centinai di manifestanti al G8 di Genova 2001 , i responsabili provati, vengono tutti reintegrati nelle proprie funzioni ed in alcuni casi promossi.
Oggi Gabrielli e' capo della polizia, De Gennaro presidente di Finmeccanica, altri dirigenti di polizia torturatori hanno fatto carriera e tutti sono liberi; mentre i torturati continuano a vivere nel terrore, alcuni si sono suicidati, altri hanno subito traumi cronici e paralisi, altri caduti nella depressione e vivono ogni notte gli stessi incubi.
Così , mentre i violentati muoiono , i poliziotti condannati , a pene tra i 2 e 14 anni di galera Non avranno più l'interdizione dai pubblici uffici ma verranno promossi ... uno schifo !
Sabato mattina 22/7 presso i locali di
p.zza Paleario 7 a Frosinone alle ore 12.15 conferenza
stampa di presentazione della campagna di NE’ SI BRUCIANO NE’ SI PAGANO, I
RIFIUTI SI DIFFERENZIANO!, volto alla commisurazione del giusto tributo da
pagare per la TARI 2017 e per la quantificazione del rimborso della TARI per
gli anni precedenti alla luce della effettuazione del servizio di gestione dei
rifiuti in grave violazione della disciplina di riferimento, come
previsto dall’articolo 24 e dall’art.13 del Regolamento per l’applicazione
della tassa sui rifiuti Tari.
Negli anni si è verificata una insufficiente e peraltro mai progressiva
raccolta differenziata rispetto ai livelli annunciati previsti nel Capitolato
di gara per l’affidamento dei servizi spazzamento, raccolta e trasporto dei
rifiuti urbani ed assimilati e dei servizi complementari di igiene urbana(CAT.16
CPC 94), anno 2005, dove si prevede, art.34 Raccolta differenziata dei
rifiuti urbani, di rispettare gli obblighi previsti dal d.to l.vo 22/97, aggiornato dal Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n.
152
La performance di differenziata realizzata sono noti (dati ufficiali
Istat): nel 2009 per il 15,3% sul totale dei rifiuti raccolti, nel 2010 al
16,8%, nel 2011 al 17,8%, nel 2012 al 17,3% (con regressione rispetto al dato
dell’anno precedente); nel 2013 al 16%; nel 2014 18,52%; nel 2015 al 18%;
Tale situazione comporta un ingiustificato costo per
la causale “tariffa smaltimento rifiuti”, nonché per il conferimento, presso
gli impianti di produzione del combustibile derivato da rifiuti, del materiale
che avrebbe potuto essere destinato alla raccolta differenziata, con
conseguente aggravio dei costi componenti la tariffa, stabilita con delibera di
giunta n.14 del 30/3/17 attraverso l’allegato piano finanziario 2017.
Tale iniziativa è promossa da un costituendo
“sportello anticrisi” che vede una serie di associazioni e comitati
organizzarsi per comprendere, bloccare, difendersi dalla pressione delle
istituzioni che scaricano sui cittadini gli oneri, i costi, i disservizi, i profitti,
delle privatizzazioni dei beni pubblici.
Negli ultimi tempi si sono fatti sempre più intensi gli attacchi al libero esercizio del diritto di sciopero come garantito dall’articolo 40 della nostra Costituzione.
Prendendo le mosse dai riuscitissimi scioperi nei trasporti promossi ed effettuati dalle organizzazioni sindacali di base ed autonome, illustri direttori di giornali e giornalisti, ministri e persino l’ex Presidente del Consiglio disarcionato dal referendum Costituzionale del 4 dicembre, si sono lanciati in una crociata per l’ulteriore riduzione del diritto allo sciopero, nonostante la legge italiana 146/90 sia tra le più restrittive in Europa.
E così l’Italia fa la prima della classe in una Unione Europea dove, in un clima di austerità e criminalizzazione del conflitto sociale che ha prodotto tra l’altro la legge Cameron, quella spagnola e la nuova loi travail francese, si indica chiaramente la necessità di colpire il diritto di sciopero e di manifestazione.
La litania è sempre la stessa. Non può essere consentito ad organizzazioni sindacali che non siano maggioritarie, di bloccare il Paese; in nessuno degli autorevoli scritti di questi giorni però ci si pone il problema del perché la rappresentatività reale dei bisogni dei lavoratori sia sempre più in capo al sindacalismo conflittuale.
Ma il nodo della questione è certamente un altro. Chi oggi chiede con forza un inasprimento della normativa sullo sciopero ha in mente di sottrarre il diritto allo sciopero ai singoli lavoratori per attribuirlo alle organizzazioni sindacali, negando così il principio secondo cui lo sciopero è un diritto soggettivo che si esercita collettivamente.
Questo dicono esplicitamente i Disegni di Legge giacenti da tempo al Senato e che sono stati recentemente riesumati. Non solo quindi si vuole procedere ad un vero e proprio stravolgimento del senso attribuito dalla Costituzione al diritto soggettivo allo sciopero, ma si propongono per legge ai fini della proclamazione dello sciopero, parametri irraggiungibili per qualsiasi organizzazione sindacale in assenza di una legge democratica sulla rappresentanza capace di verificare, non per autocertificazione, la reale rappresentatività delle organizzazioni sindacali.
L’attacco al diritto di sciopero si configura come un ben più ampio attacco al lavoro, ben sapendo che la crisi economica, l’aggressività del padronato, l’enorme tasso di disoccupazione e precarietà non potranno essere ancora per molto tempo governati con i bei discorsi e in pressoché totale assenza di forti investimenti economici e sociali per riequilibrare una situazione che sta divenendo ogni giorno più esplosiva. Stringere le maglie dell’esercizio democratico e cosciente dello sciopero significa ridurre la possibilità che attraverso il conflitto la parte debole della società possa modificare in meglio la propria condizione lavorativa ed economica; non era questo l’intento dei Costituenti che invece attribuivano proprio al libero esercizio del diritto di sciopero questa valenza.
E per questo lanciamo un “appello”, una “chiamata nominale” a prendere la parola collettivamente per dire che tutte le lotte per un lavoro sicuro e dignitoso, per la difesa della Costituzione sono e saranno lotte per il diritto di sciopero e di conflitto, e viceversa.
Per dire che la “modernità” dei governi di questi anni ci ha riportato indietro di settant’anni anni alla famosa domanda dei giuristi prima della Costituzione: “sciopero: diritto o delitto?”.
I primi firmatari
Paolo Maddalena (Vice Presidente emerito Corte Costituzionale) Gianni Ferrara (Costituzionalista) Giovanni Palombarini (Magistrato) Claudio De Fiores (Costituzionalista) Massimo Villone (Costituzionalista) Pierpaolo Leonardi (USB) Giorgio Cremaschi (Eurostop) Alexander Hobel (storico, Univ.Napoli, e rivista “Historia Magistra”) Andrea Danilo Conte (Avvocato Firenze) ANED-Associazione nazionale ex deportati Angelo Ciampi (Università Winterthur, Comitato democrazia sociale”) Angelo Ruggeri (Comitato scientifico rivista Fenomenologia e Società) Antonio Di Stasi (Ordinario di Diritto del lavoro) Arturo Salerni (Avvocato) Associazione Centro Salvatore d’Albergo-Il Lavoratore” Associazione nazionale Giuristi Democratici Aurelio De Angelis (Avvocato Bari) Carla Filosa (Redattrice rivista La Contraddizione) Carlo Barbiani (Mov. Naz. Rilancio e Attuazione Cosituzione) Carlo Formenti (Giornalista) Carlo Guglielmi (Forum Diritti Lavoro) Centro documentazione di storia dell’Emigrazione e del Movimento operaio e contadino Cesare Antetomaso (Associazione nazionale Giuristi Democratici) Comunità Democratica (Cattolici per il NO) Confederazione Sovranità Popolare Dino Greco (ex direttore Liberazione) Eleonora Forenza (Parlamentare europea GUE/NGL) Ermanno Fornaciari (Avvocato Verona) Ernesto Screpanti (Docente Economia Università di Pisa) Fabrizio Tomaselli (USB) Francesco Auricchiella, Avvocato Catania Francesco Della Croce (FGCI) Francesco Schettino (Univ.Napoli, Direttore “Università Popolare A. Gramsci”) Franco Astengo (politologo) Franco Russo (Forum Diritti Lavoro) Gaetano Bucci (Docente Univ. Di Bari,Costituzionalista) Giacomo Gianolla (Avvocato Padova) Gianluigi Valesini (Avvocato Milano) Giovanni Chiellini (avvocato) Giovanni Mazzetti (Presid. Centro Studi/Iniziative Redistr. Lavoro) Giovanni Russo Spena (Giurista) Giuseppe Marziale (Avvocato Napoli) Guglielmo Giuliano (Avvocato Bologna) Lidia Menapace (partigiana ed ex senatrice) Loredana De Petris (Pres. Gruppo Misto Senato SI-SEL) Loretta Sechi (Avvocato Cagliari) Luciano Vasapollo (Docente Università La Sapienza) Luigi Di Giacomo (Attuare la Costituzione) Manuela Palermi (PCI) Marco Bersani (Attac Italia) Mario Agostinelli Mario (ex segr. gen. CGIL Lombardia, Presidente Ass. Energia felice) Maurizio Acerbo (Segretaro nazionale PRC) Mauro Casadio (Eurostop) Michele Gioiello Vittorio (direttore del Cespi) Mimmo Porcaro (Eurostop) Movimento Naz. Antifascista Difesa Integrale e Rilancio Costituzione Nicola Sponza (Avvocato Trieste) Nicoletta Dosio (NOTAV) Paola Palmieri (USB) Paolo Ferrero (Vice Presidente Partito Sinistra Europea) Pasquale Maria Crupi (Avvocato Roma) Raul Mordenti (Saggista, Univ.Roma) Riccardo Faranda (Avvocato Roma) Roberta Lombardi (Deputata M5S) Sergio Cararo (Contropiano) Stefano D’Errico (Unicobas) Stefano Fassina (Deputato SI) Ugo Boghetta (Eurostop) Valerio Evangelisti (Scrittore) Veronica Pichilli (Avvocato Salerno)
Pancho Pardi (giurista)
Chiediamo a tutti di sottoscrivere al più presto l’Appello per la difesa del diritto costituzionale allo sciopero Firma su change. org … https://goo.gl/XdVXut
E’ importante che si firmi e si continui anche nella rete questa campagna in difesa del diritto di sciopero. In poche ore si sono raccolte centinaia di firme on line e dobbiamo cercare di rendere “virale” l’informazione e l’invito a firmare l’Appello con contatti diretti sui posti di lavoro e nei teritori, attraverso email, siti e sui social
Invitiamo tutti coloro che intervengono o più semplicemente sono su Facebook a pubblicizzare l’Appello condividendo a più riprese sul proprio profilo, nei gruppi dove si è eventualmente iscritti, nelle bacheche di amici e contatti. Esiste anche un Gruppo specifico dove riportiamo materiale … https://www.facebook.com/ … iscrivetevi al Gruppo, iscrivete anche i vostri contatti.
L’ imponente manifestazione che si è svolta nel pomeriggio di sabato 8 luglio a Colleferro
per RIFIUTARE l ’ammodernamento e la riaccensione
dei due inceneritori e bruciare la “ MONNEZZA “ di Roma ha segnato la forte e irrevocabile opposizione al Progetto Regionale che, al di
fuori di ogni logica, viene imposto ad
un territorio massacrato dall’ inquinamento
e dalle sue conseguenze gravissime
sulla salute e sull’ economia delle
popolazioni residenti.
Le oltre 6.000 persone che, ordinate e pacifiche, hanno risposto
alla chiamata delle Associazioni e dei Comitati organizzatori di Colleferro e dei Comuni della
Valle del Sacco hanno dimostrato :
a) che il problema dei
rifiuti riguarda tutti;
b) che le popolazioni non
sono più quelle “ scarsamente reattive “
che avevano subito in passato ogni tipo di scelta.
Associazioni, Comitati, cittadini
si sono mossi come un unico e compatto “corpo sociale” che si difende oggi per difendere i propri figli domani.
Nel corso della passata settimana
molti cittadini si sono riuniti di nuovo per attivare ulteriori e nuove azioni
di lotta. E’ necessario che chi grida contro i famigerati ambientalisti e li
definisce nemici del progresso e dello sviluppo economico si convinca che non
c’è alternativa a creare sviluppo in
perfetta sintonia con la salvaguardia dell’ambiente. La storia della sventurata vicenda degli inquinamenti della
Valle del Sacco, ora ormai tristemente nota come la valle dei veleni, sta a
dimostrarlo.
Un ringraziamento grandissimo
va rivolto a tutti gli organizzatori e collaboratori che hanno sottolineato
come la manifestazione di sabato 8
luglio 2017 è l’ avvio di una campagna che vede unite le popolazioni della Valle
del Sacco nelle iniziative che, con gli strumenti del
confronto democratico e della legalità, hanno come obiettivo irrinunciabile il ritiro del
progetto per Colleferro e di altri che
, analogamente, propongono l’
incenerimento dei rifiuti, come quello
della Marangoni di Anagni.
Una politica che si dimostra
attenta agli interessi di parte ma lontana dai problemi e dalle esigenze delle
persone, che chiude e smantella gli
Ospedali, riduce i servizi di assistenza, indebolisce le risorse dei territori
è una politica miope, autolesionista,
destinata al fallimento.
Per chi ha voglia di capire, la realtà di ciò che sta accadendo in Medio Oriente è la seguente: destabilizzazione, guerre e distruzione. Basta ripercorrere gli avvenimenti e collegare gli eventi a piacimento. Tutto ciò che verrà ricordato forse ci aiuterà a comprendere la sporca dimensione della demonizzazione praticata contro i popoli oppressi della regione.
Questo è un manuale in punti per capire e forse comprendere le dinamiche delle alleanze in quella martoriata regione, troppo vicina a noi per ignorarla.
1. Storicamente, le guerre non sono un fine, ma il mezzo per il controllo e l'egemonia sui mezzi di produzione e sulle fonti di energia che sono la chiave dell'economia globale.
2. Le guerre del ventesimo secolo ruotavano intorno ai giacimenti di petrolio in Medio Oriente.
3. Nel 1992 l'Europa ha firmato l’accordo di Kyoto, che obbliga gli Stati a ridurre l'inquinamento atmosferico.
4. Ciò richiede che si trovi un'alternativa al petrolio, che sembra in diminuzione a causa del declino della quantità di riserve globali; inoltre l’inquinamento causato dal consumo di petrolio infrange l'accordo di Kyoto, e pertanto non incentiva l'acquisto da parte delle potenze europee.
5. Il gas o la cosiddetta "energia pulita" è l’alternativa vincente, che sarà la chiave per controllare l'economia mondiale.
6. La Russia occupa il primo posto nella produzione mondiale di gas: 430 miliardi di tonnellate all'anno; seguono Iran, Qatar e Turkmenistan.
7. Per gli Stati del mondo, in particolare quelli europei, l'importazione di gas equivale all'installazione della Russia sul trono del pianeta e alla morte clinica degli Usa.
8. Gli Usa hanno cercato un rimedio, con l'accordo, insieme a diversi paesi, sulla costruzione di un gasdotto conosciuto come "Nabucco", che porterà il gas turkmeno (quarta potenza a livello mondiale) attraverso il Mar Caspio e l'Azerbaigian, la Turchia e l'Austria, senza passare per la Russia; in tal modo la Russia sarà nella morsa del collare del Nabucco, sostenuto dagli Stati Uniti e protetto dalla NATO.
9. La Russia ha risposto con la forza del diritto, dimostrando che il Caspio è un lago e non un mare, il che significa impedire al Turkmenistan la messa in posa del gasdotto attraverso di esso. Non solo: la Russia ha anche comprato tutto il gas turkmeno e azerbaigiano, con contratti a lungo termine, il che significa che i paesi che dovevano finanziare il progetto occidentale "Nabucco" sono nella morsa dei russi.
10. L’America rinuncia al gas turkmeno e cerca un nuovo finanziatore per il progetto Nabucco, che è il Qatar (terza potenza mondiale), attraverso la costituzione di un altro gasdotto (Qatar - Arabia Saudita - Giordania - Siria - Turchia - Europa).
11. Nel 2009 il Qatar e la comunità internazionale hanno provato a convincere Assad per consentire il passaggio del gasdotto del Qatar attraverso il territorio siriano, ma Assad ha rifiutato perché avrebbe compromesso gli alleati russi.
12. Nello stesso anno, l'Iran firma un accordo con Iraq e Siria per un gasdotto che passi dall'Iran attraverso l'Iraq, poi in Siria, poi in Turchia, per alimentare il progetto Nabucco e l'apertura al mercato europeo, e così ridurre le sanzioni e avere una carta di pressione nei negoziati sul nucleare. Ma il problema è che il gasdotto iraniano e quello del Qatar, se questo riesce a costruirlo, si incrociano nella periferia di Homs.
13. Ora, il regime di Assad, che rifiuta la costruzione del gasdotto di Stati Uniti - Qatar, è diventato un ostacolo che deve essere rimosso, al fine di realizzare il sogno del Qatar di rifornire l'Europa di gas, e quello degli Stati Uniti, determinati a battere il mercato del gas russo, l'avversario tradizionale.
14. Nel 2010 si incendiano le strade siriane contro il regime al potere; Qatar, Stati Uniti e Occidente finanziano gruppi di opposizione per rovesciare Assad e realizzare il progetto del secolo. I russi sostengono Assad per sopravvivere ed evitare la realizzazione del condotto concorrente del Qatar, gli iraniani stanno sostenendo Assad per i loro comuni interessi nella regione e per il gasdotto, interessi che si spegneranno per sempre, in caso di sconfitta, a favore delle potenze del Golfo.
15. Erdogan sostiene il progetto di Qatar/Usa, al fine di ottenere la fiducia e quindi avvicinarsi a realizzare il sogno turco di entrare nell'UE. Erdogan è il vincitore in tutti i casi: i tre progetti (Russia, Qatar, Iran) passano attraverso la Turchia, che quindi sarà il crocevia del gas asiatico per l'Europa. Qui va sottolineata l’oscillazione delle sue alleanze tra le forze in conflitto, per raccogliere un maggior numero di guadagni.
16. Il conflitto in Siria non accetta compromessi: la vittoria dei russi è la sconfitta degli americani, significa la loro morte a livello internazionale, e la vittoria degli americani e del Qatar significa accerchiamento della Russia, colpita sotto la cintura nel bene più caro che hanno, il gas. Pertanto, l'opzione della guerra, per indebolire l’uno o l'altro, potrebbe essere la soluzione per imporre la volontà del vincitore.
17. La guerra ha bisogno di combustibile da entrambe le parti, e le parti non sono disposte a indebolire i loro eserciti e le loro strutture militari; così sono andate alla guerra per procura.
18. I paesi del Golfo praticano una settaria mobilitazione takfiri sotto le parole d'ordine di sostenere la Sunna e sbarazzarsi dell'ingiustizia dell'alawita Assad, e gli iraniani praticano mobilitazione settaria sciita a sostegno di Assad e per le dimensioni del pericolo takfiri in Siria e nella regione, e qui si incontrano le parti.
19. La propaganda iraniana e dei paesi del Golfo è riuscita a deviare la "lettura" della guerra a livello mediatico da guerra per il gas a guerra confessionale.
20. La questione siriana è divenuta la questione del secolo, e il vincitore dominerà il mondo; per questo nessuna delle parti in conflitto è pronta a rinunciare e a lasciare il ring; sembra che le cose rimarranno così come sono per un tempo indeterminato.
21. Finiremo in una devastante terza guerra mondiale? o ci sarà un accordo tra le parti per aprire nuovi orizzonti per loro, ma a danno di un altro popolo, cui toccherà la stessa morte passata sul Levante e in Iraq per tanti anni?
22. Il confessionalismo in Siria è un confessionalismo economico, basato su due dottrine in contrasto fra loro, pur legate alla questione del gas, una occidentale, il progetto Nabucco, e il suo rivale russo. E prevarrà chi si aggrappa di più al suo progetto di gasdotto.
Il 17 luglio è una data terribile per tutti gli appassionati di jazz. Oltre a John Coltrane, morto il 17 luglio del 1967 , anche Billie Holiday ci lasciava in un 17 luglio, era il 1959. Il mese scorso tradussi dal sito americano "Jerry Jazz Musician" uno straordinario articolo su un momento magico, fra i tanti, che Billie Holiday regalò agli appassionati nel dicembre del 1957. Lo ripropongo per ricordare degnamente Lady Day
Nel nuovo brillante libro di Martin Torgoff “Bop Apocalypse” – una larga esplorazione nelle connessioni fra jazz, letteratura e droghe, con un’analisi di come gli stupefacenti abbiano inciso nella vita e nel lavoro di artisti come Charlie Parker, Jack Kerouac, Lester Young, William Burroughs e Allen Ginsberg -Torgoff dedica un capitolo al travaglio che soffrì Billie Holiday per l’abuso di droga. Mette anche in risalto come la stessa Holiday ammetta pubblicamene di fare uso di stupefacenti nella sua autobiografia “Ladies sings the blues” pubblicata nel 1956.
L’ autobiografia contiene errori che hanno lasciato molti dubbi in critici e biografi sulla sua veridicità. Come Torgoff scrive con molto rispetto: “il libro è molto attendibile in relazione ai primi anni di Billie a Baltimora e circa il periodo in cui si prostituiva. E’ ricco di notizie sulla sua vita segnata dalle droghe e dalla tossicodipendenza”. Nel libro, Billie scrisse: “Ho patito per quindici anni molte difficoltà a causa della dipendenza , con l’alternanza di momenti si e momenti no. Mi sono esalata e mi sono abbattuta. Come ho detto prima quando ero veramente euforica nessuno mi importunava. Ho avuto guai entrambe le volte che ho provato a distruggermi . Ho dilapidato una piccola fortuna per la roba. Ho lottato,mi sono disintossicata ho subito le mie sconfitte e ho dovuto lottare di nuovo contro tutto e tutti per raddrizzare le cose”.
Queste erano le drammatiche parole scritte nell’autobiografia uscita nel 1956, un periodo in cui ogni dichiarazione o ammissione sull’uso delle droghe ti rendeva un emarginato. Torgoff ci ricorda come pubblicazioni che riportavano vicende legate all’uso dei narcotici fossero state bandite dal Motion Picture Production Code del 1930 e nessuna major cinematografica o casa editrice avrebbe voluto pubblicare soggetti legati alla tossicodipendenza, ma il personaggio del jazzista tossico-dipendente che Frank Sinatra interpretò nel film di Otto Pirminger “ The man of the golden arm” trasgredì la regola . Lady Day (così veniva anche chiamata Billie ndr) capì così che forse i tempi erano maturi per raccontare la sua storia.
“Billie Holiday si trovava nella scomoda posizione di essere la criminale scrittrice di un libro dedicato ad una vicenda per la quale era stata condannata, reclusa in cella, per cui aveva subito di recente l’ennesimo arresto per uso di stupefacenti- naturalmente faceva ancora uso di droghe”, scrive Torghoff e prosegue:“L’autobiografia si conclude con capitolo interamente focalizzato sui narcotici… con una parte finale dedicata ai più recenti problemi che Lady Day aveva avuto con a legge”. Il libro in ultima analisi “ fu la prima vera testimonianza confessionale di una celebrità tossicodipendente dell’era moderna” e contribuì al sorgere della “leggenda di una Billie Holiday grande cantante americana tossico dipendente devastata dal dolore. Leggenda che si trasformò in un marchio indelebile ”
Nel novembre del 1956 in un intervista alla radio Mike Wallace chiese a Billie:” Perché tanti grandi jazzisti sembrano morire così presto- Bix Beiderbecke, Fats Waller, Charlie Christian, Charlie Parker?” La sua pronta replica divenuta famosa fu: “ Posso rispondere a questa domanda in un solo modo Mike . E’ perché tentiamo di vivere cento giorni in un giorno solo e perché dobbiamo cercare di piacere a tante persone. Io voglio forzare questa nota ma anche quell’altra nota ,cantare in questo modo ma anche in un altro modo, voglio prendermi tutto il feeling, mangiare tutto il buon cibo e viaggiare per tanti luoghi, tutto in un solo giorno, e non puoi farlo”.
Quando la Stazione televisiva CBS decise di produrre “ The Sound of jazz” una selezione speciale della loro serie “The Seven Lively Arts” il produttore Robert Herridge chiese a critici di jazz Nat Hentoff e Whitney Balliet di riunire i più grandi jazzisti del periodo per farli esibire in uno show che sarebbe andato in onda l’otto dicembre del 1957. Fra questo gruppo di musicisti,ovviamente, c’era Billie Holiday,ma il marchio di cantante tossico-dipendente devastata dal dolore convinse lo sponsor della trasmissione a richiedere la sua esclusione dal programma. “ Non possiamo portare nelle case degli americani , specialmente di domenica, qualcuno che è schiavo degli stupefacenti”. E’ questo il contesto in cui si sviluppa l’estratto da Bop Apocalypse. Il “momento magico” impresso indelebilmente nelle menti di coloro che onorano questa grande donna e l’accompagnarono a questo appuntamento.
Forse nessuno ha mai descritto lo spirito fondamentale e la sensibilità della vita da jazzista con più realismo o più onestamente. “ Nel vivere cento giorni in un giorno” Lady Day ha posto l’accento su quella forza vitale molto romantica, ed enigmatica che ha permeato il jazz , creato molte delle sue innovazioni e trionfi. Ma, allo stesso tempo, è sembrato generare quel tipo di tossicodipendenza e alcolismo che avrebbero consumato alcuni dei suoi più grandi artisti. Nessuno ha personificato questo spirito meglio di Billie Holiday.
Quando Herridge, Balliet ed Hentoff valutarono l’ipotesi di fare lo show senza di lei capirono semplicemente che non avrebbero potuto accettare tale prospettiva. Herridge diffuse un comunicato in base al quale, se a Billie Holiday fosse stato impedito di esibirsi, loro avrebbero cancellato lo show. Lo stratagemma funzionò e l’otto dicembre del 1957 il set fu così introdotto da Bing Crosby: “Billie Holiday è una delle poche cantanti di jazz veramente grandi. I suoi blues sono poetici estremamente intensi. A suonare con lei oggi ci sono alcuni dei musicisti che l’anno accompagnata in passato, negli anni trenta, in alcune delle più belle incisioni mai realizzate”
Ed erano li posizionati in semicerchio attorno ad uno sgabello dello studio 58: Roy Eldridge e Doc Cheatham alle trombe, Lester Young, Ben Webster, e Coleman Hawkins, tre dei più grandi sassofoni tenori della storia del jazz, Gerry Mulligan, il più giovane del gruppo, al sax baritono, Mal Waldrom al pianoforte, Milt Hinton al contrabbasso, Vic Dickenson al trombone, e Ossie Johnson alla batteria.
“Ci sono due tipi di blues, c’è un blues allegro e uno triste” osservò Billie mentre raggiungeva lo sgabello e si posizionava davanti al microfono. “Io non lo so, il blues è una sorta di miscuglio di cose, devi solo sentirle. Qualsiasi cosa io canti è parte della mia vita”
Anche se fu spesso etichettata come cantante di blues, Lady Day ha registrato solo tre brani nella classica forma delle dodici battute tipica del blues. La band attaccò proprio uno di questi pezzi: “Fine and mellow”. Il lato B di “Strange Fruit”, il famoso pezzo o registrato nel 1939. Lei si predispose al canto e non appena apri bocca nello studio si diffuse magia.
My man don’t love me
Treats me oh so mean
Lady Day indossava un vestito di lana chiaro, semplice, che copriva appena le ginocchia, i suoi capelli erano raccolti all’indietro in una coda di cavallo che lasciava scorgere due orecchini debolmente rilucenti nello studio. La sua figura appariva minuta, soprattutto se paragonata alla corporatura massiccia che la contraddistinse in gioventù : “Era una piccola e delicata donna” osservò Roy Eldridge scioccato da quanto fosse cambiata. Nonostante tutto era un mistero come potesse apparire ancora più luminosa e più bella di prima dopo i drammatici momenti che aveva passato.
Ben Webster prese il primo assolo, come altri nello studio aveva avuto una storia con Lady Day “una piccola illuminazione intima”, Roy Eldridge la descrisse così. Nel caso di Webster si trattava di un fugace innamoramento che risaliva agli anni ’30. Una vicenda che si concluse quando Webster picchiò Billie procurandole un occhio nero. La madre della Holiday si arrabbiò così tanto quando vide l’occhio tumefatto di sua figlia che inseguì Webster, dal loro appartamento fino in strada sul taxi picchiandolo con un ombrello.
Lester Young, fu il secondo a suonare –l’amico prediletto di Billie- Sin da quando Prez (soprannome di Young ndr) arrivò, due giorni prima per le prove, divenne malinconicamente ovvio a tutti che stava peggiorando. Egli si prese con calma tutto il tempo necessario, indossava delle pantofole perche i piedi gli facevano molto male. Quando Lady Day invitava i musicisti nel suo appartamento per un piatto di costolette e verdura lui non andava mai. Venti anni erano passati da quando avevano diviso la loro prima esperienza, quando Prez suonava così brillantemente accompagnandola in “I must have the man” la canzone che aveva dato inizio al loro romantica storia musicale. La relazione fra i due alternò momenti esaltanti e periodi di crisi, una lungo menage alienante che lasciò entrambi molto tristi. All’età di 48 anni Prez si specchiò, afflitto, nei suoi occhi verdi carichi di malinconia. Ma quando dalle sue labbra uscirono le note del sassofono e suonò tutto quello che il ricordo di quella passione aveva lasciato dentro di se, Billie sentì forte tutto l’amore che lui provava per lei. Nat Hentoff descrisse così l’assolo: “ Eseguì i più cristallini e puri accordi di blues che abbia mai sentito, Billie sorridendo e seguendo con il dondolio della testa il beat che si diffondeva, guardava negli occhi Prez, e lui lei. Lady Day stava rivivendo il passato con malinconico rammarico, così come stava facendo Prez. Qualsiasi cosa avesse rovinato la loro relazione fu dimenticata nella condivisione della musica. Seduto nella stanza del mixer sentii le lacrime salirmi negli occhi e vidi le stesse lacrime sul viso di molti fra quelli che erano li” Nel vivere quei momenti Hentoff rimase impressionato . Invece della “buccia avvizzita che era prima ” Lady Day “ si mostrava in pieno controllo, swingava sinuosamente con quello straordinario strumento che era la sua voce”. Alternò suggestive linee melodiche con gli sfarzosi assoli di Mulligan, Falco, Dickenson, ed Eldridge. “L’amore è come un interruttore, gira di tanto in tanto” cantò con un sorriso nostalgico, portando il brano nella sua dimensione personale, non lasciando dubbi sul fatto che stesse raccontando la storia della sua vita come sempre aveva fatto. “A volte quando pensi che sia acceso, baby, si spegne e tutto finisce”
E con quella esibizione la signora che voleva vivere cento giorni in un giorno scivolò via .
“Il resto del programma procedette regolarmente” ricordò Hentoff” ma questo era stato il climax, l’anima autentica del jazz” E’ una performance che rimane, forse, il più grande momento mai registrato in un video. Tutto in questa esibizione profuma d’amore. Amore reciproco e per la musica. Emerge il grande legame musicale che tutti loro avevano condiviso durante un era che stava scivolando via lungo le loro vite.