sabato 23 novembre 2013

GENOVA: Respingere accordo truffaldino, continuare la lotta. Il sindaco Doria di SEL è nemico dei lavoratori

CONTROPOTERE! 
Milano 24.novembre 2013


A Genova il sindacato collaborazionista sta svendendo la lotta autonoma dei tranvieri contro la privatizzazione della società di trasporto urbano ( AMT). Questa sera i sindacati hanno firmato un accordo capestro e truffaldino che lascia aperta la strada della privatizzazione a partire dal 2015 e di fatto vanifica la lotta durata cinque giorni per difendere il principio della gestione pubblica dei servizi di interesse collettivo e i diritti acquisiti dei lavoratori. Hanno voluto chiudere in fretta e furia una vertenza di carattere prevalentemente politica, perché stava diventando eversiva ed ingestibile. Sindacati confederali, autonomi e di base erano stati di fatto esclusi dalla gestione politica di questo scontro sociale che andava e va al di là della situazione genovese. Stavano per entrare in lotta a fianco dei lavoratori autoferrotramvieri, anche i portuali e altri settori dei servizi e del pubblico impiego. Il Comune di genova, la Regione Liguria e lo Stato ( attraverso il prefetto) hanno temuto e temono la contaminazione di questa lotta con altre realtà, per cui hanno fatto di tutto per contenerla e fermarla. Di fatto hanno costretto il sindacato ad organizzare un'assemblea per l'approvazione o il respingimento di un accordo sottoscritto rapidamente e in modo superficiale da Comune e sindacati che di fatto rinvia al 2015 la privatizzazione del trasporto pubblico locale e non garantisce i diritti acquisiti dai lavoratori dopo decenni di lotte. La votazione alla fine dell'assemblea é stata truffaldina e volgare. Il metodo seguito è stato inusuale ed originale, nonché truffaldino e mascalzonesco: chi acconsentiva alla sottoscrizione dell'accordo si doveva mettere da una parte, chi era contrario dall'altra. I voti poi non si sono contati, ma a vista si è stabilito che erano a leggera maggioranza i  favorevoli. Naturalmente questa truffa ha scatenato le giuste proteste dei lavoratori che richiedevano a gran voce il conteggio dei voti, anche perchè non era affatto chiaro il risultato. Lo scarto tra favorevoli e contrari non era affatto evidente. Tra i favorevoli c'erano parecchi individui estranei ai lavoratori come risulta da testimonianze in nostro possesso. A questo punto é chiaro che la lotta contro le privatizzazioni a Genova come nel resto d'Italia non è affatto conclusa e dovrà proseguire a partire da quanto è successo stasera a Genova. L'ACCORDO NON DEVE ESSERE RITENUTO VALIDO e la lotta continuerà in forme e modi nuovi. Il fronte della mobilitazione va ampliato e ci si dovrà muovere al di fuori delle burocrazie sindacali confederali e della FAISA- CISAL. NON SI DOVRA' rispettare la legge 146 che regolamenta il diritto di sciopero e non si deve temere la ritorsione del sistema, a cui si dovrà far fronte con la solidarietà proletaria e con l'estensione della mobilitazione ad altre categorie di lavoratori che lottano per spezzare il blocco dei salari, per combattere la precarietà e per respingere l'attacco ai diritti acquisiti e alle pensioni. Con l'unità dei lavoratori e con la mobilitazione generalizzata si può ancora fare dei passi in avanti e modificare a nostro favore i rapporti di forza per creare le condizioni di una lotta ancor più avanzata per l'abbattimento di questo sistema capitalistico e del suo stato, per la costruzione di una società liberata dal lavoro salariato: La società comunista. 

Reddito Minimo: Pd, Sel e 5 stelle, la maggioranza c'è allora usiamola!

 MARIA PIA PIZZOLANTE .  dal "manifesto" dl 23/11

 Presidente dell'associazione Tilt!, ch e nell'aprile scorso ha presentato alla camera, insieme a più di 160 associazioni, oltre 60mila firme sulla proposta di legge sul reddito minimo garantito 

La storia sembra non insegnare nulla. Le classi dirigenti utilizzano la «non prontezza» della società per rimandare delle riforme che la stessa società richiede, ma che fanno paura proprio a loro, ai poteri forti. Accadde anche negli anni Settanta quando si pensava così di evitare per esempio le leggi su divorzio e aborto. Accade anche oggi, nel 2013, quando si parla di uno strumento come il reddito minimo garantito, presente in tutta Europa, tranne che in Italia e Grecia (guarda caso), che il Parlamento europeo ci chiede dal 1992, che abbiamo proposto con una legge di iniziativa popolare accompagnata da oltre 60.000 firme, che tre partiti politici hanno presentato seppur con delle differenze. Eppure i detrattori parlano ancora di utopia, le forze politiche che siedono in Parlamento non lo utilizzano, come si dovrebbe, per ribaltare questa tremenda legge di stabilità. «Non ci sono le risorse, mancano le coperture». «Non si può fare nulla per l'economia, ci sono i parametri dell'Europa». È il mantra per non fare niente. È il mantra che copre un'ipocrisia gigantesca e insopportabile di chi sta in questo governo. Perché le risorse vanno distribuite e ridistribuite a maggior ragione in un paese in cui il 10% delle famiglie detiene il 50% della ricchezza totale, in un paese in cui si spendono 70 milioni al giorno e 26 miliardi di euro l'anno nel settore militare (fonte Sipri), in un paese in cui i manager della pubblica amministrazione sono i più pagati dell'area Ocse. Succede che per la prima volta in Parlamento giacciono ben tre proposte di legge sul reddito minimo garantito, sono tre proposte di tre forze politiche che disegnerebbero l'altra maggioranza possibile e mai voluta: Pd, Sel e M5S. Già ad aprile, quando consegnammo le firme, ad accoglierci trovammo parlamentari di questi tre partiti, che ci promisero, senza dar seguito alle promesse, di creare un intergruppo. Perché non si è fatto e perché non si farà è presto detto. Ci sono le larghe intese e a farla da padrone sono ancora le proposte del Pdl; le mani in tasca si possono mettere solo alla povera gente; i grandi interessi, i grandi patrimoni, le grandi rendite e le maxi pensioni non si possono toccare. Per questo, caro Fassina e cari cittadini a 5 stelle, non è possibile discutere di reddito minimo garantito. Perché significherebbe mettere la parola fine a questo governo e forse anche a questa legislatura, che però almeno passerebbe alla storia per aver dato all'Italia uno strumento per ripartire davvero. Ma forse questo non è nell'interesse di nessuno dentro i palazzi ma di una enorme maggioranza fuori, una maggioranza che sotto la pressione della povertà, dell'assenza di futuro, della frustrazione di non sentirsi nemmeno più cittadine e cittadine prima o poi vi presenterà il conto di questi mesi di inutili battibecchi e parole da talk show, utili solo a dar l'idea che tutto cambi per non cambiare nulla. Ci propongono una legge di stabilità nel momento in cui si dovrebbe dare uno scossone a questo paese. Si riempiono la bocca di proclami per i giovani e li lasciano fuggire, daranno vita a liturgie stanche per la giornata contro la violenza sulle donne senza liberarle davvero, mentre ci sarebbe uno strumento rivoluzionario per liberare tutti e tutte dai ricatti quotidiani, del lavoro e della vita, per ridistribuire ricchezze e potere, per rivoluzionare un welfare che promuova le persone e le loro opportunità, ne riconosca l'autonomia di scelta professionale, intellettuale e artistica. Noi continueremo a pretendere reddito e chiarezza, verremo a chiedervelo con i nostri corpi fin sotto le stanze in cui vi chiudete dimenticando la vita vera. Perché del reddito minimo garantito sentiamo l'urgenza, oltre che la necessità. E se Casaleggio, si può permettere di aspettare, la vita no, quella non aspetta! Per questo vi chiediamo di anteporre i diritti dei cittadini e delle cittadine di questo paese a qualsiasi interesse particolare e di dimostrarci attraverso l'approvazione del reddito minimo garantito che la politica esiste ancora e non è subalterna alle botteghe e alle poltrone.


venerdì 22 novembre 2013

Genova. Appello di solidarietà ai lavoratori in lotta e in sciopero

Comitato Di Lotta Frosinone


Carissimi lavoratori e lavoratrici, oggi uniti idealmente contro la svendita dei servizi degli enti locali, per ribadire dignità e futuro ai territori, alla popolazione.


Non possiamo per ora fare altro che solidarizzare con tutti coloro che si stanno opponendo alle privatizzazioni previste a Genova e partecipiamo idealmente alle manifestazioni in atto nella città, volte alla difesa del diritto al lavoro, al salario, ai servizi pubblici.

Anni fa i lavoratori scriventi, dopo un percorso di precariato decennale, di durissime lotte. sono riusciti a imporre la costituzione di una società pubblica che fornisse servizi e stabilizzasse lavoratori, per salari sempre e comunque bassi. Nel 2011, dopo appena 60 mesi dalla stabilizzazione in società pubblica, la società veniva messa in liquidazione e, dopo due anni, nell’aprile del 2013 chiusa, licenziando tutti, 270 persone. - Nell’ultimo anno si sono persi il salario, il posto di lavoro, la società ed ora ci si avvale dell’ASPI fino a febbraio (o giugno) del prossimo anno…

Gli enti locali protagonisti, il Comune di Frosinone, di Alatri e l’ente provincia in questi lunghi 17 anni avranno messo mano al portafogli forse tre anni in tutto, e nonostante questo risparmio hanno liquidato l’esperienza della società pubblica per trasferire in mano ai privati tutti e 21 servizi che svolgevamo (verde, scuolabus, manutenzione, musei, biblioteche, custodia strutture pubbliche, asili nido, strisce blu, viabilità, uffici ecc.) . La stragrande maggioranza dei lavoratori non si sono piegati alla logica della privatizzazione e del taglio del 40% del salario (da 800 a 500 euro con contratti a tempo determinato!!!)

Da mesi siamo in lotta con gli enti. Sei mesi di sit in sotto il comune di Frosinone, manifestazioni, occupazioni, presidi alla regione. Abbiamo protestato in ognuno dei 26 consigli comunali di Frosinone. Abbiamo redatto un piano industriale per una nuova società pubblica e lotta dopo lotta abbiamo rimesso in piedi le disponibilità degli enti: manca uno solo all’appello, quello decisivo per ruolo e risorse, il comune di Frosinone.

Siamo stanchi, alcune volte perdiamo la speranza, ma non ci tiriamo indietro, nonostante la desolazione occupazionale e di risorse che ci attornia in questa parte d’Italia che precipita velocemente verso la miseria assoluta. 

Sappiamo che in altre parti stanno avvenendo le stesse cose, le politiche di impoverimento sono complessive. Vi esortiamo a tenere duro, a difendere le politiche pubbliche, le risorse di tutti, i servizi, attraverso la lotta per il lavoro e contro le privatizzazioni. Genova è da esempio per noi, è di sostegno alle apparenti piccole crisi locali dove migliaia di persone sono oggi impegnate con propri e scarsi strumenti alla difesa del servizio pubblico contro la svendita.

Vi pensiamo, vi sosteniamo. Dobbiamo capire che siamo tutti nella stessa barca che colpo dopo colpo sta affondando definitivamente.

Un abbraccio a tutti coloro che lottano e che difendono ancora la dignità dei propri territori.


Per i lavoratori della Frosinone Multiservizi in lotta Paolo Iafrate (mobile 339-3848905)

L'occupazione del tetto del Comune di Frosinone a luglio 2013.

Dall’Accordo di programma parte la sfida a tutta la nostra comunità

Giuseppina Bonaviri

Il dibattito alla Luiss di Roma sull’economia del Lazio, di un paio di giorni fa, ha messo nella giusta luce le prospettive della nostra regione e delle realtà provinciali ridimensionando i contenuti ottimistici di un dossier pubblicato in precedenza. Gli effetti della crisi e le limitatissime possibilità di attingere alla finanza pubblica rendono estremamente critica la condizione della popolazione, in particolare nelle province. Da questa constatazione deve essere sollecitata la migliore riuscita di qualunque iniziativa imprenditoriale come di tutte quelle che riguardano percorsi di solidarietà sociale.
E’ questa la ragione per la quale bisogna, ora, guardare con estrema attenzione ed auspicare il più sollecito percorso all’Accordo di programma stipulato, diciotto mesi fa, a livello provinciale.
Ne ho parlato con il Commissario Straordinario della Provincia Giuseppe Patrizi che, seppur in modo più misurato rispetto a quanto divulgato nel dossier, ha confermato le prospettive che si aprono per il nostro territorio purché vengano fino in fondo colte le opportunità offerte dall’Accordo.
Emerge con chiarezza che l’Accordo di programma Frosinone- Anagni- Fiuggi, che utilizza gli strumenti riservati alle aree di crisi complessa per rilanciare la reindustrializzazione di molti comuni locali - siglato 2 agosto 2013-, sta procedendo finalmente come un progetto pilota dopo trent’anni di controverso sviluppo territoriale.
L’accordo di programma riguarda 31 comuni dell’area nord dove si trovano mille addetti d’imprese a rischio chiusura.
Il lusinghiero risultato raggiunto (il nostro territorio è uno dei tre soli vincitori di una selezione fra 148 domande presentate, dalle diverse amministrazioni locali ed imprese, al Governo) premia anche il metodo usato nella costruzione dell’Accordo. Esso è scaturito dopo un lungo lavoro di consultazione e coinvolgimento, guidato dalla Provincia, con le associazioni sindacali ed imprenditori tra cui non sono mancati confronti con i lavoratori della realtà da lungo tempo in crisi come dell’ex VDC.
Al termine di questo percorso ci sono state 160 manifestazioni di interesse- il 90% da parte delle aziende che producono già dalle nostre parti- e su queste manifestazioni è impegnata, al momento, una Commissione tecnico-operativa già riunitasi in cinque occasioni presieduta dalla Provincia, dal Comitato di sviluppo, da un rappresentante del Ministero dello Sviluppo Economico e da Invitalia ed in procinto di emettere l’avviso pubblico per l’inizio del nuovo anno. Un ulteriore motivo di speranza è dato dalla partecipazione di società multinazionali che si sono dichiarate interessate allo sviluppo di diversi settori produttivi ciociari.
Il progetto ha una dotazione finanziaria di 100 milioni di euro, per due terzi finanziati dalla Regione Lazio, in gran parte già stanziati e in parte in programma nel 2014. La strada tracciata è buona anche perché parallela al piano “destinazione Italia” del Governo Letta.
Non tutto è compiuto: vi sono due questioni a cui dobbiamo però dare risposta.
Una prima riguarda cosa si prevedere per l’area sud della provincia, quella in cui insiste la Fiat e non solo.
La seconda questione, che coinvolge sia l’area nord che l’area sud, è la necessità di esplicitare il modello specialistico a cui si rifà il nostro territorio. In altri termini occorre  ragionare su come favorire la realizzazione di filiere fra case madri e fornitori e da qui come creare quelle reti di imprese da estendere anche oltre. Per l’Italia questo appare, attualmente, il modello vincente in quanto capace di coinvolgere anche le più piccole imprese altrimenti a rischio. Non tutti i settori sono nella possibilità di creare filiere e reti che, tra l’altro, dipendono anche da quanto già c’è sul nostro territorio.
Ci pare che, a questo punto, la stampa locale potrà avere un ruolo importante potendo rappresentare il contenitore di qualificati pareri sull’attuale processo di sviluppo e per capacità di impresa ad accettare la sfida del mercato che va oltre i confini nazionali. Le forze sindacali lo stanno chiedendo da tempo dimostrandosi seriamente interessate allo sviluppo complessivo e non solo a quello di più ristretto interesse localistico.
Frosinone cantiere della ripartenza dell’Italia?
Ce lo auguriamo ed auspichiamo, per tutti noi, una seria innovazione che partendo dalle tecnologie verdi a basso impatto ambientale guardi alla città intelligente dove si concentreranno maggiormente  le attività umane quelle che rimango al centro dell’interesse del nostro movimento indipendente.

Genova: Controcorrente chiede una mobilitazione generale



Serve una mobilitazione generale della città
Su occupazione, salario, servizi si apra col Governo una ‘vertenza Genova’
A Genova la rabbia dei lavoratori dilaga. Da una parte c’è lo spettacolo indecoroso offerto dal Comune (e dalla Regione). Ma la radice dei problemi è rappresentata dalle politiche di austerità richieste dall’Unione Europea e portate avanti dal Governo PD-PDL. Genova oggi è diventata l’epicentro di tensioni legate a scelte locali e nazionali. L’ILVA, il riaffacciarsi della privatizzazione di Fincantieri e il tentativo di vendere Ansaldo. Il Governo taglia i fondi e a Genova Doria e il PD rispondono cercando di regalare le aziende ai compagni di merende, come a Firenze e a Torino e con gli esuberi al Carlo Felice.
La solidarietà alla lotta dei lavoratori è doverosa, ma non basta. Per risolvere un intreccio di problemi ormai esplosivo o si apre una ‘vertenza Genova’ col governo nazionale e gli enti locali per definire politiche e risorse adeguate oppure si adotta il metodo dello struzzo prediletto da Doria, coi risultati che vediamo. Il sindaco è riuscito a unificare lavoratori di aziende diverse, studenti, tassisti, comuni cittadini sotto la bandiera della lotta per la sopravvivenza e la dignità. Il sindacato deve decidere se raccogliere questa bandiera e lanciare una mobilitazione generale della città a difesa dell’occupazione, del salario, dei servizi pubblici oppure fare la stampella di questa politica. Oggi a De Ferrari c’era più gente e soprattutto molta più voglia di esserci e di lottare che una settimana fa allo sciopero generale di CGIL CISL e UIL. Vorrà dire qualcosa?

Simone Solari, autista AMT, racconta la lotta dei tranvieri genovesi, spiega la ragioni dei lavoratori e che cosa ha prodotto la privatizzazione di dieci anni fa. Per ascoltare l’intervista clicca sul link

AMT Genova una sporca storia di privatizzazione

a cura di Luciano Granieri

 Uno degli obbiettivi principali dei tagli  ai servizi sociali imposti dalle politiche di austerità è quello di regalare a multinazionali e grandi aziende private attività, quali l’erogazione e la gestione di servizi  indispensabili alla sopravvivenza,  da cui trarre enormi profitti. Non è un caso che il governo Letta stia apparecchiando la vendita a privati di aziende fondamentali per l’industria italiana.   

Ma il sistema ordito dalle istituzioni finanziarie europee, miete vittime soprattutto a livello di amministrazioni locali. Il patto di stabilità per gli enti locali è un altro vincolo criminale imposto dalla dittatura capitalistico-finanziaria, per cui un comune, una regione,  non possono spendere denari, pur avendoli in cassa,   per assicurare servizi ai cittadini o provvedere alla cura e alla manutenzione del territorio.  Ovviamente l’ente può tornare a disporre dei propri fondi per riparare a disastri ed emergenze. 

Il paradosso della tragedia della Sardegna è che i comuni non avrebbero potuto investire nella manutenzione del territorio, cercando di prevenire il disastro,  ora invece sono costretti a spendere  molte più risorse,   di cui magari non dispongono,   per riparare ai danni   e ai drammi compiuti dall’alluvione.  Qui sta  la criminalità di queste dinamiche. Investire per prevenire sciagure e vittime, pur costando meno è vietato, mentre dover sborsare quantità molto superiori per ricostruire interi insediamenti devastati dall’alluvione è evidentemente necessario.

Pur nella sua crudezza la logica è semplice.  La cura del territorio non è una affare che fa gola alla speculazione privata,  la sua  svendita ,il suo consumo indiscriminato a colpi di cementificazione selvaggia    uniti ai programmi di ricostruzione sono invece    attività molto più interessanti per le imprese private e dunque degne di essere perseguite a scapito dei cittadini .  La strategia   ha l’obbiettivo  di  rendere il servizio pubblico sempre meno efficiente per giustificare la sua dismissione a favore dei privati.  

Di queste storie sono piene le cronache di molti comuni italiani. Frosinone è uno dei tanti. La vicenda della Multiservizi, una società  in house i cui soci erano i  comuni di Alatri e Frosinone, la provincia di Frosinone, impiegava addetti per la cura del territorio e per assicurare  ai cittadini servizi essenziali, come lo scuolabus, la manutenzione di parchi e giardini e del cimitero. Dopo anni di sperpero di denaro pubblico finalizzato al pagamento di esorbitanti emolumenti a favore di dirigenti, più numerosi degli stessi operai , la società è stata posta in liquidazione e l’erogazione dei servizi assicurati dall’ente , è stata appaltata a ditte private con un aggravio dei costi per la comunità. 

La Corte dei Conti aveva espresso un parere in base al quale il comune di Frosinone avrebbe risparmiato denari  assumendo direttamente i lavoratori, piuttosto che privatizzare i servizi da loro assolti. Le stesso scenario si sta riproducendo a Genova per la AMT, l’azienda che si occupa del trasporti pubblico in città. Da giorni è in corso la lotta dura ed ad oltranza dei dipendenti per evitare che il sindaco Doria torni a privatizzare  l’attività . Infatti l’AMT  è già stata privatizzata, ma a seguito della mala gestione e della lotta di lavoratori e cittadini, è tornata pubblica. 

Ora ci stanno riprovando di nuovo a togliere un bene essenziale dal controllo pubblico.  Allo scopo di fornire un quadro più esaustivo su quanto è avvenuto e quanto sta avvenendo in merito a questa vicenda, pubblichiamo l’articolo che segue dal titolo “AMT non è bastata una privatizzazione?”.  Il contributo  redatto da Simone Solari è stato già pubblicato su Aut il 20 novembre dell’anno scorso, proprio allo scopo di mettere a confronto la vicenda Multiservizi  con quella della AMT.  Rignrazio marco Veruggio dell’associazione Controcorrente per aver messo a diposizione l’articolo

Luciano Granieri

-----------------------------------------------------------------------

AMT. Non è bastata una privatizzazione?

Di Simone Solari

AMT è l'azienda comunale che gestisce il trasporto pubblico locale a Genova. Originariamente AMT significava Azienda Municipalizzata dei Trasporti.  Nel 2004 la Giunta di centrosinistra con a capo il sindaco Giuseppe Pericu (allora DS oggi PD) decide di privatizzare l'Azienda (primo caso a livello nazionale) 'per evitarne il fallimento' a causa di un buco finanziario di 15 milioni  di euro. Prima di effettuare la gara da AMT (diventata Azienda Mobilità e Trasporti) viene scorporata AMI (meccanici e amministrativi), una bad company al 100%  del Comune di Genova, con in pancia il deficit della vecchia società. I francesi di TRANSDEV (società al 100%" della Cassa Depositi e Prestiti francese, dunque pubblica)  pagano 22,5 milioni di euro per rilevare  il 41% di AMT. Il primo intervento dei nuovi  soci consiste nel tagliare le linee 'improduttive' (ad es.: ultima corsa della metropolitana alle 21 invece che alle 24). Successivamente vengono aumentate le tariffe: biglietto a 1,5o euro, all'epoca il biglietto più caro d'Italia, altro record nazionale).
Insomma il servizio peggiora ma costa di più. Non soddisfatti del risultato passano alla fase successiva: I'attacco ai lavoratori. L'Azienda propone un piano industriale che prevede 4oo-5oo esuberi gestiti attraverso l'introduzione di ammortizzatori sociali e I'accompagnamento alla pensione per una parte di loro e il taglio delle linee di 3,5 milioni di chilometri. Significativa l'introduzione della cassa integrazione (mai utilizzata nel settore e neanche prevista dal contratto nazionale, anche in questo caso Genova è all'avanguardia...) in deroga, con la possibilità che la Regione Liguria versi anche I'integrazione fino al 100%  dello stipendio. AMT, l'allora sindaco Marta Vincenzi e l'assessore regionale del PdCI Vesco (che non riesce a trovare i soldi per il trasporto pubblico, ma li trova per la cassa in deroga e I'integrazione al 100%), ci spiegano, ancora una volta, che questo è I'unico modo per'salvare l'Azienda'. Il sindacato ( la FAISA CISAL è il primo per numero di iscritti, seguono CGIL, CISL, UIL e UGL), dopo aver firmato un preaecordo, si trova di fronte alla reazione dei lavoratori, che, appena gìunta nelle rimesse la notizia della firma, lanciano un'assemblea autoconvocata chiedendo ai propri rappresentanti sindacali di venire a spiegare le ragioni per cui lo hanno sottoscritto. D li nasce un comitato per il NO all'accordo (prontamente ribattezzato'i falchi di AMT' dalla
stampa cittadina), i cui esponenti intervengono nelle assemblee per spiegare ai colleghi per quale motivo bisogna respingere I'intesa.

La Federazione PRC  di Genova, gestita all'epoca da una maggioranza di sinistra produce volantini e un pieghevole  a 4   pagine per spiegare nel dettaglio l’accordo, i suoi punti  deboli e le sue incongruenze, facendo delle  proposte alternative per intervenire su AMT senza tagliare il servizio e le retribuzioni dei dipendenti. Il materiale viene distribuito in tutte le rimesse e ai principali capolinea, suscitando la reazione dei sindacalisti, che criticano aspramente le posizioni di Rifondazione nel corso delle assemblee preparatorie del referendum. Ma alla fine la FAISA fiuta il clima, capisce che l'accordo rischia  di essere bocciato e ritira la firma, seguita a ruota dagli altri sindacati. A seguito di una nuova trattativa viene varata una nuova intesa, anch'essa pesante, ma in cui i numeri si riducono significativamente: 220 lavoratori in cassa  e 1,5  milioni di chilometri i tagli alle linee. Il sindacato ottiene 5mila ore  di permessi sindacali per due anni e un più che vantaggioso accordo sulla ricostruzione di carriera per i sindacalisti che rientrano in AMT (in azienda non c'è una RSU, ma ci sono una quindicina di esentati). Il passaggio successivo è l'arrivo di RATP (società che gestisce il trasporto pubblico a Parigi) al posto   di TRANSDEV. Nel frattempo - come ho scritto - era cambiato anche il sindaco (da Pericu a Vincenzi) ma l'azienda continua comunque a denunciare buchi di bilancio. Dopo pochi mesi, RATP, scottata dalla bocciatura del piano industriale originario e dalle continue difficoltà create dalla resistenza dei lavoratori e dei cittadini (infatti si erano costituiti diversi comitati spontanei contro i tagli alle linee nei quartieri periferici) abbandona Genova. Possiamo dire quindi che AMT è stata ripubblicizzata dalla resistenza dei lavoratori e degli utenti. Alla fine anche la Corte dei Conti trae un bilancio della privatízzazione, riconoscendo  che essa ha provocato una perdita di 70milioni  di euro al Comune, mentre la magistratura ordinaria condanna I'ex sindaco Pericu a pagare 450mila euro di danni. Inoltre vengono scoperte irregolarità nella redazione dei bilanci 2006 -2009 e il Comune infligge a RATP una multa di 85mila euro per la 'cattiva gestione' dei mesi a suo carico e rifiuta di pagare 2,5 milioni di euro, che avrebbe dovuto versarle a titolo di'consulenze .   Ma, secondo le clausole dell'appalto del 2oo4, entro gennaio il Comune dovrà versare comunque a RATP 22,5 milioni versati da TRANSDEV all'atto della gara. Dunque per i privati AMT è stato un investimento a rischio zero e a profitto garantito (3 milioni all'anno incassati appunto come'consulenza'...).

Quando i francesi si ritirano da AMT Genova è, di fatto, già in campagna elettorale. Il trasporto pubblico è un tema portante della campagna dei candidati sindaci. Marta Vincenzi, sindaco uscente, viene sconfitta alle primarie da un candidato 'arancione' presentatosi come 'innovativo' e che, ancora un mese dopo la sua elezione a sindaco, dichiarava: 'AMT è un'azienda malata, ma non'credo possa dare risultati I'approccio che potrebbe avere un privato: dobbiamo puntare all'efficienza e al controllo dei costi, ma nella logica del servizio pubblico!  Tuttavia il primo atto di Marco Doria, sindaco di sinistra', sul trasporto pubblico è la presentazione di una delibera che prevede riduzione del costo del lavoro e una nuova privatizzazione di AMT, per 'salvarla dal fallimento' (le stesse e identiche parole di Pericu). Per 20 anni ci è stato detto che privatizzazioni e liberalizzazioni avrebbero determinato un miglioramento della qualità dei servizi pubblici  e una diminuzione delle tariffe. Oggi possiamo dire che non c'è un solo caso  in cui questa previsione si è verificata. Non c'è maggiore concorrenza, ma grandi monopoli che controllano quote di mercato assistito incamerando milioni di euro di risorse pubbliche ed esercitando uno strapotere assoluto nei confronti degli enti locali. Le privatizzazioni  sono state un fallimento. AMT 1o dimostra ed è per questo che non smetteremo di lottare a difesa del servizio pubblico: fuori i privati e dentro lavoratori e cittadini

giovedì 21 novembre 2013

Il nuovo premier Carlo Cottarelli

Luciano Graneri


Ieri  sera, nella trasmissione otto e mezzo condotta da Lilli Gruber su La7, si è presentato agli italiani il Dott. Carlo Cottarelli. L’uomo incaricato dal presidente del consiglio Enrico Letta e dal ministro per l’Economia Saccomanni, di occuparsi della “spending review”. Cioè quel programma, lacrime e sangue,  impostoci dell’unione europea che prevede  attraverso tagli alla spesa pubblica,  privatizzazioni e dismissioni di beni  della collettività, l’ennesima e definitiva liquidazione dello stato sociale, l’ultimo atto di rapina al popolo dei lavoratori e della gente comune per foraggiare rendite e patrimoni privati. Questa volta, il governo Letta-Napolitano,  non avrebbe potuto scegliere uomo migliore.  

Dopo le sciagurate investiture di ministri inetti- come il titolare degli interni Alfano, il quale non si è accorto che polizia e servizi segreti kazaki  gli stavano soffiando da sotto il naso  la moglie e la figlia di un dissidente ricercato in Kazakistan - e della Cancellieri, ministra di giustizia che intrattiene rapporti stretti con famiglie mafiose, le quali hanno  mani in pasta in ogni tipo di affare losco e sporco nel campo dell’alta finanza, degli affari  e dell’edilizia, finalmente l’incarico all’uomo giusto.

 Infatti   le capacità professionali del dott. Cottarelli sono  ineccepibili.  Carlo Cottarelli, laureato in economia presso l’università di Siena e alla London School of  Economics, ha  lavorato  presso il fondo monetario internazionale dal 1988. Dal 2008 ha ricoperto l’incarico di direttore del dipartimento affari fiscali dell’FMI.  E’ stato l’inflessibile controllore della corretta applicazione dei programmi imposti dal fondo monetario internazionale a diversi paesi ridotti sul lastrico. 

Si è occupato di affamare i popoli dell’Albania, della Croazia, dell’Ungheria, del Libano, della Serbia, del Tajikistan della Turchia. Ha seguito passo passo   le ex Repubbliche Socialiste Sovietiche , come consulente FMI, nella disastrosa transizione verso il mondo capitalistico. Raccomandato direttamente da  Christine Lagarde, che si è anche rammaricata delle sue dimissioni dal fondo,   Cottarelli sarà sicuramente  in grado, senza troppa fatica,   di progettare un po’ di tagli e privazioni per i suoi connazionali! 

Il progetto messo in campo  è più che ambizioso. Prevede risparmi  sulle spese pubbliche   nel  biennio 2014-2016  per un importo  pari a 2 punti percentuali di Pil rispetto al 2013, circa 30 miliardi,  euro più, euro meno. A questo si deve aggiungere, nel 2015,   il finanziamento  della prima tranche di spesa  per  ridurre di un ventesimo  le eccedenze del debito rispetto al Pil, imposta dal Fiscal Compact, un’atra quarantina di miliardi circa. 

Con questi programmi, il ricorso del nostro Paese alle cure del FMI, organismo da cui Cottarelli proviene, sarà inevitabile, e  la vigile  sorveglianza dell’ex dirigente del Fondo Monetario è una garanzia   certa che ciò avverrà .  Gli scenari greci probabilmente diventeranno triste realtà.  

Un’altra grande dote del dott.Cottarelli  è l’indubbia chiarezza e amore per la verità. Quando la Gruber ha chiesto se un eventuale caduta del governo Letta avrebbe causato la sue automatiche dimissioni da  commissario per la spending review,  l’illuminato economista ha riposto che il suo incarico durerà   tre anni indipendentemente dal governo che sarà  in carica, per cui svolgerà la sua funzione per  il periodo di tempo stabilito senza curarsi minimamente di chi sia, e cosa voglia fare,  l’inquilino di palazzo Chigi.  

Queste semplici e franche parole, liquidano in un sol colpo tutte le faccende legate alle beghe del governo e del Parlamento.  E’ del tutto inutile dannarsi per capire chi sarà il nuovo segretario del Pd se questi, ammesso che vinca Renzi, potrà cambiare l’agenda dei governo. Non ha senso capire se la diaspora  berlusconiana è vera o è l’ennesimo escamotage del cavaliere per rimanere in sella ed evitare la galera.  A che serve discutere sull’opportunità  della Cancellieri di dimettersi, sulla tenuta del governo Letta. 

A determinare la nostra sorte comunque  sarà lui e solo lui, il dott.Cottarelli  e chi lo sostituirà dopo il termine del suo mandato.  A decidere dei nostri destini, per dirla con maggiore chiarezza, sarà, o meglio  già è,  lo scagnozzo di turno incaricato dal Fondo Monetario Internazionale.  Sarebbe il caso di rendersene conto e di capire chi sono veramente i colpevoli del nostro disastro sociale.  E’ fondamentale  andare oltre lo squallido teatrino della politica nostrana  e affrontare il vero problema,  la dittatura del regime capitalistico finanziario. 

Sono i Cottarelli i veri nemici, sono loro da combattere, insieme ovviamente a tutto l’apparato che vede i politicanti   fedeli esecutori degli insani progetti di  spoliazione della classe lavoratrice, della gente comune che ogni giorno deve arrabattarsi per sbarcare il lunario. Prima lo capiremo e prima riusciremo ad interrompere questa perversa spirale, se non è già troppo tardi.

mercoledì 20 novembre 2013

Grecia Una sola via d'uscita dalla crisi

di Matteo Bavassano
Sono ormai tre anni che in Grecia siamo di fronte ad una situazione rivoluzionaria, si susseguono scioperi generali e manifestazioni, mobilitazioni di massa. Ma appunto per la lunga durata dei sommovimenti sociali, la situazione sembra stazionaria, non c'è al momento un'escalation positiva dell'organizzazione delle masse e nemmeno una radicalizzazione delle rivendicazioni tale da spingere queste stesse masse su di un terreno di lotta rivoluzionaria contro lo Stato e per la presa del potere, unica soluzione realistica alla crisi. Questa situazione di stallo rischia di prestare il fianco alla reazione borghese. Più che ad una diretta minaccia fascista, che pure esiste perché l'organizzazione di Alba dorata non è assolutamente da sottovalutare, ci sembra che il pericolo più immediato per le masse e le loro mobilitazioni sia dato dai partiti borghesi tradizionali che sono ora al governo della Grecia e che sembrerebbero intenzionati ad alimentare il clima di tensione nel Paese tramite le loro truppe fasciste per poi reprimere questi e la sinistra rivoluzionaria, ma non solo quella, per riuscire a normalizzare il Paese distruggendo il movimento di massa e terminando così i piani di spogliazione della Grecia voluti del grande capitale europeo e dai grandi capitalisti greci.
   
Attacchi fascisti e risposte “antifasciste”
Da mesi ormai le squadracce di Alba dorata sono passate dalle parole ai fatti, perseguitando in particolare gli stranieri, con vere e proprie retate nei quartieri multietnici e delle cacce all'immigrato, nonché aggressioni a militanti antifascisti e di sinistra, ma l'episodio simbolo, che ha scatenato una forte reazione delle masse, è stata l'uccisione del rapper di sinistra Pavlos Fyssas il 18 settembre: le manifestazioni antifasciste si sono legate allo sciopero generale del 23 settembre. In seguito alle proteste di massa lo Stato greco ha dovuto arrestare alcuni dei leader di Alba dorata, che però continua nelle sue attività grazie alla connivenza ormai ampiamente dimostrata con le forze dell'ordine ed ampie frange degli apparati statali.
Qualche giorno fa due militanti di Alba dorata sono stati uccisi in un agguato che è stato poi rivendicato dalle “Squadre rivoluzionarie popolari combattenti”, che sarebbero nate dalla fusione di alcuni gruppi terroristi già presenti ed attivi in Grecia. Ma è questo ciò di cui ha bisogno il proletariato greco? Possono questi gruppi rappresentare anche solo un rimedio all'avanzata della reazione? In realtà l'azione di questi gruppi terroristi è largamente dannosa per il movimento di massa: attualmente, il governo di Samaras sta cercando di far passare una legge contro gli "opposti estremisti" che reprimerebbe sì Alba dorata, ma al fine di distruggere le organizzazioni di sinistra e strangolare il movimento delle masse. In questo quadro ogni azione di terrorismo individuale serve solamente ad esasperare la situazione e a dare un'arma in più al governo: la difesa dai fascisti deve essere organizzata dalle masse, in quanto necessità insopprimibile della lotta contro il governo, l'austerità e il capitalismo, non da piccoli gruppi velleitari che fanno il gioco dei padroni, quando non sono direttamente infiltrati da provocatori dei servizi.
La soluzione all'impasse attuale è l'organizzazione del movimento delle masse 
Siamo ad una svolta critica: le mobilitazioni in Grecia stanno sì continuando, come dimostra l'ultima  manifestazione di 20.000 persone del 17 novembre per ricordare gli studenti repressi dalla dittatura dei colonnelli, ma dai sondaggi Alba dorata è in crescita. Se il movimento di massa non si organizza, non si dà una struttura democratica di lotta, se non sorge un partito veramente rivoluzionario, le mobilitazioni rischiano di andare scemando e di non reggere l'urto dei fascisti o della repressione statale sotto forma di “normalizzazione democratico-borghese”. È ormai chiaro a tutti coloro che vogliono vedere che Syriza non è in grado di dare una prospettiva reale alle masse, tanto più che sta ulteriormente rivelando il carattere moderato, riformista e quindi impotente del suo programma. La soluzione però non è certo quella terrorista, come già detto, ma la creazione di un forte partito rivoluzionario che possa promuovere la nascita e l'organizzazione di organismi delle masse in lotta. La nascita di un tale partito può maturare solo da settori del movimento sindacale e di masse critici verso la politica sempre più marcatamente socialdemocratica di Syriza, ed anzi per questo compito il disvelamento della vera natura dei dirigenti di questo partito potrebbe liberare uno spazio politico per guadagnare settori d'avanguardia al programma rivoluzionario.

10 DICEMBRE 2013 Giornata di mobilitazione in solidarietà con i migranti

Il 10 dicembre è la Giornata mondiale dei diritti umani. I diritti umani sono negati ai migranti, come dimostrano le migliaia di donne, uomini, bambini, in fuga dalla miseria e dalle guerre che, spesso, anziché trovare pace e accoglienza incontrano morte, carcere e persecuzioni.
Non dimentichiamo le centinaia di vittime di Lampedusa, così come ai tanti altri morti nel viaggio disperato verso le coste italiane, non dimentichiamo le responsabilità di chi finge cordoglio e, contemporaneamente, sostiene leggi e provvedimenti razzisti. Crediamo che la strage di Lampedusa sia una strage di Stato: uno Stato che rinchiude nei lager (ieri Cpt cioè Centri di permanenza temporanea, oggi Cie cioè Centri d'identificazione ed espulsione) migliaia di immigrate e immigrati in una condizione di ricatto; che li obbliga a condizioni di lavoro schiavistiche e fomenta atteggiamenti discriminatori e razzisti.
Il Coordinamento No Austerity promuove una giornata di mobilitazione nazionale in solidarietà con i migranti e invita organizzazioni politiche e sindacali, associazioni, comitati, singoli lavoratori e studenti ad organizzare per il 10 dicembre in ogni città una giornata di lotta per la cancellazione di tutte le leggi razziste.
Invitiamo ad aderire a questa giornata organizzando nelle varie città assemblee, volantinaggi, presidi, manifestazioni.
 
No Austerity - Coordinamento della lotte
 
 
Per info, per adesioni e per segnalare le iniziative che saranno programmate:info@coordinamentonoausterity.org
 

Post impopolare e senza cuore

Fabio Chinellato

No. Mi dispiace ma no.
Non voglio donare soldi per “un aiuto subito” alle vittime del nubifragio. Non voglio mandare nessun SMS “solidale” da 2 euro a nessun numero speciale.
E poi mi chiedo, di quei 2 euro che mando con un SMS (maniera estremamente rapida per pulirsi la coscienza e/o sentirsi solidali e utili) quanti arrivano effettivamente a destinazione? C’è una quota trattenuta dall’operatore per il servizio? Ci si paga l’iva? Ci sono altre tasse nascoste? Quanti se ne perdono per strada prima che arrivino effettivamente a chi sono stati destinati?
Non voglio “fare un gesto semplice ma che può cambiare molto”, come tra poco diranno noti esponenti dell’italico actor studio in pubblicità progresso sempre uguali, qualunque sia il tema.
Io voglio, pretendo, esigo, che i soldi delle mie tasse siano usati per prevenire le disgrazie.
Voglio che i soldi delle mie tasse vengano utilizzati per studiare i cambiamenti degli eventi atmosferici e capire che cosa sia “normale” e “prevedibile” a fine 2013, perché sono stufo di sentire tutti gli anni che “è stato un evento eccezionale”.
Voglio che i soldi delle mie tasse vengano utilizzati per preparare infrastrutture locali di regimazione delle acque in base alle caratteristiche del meteo del 2013, non del 1973.
Voglio che i soldi delle mie tasse vengano utilizzati per mantenere efficienti le infrastrutture per la difesa del suolo.
Voglio che i soldi delle mie tasse vengano utilizzati per una mappatura puntuale e aggiornata del territorio nazionale, metro quadro per metro quadro.
Voglio che i soldi delle mie tasse vengano utilizzati per evitare abusi edilizi e disprezzo delle leggi di protezione dell’ambiente, non per condoni edilizi.
Voglio che i soldi delle mie tasse non vadano in tasca a chi di sicuro lucrerà sulla pelle dei Sardi, e che ha già lucrato su quella di Liguri, Veneti, Campani e molti altri Italiani negli anni scorsi.
Non voglio che ci sia qualcuno, in questo paese, che abbia bisogno di ricevere soldi con un SMS.

martedì 19 novembre 2013

La rivoluzione per i diritti naturali dell'uomo

Luciano Granieri

Giustizia e carità sono principi   che ogni uomo deve rispettare, perché costituiscono la base dei diritti naturali della persona umana . Gli uomini liberi danno vita ad uno Stato non per annullare  i diritti naturali, ma per salvaguardarli . Se il governo non agisce in conformità con questi fini, il popolo ha il diritto di ribellasi e di abbatterlo. La ribellione  è appunto la garanzia del rispetto dei diritti naturali. 

Questi concetti sembrano attualissimi ma risalgono alla fine del ‘600. Si trovano scritti nel “Trattato sul governo” di John Locke. E’ la prima teoria della rivoluzione basata sull’appello alla ragione e i diritti degli uomini. Circa quattro secoli dopo il concetto di dritti naturali della persona umana si è  riqualificato  nella definizione più generale    di diritto all’esistenza che racchiude al suo interno  l’entità dei  beni comuni. Ossia quei beni  giuridicamente definiti come indispensabili per la  soddisfazioni dei bisogni fondamentali delle persone. 

Ovvero   , l’accesso all’acqua, al cibo, alla conoscenza ,da diffondere   anche con l’utilizzo della rete, ai farmaci essenziali, alla tutela del territorio. Come al solito la nostra Costituzione è illuminante anche su questa materia. L’art 43 infatti sancisce che  la gestione dei servizi pubblici essenziali sia da affidare a comunità di lavoratori o utenti. 

 Attualizzando il pensiero di   Locke, non solo è possibile ribellarsi ad un governo che non legifera per la  difesa   del diritto naturale all’esistenza  sancito dalla tutela dei beni comuni, ma è doveroso, perché la ribellione è garanzia del rispetto di questi diritti. 

E' obbligo civico  e indispensabile ribellarsi a quei governi che hanno favorito la privatizzazione dell’acqua, che,  imponendo le regole ultraliberiste,  hanno concesso mano libera alle multinazionali in materia di imposizione di copyright sui semi genericamente modificati, sullo sfruttamento intensivo dei terreni agricoli, privatizzando di fatto la filiera agroalimentare, hanno consentito alle stesse multinazionali di speculare  e accumulare enormi profitti sulla diffusione  dei  farmaci essenziali,   hanno   promosso  la privatizzazione in generale della sanità.  E, infine, hanno  permesso il saccheggio del territorio fornendo  terreno  alle  scorribande cementizie degli speculatori fondiari colpevoli di    devastazioni  ambientali  che spesso presentano  il conto con alluvioni e frane.  Un conto salato in termini di danni alla comunità e di perdita di vite umane come testimonia l’ennesima tragedia di queste ore in Sardegna.  


Dal momento che questi governi sono emanazione politica di un potere più ampio e ramificato incarnato nel capitalismo finanziario ultraliberista, ecco che il dovere civile della ribellione si deve esercitare, per diventare realmente efficace,    contro il capitalismo in generale. Lo dicono i movimenti anticapitalisti, i vari movimenti occupy, ma soprattutto già quattocento anni fa lo diceva Locke  e con lui   Brauch, Spinoza, Pufendorf, tutti quei filosofi e giuristi  europei che alla fine del  ‘600 si battevano per il rispetto dei diritti naturali dell’uomo.  

E’ tempo quindi di riappropriarsi del vero concetto di difesa dei propri diritti, non più basato sulla loro elemosina quasi fossero privilegi , regalie elargite dai potenti ,  ma come patrimonio inalienabile naturale dell’umanità,  da difendere anche con la rivoluzione.  Una rivoluzione civile sancita dalla storia.


          


La nostra Controfinanziaria

http://www.sbilanciamoci.info

Con una patrimoniale, una tassazione sui capitali scudati e un'imposta maggiore sulle transazioni finanziarie, sarebbe possibile fare una sperimentazione sul reddito minimo garantito e avviare un piano del lavoro e di investimenti in istruzione e ricerca. Una manovra da 26 miliardi all'insegna della giustizia sociale. Cambiare è possibile, basta volerlo.

A settembre 2013 la disoccupazione in Italia ha superato il 12%, quella giovanile il 40%. Dopo anni di recessione, le indicazioni che arrivano dal governo sembrano a senso unico: dobbiamo continuare a stringere la cinghia e accettare i piani di austerità e i vincoli macroeconomici imposti dalla Troika e dall'Ue. Il mantra ripetuto quotidianamente è che non ci sonoalternative: è l'Europa che ce lo chiede. Come se l'Europa non fossimo anche noi. Come se l'Italia non potesse e dovesse giocare al contrario un ruolo da protagonista per chiedere una radicale inversione di rotta nelle politiche economiche, fiscali e monetarie dell'Unione Europea. Dopo due anni di austerità, non solo il paese è in ginocchio da un punto di vista sociale e produttivo, ma anche il rapporto debito/Pil continua a peggiorare. Dal 120% del 2011 abbiamo sforato il 130%, e in termini assoluti la soglia dei 2.000 miliardi di euro. L'andamento è lo stesso per tutti i paesi, e in particolare quelli del Sud Europa, costretti negli ultimi anni a passare dalle forche caudine dell'austerità. Misure non solo devastanti dal punto di vista sociale, ma nocive anche da quello macroeconomico. A segnalarlo è lo stesso Fmi che nelle parole dei media è arrivato a fare un “clamoroso mea culpa”: aggiustamenti fiscali, ovvero tagli alla spesa pubblica, nella maggior parte dei paesi provocano una caduta del Pil più veloce della riduzione del debito.
Ancora a monte, il discorso sulla riduzione del rapporto debito/Pil avrebbe un qualche senso se l'attuale situazione europea e italiana in particolare fosse legata a un “eccesso” di welfare e a uno Stato spendaccione e non, invece, all'onda lunga della crisi esplosa con la bolla dei subprime negli Usa nel 2008 e a un'Europa schiacciata su una visione mercantilista e subalterna alle dottrine neoliberiste. Un'Europa dei mercati, della moneta unica e della libera circolazione dei capitali senza un'Europa sociale, fiscale e dei diritti.
Quella della Troika è una risposta sbagliata a una diagnosi ancora più sbagliata. Non è vero che c'è un eccesso di welfare. Non è vero che la crisi è colpa delle finanze pubbliche. Non è vero che i Paesi del Sud Europa hanno le maggiori responsabilità. Non è vero che il rapporto debito/Pil è il parametro di riferimento da tenere sotto controllo. Non è vero che i piani di austerità funzionano per diminuire tale rapporto. L'austerità è il problema, non la soluzione. Eppure da parte dei burocrati europei, a metà 2013, nessun ripensamento, nessuna alternativa. Si continua ad applicare una teoria economica fallimentare con un'ostinazione che rasenta il fanatismo.
L'obiettivo di fondo diventa allora rispettare parametri del tutto arbitrari, ma che sembrano scritti nella pietra. Dati tali obiettivi, le variabili su cui giocare sono il welfare, i servizi essenziali, i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Un dogma a senso unico che plasma le politiche economiche e ancora prima il linguaggio e l'immaginario collettivo. Gli impegni europei non si possono rimettere in alcun modo in discussione, ma per le spese sociali il ritornello è che “non ci sono i soldi”. Un'espressione che lascia intendere come tali spese siano da considerare un “lusso”, da finanziare unicamente se le risorse sono sufficienti, in caso contrario da sacrificare sull'altare dei diktat dei mercati finanziari.
Occorre chiarire da subito che tali obiettivi sono semplicemente irrealizzabili, a maggior ragione in questa fase di crisi, senza portare a un collasso del tessuto produttivo e sociale del nostro paese. Deve essere il gigantesco casinò finanziario che ci ha trascinato nella crisi a sottoporsi a rigide misure di austerità, non cittadini, lavoratrici e lavoratori che hanno già pagato, diverse volte, per una crisi nella quale non hanno alcuna responsabilità.
Ma ammesso e non concesso che si vogliano accettare i vincoli e le imposizioni della Troika, non è comunque vero che “non ci sono i soldi”. Con la legge di stabilità il governo propone al Parlamento e al paese delle scelte ben precise su come allocare le risorse pubbliche, ovvero i soldi delle nostre tasse. Scelte che hanno impatti di enorme rilevanza sulle nostre vite.
Dal 2001 la campagna Sbilanciamoci! mostra che delle decisioni radicalmente differenti sarebbero possibili, sia dal lato delle entrate, sia da quello delle uscite. Un sistema fiscale improntato a una reale progressività, come previsto dalla nostra Costituzione ma sempre più spesso smentito dai fatti. Maggiori spese destinate ai diritti, la pace, l'ambiente.
È quello che vogliamo mostrare anche quest'anno, con il presente rapporto e le decine di proposte che, numeri alla mano, mostrano un differente indirizzo di politica economica.
La nostra manovra è di 26 miliardi di euro, un importo decisamente consistente rispetto a quello previsto dal governo. Perché siamo convinti che nell'attuale situazione non è possibile limitarsi a piccoli interventi di facciata. Occorre operare una redistribuzione della ricchezza nel nostro paese. Occorre prendere i soldi dove ci sono, e impiegarli dove sono necessari.
Non è solo una questione di maggiore giustizia sociale: ridurre le inaccettabili diseguaglianze di reddito e ricchezza in Italia è un passaggio fondamentale per rilanciare la domanda e per uscire dall'attuale depressione economica. Non per ripartire inseguendo la crescita illimitata dei consumi, ma per uno sviluppo qualitativo, per un piano di investimenti di lungo periodo per una riconversione dell'economia in direzione di una reale sostenibilità economica e sociale.
Per andare in questa direzione, proponiamo quindi una patrimoniale, una tassazione sui capitali scudati, di migliorare la tassa sulle transazioni finanziarie, di bloccare le grandi opere, di tagliare le spese militari, i finanziamenti alla scuola e alla sanità private e ai Centri di identificazione ed espulsione. E proponiamo di usare tali risorse per una sperimentazione sul reddito minimo garantito, per avviare un piano del lavoro, per gli investimenti nell'istruzione, nella ricerca, nella cultura, nelle politiche di assistenza e di inclusione sociale, nella tutela dell'ambiente e dei beni comuni, nella mobilità sostenibile, nel rilancio dell'edilizia popolare pubblica e nel sostegno alle forme di altraeconomia, dalla finanza etica ai Distretti di economia solidale.
La nostra è una manovra che assume come priorità la lotta alle diseguaglianze. Una manovra che va in direzione diametralmente opposta a quella del governo, che garantisce enormi sconti sulle multe che devono pagare i gestori di slot-machine e propone una “valorizzazione” del patrimonio pubblico per fare quadrare i conti. In un emendamento il Pdl – è bene ricordarlo, un partito al governo – chiede di vendere le spiagge. Il premier Letta ha annunciato un piano di privatizzazioni da 20 miliardi in tre anni. Dopo i disastri delle passate privatizzazioni (pensiamo a Alitalia, Ilva, Telecom solo per fare alcuni esempi) invece di pensare a un piano industriale e di rilancio dell'occupazione, si continua con la stessa ideologia. Svendendo le ultime partecipazioni ai mercati finanziari per fare cassa. Proseguendo sulla stessa strada di disuguaglianze, della finanziarizzazione e del declino del sistema produttivo che ha caratterizzato gli ultimi anni. Per questo abbiamo deciso, anche nel rapporto di quest'anno, di mostrare che un percorso diverso sarebbe possibile.
La nostra manovra di 26 miliardi di euro si chiude con un saldo praticamente nullo. Non prendiamo per buone le ricette che ci arrivano da questa Europa, a partire dall'assurdità di cambiare la nostra Costituzione per inserirvi il pareggio di bilancio. Al contrario. Chiediamo un impegno forte dell'Italia, per chiedere all'Europa un radicale ribaltamento delle priorità. Nello stesso momento questo cambiamento di rotta può e deve partire dalle politiche nazionali. “È l'Europa che ce lo chiede” è una foglia di fico sempre più improbabile e improponibile. Altre scelte sarebbero possibili da subito anche qui in Italia, se ci fosse la volontà di attuarle e di intraprendere una differente politica economica. Per un'Italia capace di futuro.

La laurea in architettura non è valida in UE? Alla Sapienza è assemblea permanente

fonte: http://www.ilcorsaro.info/

Ieri le studentesse e gli studenti della facoltà di Architettura La Sapienza riunite in assemblea hanno indetto lo stato di assemblea permanente in tutte le sedi della facoltà. Protestano per il riconoscimento del pieno valore del titolo di studio delcorso di laurea in Architettura della Sapienza. Riportiamo di seguito il loro comunicato.
"Riteniamo inaccettabile che all'interno del più grande ateneo d''Europa il corso di Architettura a ciclo unico D.M. 270/04 rilasci un titolo che ancora oggi non è stato dichiarato conforme alla certificazione Europea, pertanto potenzialmente non valido nei paesi dell' U E.
Tale situazione arreca un grave danno agli studenti, ignari fino ad oggi che l’esercizio dell’attività professionale futura gli sarà pregiudicato. Al momento attuale quindi gli studenti sotto tale ordinamento non saranno in possesso di titoli di studio in grado di garantirgli quanto invece promesso al momento dell’iscrizione.
Inoltre gli studenti denunciano uno squilibrio tra i servizi offerti dalla facoltà e le tasse che sono tenuti a pagare: malgrado l’aumento di queste ultime, i servizi non sono adeguati a sostenere e garantire il supporto alle attività didattiche necessarie al compimento degli studi. La facoltà di architettura rientra infatti nella fascia universitaria di secondo livello, in quanto dovrebbe essere dotata di servizi come laboratori, centro stampa interno e mensa.Ad oggi i laboratori sono praticamente inesistenti in tutte le sedi di facoltà.Nella sede di Valle Giulia verrà chiuso, in data 25 novembre 2013, il centro stampa interno convenzionato, servizio indispensabile per noi studenti di architettura, malgrado non sia ancora stato emesso un nuovo bando necessario per garantire la continuità di un servizio di nostro diritto.Il servizio della mensa, chiusa quattro anni fa, non è stato più ripristinato; l’area è ora occupata da un campetto da calcio di dubbia utilità."
Chiediamo che l'iter per il riconoscimento europeo del titolo di studio del corso Architettura UE a Ciclo Unico sia concluso il prima possibile, affinché i laureandi immatricolati dall' a.a. 2009-2010 possano vedere il proprio titolo di studio riconosciuto in altre nazioni.
Chiediamo che a seguito della chiusura del centro stampa convenzionato interno alla sede venga immediatamente fornita una prestazione sostitutiva idonea (anche temporanea), affinché sia garantita la continuità del servizio.
Chiediamo che sia ripristinato un servizio mensa facilmente raggiungibile e fruibile, per il quale gli studenti corrispondono una porzione delle tasse universitarie annuali.

Oggi gli studenti si riuniranno nuovamente in ASSEMBLEA ALLE ORE 10.30 - SEDE DI VIA GIANTURCO