Luciano
Del Sette , da “Alias” del 16/02/2013
video clip Luciano Granieri
Pittore, partigiano, militante dell’ arte
realista, Armando Pizzinato nelle sue opere racconta a la terra del lavoro, la
sua gente indica l’arte come bisogno di libertà.
La
terra di lavoro è a qualche centinaio di chilometri, più giù. Porzione
geografica in tempo della Campania, soltanto, adesso spartita con Lazio e
Molise. Ma, togliendo alle due parole le iniziali maiuscole, salendo qualche
centinaio di chilometri più su, fino al Nord Est, si incontra una terra di lavoro. E’ un
fazzoletto di Friuli Venezia Giulia, ha le dimensioni di una cittadina e dei
suoi dintorni. Pordenone. Prima, molto prima, i campi, boschi, le vigne soltanto. Poi i mulini, le
ceramiche, i pastifici, le fabbriche di birra, i filatoi della seta, le
officine meccaniche, i cotonifici, le industrie giganti di elettrodomestici.
Scrivono Flavio Crippa e Ivo Mattozzi in Archeologia
industriale di Pordenone (Del Bianco editore) “…Nel raggio di due chilometri
da Piazza Cavour (la piazza centrale. Ndr) si trovano nel territorio comunale
di Pordenone le sopravvivenze, i resti o gli indizi (infrastrutture ed edifici)
di un processo plurisecolare di consolidamento del rapporto tra uomini e
ambienti, della sua evoluzione, delle attività, manifatturiere o industriali
intraprese e confinate lungo i secoli, dal XVI alla metà del secolo XX, prima
della grande trasformazione ambientale degli anni ’60 e ‘70”. L’antica Portus Naonism cinquantamila
abitanti, legata indissolubilmente al suo fiume,il Noncello, comunica oggi una
sensazione di tranquillità. Nulla a che vedere però con le dimensioni assonnate
e inerti di tanti posti di provincia. Qui c’è un teatro il Verdi, capace di
otocenti posti e frequentato da compagnie di importanza nazionale; qui si danno
il turno Pordenonelegge, il Silent film, festival dedicato al cinema muto, il
Pordenone Blues Festival; qui è nato il punk musicale dei Prozac + e dei Tre
Allegri Ragazzi Morti; qui ci sono un museo d’arte e una biblioteca
multimediale. Qui da sete secoli, si cammina sulla spina dorsale di Corso
Vittorio Emanuele : linea dritta e leggero saliscendi in un continuo di antichi palazzi appoggiati
su solidi portici. Furono costruiti dopo l’incendio del 1318 che distrusse le
case in legno, e le loro facciate dipinte di affresco. Il Dominio della
Serenissima, dalla metà del ‘400, esaltò ulteriormente la bellezza della Urbs
Pincta. Non la diresti terra di lavoro, Pordenone. Almeno a vederla e viverla
cos’, da pigro viandante tra il Duomo, Il Palazzo Comunale, Corso Garibaldi, i
bar uno in fila all’altro, i negozi in franchising e quelli che vantano un
passato. Ma se appena ti discosti, pochi minuti a piedi, eccola la terra del
lavoro. O meglio, le sue memorie, dimenticate nel lento corrodersi di muri e
macchinari. Testimonianze di archeologia industriale che, dopo l’abbandono
rischiamo l’estinzione. Oppure, è il caso del setificio a vapore di Giuseppe
Brunetta in largo San Giovanni, diventate citazioni da scovare in un archivio.
Il setificio, attivo dal 1898 al primo dopoguerra, aveva la sua sede a breve
distanza da via Grigoletti. Nel 1921, un bambino undicenne di nome Armando, cognome Pizzinato, guarda con
stupore e curiosità il protone numero 11 della via. Con lui ci sono la madre
Andremonda, il padre Giovanni Battista e il fratello Dante. Arrivano da
Maniago, 26 chilometri di viaggio. Giovanni Battista, già titolare del Caffè
dell’Unità Italiana, in piazza Maggiore a Maniago, vuole aprire un locale al centro di Pordenone. La
bella casa induce a un sogno di serenità, spezzato quasi subito. Ottobre è un
mese che Armando ricorderà tutta la vita, a cominciare dal 7, giorno della sua
nascita. In ottobre guarda, stupito e curioso, il protone di via Grigoletti.Il
primo ottobre del 1922 il padre si suicida gettandosi nelle acque della Dogana,
porto fluviale di Pordenone. Le voci sussurrano di debiti contratti a Milano
per aprire il nuovo caffè, altre di perdite al gioco e di truffe che potano
Giovanni Battista alla vergogna insopportabile del debito con le banche.
Andremonda rimane da sola, due figli sulle spalle. Nel 1925 Armando termina la
scuola complementare dove Pio Rossi era stato suo maestro di disegno. La
passione per la pittura è talmente forte
in lui, da convincere la madre a lasciarlo entrare come garzone nella bottega
artistica di Tribuzio Donadon.. Ne uscirà giocoforza per entrare fattorini, e
poi impiegato, in una banca locale. Il ragazzo con l’estro dl dipingere viene
notato dal direttore della banca. A incuriosirlo è il fatto che il giovanissimo
Pizzinato, appena trova un momento libero, si tuffa nella lettura delle Vite del Vasari, edite a dispense dalla
Sonzogno. Così, il consiglio di amministrazione paga ad Armando un ciclo di
lezioni presso lo studio di Pio Rossi, ch gli permetteranno, nel 1930, di iscriversi all’Accademia delle Belle Arti di
Venezia. Pendolare tra le due città, Pizzinato si diploma 4 anni dopo, portando
con sè un bagaglio culturale fatto di nuove importanti frequentazioni (Giulio
Turcato e Afro, tra gli altri); di letture dei Cahiers d’Art che gli fanno conoscere Picasso, Braque, Matisse,
Derain; di confronti che maturano le sue idee non solo artistiche. Il 1934
segna, tuttavia, il ritorno al lavoro per guadagnarsi l pane. Scriverà Armando:
“A Pordenone esisteva la Ceramica Galvani e riuscii ad avere un posto lì come
disegnatore progettista….La fabbrica era appunto di Galvani, come di Galvani
erano le cartiere, come di Galvani erano altre proprietà, e prima l’esperienza
della banca e poi l’esperienza di questa fabbrica fu una lezione che mi portò
sulla strada del socialismo. Io servo non sono nato, chinare la schiena non ero
capace, mia madre continuava a suggerirmi di essere ossequiente ai padroni , di
essere obbediente di qua e di là, e io ero solo disposto a lavorare per quello
che mi pagavano…” Pordenone in quegli
anni stava perdendo il suo patrimonio economico più prezioso: i cotonifici di
Roraigrande, Torre e Borgomeduna, capaci, nei tempi migliori, di dare lavoro a
oltre 12 mila addetti, in netta
prevalenza donne. E proprio dalle donne dei cotonifici erano nati i movimento
sindacale, la rivendicazione e la difesa dei diritti dei lavoratori. L’era del
tessile durò poco meno di un secolo, dal 1840 alla grande crisi del 1929 che
spazzò via tutto. Intanto lontano, ma non troppo, da Corso Vittorio Emanuele,
Antonio Zanussi aveva aperto, dal 1916 un piccola fabbrica che portava il suo
cognome e produceva cucine alimentate a legna. Pizzinato se ne va da Pordenone alla volta di Roma nel 1936, grazie a una
borsa di studio. Negli ambienti artistici della capitale conosce e frequenta il
gruppo della Cometa: Mafai, Cagli, Mirko, Capogrossi e Guttuso. Torna a Venezia
nel 1940 e l’anno seguente incontra la futura moglie, Zaira Candiani. Dal loro
matrimonio nascerà Patrizia, unica figlia. L’autunno del 1943 è stagione di una
maturità che vedrà Armando, si lì in
poi, unire strettamente arte e politica. Durante la Resistenza conosce il
carcere fascista fino ala Liberazione “In quei due anni di Resistenza ho
sospeso la mia attività artistica, ho smesso di dipingere. L’ho fatto senza
fatica perché l’impegno era immediato,
sull’uomo”. Torna alla pittura aderendo al Fronte Nuovo delle Arti e poi, con
Renato Guttuso, al Realismo Italiano, negli anni ’50. Del secondo fondamentale periodo dà conto una
delle tre sezioni che compongono la mostra “Armando Pizzinato (1910-2004). Nel
segno dell’uomo” alla Galleria di arte moderna e contemporanea di Pordenone
fino al 9 giugno. Sui muri di una delle
sale della sezione, spicca una frase di Pizzinato “Sono sempre convissuti in
me, senza alcun compromesso, l’impegno politico e l’interesse per l’arte. Tutti i critici e i letterati che si sono interessati
alla mia opera di pittore, in sostegno o
contro, hanno sempre dovuto tirare in ballo anche il cittadino Pizzinato”. E’ l’artista,
ma anche il cittadini e l’uomo con un
credo politico, a realizzare tra il 1950 e il 1962, tele potenti ispirate al
lavoro: i muratori arrampicati sulle impalcature, i saldatori avvolti dalle
scintille, lo spaccapietre, gli scaricatori di carbone, gli operai durante la
pausa per il pranzo, le mondine, l pescatore, i contadini, la trebbiatura. Sono
figure e situazioni figlie del quadro, Un fantasma percorre l’Europa, esposto
alla XXV Biennale di Venezia, 1950, nello spazio dedicato al Realismo, cui
seguirà, Tutti i popoli vogliono la pace.
Nella sezione della mostra spiccano
alcuni enormi bozzetti realizzati per la Sala Consigliare della Provincia di
Parma. Pizzinato, vincitore del bando nel 1953 continua a raffigurare i
mestieri del popolo urbano e agricolo,
ma con maggior definizione, guardandoli più da vicino. Come farà negli stessi
anni, fissando sulla tela i partigiani di Liberazione
di Venezia e della Fucilazione di
patrioti , gli sfollati dall’alluvione in Salvataggio nel Polesine. Ma gli strali della commissione culturale
del Pci, che già in precedenza si erano abbattuti sul’astrattismo, colpiscono anche
il Realismo, sconfessato brutalmente. Pizzinato si ritira in solitudine,
artista militante disorientato e amareggiato. La morte improvvisa di Zaira, nel
1962, accelera la sua crisi e lo porta a estinguere l’esperienza realista. Il
pennello, paralizzato dal dolore, si ferma per molti mesi. Riprenderà a scorrere,
con la serie Dal giardino di Zaira, seppure
su fronti espressivi diversi, grazie all’incontro con Clari, la seconda moglie.
Intanto, nella terra del lavoro, le cose stanno cambiando. La piccola fabbrica,
è il 1951, conta adesso 300 operai. Il suo pilastro produttivo sono le cucine a
gas, seguite, a distanza di tre anni, dal primo frigorifero italiano e, nel 1958, dalla Rex, la prima lavatrice
nazionale. Da poco è stato aperto un nuovo stabilimenti a Porcia; un altro, la
Grandi Impianti, a Valenoncello, si specializza in apparecchiature per la collettività.
Lino prende il posto del padre fino al 1968, quando morirà in un incidente
aereo in spagna. Le due strategie creano la Zanussi Elettronica per la
produzione di televisori con il marchio Seleco. Il boom economico porta all’azienda il 25% del mercato nazionale e il primato
europeo nel settore degli elettrodomestici. Dopo la scomparsa di Lino, il
gruppo cresce con l’acquisizione di Becchi, Castor, Triplex, Zoppas. Ma compie
anche operazioni sbagliate e dubbie, portandosi in casa aziende decotte : la
Ducati Motori e Sole (edilizia), per citare due nomi. Così un’azienda
produttivamente sana finisce con i libri in tribunale e sull’orlo del
fallimento. E’ il 1985, arriva il colosso svedese Electrolux, l’asso
pigliatutto. Bel colpo, visto che la Zanussi, seconda per dimensioni
industriali solo alla Fiat, conta circa 35mila dipendenti. A Pordenone in
quegli anni, Pizzinato ogni tanto fa ritorno, il suo legame con la città è profondo,
la lontananza nono lo ha affievolito. Dalla terra di lavoro è lecito pensare che
avesse tratto ispirazione per dipingere la dura quotidianità della campagna.
Non ci sono, invece, nelle opere del periodo realista, gli operai delle
ceramiche Galvani e quelli della Zanussi, i cotonifici assediati dall’abbandono,
le rovine dei mulini, le officine meccaniche dismesse. La terra di lavoro, per
Armando, era un altrove senza geografie precise . Pordenone, forse, rimaneva
per lui il posto dell’infanzia, delle ambizioni da realizzare contro la volontà
della madre Andremonda, dei viaggi quotidiani a Venezia. Il posto da cui
andarsene, ma da non dimenticare. Chissà se oggi che la Electrolux taglia centinaia e centinaia di posti in nome della
crisi, e se Pizzinato non avesse
concluso la sua esistenza, potrebbe nascere una tela intitolata a quella Urbs
Pincta dove, a un passo da Piazza Cavour, i rumori e gli odori delle fabbriche
coprivano il sussurro e i profumi del Noncello. “Se per comunismo si intendesse
solo l’aspirazione all’eguaglianza sociale, con conseguente senso di rivolta
verso le ingiustizie sociali, potrei dire
che comunista lo sono sempre stato, vissuto da giovane in una cittadina
del Friuli dove ho imparato in modo diretto il significato di certe parole,
servo, padrone, sfruttamento, privilegi e gerarchismi:
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