sabato 14 aprile 2018

LE GUERRE IMPERIALISTE E COLONIALISTE

Carmen Campesi, Comitato Democrazia Costituzionale



Che USA e NATO fossero storicamente alla ricerca di un” casus belli” in Medio Oriente non è una scoperta dell’ultima ora.

 IRAQ 2003, gli USA inventarono le detenzione e l’uso di armi chimiche da parte dell'esercito iracheno per rovesciare ed uccidere il suo presidente Saddam Houssein…con lui, uccisero centinaia di migliaia di civili...ad oggi in quel Paese il terrorismo e la guerra continuano;

 LIBIA 2011, gli USA per rovesciare il suo Presidente che avevano cercato di uccidere in più attentati, inventarono l'appoggio al terrorismo...coinvolsero la Francia che addirittura, lanciata in avanti partì per prima all’attacco, uccisero Gheddafi… con lui, migliaia di civili... oggi il terrorismo si e' esteso, gli USA e altri Paesi Europei si sono accaparrati il petrolio e la Francia il suo controllo colonialista , mentre l’Italia subisce come effetti collaterali  l'accoglienza di migliaia e migliaia di profughi, richiedenti asilo e migranti economici che scappano dalla Libia;

Nel 2013, gli USA accusano Bachar Assad di essere il responsabile di massacri di civili siriani, bambini soprattutto, intossicati dal gas Sarin e da bombe al cloro, documentati in innumerevoli fotomontaggi degni del miglior cinema holliwoodhiano; parte la missione punitiva contro Assad che, nel 2014 vede completamente smantellato il suo arsenale di armi chimiche tra i container del Porto di Gioia Tauro.

L’OPAC definisce quest’ultima missione come la più importante azione corale mondiale verso il disarmo e la Pace.

SIRIA 2018, per rovesciare il suo legittimo Presidente gli USA inventano nuovamente la detenzione ed l’uso delle ARMI CHIMICHE (SIC) sui civili inermi e riappaiono compulsivamente i fotomontaggi di bambini morenti per soffocamento ...Si è miracolosamente ricompattato l’asse strategico” Gli Amici della Siria” (si fa per dire) che stanno chiedendo ai paesi europei di seguirli come le altre volte nella guerra imperialista al fine di "spartirsi bottino e potere"…Macron coglie al volo l’occasione, deve recuperare terreno in senso lato, sfoggiando il suo spirito di crociato colonialista sul versante estero per recuperare consenso anche sul versante interno della sua politica in crisi sociale, la Gran Bretagna  divisa spaccata e indecisa, sfoglia ancora la margherita, anche se Corbyn è intervenuto con netto dissenso contro ogni forma di interventismo britannico MA LA RUSSIA STAVOLTA NON RESTERA'A GUARDARE...!

E l’ITALIA? Senza Parlamento e senza Governo? Meno male che Gentiloni c’è, ma come? No di certo nel pieno delle sue funzioni, visto che deve e può occuparsi solo del disbrigo di cose correnti, piccole cose di ordinaria amministrazione. Su una missione di guerra, su un’alleanza con le altre potenze belligeranti, deve decidere il PARLAMENTO in seduta plenaria.

Il NO al coinvolgimento dell’Italia deve essere PIENO E TOTALE. Nessuna partecipazione ad operazioni militari e attacchi di terra e/o aerei sul suolo siriano; nessun supporto tecnico-logistico; nessun utilizzo delle numerose basi USA- NATO dislocate su tutto il territorio nazionale per partenze o scalo di aerei, per rifornimenti; nessun sorvolo dei cieli italiani di macchine di guerra e distruzione di civili inerti, perché le guerre non sono mai intelligenti, giuste, chirurgiche, perfette. Senza distinguo, SE, o MA.

Come CDC e cittadini sovrani, ci appelliamo all’ART.11 Cost.
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”

Gli ispettori dell’OPCW, incaricati di investigare sulle armi chimiche, sono arrivati oggi a Damasco.

fonte  R.T. News traduzione Luciano Granieri

Rovine a Douma, la città siriana dove gli ispettori dell'OPCW sono in attesa di iniziare le loro indagini sull'utilizzo di armi chimiche. Foto Reuters


La missione investigativa delle  Nazioni Unite è iniziata con  l’arrivo a Damasco di una commissione inquirente.  L’agenzia ha riferito che continuerà  il suo operato nonostante i bombardamenti effettuati nelle ultime ore da Stati Uniti, Inghilterra e Francia.

Gli  ispettori  per l’Organizzazione sul Divieto di Uso dell Armi Chimiche, Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons (OPCW),  sono nel Paese per investigare sulle circostanze che hanno indotto a riportare notizie di attacchi con armi chimiche nella città di Douma, dove almeno 70 persone, secondo quanto si è appreso, sarebbero morte per l’esposizione tossica agli agenti chimici. 

Siria e Russia, si sono appellate all’OPCW, affinchè indagasse sulla veridicità delle   clamorose notizie. L’agenzia deve assicurarsi che la distruzione degli armamenti chimici, sia stata  effettiva, analizzando la causa della morte delle vittime  per  scoprire gli autori di queste morti.

L’OPCW, in cui figurano membri di Siria, Russia, Inghilterra, e Francia ha emesso un comunicato oggi sabato 14 aprile affermando che le indagini sul presunto utilizzo di armi chimiche continuerà.

La  dichiarazione segue  il bombardamento avvenuto nella notte che ha visto forze armate statunitensi, francesi ed inglesi lanciare missili verso diversi siti, inclusa una struttura militare poco fuori Homs e un sospetto centro di ricerca nella capitale Damasco. 

Russia e Siria hanno condannato   il bombardamento come una violazione delle leggi internazionali e insistono nell’affermare che l’esercito di  Assad   non ha utilizzato armi chimiche.

I funzionari dell’OPCW hanno già  eseguito controlli simili. Nel 2017 l’organizzazione rilevò che il sarin, o una sostanza simile fu utilizzata nella cittadina di  Kahn Shaykhun, ma tale risultato non fu il frutto  di un’ispezione di terra diretta sul luogo.

L’evidenza emersa  dal rapporto dell’agenzia  confermò  che molto probabilmente il gas tossico è stato rilasciato a nord dell’insediamento. Quindi   non condannò  la Siria per i rilievi del 2017,visto che quella zona all’ora non era   ancora controllata dalla Repubblica Arabo-Siriana.

A chi serve la guerra in Siria.

Luciano Granieri




A leggere l'articolo precedente sull'intervento degli ispettori dell'OPCW, incaricati di verificare la disponibilità   da parte della Siria di armi chimiche, una domanda sorge spontanea. Perché USA, Francia ed Inghilterra hanno lanciato  missili, focalizzati sulla distruzione di  depositi di armi chimiche, ancora prima che l’agenzia OPCW ne certificasse la presenza? 

Questa faccenda  ricorda molto lavstoria  delle armi di distruzione di massa di Saddam.  Considerato la relativa innocuità degli attacchi di ieri notte, di fatto sono state distrutte delle strutture  insignificanti, viene il sospetto che tali azioni siano state pianificate proprio per ostacolare il lavoro dell’OPCW, ove dovesse dimostrare, come accaduto nel 2017, che  la presenza di gas tossici esisteva ma al di fuori di aree governate dalla Siria. 

Altro dubbio:  quando  arrivano le immagini da Douma, che avrebbero dovuto documentare l’utilizzo delle armi chimiche di Assad contro i civili, la città di fatto era già stata liberata dall’esercito siriano, coadiuvato dalla polizia russa  ed i ribelli di Jaysh al-Islam  erano stati  evacuati. Dunque che utilità avrebbe avuto il regime a flagellare i civili una volta che l’area era tornata  sotto il controllo del governo e della  polizia russa? 

La realtà è che certi leader occidentali dovrebbero smetterla di usare i giochi di guerra  per coprire le proprie beghe interne. E’ una pratica che si perde nella notte dei tempi ma che di fatto tiene in fiamme intere aree del mondo. Donald Trump, assediato dai suoi incroci  di letto con le pornostar, non trova di meglio che un bel tiro a segno in Siria per distogliere l’attenzione dal suo porcaio.

 Macron, invece, deve coprire, con i missili destinati alla Siria, la disdicevole vicenda dei  ferrovieri che contro il suo jobs act stanno bloccando i treni, scioperando ad oltranza tre settimane su quattro. 

La May sta sprofondando nell’impopolarità più nera e spera che le bombe della potente Albione possano ridarle un po’ di ossigeno.  

Dietro i burattini atlantici giostra Israele,  che dal canto suo usa la guerra in Siria per colpire il nemico di sempre l’Iran. Israele non si fa scrupoli. Il 10 aprile scorso attacca il campo siriano T-4 con otto missili aria terra, di cui solo tre arrivano al bersaglio uccidendo alcuni lavoratori , gli altri vengono neutralizzati dalla difesa siriana , il tutto senza chiedere permesso a nessuno men che meno all’Onu.  

Ora se sulle nostre coste riesce ad arrivare qualcuno dei disperati che fuggono da questa come, da altre guerre, e da altre disgrazie sempre provocate dalla voracità imperialista , dovremmo sapere quali sono lo cause di certi esodi epocali, dovremmo sapere che non basta pagare aguzzini libici e turchi per sopprimere  ed imprigionare chi vuole fuggire da un destino disperato, ma servirebbe una forte presa di posizione antimperialista! 

Si ma a chi lo vai a dire! A Di Maio a Salvini, o a qualche  residuato del Pd (derenzizzato o meno che sia)?

giovedì 12 aprile 2018

La Roma ai confini della realtà

Matteo Bartocci


I giallorossi rovesciano storia e pronostici ed eliminano il Barcellona delle stelle dalla Champions. Una notte magica in campo e sugli spalti. Dopo 34 anni la squadra capitolina torna in semifinale, per uscire ancora una volta dalla «prigionia del sogno»

Non sa nulla di calcio chi sa solo di calcio, diceva Mourinho. E infatti l’eliminazione del super Barcellona da parte della Roma nei quarti di finale di Champions League somiglia più a una favola che a una partita di pallone.
D’altra parte il Barcellona è un microcosmo che si autodefinisce «més que un club», più di un club, e la notizia della sua caduta fa il giro del mondo.
Roma ieri ha dormito poco. Caroselli fino all’alba e il presidente americano Jim Pallotta che nella notte fa letteralmente il bagno tra folla e fontane di piazza del Popolo circondato da tifosi in delirio (ieri il manager di Boston ha detto alla sindaca Raggi che pagherà i 450 euro di multa e ne donerà altri 230mila per il restauro della fontana del Pantheon).
UNA FAVOLA ANCHE perché i marcatori della vittoria, De Rossi e Manolas, sono gli autori dei due sfortunatissimi autogol dell’andata al Camp Nou.
Una favola perché una partita così, contro una squadra così, la Roma non l’ha mai giocata in tutta la sua storia.
È la vecchia favola di Davide contro Golia. Del debole che vince contro ogni pronostico.
Ma stavolta la vittoria non è frutto di astuzia, episodi o di italico stellone. Tantomeno di «catenaccio».
Il tre a zero che rovescia il 4-1 subìto a Barcellona è una vittoria rotonda, sul campo, voluta e studiata a tavolino dal team di Di Francesco, con icone mondiali come Messi (cinque volte pallone d’oro) e Iniesta che lasciano il campo a testa bassa diventando comuni mortali.
Forse bastava vedere lo svogliato riscaldamento prepartita dei blaugrana a far capire ai sessantamila dell’Olimpico che la serata non sarebbe finita come (quasi) tutte le altre della storia giallorossa.
 Perché la palla una cosa certamente non sopporta, chi la tratta con sufficienza e chi pensa che ogni finale sia scritto prima di giocarlo.
«QUESTA VITTORIA CONSENTE ai tifosi romanisti di allontanare un incubo e uscire dalla prigionia del sogno». Era l’8 maggio 1983. E Dino Viola – lo storico presidente della Roma di Liedholm, Falcao, Pruzzo, Conti e Di Bartolomei – sintetizzò in questa frase il sentimento della «città eterna» di fronte al secondo scudetto dopo quello del ’42.
Nel bellissimo documentario su di lui girato da David Rossi, Paulo Roberto Falcao dice proprio questo di Roma: «Roma è diversa. L’ho capito subito appena arrivato. C’è tanta sete di speranza.
Per vincere qui devi fare tante cose, ma soprattutto devi pensare in ogni partita che c’è una marea di gente che aspetta».
Perché il tifoso romanista le vittorie le conta in decenni. E sono passati ben 34 anni, era proprio quella Roma lì, da quando la capitale ha visto la sua squadra alle semifinali di Coppa dei campioni.
Anche i bei sogni hanno le sbarre se non diventano realtà. Stavolta no. Da tutto il mondo, del calcio e non, giungono complimenti ai giallorossi. Politici, artisti e migliaia di persone mandano filmati e messaggi.
Sembra la vittoria di tutti.
«Romantada» titola in spagnolo maccheronico il francese l’Equipe.
Avversari storici come Juve, Milan, Inter e Fiorentina festeggiano un risultato celebrato come una rivincita dell’Italia esclusa dal mondiale. Un ritorno della serie A sui campi che contano.
«Contro una formazione che viene riconosciuta come fra le più forti al mondo, se non la più forte, ribaltare un risultato così è la vittoria di tutto il calcio italiano», assicura il presidente del Coni Giovanni Malagò.
EPPURE FINO AL FISCHIO di inizio nessuno o quasi dei sessantamila romanisti sugli spalti scommetteva davvero nell’impresa. Forse solo Eusebio Di Francesco dalla panchina, con un cambio tattico spregiudicato, sperava di trasformare l’impossibile in realtà.
Ma è stata festa subito, che sarà sarà. E tra squadra e tifosi è scattata la scintilla. La curva è stata fino all’ultimo secondo e oltre il dodicesimo in campo, come testimonieranno poi in televisione i ringraziamenti ai tifosi di De Rossi, Dzeko, Florenzi, Manolas e Nainggolan.
Inevitabili i caroselli nella notte in particolare a Testaccio, il rione di nascita della squadra giallorossa. Un trionfo che si è protratto fino alla giornata di allenamento, con i tifosi fuori dal centro sportivo.
«Ho preso schiaffi ma ho saputo sempre reagire. Ora continuiamo a sognare», dice Di Francesco tra i selfie, pensando ai pochi giorni di vigilia del derby con la Lazio.
IL FUTURO EUROPEO è tutto da scrivere. Tra le possibili semifinaliste, le menti di tutti i giallorossi vanno al Liverpool, che ieri ha eliminato il Manchester City.
Quel Liverpool che una notte assurda di trentaquattro anni fa alzò la «coppa dalle grandi orecchie» proprio contro la Roma all’Olimpico vincendo ai rigori.
Batterlo è un sogno che prima o poi dovrà diventare realtà.
«Improbabile significa soltanto che può succedere»Federico Fazio


Di solito quando un post  è ripreso da altro organo di stampa, segnalo la fonte. Cioè il giornale che lo ha pubblicato. Ebbene, l'articolo qui sopra non è de "Il Romanista" nè del Corriere dello Sport", nè della rivista "La Roma" nè di altro giornale sportivo, bensì......udite udite! è tratto da "Il manifesto" di oggi. Un giornale che ancora pone la dicitura "comunista", sul titolo. Anche se, diciamolo, di comunista nel quotidiano non è rimasto molto. Ma questa è un'altra storia. Certo che se, in un periodo in cui  spirano forte i venti di guerra dalla Siria , impazza l'inconcludente  consultazione dei partiti davanti al Presidente della Repubblica per provare ad inventarsi un governo, un giornale tutt'altro che sportivo dedica una pagina alla Roma, significa che siamo in presenza di un'impresa vera quasi quanto la presa del Palazzo d'Inverno. E poi, la Juve ci finirà mai sulle pagine de "Il manifesto" quotidiano comunista?
Luciano Granieri 


martedì 10 aprile 2018

Sull'arresto di Lula e le polemiche a sinistra

Francesco Ricci: lega internazionale dei lavoratori, quarta internazionale (Pdac)



Lula è stato arrestato. Sui siti di tutta la sinistra riformista e centrista (cioè rivoluzionaria a parole e riformista nei fatti) c'è grande agitazione.
In Italia, Rifondazione Comunista definisce Lula "prigioniero politico" e, come fa da tempo, parla di "un golpe giudiziario" che avrebbe colpito la delfina di Lula, Dilma, e il Pt, cioè il partito che ha governato il Brasile dal 2002 fino all'agosto 2016. I comunicati di Rifondazione naturalmente dimenticano di precisare che Lula è stato arrestato per una condanna in seconda istanza per corruzione e riciclaggio di denaro sporco e che questo è solo uno dei nove processi per corruzione in cui è coinvolto.
Al di là delle centinaia di episodi di corruzione di cui è protagonista tutto il gruppo dirigente del Pt, ciò che i sostenitori di Lula fingono di ignorare è che a questa situazione si è arrivati perché per quindici anni, mentre il riformismo mondiale indicava in Lula un modello di un "diverso" governo nel capitalismo, basato su una presuntamente progressiva collaborazione con presunti settori progressivi della borghesia, Lula, Dilma e il Pt governavano per le grandi imprese e per le banche.
Cosa questo governo "progressista" abbia prodotto per le masse proletarie è sotto gli occhi di tutti. Se anche Lula fosse vittima, come pretendono i suoi paladini riformisti, di una manovra giudiziaria e non si fosse arricchito personalmente invischiandosi in tangenti e corruzione (cosa che invece ha fatto, come tutto il gruppo dirigente del Pt), sarebbe in ogni caso responsabile per aver governato per conto della borghesia brasiliana e delle multinazionali imperialiste. Mentre Lula vive in ville miliardarie (benefit concessi dalle aziende favorite negli appalti), milioni di brasiliani muoiono di fame, sono disoccupati o vivono con salari di 1000 reais (circa 230 euro), soffrono la perdita di diritti lavorativi e pensionistici per le cosiddette "riforme" iniziate da Lula, proseguite da Dilma e poi da Temer, e decine di giovani vengono uccisi ogni giorno dalla polizia nelle periferie delle città e nelle favelas.
La lista delle banche e grandi imprese che è riconoscente a Lula per i profitti fatti in questi anni è lunga: Odebrecht, Itaù, General Motors, Santander, ecc. E' lo stesso Lula che più volte ha pubblicamente dichiarato che "gli impresari non hanno mai guadagnato tanto denaro come durante il mio governo e i governi del Pt". Questa alleanza di ferro con la grande borghesia peraltro si incarnava negli stessi principali ministeri dei governi del Pt, occupati da industriali, latifondisti e banchieri. Quegli stessi che hanno fatto affari miliardari con l'intensa opera di privatizzazioni mascherate da concessioni di aeroporti, porti, aree petrolifere. Al contempo, la Cut, il sindacato diretto dal Pt, ha garantito per anni la pace sociale nelle fabbriche, imponendo accordi per mantenere bassi salari in cambio di investimenti. La Fiat, la General Motors, la Volkswagen, ecc. hanno beneficiato di sgravi e incentivi fiscali. Una politica più volte pubblicamente elogiata da Marchionne, grande amico del "presidente operaio".
La verità è che Rifondazione e tutta la sinistra riformista hanno mentito per anni sulla realtà del Brasile. Così come hanno fatto con il più recente modello Syriza in Grecia. E lo hanno fatto non per un abbaglio ottico ma perché hanno bisogno periodicamente di inventare modelli per giustificare la loro identica politica di collaborazione di classe e di governo, che hanno fatto ieri, che oggi non sono in condizione di fare perché ridotti al lumicino dagli effetti delle loro politiche disastrose, e che sperano domani di poter riprendere a fare.
 
"Non siamo col Pt. Però..."
Qualche centimetro più a sinistra della posizione dei riformisti incontriamo la posizione di varie forze che si definiscono "rivoluzionarie", che sostengono di non essere schierate con Lula e il Pt, e che pure da tempo gridano al "golpe" in Brasile e, con questa scusa, rivendicano la necessità di porsi di fatto nel "campo" di Lula contro l'attacco "golpista" o "delle destre" o financo "fascista".
In realtà in Brasile, come abbiamo documentato sul nostro sito, anche traducendo articoli dei nostri compagni brasiliani del Pstu, non c'è stato nessun "golpe", non c'è stato nessun cambio con la forza del regime per volontà della borghesia o dell'imperialismo. E perché mai avrebbero voluto rovesciare chi ha garantito i loro affari per anni? La stessa grande stampa imperialista internazionale (col Financial Times in testa) guarda con preoccupazione all'arresto di Lula proprio perché, nonostante la crisi di consenso del Pt, continuavano a vedere in Lula l'unica possibile carta di salvezza, nelle elezioni di quest'anno, per evitare quello che definiscono "caos politico".
C'è stata e c'è una disputa tra blocchi politici borghesi per aggiudicarsi il ruolo di gestore degli interessi padronali, ma il vero dato eclatante (che incredibilmente certi "rivoluzionari" non vedono) è che da quattro anni è in corso in Brasile una ascesa delle lotte che non ha precedenti.
Alla testa di queste lotte il Pstu e la Conlutas si sono spesso trovati soli: mentre tutto il resto della sinistra correva alle manifestazioni in difesa del Pt e "contro il golpe".
Esemplari, se così si può dire, tra le posizioni più ambigue, ricordiamo quelle di organizzazioni che per qualche malinteso si definiscono "trotskiste", come il Pts argentino (le cui posizioni sono diffuse in Italia dal gruppo napoletano che anima il blog "La Voce delle Lotte"). Pur prendendo le distanze da Lula e dalle politiche del Pt, queste organizzazioni affermano che in questo momento bisognerebbe stare nello stesso "campo" di Lula, difendendolo dato che il suo arresto sarebbe "un duro colpo per le classi popolari". D'altra parte queste organizzazioni "rivoluzionarie", che vedono nelle elezioni il momento centrale (il Pts argentino da quando ha guadagnato qualche deputato vive di questo), si accodano al Psol che a sua volta (con il candidato Boulos) organizza manifestazioni insieme al Pt e si prepara a sostenere il Pt al secondo turno delle imminenti elezioni, nella speranza di partecipare in qualche modo al dividendo elettorale.
 
"Il Brasile necessita di una rivoluzione"
Al momento dell'arresto, confermando la sua fiducia nello Stato borghese, Lula ha dichiarato: "Se non avessi fiducia nella Giustizia, proporrei una rivoluzione nel Paese."
Appunto di quella rivoluzione che Lula non ha mai proposto - perché sarà contro la borghesia di cui Lula è stato maggiordomo - ha bisogno il Brasile.
Questo è lo slogan che sta diffondendo il nostro partito fratello in Brasile, il Pstu, sezione della Lit-Quarta Internazionale, il partito che, forte anche di un radicamento e un ruolo di direzione sindacale di massa (la Csp Conlutas), è fin dall'inizio della fase di ascesa delle lotte, iniziata nell'estate 2013, alla testa delle mobilitazioni contro le politiche dei governi Dilma e Temer, mentre tutto il resto della sinistra (con il Psol in testa) si accoda al Pt in attesa delle elezioni. E tutto questo proprio quando le masse brasiliane sono all'offensiva, smentendo clamorosamente la presunta "onda reazionaria" che secondo alcuni raffinati analisti investirebbe l'America Latina e centrale (basti vedere le gigantesche manifestazioni contro Macri in Argentina, le mobilitazioni insurrezionali in Honduras, eccetera).
Se nell'aprile scorso c'è stato "il più grande sciopero generale della storia del Brasile" è perché la Conlutas e il Pstu hanno costretto, con la mobilitazione dal basso, le grandi burocrazie sindacali ad aderire, seppure in modo recalcitrante. Sempre il Pstu era poche settimane dopo alla testa della "occupazione" a Brasilia e dell'"assedio" ai palazzi del governo, dove solo il servizio d'ordine del nostro partito fratello ha consentito a migliaia di militanti di resistere alle cariche a cavallo della polizia, mentre le burocrazie della Cut invitavano i manifestanti a desistere.
"Il Brasile ha bisogno di una ribellione che rovesci tutto quanto, perché quelli che sono in basso governino e costruiscano una società socialista", sostengono i compagni del Pstu. E aggiungono che la classe operaia non può stare dalla parte di Lula perché il posto di Lula è nella difesa dei profitti di quelle 500 aziende che controllano il 60% di quanto è prodotto nel Paese.
Bisogna costruire una alternativa basata sull'indipendenza di classe dalla borghesia e dai suoi governi, perché solo un governo dei lavoratori può ridare una prospettiva alle masse proletarie del Brasile. L'unica via per fare questo è continuare a costruire e rafforzare le mobilitazioni operaie contro l'attuale governo Temer, nella piena indipendenza da tutti gli schieramenti borghesi, e continuare la costruzione di una direzione politica marxista e rivoluzionaria. E' appunto quanto fanno i nostri compagni del Pstu nelle piazze e nelle fabbriche, col sostegno della Lit-Quarta Internazionale.

lunedì 9 aprile 2018

ANCORA UN CAMBIAMENTO DELLA LEGGE ELETTORALE? INCREDIBILE, MA VERO. C’E’ CHI PROPONE ANCORA IL METODO ROSATELLUM

Umberto Baldocchi


 Ma questa volta non si tratta della legge elettorale italiana, bensì di quella europea, per quanto concerne lo “spazio” italiano. Qualcuno ha iniziato a pensare già a una ennesima riforma. E’ evidente infatti che le elezioni europee del maggio 2019 saranno uno scoglio temibile per il nuovo governo italiano che dovrà nascere, qualunque sia la sua composizione.  Bisogna ricordare che  alle elezioni europee si voterà col sistema proporzionale vero, con le preferenze vere e con collegi elettorali ampi  e non coincidenti con quelli,  più o meno provinciali, utilizzati nelle recenti elezioni politiche per la quota maggioritaria ( e tanto meno coi collegi “garantiti” come quelli della Roma-bene e radical-chic), con uno sbarramento al 4%che impedirà di riciclarsi assumendo identità fasulle entro pseudo partitini dell’ 1-2% che si sciolgono subito all’indomani della  vittoria elettorale.  Per forza di cose lì emergerà quindi una rappresentanza  molto più vicina all’ Italia reale, specie se l’affluenza al voto non dovesse esser tanto bassa. Un problema politico non piccolo sorgerebbe allora se la rappresentanza europea fosse molto diversa da quella prodottasi col Rosatellum.
 Quindi? Un motivo in più per affrontare seriamente la questione europea? Al di là delle buone intenzioni  sembra di no.  Cosa c’è di meglio che cambiare anche la buona  ( cioè, correttamente  rappresentativa) legge elettorale europea a pochi mesi dal voto, per omologarla in qualche modo al Rosatellum ( almeno sulla definizione dei collegi),   in barba alle Raccomandazioni del Consiglio d’ Europa ( mai cambiare la legge elettorale entro un anno dal voto) ed  in barba alla decenza ?  Sembra un destino. Come se chi aspira al potere in Italia avesse sempre  bisogno di leggi elettorali difettose, confuse, ad personam  ( e auspicabilmente anche incostituzionali).
  Ho rinvenuto questo progetto di nuova legge elettorale europea- con tanto di proposta di  raccolta di firme- nel testo di un volantino, per altri versi interessante, del Movimento Europeo-Italia ( un movimento i cui rappresentanti e dirigenti credo che in molti casi coincidano con gli iscritti al PD) intitolato L’ EUROPA PIU VICINA A TE- Campagna di sensibilizzazione e raccolta firme, un volantino distribuito ad un Convegno del Movimento Europeo a Viareggio il 6 aprile 2018.
   Come ci si propone qui di “avvicinare l’ Europa” ai cittadini italiani? Un comune mortale penserebbe sia possibile farlo non andando a raccontare ai cittadini i  “vantaggi” dell’ Europa politica- cioè le “cento cose” che l’ Europa ha fatto bene, per usare la metafora in voga-. Così non si convincerebbe nessuno, escluso le élites dei palazzi-bene che già votano in massa PD o forze europeiste. Credo che bisognerebbe  piuttosto spiegare ai cittadini in che senso e in che direzione modificare i trattati e rifondare l’ UE, per far sì che il sistema della moneta unica non metta in pericolo i diritti, la coesione sociale e politica, la collaborazione tra i popoli, che si promuova il progresso economico e il ruolo dell’ Europa nel mondo a partire dal rapporto con coloro che in Europa- non in Italia- chiedono asilo e rifugio. C’è bisogno urgente di Europa e c’è contemporaneamente una crisi epocale della istituzione- Europa.
   E invece no. Non è così che si propone di  “avvicinare” l’ Europa agli Italiani.
   L’ Europa- qui si sostiene- si può avvicinare ai cittadini italiani soprattutto riducendo il gap democratico tra cittadini ed eletti al Parlamento europeo. E come ridurre questo gap, se non attraverso una nuova legge elettorale?  Si sostiene infatti nel volantino in questione che  “ l’attuale legge elettorale europea si caratterizza in maxi collegi  su un sistema e su una base territoriale troppo vasta che impedisce di fatto il rapporto  cittadino   eletto e favorisce candidature non centrate sulla competenza effettiva ma sulla celebrità mediatica delle persone diminuendo  la qualità degli eletti al parlamento….La proposta di legge Barbera Bodrato del 1993 è certamente un utile riferimento normativo per riformare  la legge elettorale per il Parlamento europeo mantenendo  le circoscrizioni elettorali  analoghe a quelle attuali, ma organizzando  dei collegi plurinominali di riferimento territoriale regionale o provinciale , dove i parlamentari europei sono eletti sulla base di una lista ristretta e meglio riconoscibile di 6 deputati. Inoltre la legge Barbera Bodrato prevede che i parlamentari  candidati europei possano essere disposti su più liste nel territorio nazionale ( sic!) evitando le candidature lumiére in tutti i collegi dei leader di partito!”
   Evidentemente il sistema delle liste non bloccate, con preferenze affidate al libero voto dell’elettore,  può creare  imbarazzo. E allora si dice no al collegio ampio, dove si esprime un voto prevalentemente di opinione. E’ certamente vero che esiste il problema delle  “celebrità mediatiche”, nei collegi grandi o piccoli, ma nel collegio ampio vi è anche una selezione più dura, dato che cambia il rapporto elettori-eletti, è necessario raccogliere più voti, succede la stessa cosa che si verifica in un concorso quando i concorrenti sono più numerosi ( ed i partiti sarebbero costretti anche obtorto collo a scommettere sulla qualità delle “celebrità” da selezionare), sì invece ai collegi ritagliati sulle regioni e sulle province , cioè sulle circoscrizioni amministrative, dove esiste già un personale insediato nelle istituzioni, che non è forse “personalità mediatica” ma personalità “localmente” conosciuta e magari anche giustamente apprezzata. Ma qui si tratta di elezioni politiche, non amministrative. Non c’è dubbio che in questo caso la qualità della proposta politica passerebbe in secondo piano, oppure sarebbe acriticamente sottoscritta. E ci si limiterebbe a confezionare proposte del genere : Per un’Europa diversa, per una maggior flessibilità, per una minore austerità, per un ministro europeo dell’economia e delle finanze ( cioè per un ministro delle finanze che finga di essere ministro dell’economia), per una maggior solidarietà. E così via.  Quanto  questo criterio di scelta  possa avere a che fare  con un indirizzo politico da dare all’ Europa è incomprensibile. Oppure, ancor peggio, il collegio, ritagliato su base provinciale o regionale, potrebbe servire a facilitare la campagna elettorale dei candidati già deputati europei. Si scrive  infatti, un po’ ingenuamente,  nel volantino:  “Un deputato toscano dovrà ad esempio  presenziare anche nelle Marche, nell’ Umbria e nel Lazio il che vale a dire che, considerando gli impegni per le attività parlamentari a Bruxelles e Strasburgo, rende praticamente il  deputato un fantasma in molte zone dove è stato votato!”. Vale a dire se non è conosciuto di persona il deputato non può esser votato o, almeno, meglio votare il candidato conosciuto di persona!
   L’obiettivo effettivo  della “nuova” legge elettorale sembra quello di “neutralizzare” ulteriormente la politicità della rappresentanza e rendere nei fatti più lontani- non più vicini- tra loro i cittadini e l’ Europa, finendo così per  approfondire il processo di entropia che corrode la democrazia in Europa. L’ Europa istituzionale  sarà allora più vicina soltanto nella realtà virtuale e mediatica, che le oligarchie al potere sono bravissime a produrre.  Si potrà infatti dire: Io ho conosciuto di persona il futuro deputato europeo, quindi in un certo senso il potere europeo si è avvicinato a me. L’asserzione è indiscutibile. Ovviamente solo in un senso simbolico e virtuale. Si avvicinano i cittadini all’ Europa virtuale. Non bisognerà lamentarsi se continueranno a diffidare dell’ Europa reale.
Ci sarà qualcuno nel Parlamento attuale che sarà disposto a bloccare questo ennesimo ricorso compulsivo alla modifica estemporanea e frettolosa delle regole elettorali rendendole ad personam, o ad partitum? Se si fosse presentata alle elezioni del 4 marzo una lista apertamente schierata per la democrazia costituzionale  non c’è dubbio: questo “qualcuno” ci sarebbe stato. Visto che non è andata così, non ci resta che sperare che questo “qualcuno” venga fuori. E’ certamente molto probabile che questo “qualcuno” esista. L’unico problema è però capire dove sia e chi sia.
   Gli italiani dopo le elezioni del 4 marzo 2018 ( e dopo il voto del 4 dicembre 2016) certamente si aspettano un governo “diverso”. Ma la “diversità” non sta nelle persone che compongono la maggioranza- i suonatori possono cambiare, ma la musica può anche rimanere la stessa-, ma , prima di tutto, nell’ attitudine verso la democrazia e la Costituzione. I cittadini comuni specialmente negli ultimi decenni non si sono sentiti rappresentati, perché non erano rappresentati: la  legge elettorale incostituzionale dal 2006 in poi ha impedito una rappresentanza autentica e libera. Nessun governo potrà fare rapidamente quanto promesso in campagna elettorale ( anche quando le promesse siano realizzabili), potrà rapidamente realizzare il reddito di cittadinanza, tagliare i vitalizi ai parlamentari, abolire la legge Fornero, introdurre una flat tax ( incostituzionale). Per tutto questo ci vorrà molto tempo. Ma gli italiani non si aspettano tutto e subito. Non sono bambini, né sono rincitrulliti.  Si aspettano però realisticamente che si dia un segnale di cambiamento  e di vera democrazia. I  5 stelle fino a poco fa si proponevano di realizzare addirittura una forma di democrazia diretta. Ma sembra un secolo fa.  Per riavvicinare i cittadini alle istituzioni basterebbe fare due cose, che non costano niente in termini economici: fare una legge che consenta la discussione delle  LIP cioè consenta ai semplici cittadini di presentare al Parlamento una legge che in tempi certi e rapidissimi ( con una corsia preferenziale) possa essere discussa, e possa portare, dopo settanta anni, all’attuazione del comma secondo dell’art. 71 della Costituzione, e impegnarsi solennemente a non fare alcuna modifica della  legge elettorale, nemmeno di quella europea, a meno di un anno dal voto. Come ci chiede giustamente il Consiglio d’ Europa.    Queste potrebbero essere ottime discriminanti per vedere chi può allearsi con chi e per fare chiarezza sulle intenzioni del nuovo Parlamento. Se non si discute di cose simili,  di cos’altro discuteranno  tra loro i partiti, quando avranno finito di discutere su come discutere e con chi discutere e dovranno cercare  invece di costruire una alleanza di governo? Per evitare, se possibile, l’ennesimo governo “tecnico”. In qualche forma i cittadini dovrebbero ricordarlo ai partiti che li rappresentano.  

domenica 8 aprile 2018

Toots Thielemans, una poesia di Roger Singer

Roger Singer
traduzione Luciano Granieri





Un ancia aperta e libera
Il vento del blues sotto
le luci di Parigi. Pioggia di cristallo.
Cappotto di lana e cappello
La lunga strada della notte
I clubs all’angolo. Vicoli oscuri.
Berretti e cappelli da Cowboy.
Whiskey e ghiaccio.

Il creatore del sound.
L’angelo dell’armonica.
La voce di Bluesette e
il cuore di una mezzanotte da Cowboy.
Il suo trono era uno sgabello
La vibrazione d’oro delle labbra.
Il tocco di Gabriel  con la lingua.
L’aria dello spirito, una
magica liberazione.

Lettera di Sebastian Romero perseguitato politico del governo Macri

Pubblichiamo la traduzione in italiano della lettera aperta di Sebastian Romero, operaio della General Motors, militante del Pstu di Argentina (sezione della Lit-Quarta Internazionale), perseguitato dalla repressione del governo argentino per essere stato col suo partito in prima fila nella difesa della manifestazione del 18 dicembre scorso. L'immagine di Sebastian, che ha fatto il giro del mondo, è ora salutata dai manifestanti in tutti i cortei che riempiono in queste settimane le piazze argentine (cortei a cui Sebastian non può partecipare per sfuggire all'arresto). Sebastian è diventato in queste settimane un esempio per tutta la classe operaia in lotta. Come Pdac esprimiamo la nostra solidarietà ai compagni del Pstu e a Sebastian e siamo orgogliosi di essere militanti della stessa Internazionale.


Mi chiamo Sebastian Romero e sono un perseguitato politico del governo di Macri.
Sono un operaio come tanti altri, ma è da più di tre mesi che non vedo la mia famiglia, i miei amici, i compagni della fabbrica e le persone a me vicine.
Sono perseguitato come se fossi un terrorista perché ho fatto parte delle migliaia di persone che il 18 dicembre hanno resistito per le strade alla rapina che in parlamento si stava realizzando ai danni dei pensionati. Nonostante la riforma delle pensioni sia stata votata, quel giorno la ostacolammo, e questo non ci viene perdonato.
Giovedì scorso, Gustavo Homo e Ana Maria Figueroa della Sala I della Camera di Cassazione mi hanno nuovamente respinto una richiesta di scarcerazione, esattamente com’è stato fatto dal giudice Torres e dalla Sala II della Cámara Criminal y Correccional. Il governo mi vuole incarcerato per spaventare tutti quelli che stanno lottando. Per questo io chiedo a tutti di condividere e diffondere il più possibile questa lettera.
La persecuzione ha portato anche al mio licenziamento dalla General Motors, dove ero un rappresentante dei lavoratori. Proprio lì i miei colleghi continuano la lotta per smascherare i delegati traditori che sostengono i licenziamenti.
Forza compagni, possiamo vincere!
Per spaventarmi e portarmi alla resa, mi minacciano e aggrediscono la mia famiglia, i miei amici e i compagni del Pstu. Hanno persino bruciato l’auto di uno dei miei avvocati, Martin Alderete. Però ovviamente la giustizia non ne parla.
Quale autorità può avere un governo il cui presidente è accusato di nascondere denaro dello Stato, un governo che ha ucciso Rafael Nahuel, Facundo e tanti altri poveri ragazzi, un governo che nasconde l’assassinio di Santiago Maldonado da parte della polizia, che tiene prigionieri senza motivo i compagni arrestati il 14 dicembre, che ha incarcerato Milagro Sala per aver occupato una piazza, un governo che ha estradato Jones Huala in quanto “terrorista’”? Come può essere che mentre chiedono a livello internazionale l’arresto per ‘’il matto del mortaio’’ (come mi hanno soprannominato alcuni della stampa, come se fossi dell’Isis), stanno liberando i militari genocidi dell’ultima dittatura? Bisogna porre fine a questa persecuzione contro di me, Arakaki e Dimas Ponce, ugualmente sotto attacco.
Vogliono arrestarmi perché hanno paura che saranno sempre di più coloro i quali contrastano i piani del governo Macri. Però, nonostante le minacce e il fatto di non poter vedere la mia famiglia, non mi arrendo, affinché gli stessi lavoratori non si arrendano. Mi sento come uno delle centinaia di minatori di Rio Turbio che resistono ai licenziamenti occupando le miniere e affrontando la polizia con quello che hanno a portata di mano. Loro sono un esempio di quello che bisogna fare! La popolazione di Azul e gli indigeni del nord stanno lottando per il pane e per le proprie famiglie! Non possiamo continuare a subire in questo modo, non possiamo rassegnarci a un futuro di fame per i nostri figli e a morire nei luoghi di lavoro. Basta!
Per questo voglio mandare un messaggio ai lavoratori che leggono questa lettera: non abbandoniamo le strade! Non permettiamo che i nostri compagni vengano licenziati! Non lasciamo che ci rovinino con misure che colpiranno le nostre famiglie! Dobbiamo organizzarci in maniera unitaria e batterci contro questo governo che ci affama! I dirigenti sindacali che dicono di voler affrontare il governo devono proclamare lo sciopero generale, altrimenti occorre imporlo dal basso!
I lavoratori, le donne e i giovani che stanno lottando per i propri diritti, tutti i settori popolari, devono cacciare il governo Macri esattamente come cacciammo De La Rùa nel 2001. Fate assemblee con tutti i compagni in tutti i luoghi di lavoro, organizzate la lotta! Non c’è altra strada, o loro o noi!
Viva la lotta della classe operaia!
Via Macri!