Politici, giornalisti, osservatori, tutti dicono che il governo non arriverà alla fine della legislatura. Una maggioranza risicata alla Camera, i reati del premier che arrivano al redde rationem dei processi, sono elementi che favorirebbero la caduta di Berlusconi e del berlusconismo. Perdonatemi ma io questa debolezza non la vedo e sarà molto difficile provocare la caduta dell’attuale maggioranza per via parlamentare o giudiziaria. Grazie ad un processo bipartizan che ha visto protagonista anche la sinistra (termine improprio ma è per farci capire) le varie leggi elettorali pianificate da dopo tangentopoli ad oggi hanno svuotato di significato la rappresentanza riducendola ad un termine di facciata. La necessità era di fornire un sistema che stabilizzasse il quadro politico al fine di attirare gli investimenti che la competizione globale richiedeva e velocizzare i processi decisionali soprattutto di liberalizzazione economica (Dannatissimo mercato). Il risultato di tali pasticci elettorali è che se una maggioranza - legittimata dalla vittoria alle elezioni anche solo per un voto in più - è formata da un boss che si avvicina più alla figura del mafioso che a quella dello statista, e da una serie di cortigiani e scagnozzi i quali vivono esclusivamente della luce riflessa del loro capo, non è praticamente rovesciabile anche se produce obbrobri legislativi e istituzionali che minano la credibilità e la funzionalità dello Stato. Infatti un boss che si avvicina più alla figura del mafioso che a quello dello statista, non pensa minimamente di dimettersi anche se imputato per gravi reati e qualche volta riconosciuto colpevole. Un tale giannizzero, anzi, sapendo che la sua fine politica lo porterebbe dritto in cella, userebbe tutti i mezzi istituzionalmente leciti e inventerebbe espedienti istituzionalmente illeciti, per sfuggire ai procedimenti che lo riguardano. I cortigiani e gli scagnozzi, sia che abbiano deciso di abbandonare il capo, sia che siedano nell’emiciclo opposto a quello del capo, sono pronti a ritornare o a saltare sul carro del vincitore eterno in cambio di elargizioni e prebende milionarie. Del resto dove comanda il mercato anche i parlamentari diventano merce e possono essere acquistati dal miglior offerente così come il corpo delle donne. Berlusconi capitali per comprare ne ha a iosa a bizzeffe. Dunque secondo le regole del mercato, se esiste un’unica domanda dominante con risorse illimitate (non approfondiamo sul come tali risorse si siano accumulate) , le offerte non possono che puntare su quella , per cui parlamentari, avvocati, lacchè, giornalisti e puttane convergono tutti verso il reich di Arcore (Dannatissimo mercato) . Dal momento che in Parlamento i numeri sono tornati grazie ad una campagna acquisti degna del miglior Milan, visto che, se il problema sono le commissioni parlamentari si evita che le leggi passino di la e arrivino direttamente in aula, preso atto che il premier non andrà mai a processo perché in occasione delle date pianificate per le udienze, i suo tirapiedi provvederanno a calendarizzare appuntamenti istituzionali a cui non ci si può sottrarre , tipo un’importantissima visita di stato a San Marino, oppure l’incontro con il presidente del Lichtenstein, come è possibile solo minimamente pensare che il governo Berlusconi possa finire anticipatamente? Un gesto eclatante potrebbe risultare decisivo in tal senso, l’abbiamo già detto ( vedi post L'Aventino ). Sarebbe auspicabile da parte dei parlamentari di tutta l’opposizione un atto di coraggio. Abbandonare i palazzi perché offesi nella loro dignità di donne e uomini da una maggioranza che pretende di prendere in giro tutti quando sostiene che Berlusconi credeva realmente che Ruby fosse la nipote di Mubarak. Sarebbe degno che tutti, deputati e senatori della minoranza abbandonassero in massa le camere come già successe nel 1924 dopo che i fascisti trucidarono Matteotti. Ma siamo sicuri che ciò non accadrà. Allora per rimanere negli scenari storici della liberazione , prima di un CLN ci vorrebbe la lotta partigiana, una lotta diversa ovviamente dai toni molto meno drammatici . Qualcosa in effetti comincia a muoversi le piazze si popolano di operai, di studenti, di insegnanti, di donne che urlano tutta la loro rabbia . Questa è la sovranità popolare, che magari non ha votato alle elezioni determinando la vittoria della minoranza più organizzata, questa è la maggioranza vera che sa cosa vuol dire vivere con l’angoscia di non poter pensare al futuro. Si potrebbe cominciare da quelle piazze, il cammino sarà lungo, ma non troppo. Egitto, Tunisia, Libia stanno mostrando la strada e guarda caso i tiranni a capo di questi paesi, che se ne sono andati o sono ancora in sella ma traballano sotto i colpi della rivolta, sono tutti amici intimi di Berlusconi.
sabato 19 febbraio 2011
Uranio impoverito, dalla guerra del golfo a Salto di Quirra.
da Il minatore rosso
Alcuni giorni fa, a circa un miglio dalla costa di Perdasdefogu, alcuni pescatori si sono imbattuti in un missile di oltre tre metri e mezzo di lunghezza: l’hanno tirato su con le reti, convinti fosse un grosso carico di pesce.
È l’ultimo di una lunga serie di episodi che hanno portato alla ribalta il Poligono sperimentale e di addestramento interforze del Salto di Quirra, a Perdasdefogu, centro dell’Aeronautica Militare in attività dal 1956 e legato soprattutto alla sperimentazione aerospaziale, poligono che negli ultimi tempi ha risollevato la questione dell’utilizzo militare dell’uranio impoverito e delle imprevedibili conseguenze che coinvolgono ambiente ed esseri umani.
L’uranio impoverito, o depleted uranium o U238, è il prodotto di scarto del processo di arricchimento dell’uranio. Normalmente presente in natura, usato nelle centrali e negli ordigni nucleari, è una materia molto conveniente sia per le sue caratteristiche – elevata densità, duttilità, piroforicità – che per la sua reperibilità: essendo il prodotto di scarto delle 442 centrali nucleari distribuite per il globo, sono enormi le quantità didepleted uranium disponibili.
La storia dell’uranio impoverito è iniziata nel 1943, quando un rapporto, ormai declassificato, del Pentagono diede il via alla sperimentazione in campo militare. Dopo trentacinque anni, nel 1978, iniziò la produzione di proiettili all’uranio impoverito. Il primo “incidente” è avvenuto nel 1980, quando la statunitense National Lead Industries Inc. – produttrice di proiettili all’U238 – superò il limite di emissioni radioattive consentite e fu costretta a chiudere. All’inizio degli anni Novanta la Science Applications International Corporation, compagnia vicina al Dipartimento della difesa Usa, diffuse un rapporto in cui erano descritti i rischi radiologici dell’inalazione di polvere di uranio impoverito.
In piena guerra del Golfo centinaia di tonnellate di depleted uranium finiscono in Iraq, in Arabia Saudita e in Kuwait; quasi contemporaneamente diversi A-10 sorvolano la Bosnia e fanno piovere centinaia di proiettili all’uranio impoverito; nel 1998 quattrocento missili Tomahawk all’uranio impoverito colpiscono l’Iraq; più di dieci anni, e molte battaglie dopo, è il turno di Kosovo e Jugoslavia, sebbene la conferma dell’impiego dell’U238 in quelle zone arrivi solo nel 2000 grazie all’interessamento del Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan.
E poi il poligono di Quirra, in Sardegna, dove negli ultimi anni si è verificato un incremento di tumori e linfomi pari al 28% negli uomini e 12% nelle donne, dove la Procura della Repubblica ha disposto indagini che riescano a confermare o smentire un nesso tra le attività balistiche dell’area e l’incremento di morti e malattie tumorali.
La correlazione tra uso di uranio impoverito e incremento del tasso di tumori sembra ormai accertato, soprattutto una volta giunti a conoscenza del comportamento delle particelle di uranio inalate o ingerite, ma non è questo il punto oscuro della vicenda.
In Italia i due fatti sotto esame sono proprio le azioni in Kosovo e le attività di Quirra.
Inutile entrare nei dettagli delle vicende, ormai sviscerate dalla stampa e mostrate spesso o attraverso la lente dell’antimilitarismo estremo o del sentimentalismo privo di pudore.
venerdì 18 febbraio 2011
Incontro di lavoro
di Francesco Notarcola
CONSULTA DELLE ASSOCIAZIONI DELLA CITTA’ DI FROSINONE
Agli Onn. Parlamentari della provincia
Ai Consiglieri regionali della provincia di Frosinone
Al Sig. Presidente della Commissione sanità – Regione Lazio
Al Sig. Presidente della Provincia
Al Sig. Sindaco del Capoluogo – Presidente Conferenza locale
della sanità
Al Sig. Direttore generale della ASL
Al Sig. Presidente dell’Ordine dei medici
Al Sig. Direttore sanitario dell’ospedale “F.Spaziani”
Ai Sigg. Sindaci dei comuni ove sono ubicate Strutture sanitarie
Alle associazioni
Alla stampa
Questa Consulta, unitamente ai comitati di quartiere ed alle associazioni: Cittadinanzattiva-Tribunale del Malato, AIPA, ADOLAS,
Frosinone 2020, Società operaia di Mutuo Soccorso, Ampintercultura,
INVITA
le Autorità in indirizzo all’incontro di lavoro che si terrà Sabato 19 febbraio, alle ore 9,30, presso la CASA DEL VOLONTARIATO (adiacente Cinema ARCI) – Via Pierluigi da Palestrina - Frosinone Scalo per un esame delle problematiche della difficile organizzazione sanitaria di questa provincia dopo l’entrata in funzione del nuovo ospedale del Capoluogo.
Il fabbisogno sanitario non può essere soddisfatto a causa della carenza di medici ed infermieri, per la precaria organizzazione dei servizi ospedalieri ed ambulatoriali e per la fatiscente, in molti casi insistente, rete di assistenza socio-sanitaria territoriale.
In questo quadro è prioritario intervenire con urgenti provvedimenti per adeguare tutte le unità semplici e complesse della cardiologia; UTIC ed emodinamica efficienti e funzionanti H 24 ( 7 gg.su 7); rafforzamento della riabilitazione cardiologica; istituzione della UOC di chirurgia cardiovascolare per avere subito il DEA di 2° livello. E’ noto che la ASL di Frosinone ha assunto, da oltre 2 anni un Primario chirurgo cardiovascolare di grande esperienza, docente universitario, che effettua solo visite ambulatoriali e consulenze perché non è stato messo in condizione di fare il suo lavoro, sebbene nel nuovo ospedale siano presenti 2 sale operatorie ed 1 sala di terapia intensiva post-operatoria dedicata a questa specialità.
Si ritiene, inoltre, esaminare come mettere fine agli sprechi, per un uso mirato delle risorse umane e finanziarie alfine di innovare ed affermare una gestione trasparente, legale e partecipata così come richiede anche la legislazione vigente. Cordiali saluti.
Soddisfazione per la manifestazione "Se non ora quando"
da "Collettivo donne in terra ciociara"
Il “Collettivo donne in terra Ciociara” esprime soddisfazione per la consistente adesione di donne, uomini, cittadine e cittadini alla manifestazione a difesa della dignità e libertà delle donne e di un intero paese che si è svolta domenica 13 febbraio in Largo Turriziani, Frosinone. Il “Collettivo donne in terra Ciociara”, comprende al suo interno persone e movimenti attivi nel sociale e con esperienze politiche e culturali molto diverse fra loro. La presenza attiva e partecipata alla sopramenzionata manifestazione ha aperto un primo proficuo dibattito da dove è emersa la necessità di proseguire in un percorso di confronto democratico tendente a qualificare e migliorare lo stile di vita e la partecipazione attiva nel concreto tentativo di risolvere le problematiche che attanagliano la quotidianità delle persone, delle famiglie e delle città, soprattutto per quanto riguarda l’universo femminile, valorizzando impegno, merito, tutela dello stato di diritto . Il Collettivo, raccogliendo l’invito dei partecipanti, al fine di definire una adeguata piattaforma programmata di lavoro condiviso, si autoconvoca per lunedì 22 febbraio alle ore 17,30 nei locali della CIA in Via Brighindi, 39.
20 novembre 2011 fiaccolata per le vittime della strada
da Claudio Martino
Per domenica 20 febbraio 2011, l'Associazione italiana familiari e vittime della strada-onlus (sezione provinciale di Frosinone) invita tutti i cittadini a ricordare, presso il quartiere "Cavoni" di Frosinone, quanti hanno perso la vita o la salute in incidenti stradali.
Il programma dell'iniziativa prevede:
- alle ore 18, una fiaccolata sulla "Monti Lepini", con partenza da viale Madrid;
- alle ore 19, una Messa di commemorazione dei defunti, presso la chiesa di San Paolo.
Per vedere le foto relative alle fiaccolate degli ultimi due anni:
Per domenica 20 febbraio 2011, l'Associazione italiana familiari e vittime della strada-onlus (sezione provinciale di Frosinone) invita tutti i cittadini a ricordare, presso il quartiere "Cavoni" di Frosinone, quanti hanno perso la vita o la salute in incidenti stradali.
Il programma dell'iniziativa prevede:
- alle ore 18, una fiaccolata sulla "Monti Lepini", con partenza da viale Madrid;
- alle ore 19, una Messa di commemorazione dei defunti, presso la chiesa di San Paolo.
Per vedere le foto relative alle fiaccolate degli ultimi due anni:
Parlando con Emilio, cassaintegrato della Videocon
di Ingazio Mazzoli da http://www.invisibili.eu
Da quando abbiamo pubblicato la notizia del decreto di condanna indirizzato a 22 operai cassaintegrati della Videocon di Anagni perchè avevano occupato la sede dell'Autostrada del Sole e che li costringe a pagare 3750 euri a testa o a fare 15 giorni di carcere, mi ronza nella testa un interrogativo. Ma come mai tanto accanimento nei confronti di persone così sfortunate che sono ormai da anni senza lavoro? Capiamoci bene, non è che l'occupazione dell'autostrada sia un esercizio da fare a cuor leggero e neppure è immaginabile che possa essere esente da sanzioni, ma in altri momenti della nostra storia nazionale abbiamo constatato maggiore attenzione e comprensione verso la disperazione dei senza lavoro.
Come in questo caso l'occupazione delle sede autostradale è un gesto che dichiaratamente vuole essere clamoroso perchè tutti sappiano della disperazione di chi quel gesto compie. Come si fa ad applicare la legge in maniera così burocratica e codina? Codina, si perchè segue acriticamente un clima pericolosamente punitivo nei confronti delle lotte dei lavoratori che si vorrebbero invisibili (perchè silenziosamente ubbidienti) o colpevoli di non arrendersi alle scelte dei padroni (legge Marchionne). Vale la pena di aggiungere una informazione relativa al motivo della condanna. Questa sarebbe stata comminata per interruzione di pubblico servizio. Un autobus Cotral sarebbe stato costretto a fermarsi sull'autostrada interrompendo il suo trasporto passegger.i Mistero. Cotral smentisce asserendo che gli orari delle sue corse non coincidono con quelli in cui è avvenuta l'occupazione della sede autostradle. E allora?
Ho voluto sentire direttamente l'opinione che circola fra i cassantegrati Videocon ed ho incontrato uno di loro, Emilio C.
Emilio ha lavorato prima in Videocolor dal 1972 e poi è rimasto quando questa è diventata Videocon in mano agli indiani. Ha conosciuto e conosce tutte le vicende e le vicissitudini di questa fabbrica. Dall'era dei cinescopi alla mancata innovazione tecnologica che ha decretato la crisi. Nel suo racconto si susseguono i nomi di diverse genrazioni di lavoratori e sindacalisti impegnati sin quando la produzione principale era, appunto, quella dei cinescopi. Emilio denuncia quanto sia grande, oggi, la solitudine che circonda la lotta di questi operai per il lavoro.
L'ultimo piano d'intervento di cui sia abbia memoria è quello che fu messo a punto dalla Giunta regionale Marrazzo negli ultimi mesi che precedettero le elezioni regionali del 2008. Che fine ha fatto? Perchè non si è dato il via a quel lavoro? Non basta dichiararlo dell'avversario e metterlo da parte, si può modificarlo, "perfezionarlo" se si vuole, ma non si può interrompere l'iniziativa per tutelare 1400 posti di lavoro.
Ho letto su un sito locale la dichiarazione di un politico ciociaro che afferma che la politica non può restare indifferente di fronte alla tragedia di un suicidio come quello di Antonio Pizzuti. Ma ci vuole un morto suicida per non restare indifferenti? Anche altri ce ne sono stati di suicidi in questa vicenda, ma tutto questo lavoro appassionato da parte della "politica" non si è visto.
Emilio racconta che proprio lunedì 14 l'Amministrarzione provinciale ha messo a disposizione un avvocato per l'assistenza ai lavoratori condannati. Oggi c'è una terna di legali, uno della Provincia, uno della Cgil ed uno dei Cobas di Cassino. Questo passo ha assicurato la presentazione del ricorso avverso il Decreto di condanna. Bene. Ma non basta.
Primo, dice Emilio perchè corrono voci che siano in arrivo altre condanne molto più numerose e ben più impegnativa ed estesa dovrà essere la solidarietà per tutelare tante persone. Secondo, perchè non si possono tamponare solo le emergenze tragiche e dimenticare il quadro d'assieme assolutamente drammatico. Nelle parole di Emilio c'è il dolore tangibile di tantissime famiglie nella più terribile difficoltà.
Mi parla di decine di auto pignorate ai lavoratori, di numerosissime case, si case, abitazioni, cioè luoghi in cui si vive con mogli e figli in via di restituzione perchè non si possono pagare i mutui. Ma ci si rende conto in che condizione di rovina si trovano persone che sono state abbandonate senza lavoro?
Le famiglie degli operai stanno vivendo una situazione esasperata: si procede a rilento sul procedimento per evitare il fallimento, conosciuto come 182bis. Il Governo, dopo mesi di totale indifferenza per l'assenza di un Ministro Economico per le Attività produttive lo Sviluppo, adesso dà delle risposte vaghe e senza garanzie.
L'attendismo è totalmente fuori luogo: Governo, Regione e Provincia non possono lasciare marcire la situazione: bisogna che ci siano delle risposte certe ed in tempi brevi sul futuro dello Stabilimento.
Emilio a questo proposito affronta quello che potremmo chiamare un problema cruciale. La credibilità. Intorna ad essa ruota tutto. Se c'è credibilità nelle proposte si rimette in moto la macchina della fabbrica, la solidarietà, l'impegno delle Istituzioni e delle forze politiche. Se le proposte non sono credibili c'è solo la disperazione degli operai che capiscono come la volontà sia quella di rilevare "la pera secca", come Emilio la chiama, per fare solo una speculazione senza riavviare nessun ciclo produttivo capace di stare sul mercato.
La consapevolezza dei lavoratori è molto elevata. "Preferiamo che ci dicano, per esempio, intendiamo produrre pannelli fotovoltaici che possono dare occupazione inizialmente limitata, ma questo è il programma concreto e realizzabile (gli operai vogliono vederlo e conoscerlo) e per questo ci impegnamo" piuttosto che promettere di riassumere tutti ed in più promettere 700 nuovi posti di lavoro senza nessun risultato concreto perchè irrealizzabile.
I lavoratori vogliono la verità e crdiamo che ne abbiano diritto senza altre discussioni.
giovedì 17 febbraio 2011
Solidarietà al Compagno Guglielmo Maddè
da Circolo "5 APRILE" Prc Ceccano
Dopo la vergognosa condanna a 15 giorni di carcere o 3000 euro di multa nei confronti dei lavoratori Videocon che avevano, durante una manifestazione in difesa del posto di lavoro, occupato la A1, la repressione nei confronti di chi lotta per la salvaguardia dei diritti propri e collettivi continua a farsi sentire e colpiscei un altro lavoratore. Si tratta del compagno Maddè Guglielmo che molti hanno avuto modo di conoscere per il suo instancabile impegno nelle lotte in difesa della sanità pubblica e la costante presenza in tutte le vertenze che riguardano il mondo del lavoro, raggiunto da avviso di garanzia per una protesta risalente al 2008 in difesa dell'ospedale di Pontecorvo. Il Circolo "5 Aprile" del Partito della Rifondazione Comunista esprime piena solidarietà al compagno Maddè Guglielmo e a tutti i lavoratori Videocon colpiti da tali provvedimenti repressivi .
Rifondazione Comunista è al fianco di chi lotta contro la distruzione sistematica dei diritti e non solo idealmente.
Il caso Ruby e la Corte di Silvio
da Lettera 41
Il conflitto fra poteri dello Stato cadrà nel vuoto.
Il conflitto fra poteri dello Stato cadrà nel vuoto.
Se con la presentazione del conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato l'obiettivo è trasferire il processo a carico del premier Berlusconi sul 'caso Ruby' dal tribunale di Milano a quello dei Ministri, il conflitto tra poteri dello Stato davanti alla Corte Costituzionale rischia di cadere nel vuoto e di essere fermato da una pronuncia di inammissibilità. E questo perché, secondo fonti qualificate di Palazzo della Consulta, sulle questioni di giurisdizione decide la Cassazione e non la Corte Costituzionale, 'secondo quanto previsto dall'art.37, secondo comma, della legge 87 del 1953' sul funzionamento della Consulta. Negli stessi ambienti si auspica che tali norme siano tenute in conto nel caso in cui la Camera o la presidenza del Consiglio decidano di sollevare il conflitto. La norma citata prevede che il conflitto tra poteri dello Stato sia risolto dalla Corte costituzionale 'se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali'. Ma la norma, al secondo comma, precisa in modo inequivocabile che 'restano ferme le norme vigenti per le questioni di giurisdizione'.
ABUSO DI POTERE. Quindi, se la questione verrà posta per risolvere il nodo della competenza funzionale (nel telefonare in questura a Milano per chiedere il rilascio di Ruby, Berlusconi ha agito o no abusando della sua funzione di premier tanto da dover essere giudicato dal tribunale dei Ministri?) la Consulta dovrebbe rigettarla, dichiarandola inammissibile e senza entrare nel merito. La sollecitazione in ambienti di Palazzo della Consulta è dunque quella di 'valutare bene' la strada del conflitto tra poteri. E se questo dovesse essere sollevato, si tenga conto che il conflitto non sospende il procedimento in corso. Inoltre - fa notare la stessa fonte qualificata - tra ammissibilità e decisione nel merito mediamente passa oltre un anno prima che la Consulta si esprima sui conflitti. 'Potremmo anche ridurre i tempi arrivando a sei mesi ma - viene ribadito - non si dimentichi che è la Cassazione a decidere sulle questioni di competenza'.
Fiat atipico, ecco il nuovo modello
da sbilanciamoci.info
Dopo l’accordo di Mirafiori giunge la notizia secondo cui la Fiat sarebbe intenzionata a trasferire la direzione a Detroit. D’altra parte di impegni non ne ha mai presi, né su questo tema, né sul piano di rilancio da parte della proprietà. Non è un caso che Marchionne sia sempre stato restio a mostrare il suo piano di investimenti in Italia. Sarebbe stato difficile per i suoi sostenitori e per i sindacati firmatari dell’accordo chiedere ai lavoratori di Mirafiori di votare sì per mantenere salda la presenza della Fiat nel nostro paese di fronte all’evidenza di una marginalizzazione dell’Italia nei piani di Marchionne. Il centro dei suoi interessi è negli Stati uniti e il destino della Fiat è ormai legato alla Chrysler, i cui risultati non sono certo brillanti. Oltreoceano, poi, la Fiat punta al mercato brasiliano, dove da anni è leader nella vendita di auto. Ma anche dal Brasile arrivano cattive notizie per la Fiat: per la prima volta negli ultimi otto anni, la Volkswagen la supera nel numero di auto vendute.
Ma, nonostante una strategia che guarda sempre più all’America, Marchionne non si è fatto scrupoli a richiedere pesanti sacrifici ai lavoratori di Mirafiori e a imporre il modello di relazioni industriali americano senza offrire contropartite.
Nell’accordo di Mirafiori, con l’introduzione della “clausola di responsabilità” si limita drasticamente il diritto di sciopero: risultano pressoché vietati sia gli scioperi indetti dai sindacati, sia quelli spontanei perché anche i singoli lavoratori, in quanto firmatari di contratti individuali, si impegnano a non indire scioperi per modificare le clausole dell’accordo, pena provvedimenti disciplinari che possono anche sfociare nel licenziamento. Si richiede poi agli operai di accettare un peggioramento delle condizioni lavorative, con intensificazione dei ritmi, accorciamento delle pause, aumento delle ore di straordinario obbligatorio in vista di un ipotetico e non garantito rilancio dello stabilimento di Mirafiori. Ma, anche se il piano di rilancio andasse a buon fine, se davvero si realizzassero aumenti di produttività, la clausola di responsabilità vieta lo strumento dello sciopero per migliorare le condizioni di lavoro.
Ma forse c’è di peggio nell’accordo di Mirafiori. E questo punto raramente è stato sottolineato.
Il punto 10 dell’accordo “fabbisogno organici” recita:
Il fabbisogno degli organici della Joint Venture sarà soddisfatto in via prioritaria con personale proveniente dagli stabilimenti Fiat Group Automobiles spa di Mirafiori e, successivamente, dalle altre aziende del Gruppo Fiat dell’area torinese compatibilmente con le caratteristiche professionali, al fine di assorbirne eventuali eccedenze… Eventuali ulteriori fabbisogni di organico saranno soddisfatti con il ricorso a contratti di lavoro somministrato, contratti a termine e apprendistato professionalizzante.
Tenendo conto che l’età media dei lavoratori di Mirafiori è di 48 anni, che quindi molti sono vicini alla pensione, è certo che nei prossimi anni il numero di lavoratori assunti nello stabilimento di Mirafiori sarà nettamente ridimensionato. Assorbite le eventuali eccedenze dalle altre aziende del Gruppo Fiat, si passerà ai contratti atipici. Questa costituisce un’ulteriore garanzia per l’impresa riguardo agli scioperi. Come ovvio, il precario che sciopera non vedrà rinnovato il suo contratto e quindi in tal modo la Fiat si assicurerà la presenza di lavoratori “docili” e non iscritti a sindacati non graditi dalla direzione.
Ma c’è di più. Nello stabilimento di Mirafiori ci sono attualmente circa 1.500 lavoratori a ridotte capacità lavorative: si tratta di operai che nel corso degli anni hanno contratto malattie professionali, come ernie, problemi circolatori, ecc. Se in futuro a Mirafiori le assunzioni avverranno solo o prevalentemente con contratti a termine, la Fiat avrà la certezza di ridurre drasticamente il numero di lavoratori a ridotte capacità lavorative; all’insorgere di patologie che non permettono la completa efficienza fisica degli operai sarà sufficiente non rinnovare il contratto. Il costo di condizioni di lavoro insostenibili sarà interamente scaricato sui lavoratori e sulla società, mentre l’azienda potrà assicurarsi in tal modo manodopera giovane e in perfetta efficienza fisica. E, chissà, potrà perfino richiedere un’ulteriore compressione delle pause e ritmi di lavoro più serrati. È pur vero che aumenteranno i costi di turn-over, ma la Fiat avrà raggiunto così l’obiettivo di eliminare in fabbrica sia il conflitto, sia l’inefficienza causata dal logoramento fisico dei lavoratori. Non solo, otterrà la massima flessibilità del lavoro possibile. Non sarà più necessario nemmeno ricorrere a procedure come la cassa integrazione: verranno stipulati contratti a termine solo quando sarà necessario per le esigenze dell’azienda. In periodi di ristagno sarà sufficiente non rinnovare i contratti e, se la Fiat deciderà di chiudere lo stabilimento di Mirafiori, non avrà neppure l’onere dei licenziamenti. Così il rischio di impresa graverà sempre più sulle spalle dei lavoratori.
Basterà la compressione dei diritti, lo sconquasso delle relazioni industriali, la limitazione al diritto di sciopero, la possibilità di assicurarsi in futuro solo manodopera in piena forma fisica ad accrescere la competitività della Fiat? Tenuto conto che il costo del lavoro incide solo per il 7%, è altamente improbabile che i vantaggi in termini di flessibilità e costo del lavoro riescano ridurre il divario che separa la Fiat dalle altre case automobilistiche europee, divario che non si può certo attribuire alla scarsa produttività del lavoro, ma alla debolezza aziendale sui mercati e all’assenza di nuovi modelli. E se la Fiat sposterà il centro direzionale fuori dall’Europa, le probabilità di recuperare quote di mercato nel nostro continente scenderanno ulteriormente.
Ciò che colpisce profondamente in questa vicenda è la completa assenza della politica, che si è divisa fra l’approvazione incondizionata dell’accordo da parte governativa e la sua accettazione da una gran parte del centro-sinistra giustificata da un senso di ineluttabilità degli eventi. Solo ora, tardivamente, il mondo politico nazionale e locale e i sindacati firmatari dell’accordo sembrano esprimere qualche preoccupazione. Ma ormai questo accordo rischia di estendersi a macchia d’olio e di cancellare i diritti conquistati nell’ultimo secolo dai lavoratori. I lavori precari sono sempre più diffusi, ma se questa diventerà la forma di lavoro prevalente anche in una grande impresa come è la Fiat (che comunque – ricordiamolo – non è nuova al ricorso ad assunzioni a termine), significa che gli argini si sono rotti, che il posto fisso per le nuove generazioni sarà sempre più un miraggio. La politica, anche nel centro-sinistra, non sembra rendersene conto.
Siamo di fronte a una svolta storica, a una vittoria del capitale sul lavoro. In questo quadro sconsolante merita ammirazione e rispetto il coraggio di quel 46% dei lavoratori che ha votato no all’accordo, assumendo sulle proprie spalle il peso di scelte che la politica avrebbe dovuto fare.
Tutto il resto è conseguenza (Mao)
di Giovanni Morsillo
Ora che Berlusconi ha mostrato la vera faccia del potere incurante come sempre del giudizio delle persone perbene, ossia una faccia impresentabile resa appena tollerabile dal suo discendere da elezioni più o meno corrette (nel senso che sono fondate sull'espressione di cittadini assai largamente irresponsabili, in molti casi), tutti a gridare. Dimettiti! Vattene! Liberaci!, gli elettori democratici sembrano aver dimenticato l'avallo dato pochissimi anni fa ad una modifica in senso coercitivo dell'espressione del consenso, in nome della governabilità, della stabilità che fa bene ai mercati, ecc. ecc.
Ecco, questa è la stabilità, come allora poche e desolatamente sole voci ebbero l'avvedutezza (peraltro non così geniale, bastava semplicemente non farsi prendere dal ribrezzo per Tangentopoli e rimanere razionali nel giudizio) di anticipare.
E mica si trattava solo di persone semplici, poco avvezze ai meccanismi contorti dei sistemi elettorali, benché anche queste si arrabattassero per stabilire se fosse meglio l'uninominale secca, il doppio turno alla francese, il sistema tedesco o quello americano. Ci furono fior di intellettuali che misero tutti in guardia contro il dietro-front reazionario del maggioritario all'italiana, poi ricorretto e condito secondo la distribuzione dei consensi nei collegi, fino alla schifezza dei giorni nostri, dove si vota solo per ratificare le scelte dei gruppi dirigenti, senza possibilità di scelta alcuna. Citiamo uno per tutti, che scrisse un libro prezioso quanto misconosciuto nel febbbraio del 1993 (andiamo a memoria, ma siamo lì): Domenico Losurdo, Democrazia o bonapartismo , editore Boringhieri (salvo errore). Leggetelo, o rileggetelo. C'è scritto tutto, ma proprio tutto, sembra redatto dopo vent'anni di personalizzazione della politica.
Ora, dovrebbe essere chiaro a tutti, almeno agli onesti cittadini democratici, che quelle campagne per convincere gli elettori democratici che bisognava stabilizzare il quadro politico anche a discapito della rappresentanza, furono una sciagura. Noi siamo molto critici verso la democrazia borghese anche quando cerca di conservare un carattere il più vicino possibile all'idea di rappresentanza; quella attuale, non la consideriamo neppure democrazia, almeno dal punto di vista dell'espressione istituzionale del consenso, perché il voto non solo è drogato (pubblicità, televisione, e solite cose) ma è perfino in questa sua insipienza sterilizzato di ogni effetto fecondo sul quadro politico.
L'elettore può solo decidere se sostenere una squadra o l'altra, scegliendo fra quelle più finanziate, ossia più gradite ai centri veri del potere (i poteri forti, che sono in maggioranza ma non in assoluto di destra). Poi, di volta in volta, illudersi di aver mandato lui qualcuno a fare i suoi interessi, o quello che gli sembra più utile o più opportuno. Salvo poi non poter revocare quella delega nemmeno in presenza di fatti clamorosi, di cui l'harem di Berlusconi è solo una squallida parodia.
I cittadini, mobilitatisi in modo straordinario in più occasioni, non sono mai riusciti, non avendo rappresentanza, a determinare cambiamenti del quadro politico che avevano contro: la mobilitazione contro la guerra di aggressione all'Iraq per obbedienza agli affari di Bush e prima ancora contro la distruzione della Yugoslavia ha rappresentato il movimento più forte e consapevole del mondo, in quei mesi, ma nessun ministro o sotosegretario si è dimesso per questo. Le grandiose battaglie per il diritto ed i diritti del lavoro, contro le privatizzazioni, per la scuola e la cultura, questioni e lotte che non hanno interessato pochi sballati, ma la grandissima parte dei cittadini, non hanno prodoto alcun cambio, perché il sistema è stato progettato e via via perfezionato proprio ed esattamente per questo scopo.
L'unica causa di fine anticipata delle legislature risiede nella fine del gradimento dei poteri forti nei confronti di un esecutivo, che sia di centrosinistra (definizione del tutto convenzionale) o di destra ed estrema destra, non fa alcuna differenza.
Ne sa qualcosa il povero Prodi, e lo stesso Berlusconi. Per il primo, caduto per mano di Nato, Chiesa cattolica e Confindustria, anche lo sberleffo di far finta che fosse caduto per l'indisciplina della cellula comunista che ne faceva parte, più o meno.
Questa è la sostanza: oggi si governa o si cade in virtù di quello che serve o che piace alla chiesa cattolica (cioè ad uno Stato straniero), al grande padronato, inclusa l'alta finanza (cioè ad una classe sociale specifica), alle solite lobbies ma non al parlamento (che è selezionato preventivamente e regolato da leggi capestro che "sconsigliano" ai parlamentari qualsiasi atto di autonoma espressione di dissenso) o ai cittadini attraverso el loro organizzazioni.
Continuando a sparare ad alzo zero sui partiti in quanto tali e non sui loro difetti, si allontana sempre più la possibilità che si torni a considerare la libera adesione ad un progetto come "democrazia che si organizza", per citare uno forte. Ciò, nell'illusione di combattere la disaffezione, in realtà le fornisce sempre nuovo alimento, e nella dispersione dei cittadini, nel loro disorientamento, quei poteri forti hanno in mano il campo.
Ora, quindi: o si fa una inversione e si ammette di aver fatto un sacco di danni (in buona fede, certo, ma non meno garvi per questo) e si vede di trovare una via di lotta per il ripristino di libertà e poteri democratci distrutti o danneggiati in oltre venticinque anni di rimbambimento civile, oppure qualsiasi appello all'unità (dei democratici, dei lavoratori, dei comunisti, delle donne, di quello che si vuole) saranno solo un meschino tentativo di mettere ancora una volta la coscienza a tacere, nell'ignavia più colpevole.
Adesso basta davvero con le manfrine. Non basta cambiare squadra se il gioco è truccato, e non si tratta di mettere tutti sullo stesso piano. Sappiamo benissimo quale distanza siderale corra fra gli uomini dei principali schieramenti, non ci sogneremmo nemmeno di fare paragoni sbagliati prima ancora che offensivi. Ma se questa caricatura di governo cadesse e si andasse a nominarne un altro composto di persone serie (che comunque non abbondano nemmeno di qua dal Rubicone) magari competenti che non guasta, perfino intelligenti, sarebbe sicuramente un passo avanti, ma non risolverebbe il problema. Perché il problema non è soltanto la pessima gestione del potere del commerciante di femmine di Arcore e dei suoi accoliti, ma è la struttura stessa del potere, così come esce da un quarto di secolo di costruzione della "Rinascita democratica" di gelliana architettura.
Se poi si preferisce coltivare il nichilismo del meno peggio, si sappia almeno che si sta lavorando per il nemico, che mentre di qua ci si illude e ci si trastulla con qualche mortaretto, al di là della linea del fronte si riorganizzano le fanterie d'assalto e si prepara la prossima offensiva. E qui, se non fosse chiaro non intendiamo il "di là" come centrodestra, ma come nemico di classe (padronato, pensiero unico, ecc.).
mercoledì 16 febbraio 2011
Il massacro del festival di Sanremo
di Luc Girello
Questa è la demolizione del coprorativismo capitalistico-musicale inscritto nel Festival di Sanremo. Un coacervo di archetipi sub-culturali che la società capitalistica, berlusconian-borghese impone. Un regime in cui l’espressione musicale è rigidamente determinata da ferrei limiti di fruibilità narcotizzante per le menti e per le emozioni, dall’imposizione di figure patinate che un populismo spinto impone all’immaginario collettivo. Tutto questo è Sanremo e noi lo demoliamo. Purtroppo non potendo destrutturare un brano sanremese che raramente è strutturato in modo musicalmente significativo, il processo di liberazione metaforico ha come vittima sacrificale la musica classica e in questo caso Bach è un po' ingiusto lo riconosciamo, non ce ne vogliano gli appassionati di Bach, ma la rivoluzione è rivoluzione . Loro pagano per tutti. Nel "Massacro di Brandeburgo", il primo brano che accompagna le foto, si cancellano progressivamente le parti più importanti nello svolgimento dei contrappunti bachiani nelle prime 46 battute, e in "Giro giro" tondo il pezzo che segue, si contrappone un’improvvisazione totalmente liberatrice. Anche la sequenza della clip dopo le prime foto relative alla ribellione dell’orchestra dello scorso Sanremo propone un’alternanza in cui ad un immagine patinata, preconfezionata della kermesse sanremese se ne alterna una libera tratta da altri concerti o relativa a gruppi e artisti come gli Art Ensemble of Chicago, fuori da ogni schema. Anche nella esposizione del corpo femminile abbiamo cercato di contrapporre agli schemi decotti e preconfezionati imposti dallo star business il nudo esibito come libera scelta dalle donne presenti al grande concerto del Parco Lambro organizzato nel 1976 dalla rivista Re Nudo
Per Il Massacro di Brandeburgo numero tre in sol maggiore è stato usato un frammento del “Terzo Concerto Brandburghese “ in sol maggiore di J.S. Bach eseguono:
Umberto Benedetti Michelangeli: Violino
Armando Burattini: Viola
Paolo Salvi:Violoncello
Giorgio Garulli: ContrabbassoIl brano demolitore è “Giro giro tondo” eseguono:
Hugh Bullen: Basso elettrico
Walter Calloni: Batteria
Patrizio Fariselli: Sinth A.R.P. Odissey, piano elettrico, piano acistico
Demetrio Stratos: Voce, organo Hammond, piano acustico
Palolo Tofani: chitarra, sinth. Techerpnin
La maglietta della Salute
di Luciano Granieri
Tempestosa seduta del consiglio regionale del Lazio. Oggi sotto la sede della Pisana erano presenti un centinaio di persone conterranee del presidente del consiglio Mario Abruzzese. Eh già! Il popolo ciociaro, in gran parte artefice della vittoria della Polverini, sentendosi tradito dal piano di riordino ospedaliero che distrugge la sanità pubblica provinciale con la prevista chiusura di otto ospedali, fra cui quello di Pontecorvo, urlava tutta la sua rabbia riunito in sit-in davanti al Palazzo . Erano presenti anche venti sindaci della provincia di Frosinone guidati da Michele Marini primo cittadino del Capoluogo. Come al solito alla testa della composita pattuglia di cittadini e primi cittadini il nostro compagno e amico Guglielmo Maddè, senza megafono ma con una maglietta con lo slogan “Pontecorvo l’ospedale non si tocca ”. E proprio la maglietta è stato l’elemento decisivo per ottenere quanto non era riuscito in mesi e mesi di richieste inoltrate dai sindaci ciociari alla governatora Polverini. Infatti Il presidente del Consiglio regionale, Mario Abruzzese, è stato costretto a sospendere la seduta dell'Aula quando i consiglieri Ivano Peduzzi e Fabio Nobile (Fds) e Annamaria Tedeschi (Idv) hanno indossato proprio quelle magliette griffate “No alla chiusura dell’ospedale di Pontecorvo” e ad avviare un confronto tra una delegazione di sindaci, di rappresentanti sindacali e di esponenti dei comitati ciociari e il vice presidente della Giunta”. Questi ha accettato di prendere in considerazione le due istanze provenienti dalla provincia di Frosinone, ovvero la sospensione dei provvedimenti di taglio alla rete ospedaliera contenuti nel decreto della Polverini e la riformulazione di un nuovo decreto che tenga conto delle proposte locali. I consiglieri Fds Nobile e Peduzzi hanno assicurato che “Vigileranno affinché la presidente Polverini dia immediato seguito alle incessanti richieste provenienti dai territori”.
La Maglietta Contagiosa
di Fausta Dumano
Stamattina ho incrociato GUGLIELMO con una maglietta gialla,per lui parlava la scritta sulla maglietta,un saluto veloce,la sua metà era la PISANA,da sempre attivo nel movimento a difesa dell' ospedaledi PONTECORVO,insieme a centimaia di magliette gialle e fasce tricolori si è presentato alla PISANA,ovviamente GUGLIELMO non passa mai inosservato,tamburrista della FIOM,militante del PRC,attivista a trecento sessanta gradi ,sempre a fianco di chi lotta per i diritti,pericoloso anzi''pericolossissimo''ha già all' attivo due denunce per aver occupato l' autostrada. La sua maglietta era tropo scandalosa per varcare la soglia di un luogo istituzionalela maglietta in oggetto non era trasparente,non era chiara, non lasciava immaginare tutto,la maglietta strillava nel silenzio, senza parlare,come un virus contagioso tre consiglieri hanno indossato la maglietta .CHE INDECENZA.......I TRE CONSIGLIERI PEDUZZI,NOBILE E LA TEDESCHI sono stati ammoniti ,la seduta è sospesa ,la maglietta indecente è un pugno allo stomaco, perchè ricorda che si muore per la malasanità,file ai pronti soccorsi,un piano sanitario che fa acqua da tutte le parti. La maglietta gialla è antiestetica, mostra l' altro lato del piano regionale , la maglietta gialla distrurba la vista con la scritta ''Pontecorvo l' ospedale non si tocca ''La maglietta è indecente, pericolosa, contagiosa , un virus, i cittadini stanno tornando ad essere protagonisti.
APPELLO A TUTTE LE SINISTRE- POLITICHE, SINDACALI, DI MOVIMENTO - E A TUTTO L'ASSOCIAZIONISMO DEMOCRATICO ANTIBERLUSCONIANO:
da Partito Comunista dei Lavoratori
UNA GRANDE MARCIA NAZIONALE SU PALAZZO CHIGI PER IMPORRE A BERLUSCONI LE DIMISSIONI. UNA GRANDE MARCIA NAZIONALE DI LAVORATORI, GIOVANI, DONNE, SU PALAZZO CHIGI, CON L'ASSEDIO PROLUNGATO E DI MASSA DEI PALAZZI DEL POTERE, SINO ALLA CADUTA DEL GOVERNO.
FARE COME IN TUNISIA E IN EGITTO
Mentre le classi dirigenti del Paese scatenano una guerra sociale contro il mondo del lavoro e la giovane generazione, precipita la crisi politica e istituzionale della seconda Repubblica. Senza che le opposizioni parlamentari sappiano indicare una via d'uscita positiva per le ragioni dei lavoratori, dei giovani, delle donne.
Il governo Berlusconi cerca di sopravvivere alla propria crisi accentuando tutti i suoi aspetti più reazionari: le pose bonapartiste del Capo, il disprezzo delle formalità democratiche, la corruzione più sfrontata dei parlamentari, sullo sfondo della prostituzione di regime. Mentre Confindustria ottiene il sostegno alle peggiori misure contro i lavoratori, la scuola pubblica , i diritti sindacali. E il Vaticano incassa ulteriori regalie in cambio dell' assoluzione del Sultano e dei suoi “peccati”.
A loro volta le opposizioni parlamentari appaiono paralizzate dalla propria crisi e dal proprio stesso disegno: volendo rimpiazzare Berlusconi con un governo affidabile per gli industriali, i banchieri, i vescovi, non possono mobilitare contro Berlusconi le energie dei lavoratori e delle masse. Per questo si oppongono ad ogni sciopero generale, e progettano grandi alleanze trasformiste estese addirittura a partiti clericali, a settori della destra, eventualmente persino alla Lega.
Il risultato è che Berlusconi resta in sella, col rischio di un ulteriore slittamento reazionario dell'intero quadro politico e sociale.
E' necessaria una svolta. Sono i lavoratori e le grandi masse popolari che possono porre fine al governo Berlusconi aprendo la via di una vera alternativa.
In questi mesi nelle strade e nelle piazze di tutta Italia - seppur in modo discontinuo- si è manifestata un'opposizione di massa. Le mobilitazioni dei metalmeccanici e della Fiom ad Ottobre e a Gennaio. Le lotte degli studenti a Dicembre. Le manifestazioni delle donne il 13 Febbraio, hanno rivelato, in forme diverse, un potenziale enorme di ribellione. Questo potenziale non deve essere disperso, né subordinato alle manovre di palazzo. E' giunto il momento di unificarlo in una grande azione di massa, di carattere straordinario, capace di imporre una svolta:
Le sollevazioni popolari di Tunisia ed Egitto hanno dimostrato una volta di più che la forza delle grandi masse è capace di rovesciare in poche settimane regimi trentennali: sbaragliando la loro reazione, dividendo sul campo le loro forze, costringendoli infine alla resa. Il governo Berlusconi, tanto più oggi, non è certo più forte del regime di Ben Alì o di Mubarak. I lavoratori, i giovani, le donne del nostro Paese- se uniti- non sono certo più deboli dei lavoratori e dei giovani di Tunisia ed Egitto.
E' il momento di rompere il muro dello scetticismo o della rassegnazione. E' il momento di uscire dalla logica delle pure manifestazioni di denuncia e di propaganda. E' il momento di fare come in Tunisia e in Egitto. Persino costituzioni liberali riconoscono il diritto popolare alla sollevazione contro governi corrotti e reazionari. Nulla è più democratico che rovesciare un governo basato sulla menzogna e sulla corruzione.
Non serve chiedere a Berlusconi le dimissioni. Occorre imporgliele. Per questo ci rivolgiamo a tutte le sinistre, politiche, sindacali, di movimento; a tutte le forze dell'associazionismo democratico; a tutte le strutture popolari impegnate quotidianamente nella battaglia sociale e democratica , per promuovere insieme la marcia nazionale sul governo e aprire dal basso una pagina nuova: che rimuova finalmente le classi dirigenti del Paese.
( ATTORNO A QUESTO APPELLO VOGLIAMO APRIRE UNA DISCUSSIONE PUBBLICA TRA LE FORZE DELL 'OPPOSIZIONE OPERAIA E POPOLARE,A OGNI LIVELLO, RACCOGLIENDO ADESIONI E OSSERVAZIONI.)
Finiamola
di Giovanni Morsillo
Berlusconi finisce, Berlusconi non finisce, ora si cambia, no invece resta, l'opposizione, i giudici, le donne, i precari...
Berlusconi finirà, come ogni cosa e come ogni potere assolutista. Ma è questo il punto? Che Berlusconi sia travolto dagli scandali che ha commesso, dalle nefandezze degne di un principe di altri tempi (non a caso definiti decadenti, oscuri, e così via), è cosa necessaria. Tuttavia, è solo un ripiego, politicamente ininfluente, senza alcuna conseguenza nell'assetto dei poteri ormai devastato dalle riforme fatte o praticate da questa classe politica ormai da oltre vent'anni.
Berlusconi è oggi sotto schiaffo non solo dalla magistratura, ma anche da un'opinione pubblica assai più calvinista di quanto la povera chiesa cattolica potesse immaginare. Egli infatti è precipitato nei sondaggi di opinione ma solo in relazione alle pratiche ludiche cui si è dedicato fra una riforma e l'altra (o durante le riforme, non sappiamo bene neanche più dov'è che si decidano le sorti del Paese e dei cittadini), e non tanto perché siano in buona parte illegali, bensì perché giudicate immorali da un'Italietta bacchettona e triste, che pratica in segreto ciò che vieta in pubblico.
Noi non abbiamo alcuna indulgenza per il satrapo Berlusconi e per i suoi degnissimi compari e complici. Ma siamo fortemente preoccupati che per far smuovere le donne in quel modo così massiccio e determinato, si sia dovuto scoprire il coperchio su quello che alcune sodali del Presidente del Cosiglio hanno garziosamente definito "puttanaio". Noi, francamente, avremmo intravisto per anni motivi ben più gravi, per cacciarlo via senza tanti complimenti, ed avremmo preferito vivere in un paese che sapesse difendere al momento giusto le proprie conquiste democratiche e civili, che capisse cosa si profilava consentendo il massacro non solo economico che quella gente portava avanti.
Ci saremmo sentiti meglio, di gran lunga meglio, se gli oeprai invece di discutere se "a casa sua può fare quello che vuole" o invece se "siamo allo schifo", avessero preso la parola in difesa delle condizioni di vita dei loro figli, se le donne si fossero mobilitate contro i provvedimenti antisociali che pagano loro in primis con il lavoro suppletivo e non riconosciuto della cura degli anziani, delle famiglie, dei parenti malati, nel più totale abbandono da parte delle istituzioni ormai tramutate in imprese o in holding.
Certo, che finisca il suo dominio non può essere che positivo. Che finisca così, non per presa di coscienza verso il portato politico e sociale delle sue malefatte (ci riferiamo alle malefatte in veste di Presidente del consiglio, non di organizzatore di porcilaie) non ci sembra utile.
Finirà, Berlusconi, certo che finirà. Se non ora, domani o dopodomani. Ma il berlusconismo, l'oppio somministrato ai cittadini, che assistono con disinteresse allo sgretolamento della democrazia, che si lasciano estorcere diritti e garanzie come se non li riguardassero, che addirittura danno il loro consenso a che questo avvenga, questo finirà?
E per quale strana coincidenza dovrebbe finire? Quale sarebbe l'alternativa? Altre forme di berlusconismo, migliori perché senza Berlusconi, ma sempre nell'ambito del regime reazionario di massa? Sempre guidato dalla televisione?
Intanto, gli italiani si siedono davanti al televisore, guardano se Belen è ingrassata, si ingozzano di luoghi comuni sempre più banali e scemi, e sperano che qualcosa cambi.
Buon Sanremo a tutti, e sogni d'oro.
martedì 15 febbraio 2011
Lotta per la libertà nel maghreb, teppismo in Italia
di Andrea Cristofaro, segretario circolo Rifondazione Comunista Frosinone.
Che la situazione in Italia stia diventando sempre più insopportabile per tutti i cittadini: i lavoratori, i pensionati, i disoccupati, gli studenti, è cosa ormai nota. E che l’establishment pretenda che questi subiscano a testa bassa tutto ciò che gli arriva dall’alto è anch’essa cosa nota. Le persone sono viste solo come spettatori pronti a battere le mani o a fischiare, l’uno o l’altro degli schieramenti politici che a turno si presentano a promettere mari e monti. Il problema insorge quando i cittadini alzano la testa e decidono di fare a modo loro: allora non è più tempo di promesse o di spiegazioni, arriva il momento delle bastonate. Così succede che la protesta per difendere gli ospedali diviene una questione di ordine pubblico da reprimere quando le persone decidono che per farsi sentire si può anche occupare un’autostrada. E succede che quando ad occupare l’autostrada sono gli operai della Videocon, stanchi di promesse a vuoto fatte sulla loro pelle, allora il problema di ordine pubblico diventano loro. E puntuali arrivano le notifiche di condanna a giorni di carcere commutati in salatissime multe che un cassintegrato non può permettersi di pagare. Ai lavoratori della Videocon sono arrivate 22 condanne, e altre 180 circa ne arriveranno. Due di loro hanno deciso di togliere il disturbo: non chiedono più niente, si sono suicidati. Un compagno del Prc, attivo nel movimento per la difesa dell’ospedale di Pontecorvo, ha ricevuto due avvisi di garanzia per occupazione dell’autostrada. E che dire delle manganellate nelle piazze dove a protestare erano gli studenti, affiancati ai lavoratori? E i compagni dei Carc di Priverno che sono stati denunciati per aver partecipato ad una manifestazione indetta da lavoratori in lotta? Certo l’establishment italiano guarda alle ribellioni in nord Africa ed ora in Iran con simpatia, in quanto lotte per la libertà: ma ai loro occhi lì è diverso, lì il popolo è oppresso, quello è terzo mondo. Invece le lotte che in Italia vengono portate avanti per gli stessi motivi diventano atti di teppismo, sono da reprimere con la forza e con la legge, perché, sempre ai loro occhi, il popolo italiano gode di tutte le libertà, ha talmente tanti diritti che è giunto il momento di ridurli drasticamente e chiedere un po’ di sacrifici. Ma chi lotta per difendere il lavoro o il diritto alla salute non può essere giudicato alla stregua di un delinquente. Il compagno di rifondazione che ha ricevuto gli avvisi di garanzia e gli operai della videocon condannati non hanno commesso nessun delitto, la loro lotta, che è una lotta di libertà, deve essere la lotta di tutti. Come circolo di rifondazione di Frosinone ci dichiariamo, anche a nome di tutto il partito, al fianco di chi lotta, colpevoli degli stessi reati: e così speriamo faccia anche tutta la popolazione che sarà chiamata ad esprimere solidarietà nelle iniziative che verranno proposte per raccogliere fondi in aiuto dei lavoratori in difficoltà.
Il Partito Comunista Egiziano saluta la caduta di Mubarak, ma invita a continuare la rivoluzione
da Partito Comunista Egiziano
Il Partito Comunista Egiziano saluta il popolo egiziano per la grande vittoria storica ottenuta contro la dittatura e il regime dispotico e corrotto. La prima fase della rivoluzione si conclude con la realizzazione della principale rivendicazione popolare: la caduta del dittatore e della sua cerchia più prossima. Questa vittoria storica è una vittoria per i popoli arabi e i popoli del mondo che aspirano alla libertà, alla dignità e alla giustizia sociale.
Rendiamo omaggio alle centinaia di martiri e alle migliaia di feriti, gli spiriti lungimiranti che hanno aperto, con il sangue e il sacrificio, il cammino che porta al trionfo della rivoluzione.
Nel rendere omaggio ai partiti e alle forze che hanno sostenuto il popolo egiziano nel mondo arabo e nel mondo intero, ci impegniamo a continuare la Rivoluzione fino alla realizzazione di tutte le rivendicazioni popolari, alla conquista dei nostri diritti democratici, sociali e nazionali. Nelle tre settimane della rivoluzione, abbiamo conosciuto i giorni della gloria e i giorni difficili, in cui si è dovuto far fronte ai tentativi di rifare la facciata al sistema da parte delle forze della controrivoluzione. Solo la risolutezza e il coraggio del grande popolo egiziano hanno permesso di sconfiggere queste manovre.
Una nuova era si apre per l'Egitto, con il sangue e i sacrifici dei suoi ragazzi. Il nostro popolo continuerà a lottare per recuperare i diritti e vedere soddisfatte le proprie giuste rivendicazioni di una vita degna di un paese libero.
Viva la rivoluzione! Viva il popolo egiziano!