sabato 20 luglio 2013

No Tav. Conferenza stampa sugli scontri del 19/20 luglio: la democrazia è in pericolo

TG VALLE  DI SUSA


 
Giornata pesante quella appena trascorsa: 124 fermati ai posti di blocco che hanno cinto la Val di Susa democraticamente d’assedio, ore prima che la annunciata marcia notturna avesse luogo, 9 fermi in attesa di convalida e decine di feriti che in mattinata han trasformato il Presidio di Venaus in ospedale da campo.

Il movimento No Tav ha risposto ai democratici accadimenti della notte con una conferenza stampa, indetta per oggi 20 luglio alle 15.00 al Presidio Gemma delle Alpi di Susa. Presenti Guido Fissore, Nicoletta Dosio, Marta – fermata e rilasciata – e Francesco Richetto.
È l’ennesimo episodio di violenza perpetrato a danno di persone che si recavano a protestare contro la zona rossa richiesta dal Prefetto di Torino e che di fatto espande i già ampi confini del cantiere-fortino della Val Clarea (dove hanno luogo i lavori per il tunnel geognostico per il progetto del tunnel della NLTL – Nuova Linea Torino Lione, ultima dizione di quella che doveva essere la tratta ad Alta velocità passeggeri prima, merci poi, Alta velocità prima, Alta capacità poi, N.d.R.). La prima a prendere la parola è Nicoletta Dosio, ferma nella denuncia dei pestaggi che han colpito a decine i manifestanti mentre indietreggiavano e cercavano una via di fuga in mezzo al fumo dei lacrimogeni. “Sventurata la terra che ha bisogno d’eroi” sostiene Bertolt Brecht, che N.D. cita dicendo: “La nostra terra purtroppo ha ancora bisogno di eroi” e gli eroi sono i ragazzi arrestati che pur di lasciare arretrare, uomini, donne, anziani e più giovani si sono sacrificati per la loro fuga subendo il pestaggio e l’arresto.
“Nessuno è tornato da Giaglione prima che tutti fossero rientrati. I violenti esistono e stanno al di là delle reti” dichiara N.D.: la violazione della Democrazia in Val di Susa è un fatto concreto ed è di questo che bisogna parlare.
Marta è una dei fermati. Interviene raccontando l’esperienza appena vissuta. Assieme a molti altri è rimasta chiusa, imbottigliata senza via di fuga – verrebbe da chiedere agli zelanti PM abili nel Diritto: esisteva topograficamente una via di fuga? E se no: una carica che non lasci vie di fuga può ancora legalmente configurarsi come carica? Agli occhi profani suonerebbe piuttosto come “pestaggio”? Una domanda come un’altra.
Marta viene catturata e presa a manganellate, trascinata sin dentro il cantiere a calci e pugni. Lì viene ripetutamente toccata nelle parti intime, al seno; una agente le sputa addosso apostrofoandola con “puttana!”, epiteto ricorso più volte, tra gli altri. Le viene contestata la presenza nello zaino di limone e flacone di acqua misto a Malox, per proteggersi dai lacrimogeni. Poi qualcuno passa e credendo che il lavoro non sia ancora fatto a dovere le assesta una manganellata in faccia (labbro rotto: 6 punti esterni e 3 interni). Marta sanguina ormai dappertutto, non sa neanche di preciso da dove sanguini perché gli abiti sono impregnati di sangue e chiede insistentemente di esser visitata da un dottore. Il dottore in forza alle FfOo arriva, ne richiede l’immediato trasferimento in Pronto soccorso. L’immediato si computa in 4 ore dopo. Prima avviene il trasferimento in Questura per la certificazione dei reati imputatile: resistenza, aggressione e lesioni a pubblico ufficiale. Poi finalmente Marta viene prelevata da medici ospedalieri e trasferita al Cto di Torino.
Guido Fissorre sottolinea la premeditazione di quanto accaduto. Il cantiere-fortino è cinto da doppia struttura di jersey (reti fisse incastonate su basamenti di cemento, N.d.R.), reti semplici, filo spinato a profusione e in alcuni punti reti per caduta massi. Perché si possa intervenire dall’esterno ci vorrebbe un esercito munito di bulldozer, bombe a mano e dinamite, non certo un corteo di persone comuni. Far uscire i reparti antisommossa per fermare il troncone centrale della manifestazione centinaia di metri prima delle recinzioni, sparare lacrimogeni in abbondanza, caricare e inseguire pare consono alla presenza stessa, e anomala, dei due magistrati che seguono le indagini relative agli inquisiti del movimento No Tav. Il sentore è che, annunciata la manifestazione, ci si fosse non già preparati ad arginare eventuali disordini, ma preventivamente disposti a provocarli per giustificare gli arresti. Il momento storico, percorso da difficoltà economico-finanziarie di ogni sorta, rende rocambolesco il reperimento dei fondi per il prosieguo del tanto ambito tunnel e giace sullo sfondo, in attesa di poter giustificare il blocco qualora il capro espiatorio dovesse servire all’uopo e divenire, come l’assordante vociferare richiede, il cattivo di turno.
Domani, 21 luglio, saranno gli amministratori comunali – di Meana, Bussoleno, Condove, Sant’Antonino di Susa, San Didero, Giaglione, Villarfocchiardo ecc. – a dirigersi in corteo alle recinzioni, per reclamare il libero transito sulla propria libera terra.
N.D. ricorda infine come su alcune testate sia comparsa la notizia che “nonostante” i tafferugli, i lavori nel cantiere siano proseguiti, esattamente come quando Luca Abbà nel febbraio del 2012, cadde dal traliccio, senza soccorsi, con il rischio di rimetterci la vita. Non è l’orgoglio del lavoro a prevalere, ma l’infamia dell’interesse che fa del lavoro una leva per passare sopra tutto e sopra tutti.

venerdì 19 luglio 2013

Multiservizi. I lavoratori scendono dal tetto del Comune

Luciano Granieri

Dopo quasi una settimana di lotta abbarbicati sul tetto del Comune i lavoratori delle Multiservizi, nella tarda serata di ieri hanno deciso di scendere. A seguito di una trattativa che ha visto la partecipazione del senatore Pd, Francesco Scalia dell’europarlamentare Francesco De Angelis, Pd,  dell’onorevole Pilozzi, della sua portavoce Marina Kovari di Sel e  perfino del Vescovo,  i dipendenti  hanno ottenuto l'apertura di un tavolo di mediazione con  il sindaco Ottaviani per lunedì* lunedì prossimo,   alla presenza del prefetto, dei politici locali, della Regione.  

Come è noto la questione riguarda la decisione del sindaco di Frosinone di non rinnovare i contratto di concessione alla Multiservizi per l’erogazione di alcuni servizi alla cittadinanza, come la manutenzione delle strade, della Villa Comunale,  la conduzione dei pulmini scolastici, servizi ai disabili. Tali attività  sono state concesse  a cooperative esterne, le quali hanno accettato di avvalersi  della collaborazione solo di alcune addetti della Multiservizi, nel frattempo messa in liquidazione, con un contratto di 5 mesi e stipendi irrisori . Per gli altri, il licenziamento.  

Fra l’altro a causa delle scarse risorse presenti nelle casse comunali ai lavoratori licenziati non era  assicurata, né la liquidazione e neanche tredicesima, quattordicesima e  ferie non godute.  A tali condizioni la protesta dei dipendenti  con la loro salita sul tetto del comune è stata quasi automatica. Il sindaco per tutta risposta, oltre a non cedere di un millimetro sui suoi insani propositi, ha anche ricattato i lavoratori, minacciando  il blocco dei fondi resisi disponibili nel frattempo, per corrispondere   tredicesime, quattordicesime e ferie non godute se la protesta non fosse terminata.  

Dopo un primo tentativo di mediazione  fallito organizzato dal  Prefetto e perfino del  Vescovo, sembra che nel  tavolo di trattativa che si aprirà lunedì prossimo in prefettura il sindaco sia disposto ad intercedere presso le cooperative, affinchè queste assumano i lavoratori della  Multiservizi con un trattamento economico minimamente decente, non le 500 euro mensili proposte fino ad ora. 

Un fatto sembra certo, della riattivazione della vecchia società Multiserivzi,  o di un altro ente omologo, così come sarebbe possibile grazie anche all’impegno del governatore regionale Zingaretti,  della  riassunzione diretta di tutti i dipendenti,  il sindaco Ottaviani non vuole neanche sentir parlare. A suo dire l’assunzione diretta di questi addetti sarebbe troppo onerosa. Ma considerati i  diversi pareri espressi in merito dalla Corte dei Conti  risulta il contrario.  Anzi la liquidazione della Multiserivzi, con il licenziamento dei dipendenti e  i nuovi contratti che si stipuleranno con le società cooperative, comporta un esborso di denaro notevolmente superiore all’internalizzazione dei  lavoratori. 

Oltre a pagare le cooperative, è necessario corrispondere ai dipendenti licenziati, tredicesime, quattordicesime, stipendi arretrati, ferie non godute e liquidazioni. Inoltre come ha evidenziato la stessa situazione verificatasi per i lavoratori Multiservizi in quota alla Provincia di Frosinone, licenziati dall’ex governatore Iannarilli,  il Comune dovrebbe sostenere le spese legali necessarie a gestire i numerosi contenziosi che sicuramente molti lavoratori solleveranno.  

Una montagna di denari pubblici che, con l’assunzione diretta, si sarebbero tranquillamente risparmiati.  Lunedì sapremo. Intanto i sette temerari guidati dal loro portavoce Paolo Iafrate, sfiniti, sono scesi dal tetto, dimostrando per l’ennesima  volta la volontà di non inasprire la protesta pur di trovare una soluzione dignitosa.  Indubbiamente la riapertura di una trattativa che prima dell’inizio dell’occupazione del tetto del comune, sembrava chiusa, blindata, è un punto a favore dei lavoratori e sta a indicare che la lotta paga. Anche se parzialmente i lavoratori hanno vinto. 

A perdere, come al solito,  è stata tutta la cittadinanza che comunque  in ogni caso dovrà subire l’onere di un costo maggiore dei servizi a fronte di una diminuzione della loro qualità. E’ sempre accaduto quando i privati hanno cominciato a fare affari con i servizi al cittadini Acea  docet. E dispiace constatarlo, la sconfitta era inevitabile.  Perché tutta la vicenda dell’occupazione del tetto del comune è avvenuta nell’indifferenza più totale dei cittadini di Frosinone. 

Una città ormai morta, priva di slancio morale , del minimo spirito di condivisione  e solidarietà sociale. In un contesto simile quanto ottenuto dai lavoratori della Multiservizi risulta  una vittoria molto importante, complimenti a loro per la loro tenacia . Del resto questo passa il  convento. E’ inutile continuare ad invocare la partecipazione  della  popolazione alle decisioni degli amministratori comunali se gran parte di essa crede di risollevare le proprie disastrate  condizioni andando ad elemosinare i propri  diritti ai notabili di turno, anziché pretendere ciò che è dovuto per diritto di cittadinanza.   


Nel video. Un parte del dialogo fra il portavoce dei lavoratori, Paolo Iafrate, il presidetne dell'associazione Peppino Impastato, Francesco Notarcola e il  senatore Pd Francesco Scalia. A seguire gli interventi di Iafrate e Scalia


* errata corrige. Il tavolo di mediazione i terrà martedì e non lunedì

giovedì 18 luglio 2013

Mutende rosse VS Occupy the Roof

Luciano Granieri




































La protesta dei lavoratori della Multiservizi accampati sul tetto del comune di Frosinone continua. Sono passati cinque giorni da quando i 7 dipendenti sono saliti sul tetto. Ma  purtroppo è ancora lontana la risoluzione della vertenza arenatasi su un binario morto senza  alcuna speranza di resuscitare. 

Il sindaco si comporta come una manovratore disturbato dalla insolente plebaglia che, oltre ad accettare di far posto ad altri,cooperative o privati che siano, secondo la collaudata pratica di un orrendo spoil system, deve tacere e defilarsi in buon ordine.  Non disturbare appunto. Il ricatto messo in atto di Ottaviani nei confronti dei lavoratori che ancora stazionano sul tetto del comune è sporco e insolente. Blocco di tredicesime, quattordicesime e tfr fino a quando i disturbatori continueranno a contaminare lo skyline della città alta.  

Cioè ti sequestro un diritto, te lo trasformo in privilegio,  e ti ricatto negandoti quel  privilegio, che era un diritto,  se continui a rompere i coglioni. Non c’è nessuna ragione per non dare quei soldi ai lavoratori, non esiste motivazione  alcuna,  neanche la protesta estrema della permanenza su un tetto,  per negare ai sette occupanti un qualcosa  che rappresenta un loro diritto, tutto ciò è semplicemente vile ricatto e  appropriazione indebita. 

In serata  l’ex onorevole assenteista Vittorio Sgarbi, verrà omaggiato nella Piazza Salotto, quella delle "mutande rosse". Al  sindaco non va giù che all’orchestra e  alla banda invitate in  piazza della mutande rosse per omaggiare l’illustre ospite, dalla piazza  della protesta  di “Occupy the roof”, faranno da contro canto ciaramelle, organetti e cutufù della festa proletaria organizzata dagli altri dipendenti della Mutliservizi, quelli rimasti a terra. 

Ecco perché i peones dovranno sgombrare, ma questa volta non sarà facile averla vinta per Ottaviani.  Il gesto di protesta estrema ha avuto il merito di attirare l’attenzione dei media dei politici locali, ma purtroppo non ha smosso minimamente la solidarietà dei cittadini di Frosinone. I quali, alla solita svogliatezza e insensibilità verso ogni problematica che non interessi la propria personale bottega, aggiungono una opinione dei lavoratori in lotta del tutto fuori luogo. 

Girando per la città, parlando con alcuni cittadini della faccenda, si capisce che il dipendente Multiservizi viene percepito come il raccomandato nulla facente che per anni ha rubato lo stipendio.  Per cui è giusto che ad occuparsi dei servizi nella città di Frosinone siano i  privati, perché si sa il privato è efficiente. Le malefatte di Acea non ci risultano? Purtroppo colpa di questa immagine distorta è proprio della politica. Probabilmente nella società Multiservizi  non  saranno mancati i raccomandati, ma questi vanno cercati nelle fila del personale dirigente per lo più di nomina   politica,  non certo fra i lavoratori che stavano in strada a curare  vie e giardini. 

I politici sono stai sempre vicine ai lavoratori della Multiservizi, a chiacchiere. Dalle lasagne di Schietroma, all’epoca dell’occupazione della sala consiliare, alle consulenze di Scalia,  dagli impegni di Parlanti, fino all’endorsement del commissario provinciale Patrizi, è stato tutto un accorrere in aiuto di questi lavoratori, privati del loro sacrosanto diritto di lavorare. Gli ultimi suffragi sono arrivati dai neo eletti Buschini alla regione e Spilabotte al Senato.

 Quando c’è da fare propaganda,  a una riunione,  a un incontro, a  una foto con i lavoratori della Multiservizi non  si rinuncia mai . Sospetto che anche la lotta intestina al Pdl ciociaro fra le banda di Pallone/Patrizi e  quella di Ottaviani, si stia consumando  ancora una volta sulla pelle dei lavoratori Multiservizi.  

Da ultimo anche i sindacati hanno tenuto un atteggiamento che ha contribuito ad alimentare l’immagine della difesa di un lavoratore privilegiato. Soprattutto quelli della triplice, sempre pronti a smorzare gli effetti della protesta a convincere che è meglio una resa onorevole che una tremenda sconfitta. 

E’ una  mia idea personale, ma fino a che i lavoratori della Multiservizi  non si svincoleranno dall’abbraccio mortale e strumentale di questi ipocriti buoni samaritani, difficilmente potrà  cambiare qualcosa. Forse cercare con maggiore risolutezza, la solidarietà dei cittadini, spiegando la situazione, facendo intendere, che il danno della chiusura della Multiservizi coinvolgerà l’intera comunità frusinate, potrebbe sortire qualche risultato. Mi rendo conto che in una città politicamente e socialmente dormiente, inebetita da decenni di potere democristiano, con il voto di scambio come massima espressione democratica, l’operazione sia difficile ma tentar non nuoce. 

mercoledì 17 luglio 2013

Le rivoluzioni si fanno sempre altrove

Simonetta Zandiri


Questa notte non è successo niente. Allora un escavatore usato nel cantiere di Chiomonte si è dato fuoco per protesta, avendo compreso meglio degli umani che il pianeta terra va rispettato. Per solidarietà anche una ruspa impiegata nel raddoppio del Frejus si è data fuoco, avendo compreso l'inutilità di questo ennesimo buco nella montagna ed il rischio che amianto e uranio si diffondano nell'ambiente. Poi si è sparsa la voce, così anche l'inceneritore del Gerbido ha smesso di funzionare, consapevole del danno che avrebbe provocato visto che al suo interno confluivano rifiuti di ogni genere e che gli umani non erano stati capaci di filtrare adeguatamente i fumi. E alla fine la natura, sentendosi protetta almeno dalle macchine, ha pensato bene di ringraziare pulendo quell'aria con un bel temporale ma, così facendo, ancora una volta ha salvato i nostri polmoni ben sapendo che quei veleni penetreranno nelle profondità della Terra.
Nel frattempo noi umani abbiamo dormito, rinfrescati dal temporale. I più indignati si sono sfogati su FB. Lamentandosi che le rivoluzioni si fanno sempre altrove.
Buongiorno.

Declassamento Italia, "ripresina" e Fiscal Compact




Rivista Indipendenza


Standard & Poor's ha declassato l'Italia da BBB+ a BBB, una valutazione  pressoché a ridosso di quella cosiddetta "spazzatura". Molto negativa l'economia italiana, altrettanto le sue prospettive ("outlook"). L'agenzia USA di rating, per quest'anno, parla infatti di un'ulteriore contrazione dell’economia italiana dell'1,9%, con una stima del debito pubblico in ascesa al 129% del Pil, nuovo massimo storico.


In parallelo, la Commissione Europea sta lanciando ripetuti segnali di insofferenza verso il governo Letta. Motivo? Politiche economiche addirittura troppo "lassiste". L'ultimo a scudisciare l'Italia è Simon O’Connor, portavoce del commissario agli Affari economici e monetari Olli Rehn. Tra le ultime "raccomandazioni", varate durante l'ultimo Ecofin di giugno, è richiesto all'Italia di "trasferire il carico fiscale da lavoro e capitale a consumi, beni immobili e ambiente assicurando la neutralità di bilancio". Sospensione dell'IMU e stop dell'aumento dell'IVA non sono insomma graditi. Ai primi di luglio, da Washington, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha tuonato sull'IMU sulla prima casa: appellandosi a "ragioni di equità ed efficienza" vuole che la tassa sulla prima casa sia mantenuta e che vada di fatto al rialzo attraverso una revisione dei valori catastali.
Ma il pur atlantico governo Letta che, politicamente instabile e frammentato, è scaturito dalle elezioni di febbraio, deve far quadrare conti anche di piazza. Pertanto, ad ulteriori immediate spoliazioni, ha interposto una fase di (molto) relativo respiro, non ottemperando così facendo alle ulteriori, continue, richieste (di fatto recessive e da ristagno economico) dell'asse euroatlantico UE-BCE-FMI. 

Solo pochi giorni fa, a fine giugno, dopo il consiglio europeo, l'ineffabile Letta e tutto il trasversale ceto politico/massmediatico atlantico avevano strombazzato ottimismo in virtù della concessione di Bruxelles ad operare “scarti temporanei dalla traiettoria del deficit strutturale” (Barroso docet), ma senza discostamenti dal disavanzo del 3%. Strettissimi margini operativi di bilancio (la carota), comunque vincolati al bastone di programmi di spesa solo se decisi e supervisionati a livello europeo (ad esempio l'inutile, costosa, dannosa TAV). A ben vedere, quindi, un accorto modo per indirizzare e accentuare il controllo della troika UE-BCE-FMI sulle politiche di investimento. 
Sullo sfondo, incombe il trattato europeo (Fiscal Compact), che si attiverà nel 2014, con le sue norme sul vincolo del pareggio di bilancio inserito in Costituzione e, nel 2015, relativamente all'obbligo della restituzione del debito in 20 anni (in soldoni manovre da 40-50 miliardi di euro all'anno lievitanti con il peggiorare del rapporto debito-PIL). L'incubo dell'Unione Europea ha ancora tanto di sé da far vedere.


Foglio volante estemporaneo supplemento a Giornal'immaginario

Oreste Scalzone


A caldo, fuori-programma, per intanto qui, ora, qualche sommessa riflessione, come ''tra sé e sé''... 

Certo che... strada lunga, accidentata, quella – per cominciare – delle « rivoluzioni arabe », e anche di altri processi e fenomeni, insorgenze che ad esse vengono accostate, a volte prendendo quelle come stimolo – colpo d'avvio, scintilla con effetto majeutico –, come acceleratore e in parte, paradigma possibile, sommerso o evidente.
Certo, la sommossa è la forma principe, se non l'unica, che si presenta sulla scena. Forma, anche, di sbocco di quella che all'occorrenza si chiama indignazione, capace sia di evitarne l' installarsi nel risentimento, l'attorcigliarsi e il marcire in una sorta di querimonia permanente, di propaganda rivolta non si sa bene a chi e per quali esiti a breve ; sia di scivolare inesorabilmente nella deriva della « denuncia », che già nel nome rinvia ad un orizzonte penale, per prima cosa autofagico, divoratore di ogni capacità di responsabilità anche personale di azione comune e 'in comune', di prassi diretta, autonoma. 
Altrettanto evidente è, che la piazza ribelle (''il popolo' che si solleva''...), è schiacciata nelle tenaglie terribili che si contendono – e ''oggettivamente'' in solido confiscano – gli esiti del liberatorio movimento di sollevazione, di eruzione. 
L'aria manca, nella morsa del dilemma (che è « pseudo problema » perché non ammette soluzione, non prevede un « meglio » e neanche un « meno peggio » tra 'padella e brace', 'Scilla e Cariddi', 'peste' o 'colera'), tra golpe militare e regime delle gerarchie della Sharia ; tra una piramide reticolare di ''teocrati'' – comunque anche vassalli delle logiche dell'economia globale, del disordine/ordine della macchinerìa-Mondo, e generali che tra l'altro incarnano anche direttamente l'oligarchia economico-finanziaria del Paese, e che sono sperimentata struttura di regime servo/padronale (servo verso l'esterno, vertici imperiali o 'globali', e dispotico 'in verticale', nella ''eterna'' guerra interna dall'alto, condotta dai 'vertici' contro quello che variamente è chiamato società, proletariato, masse, o moltitudini, fatte oggetto di feroci logiche d'utilitarismo, comando, sopraffazione). Tenaglie da incubo, come quelle delle guerre civili e geo-politiche (con le relative sovradeterminazioni) di Siria o – ieri – di Libia. Inscritto anche se in modo per ora più attutito in questo scenario, anche il teatro tunisino. 
Dal canto suo, quello turco si presenta in certo senso come a mezza strada rispetto ad altri 'spazî' d' altrove. L'immensa sommossa brasiliana, le varie ''Occupy'', pongono immani e sottili problemi, a cominciare da una comprensione critica. Certo, hanno variamente e in comune il segno di una presa della strada – la piazza, la parola... ; ma metterle nel 'frullatore' per farne uscire una specie di euforico trionfalismo che finisce per essere estetico, è dannoso come lo erano le letture giornalistiche del '68 che con una sorta di ineffabilismo, cogliendo la fenomenologia dell'onda lunga a/traverso il mondo, mettevano assieme le rivolte della West coast americana e le guardie rosse maoiste ; lo Zenga Kuren in Giappone e le rivolte inizialmente studentesche nelle metropoli del « primo mondo », da Berlino-ovest a Torino, Roma, Parigi, & così via ; e ancora, affastellando « Viet-Cong vince perché spara », la vicenda del castrismo e del guevarismo, rivolte e guerriglie e movimenti anticoloniali, ant'imperiali, nazionalitarî, irredentistici, secessionisti,''terzo-'' e ''quartomondiste'' come il Black-Panther Party... Certo, si scorgeva in questa simultaneità un 'qualcosa', un quid, così come la si poteva cogliere in area europea nel 1848. 
[ Crediamo però che si possa dire che lì, in quel « 1848, mille volte maledetto dai borghesi », in quel caso (ad onta di tutte le considerazioni che, 'in parallelo', si possono fare sulla ''ricchezza del 'mentale' dei soggetti sociali planetarî, delle – diciamo – immense moltitudini planetarie alla altezza attuale dei tempi ) i rischi di ambiguità ed autocontraddizione erano minori. Non c'erano di mezzo commistioni e colossali malintesi tra etica e Ratio geo-politica : « la Santa Alleanza degli Stati » e il prevalere in ultima analisi (così come avviene che in ultima istanza « la concorrenza tra tutti i venditori da un lato, e tutti i compratori dall'altro » fa aggio rispetto alle concorrenze interne a ciascuno dei due campi), era un'evidenza che, anche nelle forme più elementari, saltava agli occhi delle 'genti', né eventuali ''giochi di sponda'' e carambole delle élites erano lontanamente in grado di cancellarla. (Talché, ancora nella 'Grande guerra' 1914-18 la fraternizzazione come inter-, o piuttosto trans-nazionalismo dei proletarî mandati a « scannarsi tra loro senza conoscersi ed aver motivi di odio, in nome e per conto di gente che si conosceva benissimo e si preparava a sedersi al tavolo della pace », era possibile ; e « internazionalismo rivoluzionario » significava riconoscere come corrispettivo del proprio ''sparare sul proprio quartier generale'' – « il nemico che marcia... », più che «... alla nostra testa », ...in alto dietro le nostre retrovie, mandandoci avanti – lo ''sparare sul proprio Quartier generale'' di quelli che hano « la divisa d'un altro colore », come nella Canzone di Piero di De Andrè. E dunque, pacifismo, antimilitarismo – armati di questa cognizione del riflessivo, del rispettivo, del reciproco –, erano radicalmente indipendenti ; non potevano né essere, né esser scambiati, per posture strumentali, con
''doppio-pesismi'' da 'Quinte colonne' e costitutiva subalternità omologica, con espressioni di « concorrenze mimetiche » tanto manichée quanto complementari, facce di medesima medaglia, figure di propaganda del'una o l'altra fazione, sezione di una stessa forma generale, di una medesima natura capitalistico-statale, tecno-economico-politica, e, diremmo, antropologica.
Certo, elemento decisivo è stata l' ''immunodepressione'' indotta, rispetto all'opera di produzione di sfacelo mentale, di trasformazione antropologica in senso di quella che potremmo chiamare una ''servopadronalità di massa'', bio-politicamente, psicosomaticamente indotta con un impressionante crescendo dal ''tardocapitalismo'' attuale, dal « sistema integrato capitalistico-statale » nell'epoca della metastatica 'riproducibilità tecnica' delle sue forme replicantesi ad intensità ed accelerazione crescenti : questa risultante di immunodepressione che (certo, accanto ad altri aspetti in controtendenza) si è prodotta, nasce dalla tragedia immane di un virus mutante-mutageno 
all'opera (diciamo, in breve, la contraffazione/snaturamento in senso statalista-governante-'lavorista'-tecnoscientista-elitista/rappresentativo /partitocratico-penale-ideologistico...&tcetera), che ha prodotto processi di ''controrivoluzionarizzazione delle rivoluzioni''] 
Quest'aria da Quarantotto ci pare sia stata però colta e argomentata in modo superficialmente descrittivo e ineffabilistico, spesso connotato da un difetto di critica e di punto di vista indipendente, autonomo : in effetti, « L'ora del fucile » può essere una bella poesia, ma non può sostituirsi a sforzo di teoria critica, e di pratiche corrispondenti.
Una cosa peraltro è certa : che sembri pure mero volontarismo, non si può mai dire che sarebbe meglio la passività, il subire, lo « scendere nel gorgo muti », l'ignavia che si fa connivenza, il non provarci nemmeno, il non cominciare nemmeno. 
La facoltà della rivolta come forma d'espressione di potenza, potenza « di persistere », va vista come capitale, indipendente, e da fini e dagli stessi esiti. Altrettanto importante, è, al contempo,evitare sicumère, dentro le quali finisce a fermentare la cosa più suicidaria : sulla base delle ragioni più varie – compreso il non poter ''far guerre su due e più fronti'' –, finir per ragionare nei termini de « il nemico del mio nemico è il mio amico ». Che poi finisce ad andare ben al di là del « meno peggio » eventuale ; e da « amico » nel senso della coppia schmittiana, finisce per divenir supposto sodale, compagno, con cui si empatizza, e/o idolo, ''Champ'', campione...
Ora, applicare questo cogente riduttore – che può essere regola strettamente militare nel momento della battaglia – anche alla critica (che può attaccare su tutti i fronti che vuole), e addirittura alle passioni e agli affetti'', finisce per far ''perdere l'anima'' – che, nei nostri codici, vuol dire autocontraddire e smarrire 'le ragioni per cui'...
Paris 16 luglio 2013

martedì 16 luglio 2013

Brasile, la classe operaia entra nella lotta

Pstu
(sezione brasiliana della Lit-Quarta Internazionale)
Manifestazioni, blocchi stradali, picchetti e scioperi contro il governo segnano la giornata di lotta dell'11 luglio, convocata dalle centrali sindacali.
Questo 11 luglio ha segnato l'ingresso della classe lavoratrice nell'ondata di proteste esplosa in tutto il Paese nel mese di giugno. La giornata nazionale di lotta convocata dalle centrali sindacali ha registrato blocchi della produzione, blocchi stradali e manifestazioni in almeno 23 Stati (1). È molto difficile che qualcuno in Brasile non abbia partecipato o non abbia affrontato gli effetti delle manifestazioni e degli scioperi di questa giornata. Mostrando grande disposizione alla lotta, categorie di peso come quella dei metallurgici, degli operai edili, dei portuali, dei dipendenti pubblici, e molte altre, hanno incrociato le braccia e sono scese in strada questo giovedì.
Nonostante il presidente Dilma, con l'aiuto della Cut (2), avesse cercato nei giorni scorsi di incanalare il malcontento popolare con la manovra del plebiscito sulla riforma politica (3), quella dell'11 luglio è stata una grande giornata di protesta contro il governo e la sua politica economica. Alle rivendicazioni di maggiori risorse per la sanità, l'istruzione e i trasporti, che hanno caratterizzato le giornate di giugno, si sono aggiunte parole d'ordine storiche dei lavoratori, come la riduzione delle ore di lavoro, l'adeguamento dei salari, la cancellazione del “fattore previdenziale” (4) e la fine dell'inflazione. La piattaforma unitaria delle centrali sindacali include anche la rivendicazione della riforma Agraria e la sospensione delle aste sulle concessioni per l'estrazione del petrolio.
Proteste e scioperi in tutto il Paese
Se le giornate di mobilitazione che hanno attraversato il Brasile nel mese di giugno sono state caratterizzate da una relativa "spontaneità", questa volta i lavoratori sono scesi in strada a partire dai loro luoghi di lavoro e organizzati dalle loro organizzazioni di classe. Questo ha fatto si che importanti settori dell'economia fossero coinvolti, come i grandi centri industriali che si sono fermati a San Paolo e nella regione dell'Abc Paulista (5).
A San Paolo, i metallurgici hanno picchettato e bloccato la produzione in 35 fabbriche della Zona Sud e hanno realizzato un grande corteo che ha raccolto all'incirca otto mila lavoratori. Ci sono stati picchetti con manifestazioni di lavoratori edili e del commercio, con azioni sia nella Zona Ovest che Est. Strade e viali principali della città sono stati occupati per tutta la giornata. Nel pomeriggio, una manifestazione unitaria ha riunito qualcosa come 10mila persone nella Avenida Paulista (A). In un'altra importante regione industriale dello stato e del Paese, a São José dos Campos, ci sono stati picchetti e blocchi della produzione in almeno 20 fabbriche (B), coinvolgendo all'incirca 15 mila lavoratori. Un corteo in città ha riunito 2 mila persone.
A Rio de Janeiro, i lavoratori delle Poste hanno bloccato l'uscita dei camion dalla sede principale dell'azienda. Ci sono state anche manifestazioni con picchetti dei metallurgici e dei dipendenti pubblici, oltre che nelle scuole statali e municipali. Ci sono state inoltre manifestazioni con blocchi della produzione da parte di lavoratori del settore petrolifero, bancario e esternalizzati del Ministero della Sanità. Nel pomeriggio, una protesta unitaria ha raccolto quasi 15 mila persone e, alla fine, è stata duramente repressa dai reparti antisommossa. Relazioni di compagni presenti alla manifestazione riferiscono che la polizia ha attaccato da dietro, vigliaccamente, manifestanti pacifici, inseguendoli per un lungo tragitto. Un altro capitolo vergognoso della brutalità della polizia a Rio.
Belo Horizonte, capitale del Minas Geiras, a sua volta, ha vissuto praticamente una giornata di sciopero generale. La città si è svegliata con lo stop degli autobus e della  metropolitana. Lo sciopero ha coinvolto anche l'insieme dell'istruzione statale e la maggior parte delle scuole municipali. Nell'interno, lo sciopero e il blocco della produzione si sono diffusi a varie aziende metallurgiche, oltre a quelle siderurgiche e minerarie. A Porto Alegre, la cui Câmara Municipal (6) è stata occupata dai manifestanti, c'è stato lo sciopero degli autisti d'autobus. Gli insegnanti del Cpers hanno bloccato anche le strade d'accesso al centro della città.
Anche nel Nord e nel Nord-Est, la giornata di scioperi e proteste è stati intensa. A Belém c'è stato lo scipero dei lavoratori edili e una manifestazione che ha riunito i lavoratori, gli studenti e diverse altre categorie (C). Ad Aracaju, capitale del Sergipe, operai della Petrobras (azienda petrolifera statale brasiliana - ndt) e bancari delle banche pubbliche hanno incrociato le braccia, così come gli insegnanti della scuola pubblica.
Nella capitale del Ceará, Fortaleza, i lavoratori edili hanno fermato le loro l'attività in questo giorno e hanno realizzato una manifestazione che ha visto la partecipazione di attivisti del Movimento dei Consigli Popolari, del Mst (Movimento dos Trabalhadores Sem Terra), di opposizione sindacale nel settore bancario e degli studenti di Anel (Assembleia Nacional de Estudantes – Livre, sindacato studentesco componente di CSP-Conlutas).
La città di Natal, capitale del Rio Grande do Norte, a sua volta, ha visto una delle più grandi manifestazioni. La protesta unitaria delle centrali sindacali ha riunito qualcosa come 20 mila persone per la salute, l'istruzione, i trasporti, la riforma agraria e contro la politica economica del governo Dilma.
Il ruolo della CSP-Conlutas e lo sciopero generale
Se ad un certo punto delle mobilitazioni di giugno il crescente sentimento antipartito si è rivolto contro le organizzazioni dei lavoratori, come i partiti e i sindacati, questa volta, le bandiere hanno tinto di rosso le strade di tutto il Paese. I partiti di sinistra hanno ripreso il loro posto nelle strade, così come le organizzazioni sindacali.
Anche se ancora minoritaria nel movimento popolare e sindacale, la Csp-Conlutas ha avuto un ruolo importante in questa giornata storica. Oltre ad essere risultata vittoriosa nella sua politica di unità nella realizzazione di una giornata di scioperi e proteste, la Csp-Conlutas ha contato su partecipazioni di peso in varie parti del Paese. Organizzazioni affiliate alla Csp-Conlutas hanno portato in sciopero importanti settori come quello metallurgico di São José dos Campos, gli operai edili a Fortaleza e Belém, o i lavoratori petroliferi in regioni quali Sergipe.
"Questo giorno segna l'ingresso della classe lavoratrice nelle mobilitazioni, con i suoi propri metodi di lotta, e per dire forte e chiaro al governo Dilma che i lavoratori non sopportano più di essere ignorati", ha detto José Maria de Almeida, “Zé Maria”, della direzione di Csp-Conlutas [e presidente del Pstu, ndt]. Per Zé Maria, le manifestazioni sono contro il governo di Dilma e gli altri esecutivi, tanto a livello statale che municipale.
"Vogliamo i cambiamenti di cui il nostro Paese ha bisogno e di cui le masse popolari necessitano per avere una vita degna, non accetteremo niente di meno di ciò". Zé Maria ha attaccato la politica economica attuale del governo, che privilegia il pagamento del debito pubblico a detrimento degli investimenti in salute e istruzione. "Dato che il governo è un puntello di questo modello economico, la gente deve fare uno sciopero generale in questo Paese, perché questa giornata di oggi è solo un primo passo, se non cambia, faremo uno, due, tre giornate di sciopero generale" ha affermato.
Traduzione dall'originale portoghese di Giovanni “Ivan” Alberotanza
Note del testo(A) http://youtu.be/Et_oZcos4lw
Note del traduttore(1) Il Brasile è una repubblica federale composta da 27 stati.
(2) Centrale Unica dei Lavoratori, legata al Pt – Partito dei Lavoratori – di Dilma Roussef e Lula da Silva.
(3) Per l'“autorizzazione” popolare al varo di una costituente per le riforme [vedi http://www.elmundo.es/america/2013/06/24/brasil/1372105889.html ]
(4)  Fator previdenciário, un meccanismo introdotto nel 1999 dal governo neoliberista e agli ordini dell'Fmi di Fernando Henrique Cardoso che lega automaticamente l'età pensionabile all'aspettativa di vita media al momento del pensionamento calcolata dall'Igbe (equivalente brasiliano dell'Istat); solo a titolo d'esempio, secondo lo stesso istituto di previdenza brasiliano nel 1999 era necessario per un uomo che avesse cominciato a lavorare all'età di 18 anni, 39 anni di contributi per andare in pensione, nel 2011 ce ne volevano 42 di anni [vedihttp://pt.wikipedia.org/wiki/Fator_previdenci%C3%A1rio ]
(5) L'Abc San Paolo o paulista è una regione dello stato di San Paolo in Brasile inizialmente comprendente le tre città di Santo André, São Bernardo do Campo e São Caetano do Sul, caratterizzata dalla presenza a partire dagli anni '70 e '80 di un gran numero di stabilimenti di aziende multinazionali principalmente del settore automobilistico (Mercedes-Benz, Ford, Volkswagen, General Motors ecc.) e dalla nascita dei movimenti sindacali e operai che combatterono in quei decenni la dittatura militare tra cui la Cut e il Pt e la sua tendenza interna Convergencia Socialista “antenata” del Pstu (attuale sezione brasiliana della nostra Internazionale: il Pstu è, per riconoscimento di tutti, il più grande partito trotskista a livello internazionale). Cs fu espulsa dal Pt nel 1992 a causa dell'adattamento della maggioranza dirigente dello stesso al regime borghese che segnò il suo culmine nella decisione di Articulação – tendenza burocratica di Lula nel PT – di ridurre la parola d'ordine per l'abbattimento del corrotto governo del presidente Collor, lo slogan “Fuera Collor”, che stava diventando d'agitazione rivoluzionaria vera e propria tra le masse, a mera propaganda in vista delle elezioni presidenziali del 1994 nelle quali la tendenza opportunista di Lula contava che il Pt vincesse con lo stesso Lula candidato. Per un approfondimento sulla storia di Cs vedi la sezione all'interno dello speciale per i 30 anni della Lit http://litci.org/especial/index.php/partidos/brasil
(6) Sede dell'omonimo organo esecutivo municipale

Spie, servizi, affaristi e dissidenti

Rossana Rossanda. fonte http://sbilanciamoci.info/

Non faccio parte di coloro che si scandalizzano per il cosiddetto “datagate”. Da che esistono gli stati, uno spia l’altro, anche servendosi di persone illustri – Giordano Bruno spiò per l’Inghilterra – giacché sa passare le notizie soltanto chi ne ha accesso e ne comprende la portata. Quando Richard Sorge segnalò il prossimo attacco tedesco, Stalin non vi credette e benché molti antinazisti, specie di categorie superiori e in grado di sapere, abbiano lavorato per i servizi dell’Urss, non si usa dirlo perché il senso della patria, parente prossimo del nazionalismo, ha sopraffatto nel secondo dopoguerra l’internazionalismo del proletariato anche a sinistra; e per molte ragioni che sarebbe interessante esaminare. In ogni modo né Assange né Snowden mi commuovono, specie il secondo che aveva scelto la Cia come datore di lavoro. Faremmo bene a sapere che viviamo sotto molteplici occhi, e non solo dei servizi stranieri, in una globalizzazione sotto l’egemonia del capitale e in presenza d’una tecnologia che siamo i primi a venerare. La nostra privacy, ammesso che sia un valore, è protetta soltanto dall’eccesso di informazioni che pervengono ai molti che ci controllano, anche attraverso il web, superconfessionale laico, superscenario mediatico nonché sfogatoio universale e garantito dall’anonimato, più e meglio che nel passato. Amen.
Per dire che quel che trovo scandaloso nella faccenda di Alma Shalabayeva non è che Alfano e Bonino non sapessero ma che accettino come cosa normale che ci siano reparti di polizia vestiti di nero con catene al collo, oltre che con diritto di insulto allo straniero (o forse anche all’indigeno), che sono ufficialmente incaricati di catturare ed espellere il tizio o il caio purché “rispettino le procedure”. Appunto quali procedure? E quali sospetti e perché? Di quale corpo di polizia si tratta? Chi lo ha deciso? Con quale statuto e contratto? Abbiamo dunque un apparato dello stato che nottetempo può piombare mascherato da film horror e prelevare una donna, ancorché clandestina (ma non verificata come tale), imbarcarla segretamente su un aereo estero e rispedirla nolente in un paese dove non si sa se e quale reato abbia compiuto? Somigliamo più a un pessimo serial tv che a uno stato democratico.
Non solo; la stampa e i comunicati ufficiosi del governo scrivono che la signora, così brillantemente prelevata al grido di “puttana russa”, e la sua bimbetta, sarebbero moglie e figlia d’un dissidente kazako. Quel che però sappiamo di sicuro è che si tratta d’un tale che ha fatto dal niente fortune favolose ed è riparato nel Regno Unito per sfuggire ai tribunali del Kazakistan che lo accusano di varie frodi. Forse a torto, ma è sicuro che l’Italia non ne sa altro. La nostra stampa detta di informazione chiama dissidente qualsiasi affarista del gran giro di liquidazione dei beni pubblici, già sovietici, messo in circolo dal tandem Eltsin-Putin, quando si trattava di demolire l’Urss nella lotta fra oligarchi o baroni ladri, e diventato “dissidente” quando minaccia di denunciare i suoi simili passati al governo della Russia o delle repubbliche restituite alla “democrazia”. Tutto questo è di pubblico dominio, ma né il Corrierené Repubblica né i giornali minori se ne occupano, rivestendolo invece di abiti politici. Come se si trattasse di emuli della coraggiosa Politovskaia, anziché dei capi di una guerra per bande. Nella quale i servizi italiani si comportano anch’essi da banditi, beccati in fallo per essersi sbagliati di “nemico”.
È stata e continua a essere una resa di conti fra mascalzoni che non permette a un onesto di prendere parte per uno di essi.
Non dico Angelino Alfano, ma Emma Bonino su queste concrete figure della “democrazia russa” farebbe bene a riflettere.

Festa della trebbiatura a Ceccano

Francesco Notarcola

Sabato 13 c. m. si è svolta la festa della trebbiatura a Ceccano. Un avvenimento di eccezionale rilievo e di grande importanza, realizzato sena alcuna richiesta di finanziamento. Forse è per questo che non erano presenti rappresentanti della stampa e delle emittenti locali ne rappresentanti delle Istituzioni.
Una festa con una trebbiatura vera, di grano e di orzo, organizzata da Gino Cipriani, in contrada Taverna, ai confini tra Ceccano e Castro dei Volsci ( San Sossio). La trebbia ha lavorato dalle ore 16 alle ore 20, azionata da trattori moderni ma anche da un trattore Landini degli anni trenta. Questa trattore con motore monocilindrico, a testa calda, è perfettamente funzionante.
Grazie all’impegno, alla passione ed all’amore per la terra e per l’agricoltura sono state recuperate
e rimesse in efficienza mietitrici, imballatrici, a mano ed a motore, trattori ed altre macchine d’epoca.
Una rassegna, una mostra di macchine agricole d’un tempo ricche di storia, di cultura, di ricordi e di tradizioni.
 Grazie alla famiglia Cipriani ed alle altre famiglie della contrada si sono vissuti ore di allegria e di spensieratezza, ricordando  e facendo rivivere il passato. La Festa  si è  conclusa con una cena a base di prodotti tipici  con al centro la pecora al sugo.
Gli stornelli ciociari e la musica degli organetti ha allietato  i 300 partecipanti fino a mezzanotte.


lunedì 15 luglio 2013

C'è chi prende il sole sulla spiaggia e chi cerca di non prendere calci in faccia sul tetto del Comune

Luciano Granieri


In questo mite inizio d’estate, fortunatamente il caldo non picchia più di tanto, molti sono rimasti in città. Alcuni , quelli che uno straccio lavoro ce l’hanno, a faticare, altri disoccupati e precari a  cercare di sbarcare il lunario.

 Il sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani - dopo aver raccolto gli encomi  per il successo del festival dei Conservatori,  beandosi della purpurea mutanda con il quale ha avviluppato il palazzo della prefettura , dimenticando che il Conservatorio di Frosinone ha ancora la pensilina del cortile sfondata dalla nevicata di due anni fa, dopo aver fatto ripartire la rassegna cinematografica all’aperto presso la solita location della Villa  Comunale,   con l’aumento del biglietto da euro 2,00 a euro 2,50, perché perdendo tempo dietro alla stronzata del cinema alla stazione, le pellicole racimolate in fretta e furia sono costate di più -si sta godendo il meritato riposo in quel di Ischia. 

Sfortunatamente per lui ci sono persone che decidono di passare questo luglio non troppo afoso sul tetto del  palazzo comunale. Sono i lavoratori della, ormai,  ex Multiservizi di Frosinone. Quelli che avendo subito lo smacco della scadenza del   contratto  dal 30 giugno e  non avendo accettato l’elemosina precaria delle cooperative,  si ritrovano in mezzo ad una strada, o meglio sul soffitto del Comune.  

E pensare che proprio nelle ultime settimane, la disponibilità della Regione Lazio a farsi carico degli eventuali esuberi  e dei debiti della Mutliservizi, unita alla buona volontà del  sindaco di Alatri Morini e del Commissario provinciale Patrizi, gli altri azionisti pubblici della società,  poteva preludere, sempre che il sindaco Ottaviani lo volesse,  alla positiva soluzione della vertenza.

 Proprio ieri era prevista una riunione presso la Regione Lazio fra le parti in causa per cercare una via d’uscita. Un confronto,  però,  che in mancanza del sindaco di Frosinone altro azionista della società posta in liquidazione, non poteva che produrre esiti negativi.  Ma Ottaviani  era a riposarsi ad Ischia  e nonostante le preghiere dei tanti  dipendenti della  ex Multiservizi, la spiaggia è risultata  più appetibile di una squallida stanza del palazzo della Pisana. 

Tanto la decisione è presa:  la cura di Frosinone e dei suoi cittadini  deve essere affidata ai privati. Tutto ciò comporterà l’aumento dei costi e la diminuzione della qualità dei servizi , ma consentirà al sindaco di cominciare a pagare qualche cambiale contratta per assicurarsi i voti necessari ad essere eletto .  Questa volta  però  l’ennesimo atto di disprezzo verso gli  addetti della Multiservizi, non è stato accettato e i lavoratori , coscienti e contenti,  di rovinare le  vacanze al sindaco sono saliti sul tetto del Comune decisi a non scendere, fino a quando il sindaco non deciderà di dare loro ascolto.  Questa azione, ne siamo certi, renderà famoso il primo cittadino  di Frosinone in tutta Italia, non solo per la sua abilità ad organizzare il festival dei conservatori, ma anche per la sua grande capacità di gettare sul lastrico  intere famiglie di suoi concittadini.  Da Aut va tutta la solidarietà alle donne e agli uomini in lotta abbarbicati sul tetto del palazzo comunale.


Nel video, ripreso con un telefonino proletario, alcuni momenti del presidio e un’intervista con Pina Conte lavoratrice della Mutliservizi. 

domenica 14 luglio 2013

Liste di proscrizione anche nel governo Letta.

Luciano Granieri

Evviva il governo del fare, anzi del farò, anzi del forse farò, anzi del  non so’ se farò dipende da quello che dice Berlusconi. Lo "score" di questo esecutivo è di tutto rispetto dal suo insediamento ad oggi. Di leggi e riforme neanche a parlarne, salvo pochi provvedimenti, ma  nulla di quelle poche cose urgenti, che hanno giustificato la formazione di una così strana e perversa maggioranza.

 Però  sul conto di ministri,  vice presidenti e saggi la performance è    straordinaria. Si conta un ministro già dimesso (Josefa Idem)  per aver anticipato, pro domo sua,   il provvedimento sul taglio dell’Imu.  Anche un membro della commissione dei saggi nominata dal governo  per accompagnare il precorso delle riforme (la professoressa Lorenza Carlassare) ha salutato disgustata la compagnia dimettendosi  venerdì mattina. 

Per la costituzionalista la decisione è maturata in quanto  non ritiene di  continuare a far parte della Commissione di un governo sostenuto da una maggioranza che decide di fermare i lavori del parlamento, perché la data di una sentenza non consente a un imputato eccellente di fruire della prescrizioneLa  faccenda del blocco del parlamento per le magagne  processuali di Berlusconi è un rospo che le persone di buon senso difficilmente possono ingoiare, figuriamoci se sono stimati costituzionalisti . Fuori due quindi. 

Fra i dischi caldi, cioè fra coloro che potrebbero subire mozione di sfiducia e quindi essere indotti a dimettersi annoveriamo: Il ministro degli interni nonché vice premier , Angelino Alfano. Lo si accusa di non essersi accorto che in una tiepida notte di inizio estate, su pressione dell’ambasciatore kazako a  Roma,  50 agenti della digos, in modo molto discreto per carità,  hanno assaltato una villa  a Casalpalocco, rapito Alma Shalabayeva, moglie del rifugiato politico  ed ex banchiere, nonché faccendiere inviso al potere  kazako,  Mukthar Ablyazov,  e la figlia Alua di sei anni. 

Alfano impegnato a difendere dalle angherie dei giudici il suo capo, non ha neanche minimamente sospettato che dopo la detenzione di Alma Shalabayeva nel CIE di Ponte Galeria,  il suo imbarco  su un aereo privato kazako che ne ha completato la procedura di espulsione con  il rientro in patria,  fosse un tantino irrituale, se non irregolare. 

Pronta sulla pista delle dimissioni anche il ministro degli esteri Emma Bonino, la quale impegnata a tutelare i diritti i dei rifugiati politici nel Liechtenstein,  piuttosto che nel principato di Filettino,  o in Alaska, non si è accorta che proprio sotto il suo naso, qui in Italia,  un rifugiato politico stava subendo il grave abuso di un’espulsione illegittima. Il suo ufficio si è limitato a confermare  alla questura di Roma  che Alma Shalabayeva non aveva copertura diplomatica, ignorando però che la donna era rifugiata politica riconosciuta dal governo inglese e dunque bisognosa delle necessarie tutele. 

Da ieri anche il vice presidente del Senato il "trogloleghista"  Calderoli è in predicato di togliere le tende. I suoi deliri sulla morfologia fisica del ministro dell'integrazione, con delega alle politiche giovanili,  Kyenge, paragonata ad un orango, hanno fatto incazzare anche il tollerante Presidente della Repubblica Napolitano, oltre che i membri dell’opposizione e della maggioranza democrat. , la quale  ha invocato  le dimissioni del vice presidente, che vede la pagliuzza “orango” negli occhi della Kyenge e non vede la trave nei suoi occhi da bestia cerebro lesa,  con tutto il rispetto per le bestie cerebro lese. 

Riepilogando: leggi poco o niente, ma un ministro e un saggio sono  già fuori, più altri due ministri fra cui il vice premier, e un vice presidente del senato rischiano  di essere espulsi dalla squadra. Se a rinviare le decisioni già si stanno perdendo per strada tre ministri un saggio e un vice presidente, figuriamoci cosa sarebbe accaduto, se il governo avesse realmente iniziato a governare. Probabilmente al suo posto sarebbe rimasta solo Cècile Kyenge, ministro all’integrazione, forse l’unica persona seria in mezzo a questa banda di abusivi. Il resto tutti a casa con ignominia.

Incendio impianto CDR Castellaccio. Rassicurare non basta.

Rete per la tutela della Valle del Sacco


L’imponente incendio avvenuto lo scorso 19 giugno nello stabilimento di produzione di CDR di Castellaccio (Paliano, FR), di proprietà ACEA A.R.I.A., sembra aver generato, oltre ad una nube tossica, una sorta di gara tra le istituzioni, tese a rassicurare la popolazione relativamente alla pericolosità delle emissioni prodottesi. La comunicazione rivolta ai cittadini potrebbe riassumersi così: “ci è andata bene!”. Ammesso e non concesso che tutto sia andato effettivamente liscio, si sarebbe dovuto almeno aggiungere: “questa volta…”.

Rassicurare la popolazione ed evitare inutili allarmismi è un’istanza istituzionale comprensibile e apprezzabile. Ma c’è una bella differenza tra la rassicurazione paternalistica e la puntuale informazione, che spiega al cittadino che cosa è realmente avvenuto, perché è avvenuto, quali precisi danni ambientali ha provocato, perché non si ripeterà più, che cosa si sta facendo perché non si ripeta.

Non ci sembra che gli enti locali abbiano richiesto un’indagine sulla pericolosità dell’impianto, sul rispetto di tutte le garanzie necessarie, sull’esistenza di dispositivi atti a soffocare ogni principio di incendio sul nascere e sulla presenza e funzionalità dei sistemi di allarme, sul rispetto da parte dell’azienda delle misure previste dall’eventuale piano di emergenza. Le sostanze costituenti il CDR sono a rischio grave di incendio, con conseguente generazione di diossine e di altre sostanze pericolose per la salute.

Le indagini in corso, di cui attendiamo con attenzione e fiducia gli esiti, si devono semmai all’efficienza delle forze dell’ordine, in particolare dell’Arma dei Carabinieri.

Ma l’incendio di Castellaccio pone, più in generale, inquietanti interrogativi sulle procedure di emergenza in caso di incidenti a rischio rilevante. Nella Valle del Sacco sono presenti decine di impianti soggetti alla “Direttiva Seveso” (in ultimo precisata dal D. Lgs. 238/2005), di cui 7 nel solo territorio di Anagni. Per cui l’incendio potrebbe considerarsi una prova generale di inefficienza. Dopo il tempestivo intervento dei Carabinieri e dei Vigili del Fuoco (ci risulta però che il gruppo di intervento NBCR dei Vigili del Fuoco, in possesso di rilevatori di ultimissima generazione, che avrebbero potuto produrre un’istantanea della nube sprigionatasi, sono arrivati sul posto solo nel primo pomeriggio, a incendio pressoché spento e in seguito a chiamata da ritenersi tardiva), la situazione era confusa, e i Comuni hanno dovuto anche procedere per alcune ore a ordinanze cautelative per la salute della popolazione. La protezione civile regionale non si è vista. Se si fosse trattato di un incidente industriale ancora più grave, come lo si sarebbe gestito? Gli abitanti delle località prossime all’intervento, in particolare la popolosa contrada di San Bartolomeo, non sembra siano mai stati realmente informati dei rischi in caso di incidente, né tantomeno coinvolti in procedure atte a ridurli. Ciò vale in generale per tutti gli abitanti della Valle del Sacco nell’arco delle aree toccate dal rischio di incidenti rilevanti.

Il suddetto Decreto Legislativo prevede il coinvolgimento attivo di tutti i soggetti interessati, tanto nella fase di predisposizione del piano di emergenza, quanto nelle successive fasi di aggiornamento ed attuazione, nell’ambito di una articolata struttura operativa, coinvolgente Stato, Regioni ed enti locali, finalizzata al successo della pianificazione di emergenza stessa.

Sarebbe dunque il caso di verificare il funzionamento di tutta la catena integrata di intervento in caso di incidente rilevante, con particolare attenzione all’informazione della popolazione. Pur riconoscendo la sovrapposizione di competenze, ci sembra che soprattutto i Comuni dovrebbero peritarsi di adempiere a tale responsabilità, senza piangere la condizione di anello debole della catena.

            Gli enti locali ci sembrano però lontani da una autentica presa in carico della situazione. Esemplare la dichiarazione di chi ha inteso da subito rassicurare i cittadini affermando: “Niente a che vedere con i termovalorizzatori di Colleferro”. Si alludeva all’idea, che circolava tra i cittadini, che l’incendio riguardasse gli inceneritori, dove peraltro in passato com’è noto si è bruciata ogni sorta di materiale.

Gli effetti sulla salute dei cittadini dei fattori inquinanti dipendono quindi da una storia, dalla emissione continua di sostanze inquinanti, da episodi di emissione aggravata, dall’accumulo delle sostanze sulla superficie e negli strati profondi del terreno, nelle acque superficiali e profonde, nelle piante, negli animali, nella catena alimentare, negli stessi esseri umani. Diversi rapporti, anche molto recenti, descrivono gli effetti di questo intreccio di processi ed avvenimenti. Ad esempio il rapporto ERAS, redatto dal Dipartimento Epidemiologico della Regione Lazio, in collaborazione con Arpa Lazio e richiesto, relativo allo stato di salute dei residenti nelle vicinanze di impianti di trattamento rifiuti come discariche e inceneritori.

Nessun intervento su questo territorio può essere deciso senza prendere in considerazione lo stato di degrado che lo caratterizza, si tratti di insediamenti residenziali, logistici o industriali, di mobilità e trasporti. Di fronte ad una gestione che tende prima ad isolare ogni episodio e fattore di rischio dal suo contesto e dalla sua storia, e a minimizzare e tranquillizzare, riteniamo necessario prendere coscienza di una situazione di emergenza e della necessità di comportamenti adeguati a partire dalle istituzioni fino alla cittadinanza attiva. I cittadini non possono essere tenuti all’oscuro dei rischi che corrono, di quanto potrebbe riguardare la propria incolumità e la propria salute. É necessaria un’opera profonda, continua e diffusa di informazione, un’opera di educazione a conoscere e a capire, a riconoscere e ricercare l’informazione corretta. É necessario divulgare una mappa completa dei fattori di rischio presenti sul nostro territorio; una mappa dello stato di salute di quanti abitano questo territorio. Tutto ciò potrà sortire effetti solo con la partecipazione diretta, organizzata e consapevole dei cittadini.

Per quanto riguarda le conseguenze ambientali dell’incendio sinora verificate da Arpa Lazio, in attesa dei dati dei campionatori per valutare le ricadute sui terreni, si evince che le emissioni, pur alterando profondamente in area vasta la qualità dell’aria della giornata in corso, non siano particolarmente preoccupanti: risultano assai inferiori a quelle riscontrate nelle condizioni meteoclimatiche dei periodi dell’anno in cui l’aria ristagna, si producono fenomeni di inversione termica e la Valle del Sacco diventa una camera a gas. Non comprendiamo, però, perché il dato sulle diossine e PCB rilevate a San Bartolomeo sia stato pubblicato solo in relazione alle medie di campionamento in un arco di nove giorni, non consentendo la valutazione precisa del giorno dell’incendio.

Non comprendiamo, soprattutto, perché la Valle del Sacco debba essere gravata da un numero spropositato di impianti relativi al ciclo dei rifiuti. In particolare, chiediamo che il superfluo impianto di CDR di Castellaccio, considerata l’autosufficienza del ciclo provinciale dei rifiuti del Frusinate peraltro incentrata sull’incenerimento e sull’utilizzo di discariche, dopo oltre un decennio di turbamento dell’esistenza della popolosa contrada di San Bartolomeo, e dopo questa ulteriore prova di inefficienza, sia definitivamente eliminato dalle future pianificazioni regionali del ciclo dei rifiuti.


Valle del Sacco, 14 luglio 2013



Un Expo per precarizzare l'Italia

da ROSS@  Movimento anticapitalista e libertario. Giorgio Cremaschi


 Una scusa da pezzenti per mascherare la voglia irrefrenabile di avere manodopera a bassissimo costo e soprattutto totalmente ricattabile. Confindustria chiede che con l'Expo di Milano si possano fare contratti a termine dappertutto. Per tre anni e senza "causale".
*****

La Confindustria, la Rete delle piccole imprese, l'Associazione delle Banche, l'Alleanza delle Cooperative, praticamente tutte le organizzazioni imprenditoriali italiane hanno chiesto al Parlamento la precarizzazione totale dei rapporti di lavoro fino al 31 dicembre 2016.

Fino a   quella data le imprese vorrebbero poter assumere con contratti a termine senza vincoli e quindi con la libertà assoluta di fare quel che si vuole dei lavoratori e i loro diritti. Va aggiunto che contemporaneamente l'Assolombarda ha chiesto che per lo stesso periodo sia possibile applicare con deroghe, cioè non rispettare nei punti fondamentali, i contratti nazionali.


Tutto questo è giustificato con l'appuntamento dell'EXPO 2015 a Milano. L' Italia, secondo il sistema delle imprese, dovrebbe sfruttare al meglio quell'evento mondiale per creare occupazione al più basso costo possibile. 

Questa campagna di concorrenza sleale al lavoro nero è l'ultimo frutto marcio di diverse piante cattive, da trenta anni amorosamente coltivate.

La prima è la tesi che più il lavoro è flessibile e precario e più si crea occupazione. È questo il punto di vista classico della destra liberista in tutto il mondo. 

Secondo questa ideologia, se le aziende non assumono è perché la merce lavoro costa troppo. Se non si vuole che questa merce resti invenduta bisogna allora abbassarne il prezzo in salario e diritti, fino a che sia di nuovo conveniente acquistarla. 

Questo punto di vista ha orientato da trenta anni tutte le politiche del lavoro dei principali governi, compresi i nostri, ed è una delle cause fondamentali, assieme alla speculazione finanziaria, del perdurare e dell'aggravarsi della crisi. 

Infatti il lavoro precario non si aggiunge al lavoro più tutelato, ma lo sostituisce. Così si creano dei margini di guadagno per le imprese che però durano e producono poco; perché sono accompagnati da un impoverimento generale dei lavoratori, con la conseguente caduta depressiva del potere d'acquisto e da una caduta generale della produttività, perché le imprese preferiscono assumere lavoratori low cost piuttosto che investire un innovazione.

Alla fine del ciclo economico drogato dalla precarietà la situazione è peggiore che al suo inizio. Ma nonostante questo le classi dirigenti educate nei dogmi e negli interessi liberisti vanno avanti a coltivare la mala pianta della flessibilità. E se questa non produce frutti è perché non la si è ancora coltivata a sufficienza . E così ogni deregulation sul lavoro apre la via a quella successiva, e tutte non bastano mai.

La seconda pianta velenosa è il sistema economico delle grandi opere e dei grandi eventi. 

Dalle Olimpiadi di Torino, con il loro lascito di rovine materiali, debiti pubblici e disoccupazione di ritorno, alla Tav, al ponte di Messina, agli F35 e ora all'EXPO 2015 è sempre la stessa storia. 

Grandi investimenti per grandi opere civili o militari, giustificati nel nome dello sviluppo, dell'occupazione e dell'immagine internazionale del paese, che in realtà portano solo danni.

Perché si fanno allora, perché non si cercano altre strade? Perché come la precarietà del lavoro, le grandi opere producono lauti profitti a breve sia per gli imprenditori che ci investono, sia per i politici che le sostengono. Profitti materiali e di immagine che sono sempre sempre pagati da tutto il paese.

E qui troviamo la terza mala pianta. 

La campagna delle imprese per la precarizzazione del lavoro segue la scia di una conferenza congiunta del governo, del sindaco di Milano e del presidente della Lombardia, che assieme hanno esaltato la grande occasione della fiera del 2015. E il Presidente della Repubblica si è subito affrettato a benedire, come con gli F 35. 

Ancora una volta di fronte ad una scelta vera si manifesta il pensiero unico di gran parte della classe dirigente politica, in tutte le sue articolazioni comprese le opposizioni di sua maestà della Lega e di SEL. Tutti d'accordo proprio là dove invece sarebbe indispensabile ricercare e costruire delle alternative, ma questo non è solo un male dei politici.

Quante volte in questi mesi abbiamo sentito le imprese manifatturiere accusare le banche, le piccole aziende litigare con le grandi, l'imprenditoria privata recriminare contro la cooperazione. Ora i loro rappresentanti sono tutti assieme a chiedere piena libertà di sfruttamento del lavoro. 

CGIL CISL UIL oggi criticano, più o meno, la proposta delle imprese, ma sostanzialmente chiedono solo un tavolo dove evitare le esagerazioni. Ma se flessibilità e grandi opere sono cose buone perché limitarle, e se invece sono cattive perché continuare con esse?

La questione di fondo sta tutta qui, sta nella subalternità e nell'obbedienza della classe dirigente politica, imprenditoriale e sindacale verso un modello liberista che viene presentato senza alternative, quanto più invece trovare un'alternativa ad esso diventa indispensabile.

Flessibilità del lavoro a tutti i costi, politica delle grandi opere, classe dirigente incapace di qualsiasi vera rottura con il liberismo, questi sono tre mali profondi del paese, mali che aggravano la crisi e si manifestano ad ogni evento.

Così l'EXPO 2015, dedicata ad uno sviluppo sostenibile, diventa la fiera dello sfruttamento insostenibile del lavoro, diventa la vetrina mondiale della precarietà. 

Proviamo a farla fallire.