sabato 17 dicembre 2011

Occhio vigile? NO OCCHIO AL VIGILE

Luciano Granieri


Quanta irriconoscenza c’è al mondo. Ma come?  Il capo dei vigili di Frosinone e il consigliere comunale preposto alla sicurezza su incarico personale del sindaco si sacrificano per la tranquillità dei ciociari e vengono arrestati?  Già il nome dell’operazione  “Tutti insieme più sicuri in città” doveva essere una garanzia sulle buone intenzioni dei personaggi . Che hanno fatto di male questi signori? Si sono avvalsi addirittura di collaboratori e ditte provenienti dalla Padania, per essere sicuri della buona riuscita del progetto . Si sa in Padania ci sono i maestri delle ronde e della tolleranza zero!  Certo ai  Lumbard, esuberanti come sono, ogni tanto scappa qualche parolina di troppo, l’avessero fatta sta’ benedetta legge sulle intercettazioni!!!!  A qualcuno è sfuggita  la frase “Questo appalto sarà la madre di tutte le opportunità” E che sarà mai!!! Mica si voleva dire che l’opportunità in questione era quella di spolpare le già martoriate tasche dei cittadini di Frosinone e di Isola Liri,  distraendo dalle casse pubbliche  mazzette per  200mila euro e intascare laute   percentuali sugli importi delle multe che telecamere e rilevatori “DALL’OCCHIO VIGILE” assicuravano, inchiodando inesorabilmente gli automobilisti indisciplinati alle loro responsabilità ! Giammai, l’opportunità era quella di rendere la città più sicura più accogliente per cittadini e turisti. Ma ci rendiamo conto dell’efficienza di queste telecamere?  Si tratta di efficientissimi marchingegni che risescono ad essere collaudati anche se ancora non sono stati attivati e se i collaudatori sono a centinaia di chilometri di distanza. Pensate il 14 marzo del 2011 da Podenzano, un ridente comune del Piacentino, i tecnici preposti riuscivano ad accertare con tanto di dichiarazione firmata che a Frosinone cioè a 600 chilometri di distanza, dopo positivi collaudi, il fissaggio delle telecamere, non fissate, era a norma e che l’impianto con i rilevatori non fissati risultava perfettamente funzionante. Prodigio della tecnica!!!  Queste videocamere sono talmente portentose che riescono a rilevare oltre alle infrazione che avvengono davanti al loro obbiettivo, anche ciò che avviene dietro. Per accertare meglio queste potenzialità, l’amministratore padano della ditta aggiudicatrice dell’appalto, si è “fatto filmare” dai congegni mentre consegnava 25mila euro al comandante dei vigili e al consigliere incaricato direttamente dal sindaco. E qui si  è  determinato  un altro equivoco grosso come una casa. La ripresa della consegna  dei 25mila euro dall’imprenditore ai dirigenti pubblici non documentava il pagamento di una prima tranche dei 200mila, ma era semplicemente una prova dell’efficienza delle videocamere “BIFOCALI” che hanno ripreso tutto con dovizia di particolari. Aveva ragione Berlusconi, è tutta colpa dei giudici malati di protagonismo che colpiscono sia a destra che a sinistra. Non si rendono  conto tali insigni inquirenti che il Pd cittadino è entrato in grossa crisi perché qualcuno vuole insinuare che all’interno del comune di Frosinone esiste LA QUESTIONE MORALE?  Non hanno la sensibilità questi austeri giudici di evitare al sindaco   e all’assessore di riferimento una gogna politica che avrà indubbiamente conseguenze sul piano del consenso e della credibilità, soprattutto nell’imminenza delle elezioni comunali?  SONO PROPRIO DEI SENZA CUORE.  Però la messa in bilancio della voce: ”riscossione  multe” per circa 1.500mla euro  nel previsionale economico del Comune non può non far pensare  E’ VERO SONO I SOLITI SOSPETTI DI NOI ASTIOSI COMUNISTI.  



P.S.
Per i naviganti di Aut  la fredda cronaca delle vicende relativa all’indgine  “OCCHIO VIGLIE” che ha portato all’arresto del comandante dei Vigili Delvino e del Consigliere La Cava  dovrebbero essere note. Come al solito Aut ha il suo stile nel raccontare certi fatti. Comunque per chi volesse  documentarsi in modo meno goliardico  consigliamo di cliccare sul link sottostante,





Nel brano di Jannacci "Faceva il palo" si canta  anche un po' padano in omaggio ai corruttori.
Luc Girello.

Perchè la democrazia riviva, secondo appuntamento


Il 4 dicembre scorso abbiamo organizzato un   BANCHETTO in L,go Turriziani a Frosinone  per condividere con i cittadini la rabbia e la frustrazione di dover pagare un debito che non abbiamo contratto . Soldi e dignità ci vengono tolti da ogni tipo di speculazione finanziaria, immobiliare a anche dalla corruzione che, in base agli ultimi eventi relativi agli arresti del comandante dei vigli urbani Delvino e il consigliere 
La Cava , si è rivelata ben  presente anche nella nostra città. NON VOGLIAMO PIU' PAGARE PER LE RUBERIE  DI  BANCHERI, SPECULATORI , EVASORI, CORRUTTORI E CORROTTI.  Ribadiamo ancora una volta che 
Non siamo  dei giocattoli nelle mani degli azionisti, degli speculatori e dei creditori. Siamo  cittadini, capaci di deliberare insieme sul nostro avvenire.  Noi ci mobiliteremo nelle nostre città, nei quartieri, nei nostri luoghi di lavoro, per un'altra politica economica, del tutto alternativa a quella avanzata in questi anni dai vari governi che si sono succeduti, compreso il governo Monti,    improntata alla redistribuzione della ricchezza, alla valorizzazione dei beni comuni, del lavoro, del welfare, dell’istruzione e della ricerca e  dell'ambiente contro gli interessi del profitto e della speculazione finanziaria.

Per questo motivo:
Ritroviamoci ancora una volta  domenica 18 dicembre dalle ore 10,00 in La.go Turriziani a Frosinone per ribadire che  chi ha provocato la crisi deve pagare il debito !!! 

Partito della Rifondazione Comunista    
Circolo “Carlo Giuliani” Frosinone              

COBAS Frosinone

Associazione "Oltre l'Occidente" Frosinone

Fiorenzo Fraioli (movimento "La colomba")

venerdì 16 dicembre 2011

No al debito, no a Monti. Il 17 assemblea a Roma

Giorgio Cremaschi


"Come in Fiat la brutalità di Marchionne ha cancellato il contratto nazionale e ha costruito il consenso alla schiavitù del lavoro (...), così il governo Monti costruisce il consenso alla schiavitù del paese rispetto al diktat della speculazione sul debito". Sabato un'assemblea nazionale a Roma
Dobbiamo fermarli! Così concludevamo l'appello lanciato nel luglio scorso contro l'Europa delle banche e della speculazione finanziaria, appello che portò all'assemblea di Roma del 1° ottobre. Quando siamo partiti c'era ancora il governo Berlusconi e la politica economica dettata dalla finanza internazionale si era scatenata soprattutto sulla Grecia. Pensavamo che sarebbe arrivata da noi, visto che l'Ue di oggi ne è una pura esecutrice, tuttavia non potevamo prevedere che tutto sarebbe precipitato così in fretta. Invece l'attacco speculativo al debito pubblico italiano e a quello di tutti i principali paesi dell'Ue, e il contemporaneo totale fallimento del governo Berlusconi, hanno portato a far sì che il governo unico delle banche divenisse il concreto governo della Repubblica italiana. Ora che la lettera della Bce è diventata formalmente programma di governo, ciò che sembrava largamente diffuso nell'opinione pubblica e soprattutto nella grande informazione, non lo è più. Come in Fiat la brutalità di Marchionne ha cancellato il contratto nazionale e ha costruito il consenso alla schiavitù del lavoro rispetto alla globalizzazione, così il governo Monti costruisce il consenso alla schiavitù del paese rispetto al diktat della speculazione sul debito.
Eppure basterebbero poche cifre, per dare l'idea della brutalità, e anche della follia dell'offensiva che stiamo subendo. La manovra lacrime e sangue del governo porta via dalle nostre tasche sostanzialmente 30 miliardi di euro. Secondo la Cgia di Mestre la somma complessiva delle manovre adottate dal governo Berlusconi e da quello Monti, porta via, entro la fine del 2014, 208 miliardi di euro. E' una cifra enorme, in gran parte, almeno al 90%, pagata dai lavoratori, dai pensionati, dai poveri. Eppure non basterà. Con i tassi di interesse attuali sui buoni del tesoro l'Italia dovrà pagare dagli 80 ai 90 miliardi all'anno solo per gli interessi sul debito. Quindi nello stesso periodo di tempo ci vorranno dai 250 ai 300 miliardi solo per pagare gli interessi sul debito, senza intaccarlo minimamente nella sua dimensione complessiva. Queste aride cifre ci dicono che le manovre non basteranno, che si dovrà tagliare ancora e che tutto questo provocherà ulteriori disastri all'economia. E' la medicina greca, adottata da tutti i governi dell'Europa, cambiando solo le dosi a seconda del Paese a cui viene applicata. Oggi pare che in Grecia l'Ue chieda il licenziamento di 150mila dipendenti statali, fatte le proporzioni sarebbe quasi un milione da noi. Si fanno le manovre, si scopre che non bastano perché l'economia si deprime ancora di più e quindi si torna a farne delle altre, mentre il debito resta sempre lì a imporci la sua schiavitù. E' un meccanismo di semplice usura, quello a cui i governi europei sotto il dettato della finanza internazionale e delle banche stanno sottoponendo i loro cittadini. Il governo Monti è espressione di questa politica fallimentare. Nello stesso tempo si affossa la democrazia. In Grecia il primo ministro Papandreu è stato sostituito quando voleva fare un referendum sulle misure dettate dall'Europa. In Italia si è fatto il governo Monti, per non andare al voto, perché lo spread non voleva. 
Qui bisogna essere chiari. La stima personale che abbiamo nei confronti del presidente della Repubblica non cancella il fatto, ormai riconosciuto in Italia e all'estero, che stiamo precipitando verso un modello di governo più monarchico che repubblicano. Nella nostra democrazia costituzionale non sono previsti governi del presidente, governi del sovrano, e il precedente è inquietante. Immaginiamo infatti se al posto di Napolitano ci fossero altre personalità, simili ad altri presidenti che hanno esercitato la loro funzione nella storia della nostra Repubblica. Immaginiamo come potrebbero utilizzare il potere presidenziale che si è così creato. Sì, dobbiamo essere preoccupati profondamente per la crisi della nostra democrazia. E d'altra parte, cosa si sta realizzando in Fiat se non prima di tutto la cancellazione delle libertà fondamentali di sciopero e di rappresentanza per i lavoratori del gruppo? L'economia della globalizzazione, se non viene contrastata distrugge la democrazia, nella fabbrica, nella società, nelle istituzioni. E il governo Monti non ha nemmeno un centesimo di anticorpo culturale per opporsi a questa deriva. 
Per reggere dobbiamo ripartire dall'opposizione a questo governo, alla logica e ai principi che lo ispirano, ai mandati che deve eseguire. 
Il 17 a Roma ci troviamo proprio per questo. Per costruire un punto di vista alternativo a quello del governo delle banche che domina l'Europa oggi e per essere coerentemente alternativi al governo Monti e a chi lo sostiene. La situazione è troppo grave per limitarci a chiedere il cambiamento a questa o a quella misura. E' la schiavitù del debito che va rovesciata, e con essa, in tutta Europa, i governi che se ne sono fatti interpreti. E' una grande sfida democratica, decisiva per non precipitare nella barbarie, nelle guerre tra i poveri, nei razzismi, che crescono come sempre nella storia europea in tempi di crisi. Bisogna dire basta alle politiche liberiste che ci governano da trent'anni e che ci hanno portato a questa crisi. E' necessaria l'unità tra chi si oppone oggi da sinistra al governo Monti. La situazione è troppo grave perché si possa continuare così e a mobilitarsi in ordine sparso. E' allarme rosso, compagni e compagne, dobbiamo unirci per lottare contro chi ci vuole distruggere e l'assemblea del 17 a Roma vuole mandare questo chiarissimo messaggio.

Aeroporto di Frosinone: un’altra pagina nera scritta dalle istituzioni elette dai cittadini

CODICI, ITALIA NOSTRA, RETE PER LA TUTELA DELLA VALLE DEL SACCO, COMITATO NO AEROPORTO FERENTINO FROSINONE.

Eravamo pronti a festeggiare una buona notizia: il bilancio previsionale 2012 della Regione Lazio (Deliberazione n. 586 del 7 dicembre 2011), pur tagliando in misura insostenibile i fondi destinati al trasporto pubblico, su rotaia e su gomma, azzera i fondi destinati all’aeroporto di Frosinone.

D’altra parte, ci sembrava strano e al tempo stesso indice di serietà istituzionale che le lobby di riferimento Scalia-Abbruzzese non fossero riuscite a strappare la riconferma delle somme già stanziate dalla Regione Lazio ex Comma 41 della L. R. 11 agosto 2009 n. 22 (Giunta Marrazzo, Scalia Assessore “sponsor”), seguite dal relativo impegno di spesa (Determinazione B5815 del 6 novembre 2009). E infatti, nel pomeriggio di ieri, il Presidente della Regione Lazio Renata Polverini ha annunciato la sottoscrizione delle quote e l’ingresso dell’ente in ADF (Aeroporto di Frosinone) spa entro il 31 dicembre 2011.

Se questo passaggio trova evidentemente la sua ragion d’essere negli equilibri della maggioranza regionale e nella soddisfazione delle spinte di alcuni gruppi di interesse presenti sul territorio provinciale, che da sempre mutatis mutandis condizionano al di là di ogni logica e in particolare dello sviluppo autentico le scelte della Regione Lazio, alcune elementari considerazioni provano che in questo momento l’atto annunciato dalla Presidenza della Regione Lazio si configura come un vero e proprio oltraggio alla cittadinanza e ai contribuenti:

1) Il paese vive una gravissima crisi economica che impone di evitare ogni spesa superflua;

2) La Regione Lazio taglia decine e decine di milioni di euro destinati al trasporto pubblico e contemporaneamente annuncia che sottoscriverà con 1.350.000 euro le quote sociali di ADF.

3) La linea ferroviaria Roma-Cassino, da anni nel degrado, ha toccato nelle ultime settimane il fondo del disservizio, con conseguenti proteste popolari e prese di posizione molto dure di alcuni dei sindaci maggiormente interessati;

4) In data 23.03.11, la Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per il Lazio, esprimendosi sulle attività della Provincia di Frosinone relative al 2008, ha formulato pesanti osservazioni sull’operato della società pubblica ADF;

5) In data 09.12.11, il Ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera si è espresso nettamente contro la “filosofia dell’aeroporto in ogni Provincia”;

6) In data 12.12.11, Aeroporti di Roma ha presentato il piano di sviluppo 2012-2044, che - in sostanziale coerenza con il Rapporto ENAC 2011 - prevede investimenti per oltre 11 miliardi di euro per il potenziamento di Fiumicino, oltre a 236 milioni per l’aeroporto di Viterbo e 183 milioni per la riqualificazione di Ciampino a “city airport”;

7) Per quanto riguarda l’aeroporto di Frosinone - a zero fondi di programmazione statale al contrario degli aeroporti precedenti - l’ultima tranche di finanziamento, che porta a quasi 7 milioni di euro gli stanziamenti regionali complessivi, nelle parole del Presidente della Regione Lazio del 15.12.11, «consentirà di accelerare e concertare al meglio tutte le iniziative necessarie a completare i passaggi amministrativi per l’indizione della gara di project financing al fine di individuare il soggetto incaricato di realizzare l’Aeroporto Regionale di Frosinone»;

8) Come da tempo doviziosamente documentato dalle sottoscritte associazioni, anche sulla scorta degli enti tecnici preposti a tali valutazioni, l’aeroporto di Frosinone è palesemente infattibile per ragioni di rotte di volo, sicurezza, sostenibilità economica e ambientale.

I cittadini ciociari necessitano di infrastrutture importanti che consentano una mobilità quantomeno accettabile tra Frosinone e Roma. La Regione Lazio al contrario le affossa, tagliando risorse indispensabili e gettando invece l’ennesimo “obolo” a un progetto irrealizzabile.
“Prendiamo atto che si è costituito un comitato trasversale di interessi politici ed economici che propone vecchie politiche di sviluppo fatte di occupazione e sfruttamento del territorio e che non tiene conto delle compatibilità sociali, economiche e ambientali. L’associazione non può rimanere a guardare e alzerà il tono dello scontro”, commenta Ivano Giacomelli, Segretario Nazionale del Codici.
Invitiamo dunque la Presidenza della Regione Lazio a tornare sui propri passi, prendendo atto che la sottoscrizione delle quote sociali ADF sarebbe nel contesto attuale un atto politicamente e moralmente irresponsabile.

Frosinone, 16.12.11

CODICI Onlus – Il segretario provinciale, Luigi Gabriele

ITALIA NOSTRA Onlus – Il presidente della Sezione Ciociaria, Giulio Zinzi

RETE PER LA TUTELA DELLA VALLE DEL SACCO Onlus – Il coordinatore provinciale, Francesco Bearzi

COMITATO NO AEROPORTO FROSINONE-FERENTINO – Il coordinatore Marco Maddalena



























giovedì 15 dicembre 2011

Un mare così ampio

Franca Dumano


“Un mare così ampio. I racconti-in-romanzo di Julio Monteiro Martins” di Rosanna Morace, Libertà Edizioni (www.libertàedizioni.it), Lucca, 2011, pp.177.

Questo  testo di Rosanna Morace si inserisce in un più ampio progetto della Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell'Università di Sassari “Scrittori migranti” e ha il merito innanzitutto di evidenziare la complessità e la ricchezza della cosiddetta “letteratura migrante”: a partire dalla definizione di autori e autrici che scrivono in una lingua diversa dalla madrelingua, verso il superamento di una chiave di lettura puramente sociologica dell'esperienza dei migranti, del racconto-denuncia dell'emigrazione, sottolinea il valore letterario e la pluralità di temi  degli scritti
e individua la forza dirompente di questa “letteratura migrante” che esce dagli schemi linguistici e stilistici e inventa forme nuove.
Il libro presenta il percorso letterario ed esistenziale dell'intellettuale Julio Monteiro Martins, nato nel 1955 a Niteroi (Brasile), cofondatore del partito verde brasiliano, del movimento per l'ambiente “Os Verdes”, della casa editrice Anima, avvocato dei diritti umani, responsabile dell'incolumità dei “meninos de rua” ; autore di opere in lingua brasiliana e italiana. In Italia ha pubblicato “Il percorso dell'idea”, Pontedera, 1998; con Besa “Racconti italiani”(Nardò, 2000), “La passione del vuoto” (2003), madrelingua (2005) L'amore scritto (2007) e il racconto “L'irruzione”nell'antologia“Non siamo in vendita. Voci contro il regime”, Arcana Libri, L'Unità, con scritti di Erri De Luca, Dario Fo, Antonio Tabucchi, Bernardo Bertolucci, Gianni Vattimo; insegna all'Università di Pisa, dirige la rivista on line Sagarana (www.sagarana.net) cui rinvio per la bibliografia dell'opera completa in portoghese e in italiano.
In quest'opera, la letteratura migrante viene valorizzata sia dal punto di vista stilistico, sia per la complessità di contenuti, che non si limitano al racconto di un esilio o di un esodo; lo stile si fa ampio, diverso dagli schemi preesistenti, evapora, straripa, smaterializza strutture per crearne altre, per raccontare la complessità delle “Vite-letterature”, come le definisce Mia Lecomte.(1).
Diventa “Un mare così ampio” - appunto - in cui percorsi letterari si intersecano a quelli esistenziali. Il titolo del testo trae origine da un racconto in cui Fernao de Magalhaes è alle prese con la difficile decisione di partire per l'ignoto e circumnavigare per la prima volta il globo terrestre; in una taverna di Lisbona apre il suo animo tormentato all'amico astronomo Ruy Faleiro, esprimendo il concetto del viaggio verso l'ignoto, verso l'altrove: “E se è vero che ho lasciato me stesso dietro di me, questo non mi spaventa, perché so che il mondo è una sfera e perciò è proprio allontanandomi dal punto di partenza che potrò fare il giro completo che va da me a me stesso”(2). Migrazione come metafora dell'unico vero viaggio che ogni essere umano compie, all'interno di se stesso. Viaggio geografico, esistenziale, letterario, stilistico,
A questo proposito la ricchezza dello stile di Monteiro è emblematica: frammenti di romanzo, romanzo in racconti, raccolta di racconti, poesia narrativa, metaromanzi, poemi in prosa, racconti dialogici, antiromanzi. Segnalo ai lettori di AUT il gioiello ”madrelingua”- antiromanzo in cui  frammenti metaletterari descrivono frammenti (e rovine) ideali, linguistici e progettuali della nostra epoca assopita dal consumismo devastante, esplodono oltre i confini della forma romanzo e compongono qua e là caleidoscopi di luci , colori, possibilità, (il desiderio ossessivo di Salvo di sfuggire al berlusconismo appiattente si realizza in un viaggio in Colombia).
L'esilio di Salvo rispecchia quello di Julio Monteiro dal Brasile degli anni 90, in cui si era riaffermata la democrazia dopo la dittatura militare, ma mancavano spazi culturali e politici anche nelle sinistra-oligarchica e chiusa- e possibilità di cambiamento.
Questa appassionata denuncia della situazione italiana  da parte di un intellettuale che si è contrapposto ad una dittatura ,che ha definito il suo esilio “un suicidio amministrato”,  ci dovrebbe far riflettere.
Completa il testo una lunga intervista allo scrittore, in cui  “migrante”(3) viene definita la “situazione esistenziale necessaria dell'uomo contemporaneo. Siamo tutti migranti, quelli che cambiano migrano in avanti, mentre migrano a ritroso quelli che si illudono di essere riusciti a non migrare, a rimanere fermi mentre ogni cosa si spostava,  pietrificati quando in verità si sbriciolavano, preoccupati di aggrapparsi a origini e radici che gli sfumavano fra le dita. L'ha capito benissimo Karl Marx già nell'Ottocento, intravedendo un nuovo tempo nel quale tutto ciò che è solido si scioglie nell'aria. Ero migrante prima di emigrare, ero migrante già quando la mia anima libera era spiazzata nel paese straniero della dittatura (dove tutti sono stranieri, e tanti sono stranieri e nemici), sono migrante oggi in un tempo che non mi riconosce e forse non ha più gli strumenti per capire i miei valori, le mie priorità, i miei gusto ormai incomprensibili. ...Ogni letteratura, che non è complice, che non collabora, è migrante.
Seguono  cinque brevi racconti inediti.

 (1)Mia Lecomte, poetessa, autrice di libri per l'infanzia e per il teatro; si occupa di letterature comparate e letteratura della migrazione; collabora a varie riviste, fra cui “Le Monde diplomatique”.
(2)Un mare così ampio” in Racconti Italiani, Besa editore, Nardò, 2000, pag. 21.
(3)pag.130.

Risposta del Prc al segretario cittadino dei Socialisti Italiani

Partito della Rifondazione Comunista, circolo "Carlo Giuliani" Frosninone






























In merito alla nostra posizione, espressa nella NOTA di domenica 11 dicembre, concernente le recenti deliberazioni del consiglio comunale sulla vendita dell’immobile ex Mtc e relativa alla    messa in liquidazione della Multiservizi, ci teniamo a precisare alcune questioni. Ciò anche per rispondere al compagno Vincenzo Iacovissi, segretario  cittadino del Psi. Dal nostro punto di vista è grave che un’amministrazione comunale decida di alienare una sua proprietà, o meglio,  proprietà dei cittadini, per fare cassa: fare questo significa applicare le politiche neoliberiste contro cui noi ci battiamo da sempre, politiche che stanno spingendo gli enti pubblici a disfarsi a favore dei privati di ogni proprietà, da quelle immobiliari ai servizi, fino ad arrivare ai beni comuni. Nel caso in particolare l’operazione programmata è tanto più inaccettabile, in quanto il fine sarebbe nientepopòdimeno che quello di dare al comune una sede appropriata: compagni del Psi i, noi restiamo convinti che i cittadini in questo periodo si aspettano altro dalle istituzioni, magari un po’ di giustizia e di attenzione ai bisogni delle fasce sociali più deboli.
Non vorremmo inoltre che si ripetessero operazioni fallimentari come l’acquisto da parte del comune del palazzo di piazza VI dicembre, costato fior di milioni e utilizzabile solo in piccola parte perché non a norma.
Visto che ci si accusa di demagogia, allora chiediamo ai compagni socialisti : con la vendita del comprensorio MTC, il cui valore è stato stimato in 9milioni di euro, si vorrebbe, oltre che reperire i fondi necessari all’acquisto del palazzo della Banca d’Italia, anche ricavare i denari necessari a concludere la ristrutturazione dello stabile di P.zza VI dicembre e guadagnarci pure? Ma quanto costa il palazzo della Banca d’Italia?  Nel consiglio comunale del 16 dicembre 2010, in cui si votò la mozione nel merito presentata dal consigliere Coniglio, si ipotizzava una cifra di 10miloni di euro, e allora i conti non tornano. Inoltre, chiediamo, ma si è conclusa  da parte della banca la procedura  di  individuazione  dell’advisor che deve curare gli aspetti operativi della vendita dell’immobile?  Sono stati stimati i costi di adattamento dello stabile alle esigenze del comune?  E le spese per la messa a norma?  Senza avere contezza di questi costi ipotizzare l’acquisto del palazzo e credere di ricavare anche i fondi per altre operazioni è insensato, oltre che demagogico: sa tanto di boutade da campagna elettorale. In merito alla questione Multiservizi, la messa in liquidazione della società si poteva e si doveva evitare. Il comune di Frosinone con il suo 20%  di quote, ad esempio, poteva vigilare sulle assunzioni clientelari effettuate dall’ente,  sul numero abnorme di dirigenti assunti, 13 unità in luogo delle 5 previste per un esborso di 415mila euro  l’anno mentre ai lavoratori veniva riconosciuto uno stipendio da fame. Nonostante tutto la Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per il Lazio, nella deliberazione 4/2011 valutava che, a fronte del contenimento di alcuni i sprechi, la Multiservizi avrebbe potuto  continuare la sua attività, mentre   suggeriva la chiusura di altre società partecipate dal comune come la Società Aeroporto di Frosinone Spa  e  la S.I.F (Società Interportuale Frosinone)  Spa. Invece come è finita? Oggi la Multiservizi è in liquidazione mentre le altre due società continuano ad operare fagocitando denari pubblici. Inoltre se ci fosse stata la volontà politica di farlo, i dipendenti della Multiservizi si sarebbero potuti stabilizzare: ma purtroppo è stata proprio la volontà politica a mancare.
Infine sul piano strettamente politico, comunichiamo al segretario Iacovissi che non è lui che deve decidere dove dovrebbe collocarsi il Prc in ambito di alleanze: forse lui dimentica che alle provinciali scorse ci separavano dal centrosinistra differenze programmatiche inderogabili quali la posizione sull’aeroporto di Frosinone, il piano sui rifiuti, la posizione sull’acqua pubblica. Noi non siamo abituati a fare alleanze solo per sommare percentuali di voto: noi intraprendiamo percorsi politici con chi condivide le nostre idee, e quando ci rendiamo conto di aver sbagliato a giudicare gli alleati, siamo anche pronti a fare un passo indietro, come abbiamo fatto recentemente nel comune di Frosinone uscendo dalla maggioranza, e come faremo nelle prossime elezioni comunali nel capoluogo, nelle quali ci proporremo come un polo di sinistra alternativo a centrodestra e centrosinistra. La nostra posizione attuale è al di fuori dei due poli: sta agli altri soggetti di sinistra giudicare se seguirci o rimanere a sorreggere l’impalcatura di cartapesta di quel bipolarismo fallimentare che ha portato centrodestra e centrosinistra ad appoggiare trasversalmente il governo più reazionario e persecutorio della storia d’Italia, il governo Monti. Ma d’altronde anche in provincia abbiamo un esempio di tale anomala alleanza, visto che il segretario provinciale dei Socialisti Italiani  in un comune importante come Isola Liri è assessore in una giunta nella quale governa insieme al Pdl, salvo poi avere la pretesa di venire a dare lezioni di politica al Prc.

Le nostre città. Luoghi coltivati dall’odio

Paolo Berdini,  da "il manifesto" del 15  dicembre


Nella Torino degli anni '60 insieme ai cartelli «non si affitta ai meridionali» si era messo in moto un grande processo di integrazione basato sulla scuola pubblica e sui servizi sociali. Martedì su queste pagine, MARCO REVELLI     attribuiva giustamente questo risultato alla cultura della solidarietà operaia allora vincente. Nella Firenze di Giorgio La Pira si mise in moto un inedito clima di sostegno alla vertenza delle officine Pignone minacciate di chiusura e lo stesso sindaco fu in prima fila nella battaglia per dare una casa ai fiorentini. Prese addirittura la decisione di requisire alloggi vuoti per darli agli sfrattati. 
Le città di quegli anni avevano dunque un senso di appartenenza che, al di là della collocazione sociale di ciascuno gruppo, fornivano servizi, assistenza e integrazione. Erano insomma i luoghi della convivenza pubblica, e come tali venivano percepite da tutti.
L'uccisione a freddo dei senegalesi nei mercati rionali fiorentini e il tentativo di pogrom contro i rom torinesi avvengono in un vuoto quotidiano, fatto di indifferenza e scetticismo. Come se la concezione stessa della città luogo pubblico fosse stata spazzata via. È questo il tema di fondo che ci interroga e al quale dobbiamo dare una risposta. Dobbiamo cioè chiederci se i venti anni di liberismo urbano, accettati come un assioma di fede e messi entusiasticamente in pratica dai governi progressisti nazionali e locali, non abbiano minato alla radice la città pubblica, il bene comune per eccellenza. 
Ci accorgeremmo allora che i protagonisti di Torino e Firenze non sono «mostri»: sono i frutti avvelenati della devastazione culturale. La furia dei liberisti non ha infatti risparmiato nulla e nessuno. Le scuole dei piccoli centri sono state chiuse. Nelle grandi città vivono in perenne stato di instabilità per le carenze di manutenzione e di personale. I servizi sociali sono falcidiati dovunque «perché non ci sono i soldi». Questa formula magica non vale per il servizio sanitario nazionale che è stato invece privatizzato e affidato (a nostre spese) alle caritatevoli mani dei Don Verzè, degli Angelucci e dei Tarantini di turno. I trasporti urbani dal prossimo gennaio saranno ulteriormente tagliati fino quasi ad annullarli. 

Ciascun cittadino è dunque solo nell'affrontare la vita: la rete sociale del welfare è stata cancellata. Le città sono state ridotte a luoghi anonimi, utili all'arricchimento della proprietà fondiaria. Nel decidere nuovi progetti non si discute mai se esiste o meno la convenienza sociale; se le abitazioni costeranno di meno; se ci si metterà meno tempo per andare al lavoro. Si discute soltanto - Sesto San Giovanni è una miniera al riguardo - di quante centinaia di migliaia di metri cubi occorre incrementare i progetti per ignobili arricchimenti e vergognose prebende. 
Stanno in questo devastante deserto le radici dell'indifferenza, del rancore diffuso. E stanno sempre qui i rischi dell'accendersi di una ulteriore spirale di violenza razzista. Gli ingredienti ci sono tutti. Con la crisi economica sempre più grave aumenteranno le disuguaglianze e le fasce di emarginazione. Senegalesi e rom saranno, ancora di più, facili bersagli per tutti coloro che vogliono far dimenticare che le origini della crisi stanno in un sistema economico ed urbano perverso che non si ha il coraggio di fermare.
Il pericolo si aggrava ulteriormente se si analizzano i provvedimenti che i professori al governo stanno prendendo in questi giorni. Purtroppo destinati a cercare vie di fuga violente dall'impoverimento di larghi strati della popolazione.

mercoledì 14 dicembre 2011

Lacrime di coccodrillo

Luciano Granieri


Prima di scrivere queste note sulla strage di Firenze ho voluto lasciar passare qualche ora per far sbollire la rabbia. Ma  il susseguirsi dei servizi sull’eccidio, compiuto dal fascista Gianluca Casseri  al mercatino rionale di p.zza Dalmazia a Firenze non ha fatto altro che aumentarla  la rabbia, ed  aggiungere ad essa  indignazione e costernazione. E’ scioccante ed inconcepibile assistere alle gesta di un tizio imbevuto di razzismo e fascismo fino alle midolla  che arma la sua Smith&Wesson 357 magnum e fa fuoco prima su Samb Modu, Diop Mor, e Moustapha Dieng, uccidendo i primi due e ferendo gravemente il terzo, quindi  trasferitosi nel mercatino più centrale di San Lorenzo ferisce  gravemente Sogu Mor e Mbenghe Cheike, tutti gravati dall’unica colpa di essere senegalesi. Poi il delirio autodistruttivo si compie.  Il camerata si caccia  la pistola  in gola  mettendo fina alla sua follia  ed entrando in pompa magna nell’olimpo dei martiri per tutti quei deficienti che ancora adesso,  mentre sto scrivendo, da siti e social network  impreziositi da svastiche e croci celtiche, lo esaltano come un eroe. La rabbia monta perché il camerata non era un folle sprovveduto colpito da raptus omicida razzista. Gianluca Casseri, frequentatore della sede di Casa Pound di Pistoia, era uno che scriveva libri. Emblematici due titoli “ Dracula il guerriero di Wotan”  e “I protocolli del Savio di Alessandria”. Libri  con cui difende  i protocolli di Sion   e il mito della razza ariana. Nonostante ora i fascisti del terzo millennio tentino di derubricarlo a semplice simpatizzante, spesso i sui scritti hanno trovato posto nel sito dell’organizzazione. Non se ne poteva più, ier,i di assistere alle giaculatorie del truculento capobastone Iannone che continuava a pellegrinare  da una trasmissione all’altra, per dipingere la sua masnada di rifiuti  del terzo millennio come un gregge di agnellini impegnati nel sociale  a difendere i poveri e i derelitti, BASTA CHE SIANO DI RAZZA ARIANA OVVIAMENTE,   e per ribadire che con il mentecatto Casseri non avevano nulla a che spartire. Fa ancora più rabbia quando blog come il nostro solo perché denunciano  la subdola strategia   di queste canaglie vengono tacciati di essere antidemocratici, solo perché invocano  il rispetto della  legge Scelba sul divieto delle manifestazioni di stampo fascista sono sbeffeggiati e bollati come vecchie ciabatte comuniste fuori dalla storia moderna. Indigna assistere anche al comportamento di alcune amministrazioni comunali fra cui quella di Frosinone, che prima approvano delibere  in cui si impegnano a vietare manifestazioni di stampo fasciste nelle proprie strade,  poi, non appena il blocco studentesco chiede di scendere in piazza, concedono il permesso facendo carta straccia  della delibera approvata. Il lassismo, la giustificazione ad oltranza hanno permesso a questa feccia di entrare nei quartieri sotto le  mentite spoglie di benefattori sociali e operatori culturali,  per poi rovesciare indisturbati  il loro violento veleno antirazzista contro chi non è conforme alla loro idea di razza, di genere e di religione. Continuiamo a lasciar passare questi  insani disvalori che inoculano odio tra i giovani! Vi ricordate  l’estate scorsa quando  quei   quattro pischelli esaltati, sortiti dalla  topaia che doveva essere la loro sede,  si misero a marciare  catene in pugno lungo le vie del centro storico. Se la fobia razzista riesce ad oscurare il cervello di un cinquantenne,  figuriamoci cosa può su dei  ragazzini i quali non avranno difficoltà ad emulare certe gesta considerate eroiche. Stupisce inoltre che anche dalla parte nostra non si riesca a capire come questi gesti alimentino la guerra fra poveri. E’chiaro che la galassia dell’estrema destra viene usata per indirizzare la rabbia  del proletariato nativo, ormai privo di ogni coscienza di classe e di spirito di solidarietà, contro chi è più povero come l’extra comunitario, rovesciando addosso agli stranieri la colpa della propria precarietà sociale anziché unirsi ai migranti nella lotta contro l’asfissiante potere del finanzcapitalismo. Se non si combatte con decisione questo fenomeno che origina dal  degrado cultuale  saremo destinati ad assistere ad altre aggressioni e barbarie. Ma in fin dei conti a chi può interessare se resta  sul selciato qualche extra comunitario, in fondo poteva rimanersene a casa sua, questa è l’affermazione più diffusa e scontata. Non prendiamoci in giro in fondo in fondo siamo un po’ tutti  razzisti. 


Sull'articolo di Lutrario

Giovanni Morsillo

Cari compagni,

Ho letto con attenzione e condivisione il CONTRIBUTO SALUTARE di Severo Lutrario che avete opportunamente pubblicato. I dati che presenta sono noti e incontrovertibili, ma la linearità dell'analisi che Severo svolge, sia pure con i limiti del mezzo mediatico, li rendono comprensibili a chiunque e li trasformano in agile strumento di discussione e, in fondo, di lotta.
Personalmente, anche tralasciando la stima personale e intellettuale che porto da sempre all'autore, sono d'accordo su tutto, anche perché, ripeto, si tratta di dati e citazioni assolutamente incontrovertibili, ed anche le connessioni storiche sono corrette.
Due sole cose, però: una forse più "propagandistica", la seconda sostanziale, vorrei commentare con Severo e con voi:
a) La corposa introduzione all'argomento dell'articolo sostiene ripetutamente che "non si dice.." riferito ad aspetti fondamentali del carattere del debito, della crisi, delle presunte terapie. Verità taciute per modificare la percezione della situazione da parte delle masse per poter operare con il loro consenso. Queste preoccupazioni di Severo, lo dico con rispetto, non mi sembrano del tutto fondate, o almeno vanno chiarite. Poiché è verissimo che il circo mediatico non fa altro che proclamare la verità ufficiale che come sempre è diversa da quella storica (una volta c'era la verità di Stato, oggi che il re è mezzo nudo il Verbo arriva direttamente dalle centrali finanziarie); ma è altrettanto vero che si è in molti a dire in mille modi le cose come stanno. Mi preoccupa, a questo proposito, non tanto la mancanza del dissenso, che esiste anche a livello sociale, quanto la sua gestione ormai consolidata come questione di ordine pubblico. Non solo i cortei, ma anche espressioni prepolitiche più "miti" di un malessere generale, perfino certi rottami inutili dell'800 come le rifritte tesi riformistiche, che ovviamente non hanno alcun senso in un processo di scomposizione dell'assetto capitalistico essendone emanazioni interne, vengono sbrigativamente messe in mano ai prefetti. Pertanto, chi ha chiaro il problema c'è, ma vuoi per la fine del patto sociale a seguito dei mutati rapporti di forza (mutazione a sua volta seguita alla trasformazione capitalistica degli ultimi venti anni), vuoi per il progressivo degrado di ceti dirigenti sempre più "esterni" al conflitto di classe, non è in grado di aggregare e viene facilmente neutralizzato.
Sarebbe invece interessante approfondire il tema del consenso, perché sicuramente le strutture nate dalla ristrutturazione del potere borghese (in Italia la Seconda e Terza Repubblica, ma possiamo guardare più in generale al mondo "occidentale") non hanno bisogno del consenso delle masse, almeno non nelle forme borghesi classiche della rappresentanza anche imperfetta del '900. Le riforme elettorali non sono cosa disgiunta dal processo riorganizzativo del capitale (produzione, gestione, distribuzione) attraverso i nuovi strumenti tecnici e tecnologici e l'espansione sterminata delle sue aree operative. Con esse, si possono realizzare sistemi di consenso selettivo, limitato ai soggetti alleati del sistema, che consentono poi di procedere allo smantellamento del sistema più pregnante dei rapporti capitale-lavoro (contratti, anche qui rappresentanza, governo dell'impresa e dell'economia).
b) Lutrario conclude l'articolo sostenendo che chiedere il pagamento dell'ICI alla chiesa cattolica rappresenta una convalida della parola d'ordine dell'"equità" perché si limiterebbe a chiedere che si facciano i sacrifici tutti invece di mettere in discussione i sacrifici stessi. Nulla di più vero, ma intanto per la chiesa non si parla di prima casa bensì di patrimoni immobiliari enormi che rendono davvero e non sotanto sulle carte degli estimi (peraltro rivalutati del 60% per le nostre case di abitazione). Quindi si tratterebbe semmai di correggere una stortura che non ha a che fare con la pessima operazione di Monti ma è dovuta alla genuflessione di tutti i governi confessionali precedenti. Che questo porterebbe un sacco di soldi nelle casse dello Stato può essere addirittura secondario, anche in una situazione drammatica come l'attuale. Se poi insieme ad essa si mettesse mano ai privilegi davvero coloniali che l'Italia riserva al Vaticano in nome di ben due concordati, uno fascista e l'altro anche peggio, il gruzzolo diventerebbe assai più consistente e consentirebbe magari di investire qualche centesimo in più in stato sociale e ricerca. Altrimenti, pur con tutte le ragioni che abbiamo io, Severo Lutrario ed altre migliaia di lavoratori come noi, dovremmo rinunciare anche alla battaglia per la riduzione sostanziale delle spese militari, altro crimine di cui "non si dice" e ad altre mille simili.

Un saluto fraterno a tutti voi, un abbraccio a Severo.
Giovanni

lunedì 12 dicembre 2011

Consigli ai compagni del PD

Alessandro Robecchi  da "il manifesto" del 11/12


Consigli ai compagni del Pd per fare bella figura in società. Ricordare che il governo Monti non è un governo di sinistra. Giusto. Quindi sostenere la decisione di votarlo per responsabilità e senso dello Stato. Deplorare gli estremisti che si lamentano, ricordando quello che c’era prima. Contemporaneamente, recarsi alla manifestazione della Cgil che contesta le misure del governo Monti. Informarsi con garbo se sia meglio votare la manovra con la mano destra e tenere il cartello Giù-le-mani-dalle-pensioni con la sinistra. Per i mancini, invertire. Ricordare con veemenza che è grazie alle pressioni del Pd che si salvano le pensioni più basse dall’inflazione. Deplorare con un rapido inciso che grazie all’inflazione aumentata (benzina, Iva, ecc.) le pensioni decenti saranno presto indecenti anche loro. Sostenere gli sforzi del governo Monti che ci dà più credibilità in Europa. Incrociare le dita nella speranza che prima di finire la frase precedente l’Europa ci sia ancora. Sollevare con veemenza la questione dell’Ici della Chiesa cattolica. Minimizzare con eleganza e tatto la questione dell’Ici della Chiesa cattolica. Dispiacersi dell’assenza, nella manovra, della patrimoniale. Aggiungere pudicamente: “però per le grosse fortune”. Dolersi per i sacrifici del ceto medio. Consolarsi ricordando che però la prima alla Scala si è svolta in un clima di elegante sobrietà. Se qualcuno nomina il ministro Fornero, ribattere ricordando il ministro Gelmini e far notare l’indiscutibile evoluzione della specie. Approvare l’Ici sulla prima casa. Disapprovare l’Ici sulla prima casa. Ricordare la sacrosanta tassa su yacht ed elicotteri, vanto del comunismo nel mondo. Deplorare l’insufficiente azione sui capitali scudati, che poteva essere più alta. Rivendicare la tassazione sui capitali scudati che sarà bassa, ma è meglio di niente. Dolersi del fatto che i capitali scudati non si trovano più ed è difficile tassarli. Indignarsi per quest’ultima triste realtà e sbottare: “Ci vorrebbe un governo veramente liberale”! Oh, cazzo, questa vi è scappata. Ricominciare da capo.

Paola Bragantini, ultras della Tav al raid contro i Rom

http://www.notav.info


C’era pure Paola Bragantini, segretaria del Partito democratico ed alfiere della costruzione dell’alta velocità, l’altro giorno al corteo di zona Vallette che poi si è diretto al campo Rom per darlo alle fiamme. Aveva risposto con la sua presenza all’appello di mobilitazione nato in poche ore, sulla spinta di un sentimento di rabbia alimentato dai giornali nostrani su una vicenda creata dalle falsità di una confusa sedicenne . Sulla sua bacheca di facebook era stato postato nelle ore precedenti il volantino che convocava la manifestazione, il quale conteneva il racconto presunto dei fatti e poi un “ORA BASTA, ripuliamo la CONTINASSA!!!”
Che la Bragantini non abbia partecipato alle azioni di devastazione ovviamente non lo mettiamo in dubbio, ma è interessante commentare le dichiarazioni che ha lasciato poche ora fa all’adnkronos, dichiarazioni con le quali cerca di giustificare la sua presenza ad una manifestazione esplicitamente razzista e strumentale: “E’ mio dovere essere presente, accanto alle Forze dell’Ordine, alla Giunta, ai Consiglieri, quando in quartiere succede qualcosa del genere”. “Eravamo li’ – spiega – con Carabinieri, Polizia, Vigili, e con loro abbiamo seguito il corteo dall’inizio alla fine”. Tutti “Sgomenti per la piega che prendeva – prosegue – increduli per il montare della rabbia”. Pero’ sottolinea Bragantini “a questa gente, senza piu’ valori, chi parla? Alle famiglie esasperate, chi lancia un richiamo ai valori? Chi e’ venuto, a provare a tirar via le persone, a dire in faccia a piu’ d’uno “vergognati per quello che stai dicendo”, come abbiamo fatto noi, a nostro rischio?”. Secondo l’esponente del Pd “nella bufera dovrebbe essere chi nelle nostre periferie non ci viene o non ci e’ mai venuto – conclude – chi non sa, e crede di sapere tutto”.
A questo punto ci viene spontaneo chiederci se forse la sua presenza a quella manifestazione non fosse dovuta al fatto che, sull’onda del grande clamore della falsa notizia ( pompata a più non posso dai giornali cittadini),   le interessasse farsi un po’ di pubblicità, raccogliere quell’”esasperazione” di cui parla nella sue dichiarazioni, mostrarsi dalla parte dei cittadini a prescindere dai contenuti della convocazione che era stata fatta. Ora ovviamente dichiara che era li per dovere, ma non sarebbe forse “dovere” per chi come lei rappresenta i cittadini, sempre e solo sulla carta,  dare tutti i giorni  risposte laddove il disagio e la difficoltà di vita sono problemi costanti e reali? O forse è più comodo scendere in piazza il giorno in cui si sa che ci saranno tanti giornalisti e va di sfiga se proprio quella volta il corteo si conclude con un campo Rom  incendiato? C’era comunque chi l’aveva detto, mettendo addirittura i volantini nelle buche ed è successo.
E’ proprio la Bragantini, zerbino di Esposito, che parla di coerenza quando lei stessa attacca gli amministratori valsusini contrari alla Tav ma tesserati PD che, insieme ai soliti noti del suo partito, vorrebbe epurare, o quando chiede al prefetto di vietare la manifestazioni No Tav o quando minaccia quelli di Sel o chiunque osi solo a mettere in dubbio la legittimità e utilità del treno ad alta velocità supermiliardario. Forse la Bragantini  pone a se stessa  le domande sbagliate, ma troviamo sconcertante che nonostante l’assurdità dei tempi che stiamo vivendo, una come lei creda di aver trovato le risposte a tutto: alla rabbia sociale che il quartiere Vallette esprime, a questa crisi e alle strategie da portare avanti per risolvere i problemi del paese, tra queste ovviamente lei sostiene quella dell’alta velocità. Consigliamo al segratario del PD, nonché presidente della circoscrizione 5, di parlare un po’ di meno, starsene un po’ di più a casa e quindi riflettere a lungo. Alla fine dei conti  il suo contributo non è necessario, anzi pare proprio dannoso.

Immigrati: uno sfruttamento doppio

intervista di Patrizia Cammarata

IL SOGGIORNO A PUNTI
E ALTRE MOSTRUOSITA'
Intervista a Moustapha Wagne


Incontriamo a Moustapha Wagne, segretario generale del Coordinamento Migranti di Verona (federato Cub)  e dirigente del Pdac. Moustapha, cos'è il permesso di soggiorno a punti per immigrati?
Questo provvedimento è dentro al pacchetto sicurezza Maroni. Ogni immigrato parte con una base di 22 punti. Ogni volta che un immigrato commette un reato tolgono dei punti ma non è chiaro per quali reati. Inoltre i punti possono essere tolti non solo per reati ma anche se un immigrato risulta non essere "integrato" nella società italiana. Esauriti questi punti perde il permesso di soggiorno, è la Questura che decide.
Cosa significa che possono togliere punti se l’immigrato non è "integrato"?
E’ tutto da definire, ci sono diversi punti non chiari, anche i tipi di reato non sono chiari.
Il permesso di soggiorno a punti è previsto dal pacchetto di sicurezza che non è ancora in vigore. La normativa è stata votata ma il permesso di soggiorno a punti entrerà in vigore con una circolare ministeriale, come è necessario per tutti gli altri provvedimenti previsti dal pacchetto. Lo stesso discorso vale per le altre regole contenute nel pacchetto, ad esempio il test d’italiano o i 200 euro da versare per la richiesta di cittadinanza. Il pacchetto prevede un ulteriore peggioramento anche per i tempi riguardanti la richiesta di cittadinanza: il coniuge immigrato di un cittadino italiano può chiedere la cittadinanza dopo due anni se non ci sono figli e dopo un anno alla presenza di figli, mentre prima il periodo previsto era di sei mesi.
Pensi che il pacchetto sicurezza sarà rivisto con il governo Monti? Cosa cambierà per gli immigrati?
Il Ministro dell’Interno del governo Monti, Anna Maria Cancellieri, non ha parlato in merito, almeno fino ad oggi, mentre rispondo a quest’intervista. Ha solo fatto dichiarazioni generali affermando che la presenza degli immigrati è "importante per il territorio", per la crescita del Pil (Prodotto interno lordo) e che sta verificando la possibilità, con un monitoraggio, di altri flussi. Ha affermato che l’Italia ha bisogno degli immigrati per aumentare il Pil.
E questo perché i lavoratori nativi finora non accettano facilmente le condizioni di lavoro che invece sono accettate dai lavoratori immigrati, non accettano tutte le forme di contratto. L’immigrato è più ricattabile avendo il permesso di soggiorno legato al contratto di lavoro.
Credo ci sarà una revisione delle norme sull’immigrazione perché questo governo ha costituito il Ministero per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione, con nomina a Ministro ad Andrea Riccardi. Ci sarà probabilmente una revisione perché la legge Bossi-Fini è stata una legge puramente ideologica di stampo razzista ma non è stata praticabile fino in fondo e non ha corrisposto fino in fondo agli interessi padronali. La legge ha messo in difficoltà pure padroni e burocrazia per i problemi legati alla sua applicazione. E’ una legge che ha provocato tensioni sociali, ha aumentato l’irregolarità, molti immigrati che avevano il permesso di soggiorno lo hanno perso.
Quando i padroni parlano di crescita e sviluppo hanno anche bisogno di parlare di semplificazione e quindi mi aspetto che ci saranno delle riforme in tal senso.  In tal senso vanno anche lette le parole di Giorgio Napolitano, che ha detto che c’è bisogno di abbattere in Italia il debito pubblico e che senza immigrati non ce la fanno. Se pensiamo che la legge sui Cpt (Centri di Permanenza Temporanea) porta anche il suo nome, Turco-Napolitano, si capisce subito che il suo è un semplice calcolo di opportunità. La natalità è crollata fra gli italiani (più morti e meno nascite) mentre fra gli immigrati è il contrario, non si vedono vecchi immigrati all’ufficio postale che ritirano la propria pensione. Il messaggio di Napolitano è che dovrà essere soprattutto il proletariato immigrato a contribuire a salvare il capitalismo italiano.

Prima dicevi che gli immigrati subiscono condizioni di lavoro non accettate dai lavoratori italiani. E’ pur vero che la crisi economica internazionale del capitalismo e lo straordinario attacco del governo Monti a tutti i lavoratori e alle masse popolari sta aumentando ulteriormente la povertà e la disperazione di milioni di italiani.
Certo, i licenziamenti, l’impossibilità di pagare le bollette, di curarsi, di pagare la scuola per i propri figli, gli sfratti, il rischio di incorrere in reati e sanzioni sta diventando la quotidianità di sempre un maggior numero di persone, anche italiane. Qualche tempo fa la forbice che calcolava la differenza di condizione di vita fra immigrati e italiani indicava una differenza del 40%; ora si sta riducendo progressivamente e la stima che io faccio è che siamo arrivati al 20%. La condizione materiale del proletariato nativo sta avvicinandosi progressivamente alla condizione del proletariato immigrato: una vita fatta di sfruttamento, incertezza, povertà e, spesso, di disperazione.
Prevedo che ci sarà una grande esplosione sociale, anche in Italia. Padronato e governo ne sono consapevoli, loro lo sanno, sono consapevoli del loro fallimento e per questo piangono.
Nel momento di quest’esplosione bisogna essere preparati. Per questo è importante ed urgente la costruzione del sindacato di classe, che possa contribuire alla crescita e all’organizzazione di lotte reali, e del partito rivoluzionario che possa organizzare una risposta e una prospettiva in senso socialista e internazionale, nel momento in cui quest’esplosione sociale avverrà.

La Selva: corridoio ecologico, ottimo il progetto

Francesco Bearzi  Coordinatore provinciale Frosinone ReTuVaSa

La Conferenza di presentazione Monumento naturale La Selva – Mola dei Piscoli. Sviluppi possibili per l’Alta Valle del Sacco, tenutasi oggi (ieri ndr) presso Palazzo Colonna a Paliano, costituisce un passaggio memorabile per la necessaria sinergia tra istituzioni, categorie produttive e associazionismo nella promozione dello sviluppo sostenibile dell’Alta Valle del Sacco. Riscontriamo una felice comunità di intenti, tra la Regione Lazio (in particolare ARP), le sei Amministrazioni comunali e le associazioni di categoria dell’agricoltura intervenute, su quanto da anni proposto nella nostra Piattaforma programmatica, ovvero un rilancio dell’economia del territorio che punti sulle sue ricchezze in termini di turismo, agricoltura, enogastronomia, tutela e valorizzazione dell’ambiente. La Strada del Cesanese del Piglio, il marchio di qualità dei prodotti enogastronomici dell’Alta Valle, La Selva come luogo di promozione turistica e di educazione ambientale, il Paese Albergo a Paliano, il paesaggio di Olevano Romano, tutto ciò, come polifonicamente ricordato dai relatori, andando oltre il tornaconto politico delle amministrazioni e il loro colore, formando una rete tra Regione, province di Roma e di Frosinone, comunità locali, agricoltura e ambientalismo.
Importante anche l’istanza avanzata dall’ARP di collegare La Selva con le altre zone protette presenti nell’Alta Valle, nonché, come notato da alcuni sindaci, l’esportazione di questo modello nella Media Valle, ad esempio bloccando lo scempio della discarica di Colle Fagiolara.
La proposta di corridoio ecologico ora adottata dal Comune di Paliano e all’attenzione dell’ARP, potrebbe costituire un eccellente strumento per promuovere la necessaria continuità tra le due aree oggetto di Monumento naturale, La Selva e Mola dei Piscoli, tutelando nel contempo una zona umida di rilevante pregio tra Fosso Sanguinara e Fiume Sacco, e una risposta più che soddisfacente all’istanza presentata in tal senso dalla Rete per la Tutela della Valle del Sacco, da altre associazioni e forze politiche in sede di Commissione Ambiente regionale.
Tale proposta rende peraltro ulteriormente inopportune le edificazioni previste dalla Variante parziale al Piano regolatore comunale. Ci sembra che la stessa Amministrazione comunale se ne stia rendendo conto.
All’Amministrazione vanno rivolti sentiti apprezzamenti per la determinazione e la tenacia con cui sta promuovendo un tassello importantissimo per lo sviluppo sostenibile dell’Alta Valle del Sacco, cui guardiamo con atteggiamento collaborativo e propositivo, riservandoci naturalmente di valutare l’opportunità delle precise scelte in termini di programmazione territoriale, nonché di redazione del Master Plan da parte di una Regione Lazio che tanto sta investendo nel Monumento naturale.

C'è chi dice no

Comitato "No Debito"

Il governo “tecnico” con la sua manovra del 4 dicembre sferra una feroce aggressione contro i ceti popolari, le lavoratrici e i lavoratori.
Viene distrutto il sistema pensionistico, si obbligano i lavoratori e le lavoratrici anziane a restare al lavoro 1-2-3, fino a 6 anni in più, per arrivare più tardi a pensioni più basse. I pensionati vengono lasciati indifesi nei confronti di un’inflazione che tende a crescere (è già al 3,5%). I giovani (che vengono spudoratamente presentati come i beneficiari della manovra) troveranno sempre più i posti di lavoro occupati da anziani a cui è vietato andare in pensione.
Vengono ulteriormente tagliati i finanziamenti alle regioni e agli enti locali (- 5 miliardi) mettendo a rischio tutti i servizi pubblici (dalla sanità ai trasporti).
E presto arriverà la riforma del mercato del lavoro, con la promessa cancellazione dell’articolo 18…
Nel frattempo i ricchi non vengono toccati, anzi, una parte delle risorse tagliate ai ceti popolari andrà a coprire gli sgravi fiscali per le aziende, consentendo ai padroni più lauti profitti.
Il ceto politico si autotutela, conservando tutti i suoi grassi privilegi.
Sottraendo diecine e diecine di miliardi al reddito dei cittadini, inoltre, la somma delle manovre di Tremonti e di Monti aggraverà la recessione già in atto facendo perdere altre centinaia di migliaia di posti di lavoro.

Diamo appuntamento a tutte e a tutti a Roma Sabato 17 dicembre alle ore 10.00 per costruire l’opposizione sociale e politica al governo delle banche

domenica 11 dicembre 2011

DEBITO, CRISI E SACRIFICI: PERCHE’ NON DOBBIAMO PAGARE

Severo Lutrario 


Viene detto – ed è vero – che l’Italia è sotto l’attacco della speculazione finanziaria a causa della sua fragilità strutturale determinata, da una parte, dall’eccessivo debito pubblico rispetto al prodotto interno lordo, ovvero alla ricchezza prodotta, e, dall’altra, dalla crescita economica troppo scarsa, ovvero dalla mancata crescita proprio del p.i.l.-
Non viene detto che la crisi del 2011, questa crisi dei cosiddetti titoli sovrani, ovvero delle obbligazioni emesse dai singoli Stati a copertura dei propri debiti, è diretta ed immediata conseguenza della crisi finanziaria del 2008, quella determinata dall’enorme debito privato statunitense, con il crollo dei mutui immobiliari e dell’altrettanto enorme quantità di titoli “tossici” collegati, che hanno destabilizzato il sistema bancario.
Non viene detto che le banche, in specie quelle statunitensi e quelle inglesi, ma non solo, sono state salvate dal fallimento con i soldi “pubblici”, determinando un incremento proprio di quel debito pubblico che oggi viene additato come fonte di ogni male.
Non viene detto che quegli stessi mercati – assurti nelle cronache di TV e giornali a nuove divinità da ingraziarsi e rabbonire con offerte e sacrifici, sono all’origine della crisi stessa. Che la totale assenza di regole e controlli consente alla speculazione finanziaria di devastare interi paesi al solo scopo di generare profitti. Che ancora oggi trovano resistenze le proposte di regolamentazione dei mercati, di introduzione di tassazioni sulle transazioni finanziarie, ovvero degli unici strumenti che nel concreto potrebbero arginare il potere distruttivo della speculazione.
Non viene detto che la crescita economica troppo scarsa dell’Italia si registra dopo almeno quaranta anni di politiche volte a rendere appetibile il paese agli investitori con una leva fiscale reale fondata, contro l’inesorabile spoliazione dei salariati, da una parte, su una evasione fiscale di fatto assunta a sistema e, dall’altra (attraverso il sistema degli incentivi, delle detassazioni e delle agevolazioni)  su una “benevola” imposizione fiscale sui profitti e sulle rendite nei fatti insostenibile, oltre che iniqua nei confronti della pressione fiscale sui salari.
Non viene detto cioè che quaranta anni di queste politiche, oltre ad aver smantellato il sistema dei diritti e delle tutele, oltre ad aver  drasticamente ridotto l’effettivo potere di acquisto dei salari di chi è a reddito fisso, hanno prodotto una voragine nei conti pubblici a causa delle minori entrate volute e causate, senza ottenere alcun risultato sul piano degli investimenti (ovvero sono almeno dieci anni che il paese è sull’orlo della recessione). Anzi, ottenendo come unico risultato che i maggiori profitti così determinati, senza generare alcun investimento produttivo, rendessero sempre più ricca la frazione ricca della popolazione, sia dal punto di vista patrimoniale che da quello di attori sul mercato finanziario.
Viene detto che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità. Che dobbiamo rassegnarci a rivedere le nostre aspettative.
Nulla è più falso di questa affermazione.
I dati economici sono inequivocabili. Almeno fin dagli inizi degli anni ’70 del secolo scorso (da quando cioè ha iniziato a generarsi il nostro debito pubblico) l’Italia ha sempre speso, in proporzione al proprio prodotto interno lordo, meno della media degli altri stati europei. La spese dell’Italia per i servizi pubblici, per la sanità, i servizi sociali, i trasporti, la scuola, per le pensioni – ma non solo – anche la spesa per l’apparato burocratico, per gli enti locali e così via, è stata sempre in proporzione inferiore  a quella della Germania o della Francia. L’Italia, per garantire i diritti e le aspettative dei cittadini ha sempre speso sia in termini assoluti che in termini relativi meno del resto d’Europa.
Non è il nostro stile di vita, non è il nostro stato sociale, non è il nostro sistema di diritti e garanzie che ha prodotto il debito pubblico. Il debito pubblico è stato prodotto al contrario proprio dall’altro versante, quello delle entrate. E’ stato prodotto dall’evasione fiscale, più che tollerata assunta a sistema economico, e dalle fallimentari politiche di incentivazione degli investimenti.
In pratica se la spesa pubblica ha sistematicamente inciso sul prodotto intero lordo dell’Italia meno di quanto abbiano inciso le spese degli altri paesi, le entrate dell’Italia sono risultate sistematicamente più basse rispetto al prodotto interno lordo di una quota percentuale decisamente maggiore.
E’ da questo che, accumulando annualmente il disavanzo primario tra entrate ed uscite, si è prodotto il debito.
Non solo, col tempo, al disavanzo primario, ovvero alla differenza tra entrate ed uscite nel determinato anno, si sono aggiunti gli interessi sul debito accumulato.
Ed anche questa è una voce che ha delle vittime e dei carnefici.
Fin dagli anni ’60 le politiche economiche e monetarie dei governi italiani si sono caratterizzate per il sostegno alle esportazioni di una produzione che, tranne che per alcuni settori industriali (macchine operatrici e cosiddetto “made in Italy”), non si è mai caratterizzata sul piano dell’innovazione. La natura familiare ed assistita del capitalismo italiano e la sua eccessiva parcellizzazione (tutto quello che era il miracolo del nord/est ne è un esempio calzante) hanno da sempre imposto che la competizione sui mercati internazionali non fosse di norma fondata sull’innovazione del prodotto o su un suo specifico valore aggiunto, ma sul piano dei costi.
La competizione italiana si è fondata sulla svalutazione competitiva della moneta.
Dagli inizi degli anni ’60 all’introduzione dell’Euro la lira è stata svalutata rispetto al dollaro, la moneta internazionale, del 360% circa. Cioè è avvenuto che sistematicamente la lira venisse svalutata ottenendo che le merci italiane, a livello internazionale pagate in dollari, costassero meno e quindi fossero più competitive.
Questo servizio reso al capitalismo straccione nazionale comportava, come conseguenza diretta ed immediata, un aumento del costo delle materie prime e delle importazioni con il conseguente aumento dei prezzi e quindi dell’inflazione che tra la metà degli ’70 e per tutti gli anni ’80 galopperà anche a due cifre, raggiungendo punte superiori al 20% annuo.
 Simili livelli di inflazione comportavano altrettanto alti livelli del costo del denaro e, quindi, dei tassi di interesse applicati ai debiti e, ovviamente al debito pubblico.
E’ questa l’origine del debito pubblico dell’Italia e ad esso i salariati non hanno contribuito in nulla.
Anzi, quantomeno dal ’92, ovvero da quando, eliminata la scala mobile che consentiva a posteriori il recupero automatico del valore reale dei salario eroso dall’inflazione, si è passati al modello contrattuale concertativo che non ha mai assicurato agli stessi lavoratori quel recupero, i lavoratori quel debito generato da altri lo stanno già pagando sia in termini di diritti e sia in termini di valore reale del salario.
Ma lo stanno pagando anche in termini di contrazione dello stato sociale e dei servizi. E’ infatti dalla metà degli anni ’90 che il disavanzo primario dello Stato è positivo (ovvero le entrate superano le uscite) e sono gli interessi sul debito pregresso che generano nuovo debito pubblico. Ma questa positività del disavanzo primario è determinata non già da un aumento delle entrate, bensì da una riduzione delle spese, ovvero da una riduzione dei servizi, dello stato sociale.

Viene detto che il debito c’è e che deve essere pagato, e per ottenere il consenso sociale alla liquidazione definitiva dello stato sociale e dei diritti dei lavoratori hanno scoperto la parola magica: “equità”.
Dicono che questa volta i sacrifici li debbano fare tutti - a cominciare dall’odiata casta della “politica” – e in cambio del vitalizio immolato sull’altare dei sacrifici, vogliono mettere in esercizio un vero e proprio mattatoio sociale, con la mandria della popolazione che si avvia di buon grado al macello.
Ma non è affatto vero che il debito debba essere pagato.
Sono una piccola parte del debito pubblico italiano (tra il 14 e il 16%) è a favore dei “cittadini” italiani, ovvero delle persone fisiche e delle persone giuridiche che hanno acquistato bot, cct, bpt, ecc.. E di queste, solo una minima parte non rientra in quel 10% di popolazione che in questi quarant’anni ha generato il debito pubblico aumentando a dismisura i propri profitti.
Il resto del debito pubblico italiano è nelle mani delle banche e degli operatori finanziari internazionali. Cioè proprio di coloro che la crisi l’anno generata, che sono stati salvati dalla crisi del 2008 grazie ai soldi pubblici, provocando così l’aumento generalizzato del debito pubblico, e che in questo momento conducono indisturbati l’attacco speculativo che colpisce i debiti sovrani della zona dell’Euro.
Non c’è alcuna ragione di ordine etico o morale che imponga il fatto che il debito debba essere onorato.
L’attacco speculativo al debito sovrano di Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, Belgio potrebbe e dovrebbe essere bloccato, come del resto proposto dagli stessi Obama e Sarcozy, con l’introduzione della Tobin Tax, ovvero con una tassa che penalizzi gli speculatori che effettuano migliaia di transazioni finanziarie in un solo giorno.
Questo attacco speculativo potrebbe essere vanificato se la Banca Centrale Europea potesse emettere valuta, come qualunque altra banca centrale al mondo potrebbe e farebbe (come è avvenuto sia negli USA che in Gran Bretagna e Giappone). Cioè se la Banca Centrale Europea intervenisse mettendo sul mercato il quantitativo di denaro necessario.
Queste strategie non vengono attuate per una precisa volontà politica, in particolare della Germania della Merkel, che, dopo aver concepito e gestito l’area dell’Euro come il giardino di casa da cui ottenere tutti i vantaggi e in cui scaricare tutti gli svantaggi, non è disposta a derogare dalla propria posizione di predominio.
La Germania e l’area “nord” dell’Euro (tutti sono il “sud” di qualcuno) non possono vantare alcuna supremazia morale: l’Euro, la sua forza nei confronti del dollaro, la pretesa che la moneta europea fosse una valuta globale e non regionale, sono tutti elementi serviti alla Germania e all’area “nord” dell’Euro che, assicurata la stragrande maggioranza delle proprie esportazioni all’interno della stessa area Euro, ha potuto esercitare un ruolo primario sui mercati mondiali. L’area “sud” dell’Euro, queste stesse scelte le ha subite in primo luogo sotto forma di ostacolo alla crescita economica, quantomeno a causa della mancanza di competitività dei propri prodotti determinata dalla forza dell’Euro sul mercato dei cambi.
Il debito non deve essere pagato.
Che il debito non debba essere pagato ce lo dimostra drammaticamente la Grecia.
Nel 2010 il debito pubblico greco era nell’ordine del 128% del prodotto interno lordo del paese.
Al di là di come si è generato il debito pubblico greco e della realtà economica della Grecia, profondamente diversi dal caso Italia, la stessa Banca Centrale Europea, la Commissione Europea, il Fondo Monetario Internazionale, hanno imposto alla Grecia il pagamento del debito attraverso una serie di manovre economiche draconiane, affatto dissimili da quelle richieste e pretese dall’Italia.
Queste manovre economiche hanno sortito l’effetto  di ridurre letteralmente in miseria strati sempre più vasti della popolazione, con un crollo generalizzato dei consumi che ha portato alla crisi e alla chiusura di un numero enorme di aziende.
Ovvero le misure imposte alla Grecia per ridurre il suo debito pubblico hanno portato ad un crollo dello stesso prodotto interno lordo della Grecia, facendo sì che ora il rapporto tra debito pubblico e p.i.l. sia arrivato nell’ordine del 158%!
Considerato che la Grecia, sempre sulla base delle misure imposte, ha svenduto tutto il proprio patrimonio pubblico, grazie alla pretesa di pagare il debito, ora la Grecia è effettivamente fallita.
Si può non pagare il debito pubblico.
L’Islanda, che nel 2008 aveva praticamente tutto il suo debito pubblico nelle mani di due banche ed era sotto attacco speculativo, ha nazionalizzato le banche e, analizzato il suo debito (facendo il cosidetto edit sul suo debito), ha separato quello lecito che doveva essere rimborsato da quello illecito (determinato dalla speculazione finanziaria) che ha dichiarato non avere intenzione di pagare.
L’Islanda è ora un paese felice.
Nella storia innumerevoli sono i casi di mancato pagamento del debito e quantomeno di rinegoziazione dello stesso.  
Se l’Italia non vuole fare la fine della Grecia, ora, prima che, nonostante decenni di privatizzazioni presenta ancora un patrimonio pubblico (statale e comunale) consistente, con una presenza residuale ma significativa sia in campo produttivo (Eni, Enel, Finmeccanica), sia nei servizi (Ferrovie e Poste) e sia nel campo finanziario (Cassa Depositi e Prestiti), occorrerebbe mettere in discussione il pagamento del debito.
Al contrario, la totalità dello schieramento politico ed istituzionale, le cosiddette forze sociali – ivi comprese cgil, cisl e uil -, i grandi organi di stampa e l’informazione in generale, sono tutti concordi nell’imperativo del pagamento del debito.
Dopo la caduta del grande corruttore, la mera presentabilità del tecnocrate Monti e dei suoi ministri – tutti espressione di una visione caparbiamente liberista dell’economia e della società -  ha prodotto un consenso tanto aprioristico quanto ingiustificato all’annuncio di politiche di “rigore e sacrifici nel segno dell’equità”.
Questa parola, “equità”, viene brandita dinanzi agli occhi dei cittadini come il necessario strato di vasellina propedeutico alla somministrazione di una medicina dolorosa.
Il decreto “Monti” lo strato di vasellina se l'è dimenticato (credo) volutamente, per consentire allo schieramento bipartisan che lo sostiene di farsene merito agli occhi degli elettori, spalmandone un sottile strato in Parlamento (innalzamento della soglia del blocco della rivalutazione delle pensioni, aumento della fascia di esenzione dell'ICI sulla prima casa).
La vasellina manca e la supposta in realtà è un veleno … non mi sembra utile sviare la possibile rabbia della mandria condotta al macello, dai carnefici, da un lato, verso la casta della politica e, dall'altro, contro i privilegi di una chiesa cui questo governo e chi lo sostiene si è sempre genuflesso.

Severo Lutrario