sabato 17 gennaio 2015

Abbiamo spaventato il sindaco Ottaviani

Luciano Granieri



Evidentemente il nostro video su come avrebbero potuto scorrazzare i cittadini per le vie di  Frosinone dopo aver visto all'opera i piloti da Rally,  ha spaventato il sindaco Ottaviani.

Il tanto contestato Rally, che avrebbe dovuto svolgersi nella parte bassa della città, ieri sera e stamattina,  è stato annullato da Ottaviani, pochi minuti prima del via. Come riporta  L'INCHIESTA QUOTIDIANO.IT  il sindaco ha rinviato a data da destinarsi la manifestazione rendendo noto che: "A seguito della constatazione del delegato dell'Aci circa il mancato rispetto da parte degli organizzatori delle misure di sicurezza relative al piano autorizzato, il sindaco  ed i rappresentanti del comitato provinciale per l'ordine pubblico e la sicurezza non hanno potuto permettere l'inizio delle prove speciali" Ottaviani ha anche precisato che «L'amministrazione comunale è sempre attenta alla promozione delle manifestazioni motoristiche per gli appassionati di tutta la provincia,  ma al primo posto rimane la sicurezza degli spettatori». 

Suvvia sindaco lo ammetta si è preso paura a vedere l'arrivo del Rally sul nostro video!!!




Quell'impianto di compostaggio non s'ha da fare

Luciano Granieri


 L’impianto di compostaggio la cui realizzazione era prevista   nel Comune di Ferentino, in zona industriale, è nocivo. Infatti con determinazione n. G00011 del 09/01/2015, l’Area “Qualità dell’ambiente  e Valutazione Impatto ambientale  della Direzione Regionale infrastrutture, ambiente e politiche abitative”, ha espresso parere negativo sulla valutazione di impatto ambientale dell’impianto.  Di seguito alcuni elementi di criticità, tratti dal documento che ha determinato la bocciatura dell’impianto :

 - presenza di abitazioni e attività commerciali ubicati in un raggio di circa 500 metri dal sito di
progetto, contesto territoriale caratterizzato da consistente insediamento industriale con un
rilevante numero di aziende produttive, anche di gestione di rifiuti;

- il quadro ambientale della Valle del Sacco risulta compromesso dal punto di vista ambientale
tale da impedire la collocazione di ulteriori attività rispetto a quelle già presenti nel comprensorio;

- per quanto riguarda la gestione dei reflui, degli scarichi e dei prelievi e consumi delle acque, il
progetto non tiene conto di quanto determinato dal Piano Gestione del Bacino Idrografico
dell’Appennino Meridionale, approvato con DPCM del 10 aprile 2013, bacino al quale
appartiene il bacino idrografico del fiume Sacco e dei suoi affluenti, il quale evidenzia che la
qualità delle acque del bacino del Sacco è di livello “pessimo”;

- il depuratore consortile che serve l’area dell’A.S.I., nella quale ricade l’area di progetto, non
risulta in funzione e quindi resta omessa ogni depurazione dei reflui industriali, pertanto pur
ipotizzando una modesta immissione di reflui dell’attività di cui al progetto, il contesto
ambientale e lo stato delle matrici è tale da non consentire ulteriori aggravi ed impatti;

- non è stata trattata nello studio ambientale l’opzione zero nè una valutazione di alternative alla localizzazione dell’impianto;

- rilevanza degli effetti delle emissioni odorigene in relazione all’ubicazione dell’impianto in
progetto, il quale nonostante venga localizzato in zona industriale in un raggio di 500 m sono
comunque presenti numerosi insediamenti abitativi e alcune attività produttive artigianali e
agricole (tale situazione è ritenuta dalla pianificazione regionale fattore di attenzione
progettuale);

- mancanza di conformità nei riguardi del Piano regionale dei rifiuti per quanto concerne la
presenza di fattori escludenti in quanto risultano presenti edifici sensibili, in particolare entro
un raggio di 1 km sono ubicate due scuole, una elementare ed una materna; all’interno di tale
distanza insiste anche l’intero centro abitato Stazione;

- non è stato prodotto uno studio previsionale dell’impatto odorigeno che descriva gli effetti
sullo stato futuro;

- il sito presenta problemi di esondabilità ed alluvionabilità per la vicinanza del Fosso Fresine
come risulta evidenziato da documentazione fotografica oggetto delle alluvioni nel 1993 e 2008
tale da essere considerata “zona soggetta a frequenti inondazioni” secondo la direttiva europea
alluvioni recepita con D.Lgs.49/2010 e quindi non compatibile con l’attività di gestione dei
rifiuti;

- effetti cumulativi con altri impianti esistenti nell’area in particolare Henkel (saponi e detersivi
liquidi), Patheon e Biomedica Foscama (medicinali), Navarra SpA (trattamento rifiuti
indiustriali), LEM Italia srl (raccolta, lavorazione e trasformazione rifiuti speciali organici),
DiErre srl (carpenteria metallica leggera e pesante), Marangoni SpA (ricostruzione e
lavorazione pneumatici), Effegi SpA (prefabbricati in calcestruzzo), gruppo Schina (conglomerati bituminosi, estrazione inerti calcarei), EcoMax srl (ritiro e smaltimento fibrocemento eternit), tutti concentrati nel raggio di circa 1,5 Km;

- per quanto riguarda gli aspetti paesaggistici l’area presenta una interferenza con la fascia di
rispetto di 150 m da corsi di acque pubbliche, che risulta uno dei fattori escludenti individuati
dal Piano Rifiuti Regionale;

- assenza di una adeguata analisi dei possibili impatti sull’ambiente e sulla salute della popolazione in correlazione al rilevante volume di rifiuti da trattare e alla stessa tipologia di trattamento per circa 52.000 t/a di rifiuti, non meglio suddivisi per quantità, tra rifiuti urbani indifferenziati rifiuti urbani residui (a valle della raccolta differenziata), frazione organica dei rifiuti solidi urbani (da raccolta differenziata) e rifiuti speciali a matrice organica derivanti principalmente da attività industriale del comparto agro-alimentare;

- insufficienza della trattazione dell’aspetto relativo al traffico veicolare indotto.

Quanto espresso dal documento, va oltre la semplice bocciatura dell’impianto di compostaggio la cui costruzione era prevista nella zona industriale di Ferentino, perché vieta  l'installazione di sistemi simili in tutta la Valle del Sacco. Un territorio in cui  il quadro ambientale risulta talmente  compromesso    da impedire la collocazione di ulteriori attività rispetto a quelle già presenti nel comprensorio,  non solo, ma  la qualità delle acque del Bacino del Sacco è qualificata “pessima” tale da non giustificare altre affluenze nocive come gli scarichi di eventuali impianti di compostaggio.  Questa Valutazione di impatto ambientale negativa costituisce un elemento decisivo nella lotta al risanamento e alla tutela della Valle del Sacco, perché segna il successo delle attività di numerose associazioni e cittadini che, con manifestazioni di protesta  e osservazioni critiche  al progetto, hanno fatto emergere la follia dell’idea di costruire un impianto di compostaggio nella Valle e contribuito alla bocciatura della struttura di Ferentino .  E’ una vittoria della società civile, di persone che mai si sono rassegnate e mai si rassegneranno a vedere minacciata la propria salute da insane idee, avvallate dalla politica,  tese all’ottenimento del massimo profitto a discapito di tutto e di tutti. Questa vicenda è di incoraggiamento alle altre battaglie   che vedono impegnate cittadine e cittadini del territorio nella difesa del proprio diritto ad una vita dignitosa. Ci riferiamo alle questioni inerenti alla sanità e all’acqua pubblica. Teniamolo presente, non sempre, ma spesso la lotta paga.



venerdì 16 gennaio 2015

Una colonna di fumo vecchia di quarant'anni

Luciano Granieri


Stamattina un denso  fumo si è levato nella  zona di Ferentino in piena Valle del Sacco. Una nube così intensa  e vasta da coprire un raggio di 3 km tanto da indurre le autorità   chiudere il  tratto di  superstrada Ferentino –Sora. La prefettura di Frosinone, dopo aver consultato gli organi sanitari,   ha assicurato  che la nube non sarebbe tossica, ma ha egualmente  esortato  gli abitanti di Ferentino a  non uscire di casa in via cautelativa. Da dove si è sprigionata la colonna di fumo?  L’incendio che l’ha generata, è stato appiccato all’interno di un ecomostro di cemento che da decenni  , allieta con la sua inquietante presenza la già devastata Valle del Sacco.  Cemamit, così si chiamava l’azienda che produceva semi lavorati in cemento e amianto, aperta nel 1975 e chiusa nel 1984  data in cui  è diventato un ecomostro devastante. Da questo inferno di amianto si è sprigionato l’incendio di stamattina. Con i potenti mezzi di Aut nel lontano 2010, entrammo nella pancia del mostro per documentare quali salubri strutture popolassero il nostro territorio. Il video mi fu richiesto da Sky TG 24  che lo trasmise,  inviai il documento anche  alla sede cittadina di Legambiente, ma la denuncia di un insignificante blogger è irrisoria. Il solito rompicoglioni. L’unico provvedimento adottato, fu la chiusura del cancello del sito in modo da non far entrare altri occhi indiscreti.  Nel 2013 sono state le telecamere dell’ Adnkronos a documentare l’ulteriore degrado della struttura, ma anche quella segnalazione, non sortì alcun effetto degno di nota. Anzi spesso camion carichi di rifiuti tossici dopo aver forzato il cancello aggiungono veleno ad altro veleno scaricando nell’area dello stabilimento dismesso montagne di cancro allo stato puro. Sembrerebbe che proprio da uno di questi carichi di morte, improvvidamente incendiato dal criminale di turno con lo scopo di cancellarne le tracce, si sia sprigionato la densa coltre di fumo che ha infestato tutta la zona di Ferentino. Dal 1984 ad oggi, Giunte regionali, provinciali, comunali di vario colore si sono alternate alla guida del territorio. Dibattiti,  promesse, impegni solenni sono stati assunti per la tutela della Valle del Sacco, piani di bonifica sono stati promossi e progettati. Ma la domanda sorge spontanea. Se dopo trent’anni, in relazione alla Cemamit, l’unico effetto che si è ottenuto è stato quello di offrire alle ecomafie un nuovo sito di scarico  di rifiuti tossici  , anziché accelerare un piano di bonifica avviato, ma ancora in alto mare,   quale  credibilità potrà avere qualsiasi proposito di risanamento ambientale avanzato da una classe di amministratori  a dir poco inetta?  Un suggerimento ai nostri presidenti, consiglieri, assessori,  a tutti i livelli. Per cortesia, prima di discettare sulla tutela del territorio pensate se non sia il caso di tacere.


Di seguito i video relativi alla Cemamit

Video di Luciano Granieri



Video Adnkronos
  

giovedì 15 gennaio 2015

Il Presidente che Vorrei

Luciano Granieri


Una bella e una brutta notizia. Quella bella: Napolitano si è dimesso. Quella brutta: Da oggi, fino a quando sarà eletto il  nuovo Presidente della Repubblica, ogni giornale, Tv, e spazio web sarà zeppo di  tentativi  che opinionisti, giornalisti e insigni politologi metteranno in atto per  scucire alla vasta e triste platea di gaglioffi, capobastone, portaborse che frequentano i palazzi, il nome del successore di Re Giorgio. 

La solfa è iniziata ufficialmente da pochi giorni e già dobbiamo sorbirci le amenità, sul Presidente arbitro e non giocatore, sulla grande valenza istituzionale della questione. Si invoca sobrietà di analisi e comportamento  perché trattasi della più alta Carica dello Stato, non bisogna offrire il quadro desolante già andato in scena al momento dell’investitura bis di Napolitano. 

Sotto la stucchevole pomposità delle posizioni ufficiali si sta consumando la solita indegna gazzarra degli accordi sottobanco, o sopra il banco di qualche noto ristorante, o  ancora negli esclusivi club delle fondazioni. Gli ex democristiani della margherita, diventati riformisti moderati anticomunisti, si sono accordati attorno a sontuose libagioni  in un ristorante della Capitale. Anche i Bersaniani moderati si stanno misurando  con i Bersaniani riformisti post Renziani. I Dalemiani ortodossi stanno discutendo dentro le segrete stanze della fondazione Italiani Europei con i Veltroniani maanchisti juventini, contrapposti, a loro volta, ai romanisti bocconiani guidati da Padoan. I Civatiani  minacciano rotture, esodi, ricostruzioni del partito armato,  ma alla fine si adegueranno con un garibaldino “Obbedisco”  I Marxisti per Tabacci  per ora restano in attesa. Fitta è la rete dei conciliaboli fra  fan del Patto del Nazareno. La vexata quaestio riguarda lo scambio fra la resa di Berlusconi su un presidente gradito a Renzi, in cambio del salvacondotto sulla frode fiscale che potrà essere riconcesso, per la fine di febbraio,  grazie alla gelida manina. 

Fitta è la rete di Fitto.  Oggi  l’ex presidente della Puglia si è sorbito tre ore al cospetto dell’odiato Capo,   il quale sta convincendo i suoi lacchè e le sue dame che è necessario ingoiare anche un presidente comunista (Comunista?) pur di ottenere il tanto agognato lavacro penale. Salvini è in piena trans  da iperesposizione mediatica.  Sta tentando campagne acquisti nella melma nazifascista di CasaPound  per supportare la nomina di un Presidente fieramente Italiano, se fosse Padano sarebbe meglio ma anche Siculo  andrebbe bene. Grillo c’ha il server bloccato, oltre che il cervello per cui dalla rete muta non arriva neanche lo straccio di un nome. 

A proposito di nomi, da Prodi a Casini, da Amato a Benigni fino al comandante Schettino i papabili ormai non si contano più. E allora anche il sottoscritto si vuole cimentare nel gioco del Presidente che Vorrei.  Il nome non ce l’ho ma mi piacerebbe che il nuovo Capo dello Stato mettesse in atto il seguente programma. 

Primo: sollecitare il Parlamento a varare una legge elettorale con l’indicazione delle preferenze e senza premi di maggioranza, così come indicato dalla Consulta  nella sentenza che ha bocciato come incostituzionale il Porcellum.  

Secondo: sciogliere le Camere proprio per ottemperare a  quanto espresso dalla Corte Costituzionale e dalla successiva deliberazione della Cassazione. Infatti se si invoca il rigoroso rispetto delle  regole istituzionali  , sarebbe  necessario tradurre in pratica ciò che i due massimi  organi hanno deliberato. E cioè, che un Parlamento eletto con una legge elettorale incostituzionale deve esclusivamente occuparsi dell’ordinaria amministrazione, approvare al più presto una nuova legge e ridare ai cittadini la possibilità di eleggere  Camere legittimate da una norma costituzionalmente valida. Un Parlamento eletto attraverso sistemi elettorali incostituzionali, non può: riformare la Costituzione, abolire il Senato, licenziare leggi di bilancio, riformare la giustizia, la scuola, le leggi sul lavoro, e soprattutto eleggere due volte il Presidente della Repubblica. 

Terzo: una volta insediato  un nuovo Parlamento, il Presidente della Repubblica dovrebbe a sua volta dimettersi perché investito da Camere illegittime e ridare la parola ad un Parlamento legittimato per eleggere un nuovo Presidente anch’egli legittimato. 

Esiste una figura talmente autorevole, retta, rispettosa delle istituzioni e appassionato nella difesa della Costituzione per mettere in pratica un simile programma?  E soprattutto la sciatta popolazione piccolo borghese italiana meriterebbe un Presidente simile? Ne capirebbe la valenza? Ai posteri… etc etc.

   

Gli assassinii di Parigi, una trappola fatale per l’Europa

Roberto Savio 
E’ triste vedere come un continente che è stato la culla della civiltà sta correndo ciecamente in una trappola, la trappola di una guerra santa contro l’Islam e che sei terroristi mussulmani sono stati sufficienti a determinare ciò.
E’ ora di uscire dalla comprensibile ondata di “Siamo tutti Charlie Hebdo” per guardare ai fatti e per capire che stiamo facendo il gioco di pochi estremisti e ci stiamo mettendo sullo stesso piano. La radicalizzazione del conflitto tra occidente e Islam porterà con sé conseguenze terribili.
Il primo fatto è che l’Islam è la seconda maggior religione del mondo, con 1,6 miliardi di praticanti; che i mussulmani sono la maggioranza in 49 paesi del mondo e che rappresentano il 24 per cento del genere umano. Di questi 1,6 miliardi solo 317 milioni sono arabi. Quasi due terzi (il 62 per cento) vivono nella regione Asia-Pacifico; in realtà più mussulmani vivono in India e Pakistan (in totale 344 milioni). La sola Indonesia ne conta 209 milioni.
Un rapporto del Pew Research Center sul mondo mussulmano ci informa anche che è nell’Asia meridionale che i mussulmani sono più radicali in termini di idee e osservanza. In tale regione quelli a favore di severe punizioni corporali ai criminali sono l’81 per cento, rispetto al 57 per cento in Medio Oriente e in Africa del Nord, mentre quelli a favore dell’esecuzione di quelli che abbandonano l’Islam sono il 76 per cento nell’Asia meridionale, rispetto al 56 per cento in Medio Oriente.
E’ perciò evidente che è la storia del Medio Oriente che induce la specificità degli arabi al conflitto con l’occidente. Ed ecco i quattro motivi principali.
Primo: tutti i paesi arabi sono creazioni artificiali. Nel maggio del 1916 Monsieur Francois Georges-Picot per la Francia e Sir Mark Sykes per la Gran Bretagna si incontrarono e conclusero un trattato segreto, con il sostegno dell’Impero Russo e del Regno d’Italia, su come dividere l’Impero Ottomano alla fine della prima guerra mondiale.
Dunque i paesi arabi di oggi sono nati in conseguenza di una divisione tra Francia e Gran Bretagna senza alcuna considerazione per le realtà etniche o religiose o per la storia. Alcuni di tali paesi, come l’Egitto, avevano un’identità storica, ma paesi come Iraq, Arabia Saudita, Giordania o anche gli Emirati Arabi non avevano neppure quella. Merita di essere ricordato che il problema curdo di 30 milioni di persone divise tra quattro paesi è stato creato dalle potenze europee.
In conseguenza, il secondo motivo. Le potenze coloniali installarono re e sceicchi nei paesi da loro creati. Per governare questi paesi artificiali ci volevano mani forti. Così, sin dall’inizio, c’è stata una totale assenza di partecipazione del popolo, con un sistema politico che era totalmente fuori passo con il processo di democrazia che stava avendo luogo in Europa. Con la benedizione europea questi paesi furono congelati in tempi feudali.
Quanto al terzo motivo, le potenze occidentali non hanno mai fatto alcun investimento nello sviluppo industriale o in uno sviluppo reale. Lo sfruttamento del petrolio era nelle mani di compagnie straniere e solo dopo la fine della seconda guerra mondiale e con il successivo processo di decolonizzazione le entrate petrolifere sono passate effettivamente in mani locali.
Quando le potenze coloniali se ne sono andate, i paesi arabi non avevano alcun sistema politico moderno, nessuna infrastruttura moderna, nessuna amministrazione locale.
Infine il quarto motivo, che è più vicino ai giorni nostri. In stati che non offrivano istruzione e assistenza sanitaria ai loro cittadini, la compassione mussulmana si assunse il compito di offrire ciò che lo stato non offriva. Furono così create vaste reti di scuole e ospedali religiosi e, con le elezioni alla fine permesse, esse divennero la base della legittimazione e del voto ai partiti mussulmani.
E’ per questo, per prendere esempio solo da due importanti paesi, che i partiti islamisti hanno vinto in Egitto e in Algeria ed è così che, con l’acquiescenza dell’occidente, colpi di stato militari sono stati la sola risorsa per fermarli.
Questa condensazione di tanti decenni in poche righe è ovviamente superficiale e tralascia molti altri problemi. Ma questo processo storico, brutalmente riassunto, è utile per capire come in tutto il Medio Oriente ci siano oggi rabbia e frustrazione e come ciò determini l’attrattiva dello Stato Islamico (IS) per i segmenti poveri.
Non dovremmo dimenticare che questo contesto storico, anche se remoto per i giovani, è mantenuto vivo dal dominio israeliano del popolo palestinese. Il cieco sostegno dell’occidente, specialmente degli Stati Uniti, a Israele è vissuto dagli arabi come un’umiliazione permanente e la continua espansione degli insediamenti chiaramente elimina la possibilità di uno stato palestinese vitale.
Il bombardamento di Gaza a luglio-agosto, con sole qualche rumorio di protesta dell’occidente, ma senza alcuna azione reale, per il mondo arabo costituisce una chiara prova dell’intenzione di tenere soggetti gli arabi e di cercare alleanze solo con governanti corrotti e delegittimati che dovrebbero essere spazzati via. E i continui interventi occidentali in Libano, Siria, Iraq e i bombardamenti dei droni dovunque, sono diffusamente percepiti dagli 1,6 miliardi come un impegno storico dell’occidente e tenere soggetto l’Islam, come ha segnalato il rapporto Pew.
Dovremmo ricordare anche che l’Islam ha numerose divisioni interne, di cui quella sunnita-sciita è solo la più vasta. Ma mentre nella regione araba almeno il 40 dei sunniti non riconosce uno sciita come un fratello mussulmano, fuori dalla regione ciò tende a svanire. In Indonesia solo il 26 per cento si identifica come sunnita, con il 56 per cento che si identifica come “semplicemente mussulmano”.
Nel mondo arabo solo in Iraq e in Libano, dove le due comunità vivevano fianco a fianco, una vasta maggioranza di sunniti riconosce gli sciiti come correligionari mussulmani. Il fatto che gli sciiti, che rappresentano il 13 per cento dei mussulmani, siano la grande maggioranza in Iran e i sunniti la grande maggioranza in Arabia Saudita spiega il continuo conflitto interno nella regione, che è alimentato dai due rispettivi leader.
Al-Qaeda in Mesopotamia, allora gestito da Abu Musab al-Zarqawi (1966-2006), impiegò con successo una politica di polarizzazione in Iraq, continuando attacchi contro gli sciiti e provocando una pulizia etnica di un milione di sunniti da Baghdad. Oggi l’IS, il califfato radicale che sta sfidando l’intero mondo arabo oltre all’occidente, è in grado di attirare molti sunniti dall’Iraq che avevano sofferto tante rappresaglie sciite e che hanno cercato protezione dallo stesso gruppo che aveva deliberatamente provocato gli sciiti.
Il fatto è che centinaia di arabi muoiono ogni giorno a causa del conflitto interno, un destino che con colpisce la comunità mussulmana più vasta.
Ora, tutti gli attacchi terroristici in occidente che hanno avuto luogo a Ottawa, Londra e oggi a Parigi, hanno lo stesso profilo: un giovane del paese in questione, non qualcuno proveniente dalla regione araba, che non è stato per nulla religioso nell’adolescenza, uno che in qualche modo è andato alla deriva, non ha trovato un lavoro e che era un solitario. In quasi tutti i casi, qualcuno che aveva già avuto qualcosa a che fare con il sistema giudiziario.
Solo negli ultimi pochi anni egli si era convertito all’Islam e aveva accolto gli appelli dell’IS a uccidere gli infedeli. Ha sentito che così avrebbe trovato un senso alla propria vita, sarebbe diventato un martire, qualcuno in un altro mondo, rimosso da una vita in cui non c’era alcuno vero futuro luminoso.
La reazione a tutto questo è stata una campagna contro l’Islam in occidente. Il numero più recente del New Yorker ha pubblicato un articolo forte che ha definito l’Islam non una religione, bensì un’ideologia. In Italia, Matteo Salvini, leader della Lega Nord, di destra e contraria agli immigrati, ha pubblicamente condannato il Papa per aver coinvolto l’Islam in un dialogo, è il guru conservatore italiano Giuliano Ferrara ha dichiarato in televisione che “siamo in una Guerra Santa”.
La reazione generale europea (e statunitense) è consistita nel denunciare le uccisioni di Parigi come la conseguenza di una “ideologia mortale”, come l’ha chiamata il presidente Francois Hollande.
E’ certamente un segno dell’onda anti-mussulmana che la Cancelliera tedesca Angela Merkel sia stata costretta a prendere posizione contro le recenti marce a Dresda (popolazione mussulmana: 2 per cento), organizzate dal movimento populista Pegida (l’acronimo tedesco di “Europei Patriottici Contro l’Islamizzazione dell’Occidente”). Le marce erano fondamentalmente dirette contro i 200.000 richiedenti asilo, prevalentemente dall’Iraq e dalla Siria, la cui principale intenzione, secondo Pegida, non era di sfuggire alla guerra.
Studi da tutta Europa mostrano che l’immensa maggioranza degli immigrati si è integrata con successo nelle economie ospiti. Studi delle Nazioni Uniti mostrano anche che l’Europa, con il suo declino demografico, ha necessità di almeno 50 milioni di immigrati entro il 2050 se vuole restare vitale nelle pratiche di stato sociale e competitiva nel mondo. E tuttavia, a cosa assistiamo dappertutto?
Partiti xenofobi di destra in ogni paese d’Europa, in grado di far dimettere il governo svedese, che condizionano i governi di Gran Bretagna, Danimarca e Olanda e che appaiono suscettibili di vincere le prossime elezioni in Francia.
Andrebbe aggiunto che, anche se ciò che è avvenuto a Parigi è stato naturalmente un crimine odioso, e anche se l’espressione di ogni opinione è essenziale per la democrazia, pochissimo hanno mai visto Charlie Hebdo e il suo livello di provocazione. Specialmente perché nel 2008, come ha segnalato Tariq Ramadan sul The Guardian del 10 gennaio, Charlie Hebdo aveva licenziato un giornalista che aveva fatto una battuta su un collegamento ebraico con il figlio del presidente francese Nicolas Sarkozy.
Charlie Hebdo è stato una voce a difesa della superiorità della Francia e della sua supremazia culturale nel mondo, e aveva un piccolo numero di lettori, ottenuto vendendo provocazioni, esattamente il contrario della visione di un mondo basato sul rispetto e la collaborazione tra culture e religioni diverse.
Così oggi siamo tutti Charlie, come tutti dicono. Ma radicalizzare lo scontro tra le due maggiori religioni del mondo non è cosa di poco conto. Dovremmo combattere il terrorismo, sia mussulmano o no (non dimentichiamo che un norvegese, Anders Behring Breivik, che voleva tenere il suo paese libero dalla penetrazione mussulmana, ha ucciso 91 suoi concittadini).
Ma stiamo cadendo in una trappola mortale e stiamo facendo esattamente quello che vogliono i mussulmani radicali: ingaggiare una guerra santa contro l’Islam, in modo che l’immensa maggioranza dei mussulmani moderati sia spinta a prendere le armi.
Il fatto che i partiti europei di destra raccoglieranno il frutto di questa radicalizzazione va benissimo per i mussulmani radicali. Essi sognano una lotta mondiale in cui faranno dell’Islam – e non di un Islam qualsiasi, bensì della loro interpretazione del sunnismo – la sola religione. Invece di una strategia di isolamento ci stiamo impegnando in una politica di scontro.
E, ad eccezione dell’11 settembre a New York, le perdite di vite sono state ridottissime in confronto con ciò che accade nel mondo arabo, dove in un solo paese – la Siria – 50.000 persone hanno perso la vita l’anno scorso.
Come possiamo essere così ciechi da cadere nella trappola senza renderci conto che stiamo creando uno scontro terribile in tutto il mondo?
Roberto Savio è fondatore e presidente emerito dell’agenzia di stampa Inter Press Service (IPS) e editore di Other News.

I proclami del direttore generale della Asl

Il Coordinamento Provinciale Sanità

Il Coordinamento Provinciale per la  Sanità esprime la sua contrarietà agli atteggiamenti recenti della Asl di Frosinone verso gli organi di informazione. Manifesta la sua solidarietà e il suo sostegno a tutti gli operatori dell’informazione invitandoli a mantenere e consolidare autonomia e libertà.
Si ribadisce che bacchettare la stampa quando scrive ciò che non è gradito, e pretendere di dare istruzioni a chi onestamente e correttamente è coerente con la propria professione, intelligenza e cultura democratica,  è sempre segno di pericoloso autoritarismo.
Gli organi di informazione non possono essere al servizio di nessuno all’infuori dei cittadini cui si rivolge la loro opera. Un ruolo di subordinazione infatti è proprio di coloro che hanno rapporti o interessi diversi da quelli della comunità.
Ai proclami quasi quotidiani della Asl di Frosinone in cui si asserisce che tutto funziona meravigliosamente nei servizi e negli ospedali, corrisponde l’insoddisfazione , la sofferenza e la giusta protesta della cittadinanza che ogni giorno si rivolge alle strutture sanitarie pubbliche.
Infatti si assistite continuativamente a un abbassamento mascherato da riorganizzazione dei livelli di qualità delle prestazioni. Ad esempio si esalta la chirurgia minore, mentre da oltre venti anni  molti altri ospedali fuori Asl di Frosinone praticano la chirurgia robotica. Quando mai questa arriverà, visto il panorama, nella provincia di Frosinone?
Inoltre cosa dire del trasferimento della lungodegenza dallo “Spaziani” al ” S. Benedetto” di Alatri, che era stato rappresentato come chissà quale panacea per l’Ospedale del capoluogo?  Mentre la lungodegenza non ha fatto alcun salto di qualità, al Pronto Soccorso dello Spaziani la situazione continua caotica, con inutilizzo dei 18-20 posti letto liberati.
Come possiamo qualificare le chiusure per alcuni giorni degli ambulatori della TAO, dell’ematologia ecc., del laboratorio analisi di Frosinone durante il periodo natalizio? E come si può valutare la riduzione del personale presso il servizio di radiologia della Asl a Frosinone, dove oggi lavorano due persone rispetto alle quattro del recente passato? Un servizio che lavorava a ritmo pieno senza tempi di attesa. Oggi invece lavora a scartamento ridotto con tempi di attesa di settimane; ciò oggettivamente favorisce le strutture private convenzionate che non hanno tempi di attesa. Tanto  che qualche struttura privata che lavorava a Roma ha trovato più conveniente trasferirsi a Frosinone.
Sembra poi che la linea aziendale di riduzione forsennata degli straordinari al personale superstite dopo il fiume di giusti pensionamenti appaia come una pervicace volontà punitiva verso i propri dipendenti, e quindi porterà al decadimento delle prestazioni sia come quantità che come qualità. Conseguentemente se ne avvantaggeranno i soggetti convenzionati privati, verso cui non si ha notizia di una corretta e continua azione di verifica e di controllo, per impedire il ripetersi di episodi scandalosi come quelli del recentissimo passato.
Tutto questo complesso di cose ci ricorda quanto già avvenuto per il servizio idrico integrato, un tempo correttamente gestito dai comuni e oggi invece in mano ad Acea Ato 5 Spa. Ognuno faccia le proprie considerazioni.
Seguiranno a questo altri comunicati.
15.01.2015

Il proclama di oggi tratto dal quotidiano "il messaggero"


Frosinone. Un rally contro l'inquinamento

Luciano Granieri



Benvenuti nel Paese degli effetti speciali. Se qualche anno addietro per eliminare l’inquinamento dalla Valle del Sacco si pensò di costruire un Aeroporto, perché non organizzare una rally in città  al fine di  purificare l’aria con i gas di scarico delle macchine da corsa?  Frosinone  è la città più inquinata d’Italia perché le automobili procedono troppo lentamente. Si fermano spesso. Con questo passo da lumaca, e gli scarichi che sputano ininterrottamente veleno ad automobili bloccate, è normale che i livelli di nocività nell’aria aumentino notevolmente. Bisogna percorrere le strade più rapidamente , si deve essere svelti al volante, perché più si corre prima si arriva e meno si inquina. Il rally serve proprio a questo. A mostrare agli automobilisti frusinati come si guida  velocemente per inquinare meno. Solo i soliti incompetenti rompiscatole ambientalisti non vedono l’utilità sociale di un’iniziativa che insegna il giusto modo di affumicare l’aria . Certo gli effetti collaterali non mancano. Ad esempio non è che il pronto soccorso sia molto recettivo nel caso in cui qualche automobilista ansioso di mettere in pratica la lezione si vada ad impastare contro un albero di via Roma. Ma la salvezza dell’ambiente val bene una gamba rotta! Se basta.

martedì 13 gennaio 2015

Riparte la lotta di "Quelli del Parco al Matusa".

Luciano Granieri


Sabato scorso 10 gennaio, “Quelli del parco al Matusa” si sono ritrovati - dieci anno dopo la battaglia combattuta per sottrarre alla bocca vorace della cementificazione l’area dello stadio Matusa di Frosinone- presso l’auditorium Colapietro di Via Grappelli. Un evento organizzato per celebrare un momento forse unico e irripetibile nella storia di Frosinone.  

Dieci anni prima, il  9 e il 10 gennaio del 2005, infatti la cittadinanza veniva chiamata a decidere, attraverso un referendum, sul tipo di destinazione urbana da conferire  all’area dello stadio Matusa. In particolare si chiedeva, a chi ogni giorno viveva e vive la città, di esprimersi sull’opportunità di trasformare   la zona in  un grande parco vede pubblico. 8.000 persone si espressero e 7.596 votarono  per il parco al Matusa, per un’ ampia  zona verde adiacente al fiume Cosa. Una posizione ideale per arricchire il tanto desiderato parco da realizzare lungo gli argini del fiume. 

Il referendum, evidentemente, aveva semplicemente valore consuntivo e non raggiunse li quorum, ma senza dubbio, la raccolta delle firme per indire la consultazione e lo svolgimento della stessa segnarono  un momento di partecipazione straordinario,   e forse irripetibile, dei cittadini, ai quali fu consentito  di esprimere la propria idea di città.

 Il fatto è ancora più straordinario se si pensa che a Frosinone, neanche i sindaci decidono dell’urbanistica cittadina. Questa è solidamente in mano alla casta di grandi muratori che di generazione in generazione, sin dal dopoguerra, si sono impossessati degli spazi della città, traendone enormi profitti ai danni delle vite delle persone, che oggi vivono e si muovono in un ambiente intasato dal cemento e dall’inquinamento. 

La longa manu di questo club esclusivo di affaristi è arrivata perfino ad occultare un piano regolatore le cui modifiche imposte dal Ministero del lavori pubblici, negli anni ’60, non erano consone al pieno dispiegarsi del manto affaristico cementizio. Lo strapotere dei grandi muratori è arrivato ad imporre un modello urbanistico fuori dalla realtà, commisurato ad un numero di abitanti (120.000) impensabile per le dimensioni della città. Infatti oggi nuovi quartieri fantasmi rendono Frosinone  ipertrofica di cemento vuoto e privo di vita . 

Lo stadio Matusa,  da sempre nelle mire delle grandi famiglie edili cittadine, è stato al centro di una estenuante trattativa, le cui prime fasi portarono “Quelli del Parco Matusa” ad indire il Referendum. L’allora giunta cittadina guidata dal sindaco Marzi , si accordò per regalare  ai grandi costruttori l’area del Matusa  in cambio dell’impegno  di questi a costruire a proprie spese  il nuovo stadio Casaleno. 

Sulla zona ceduta in pasto alla speculazione fondiario-finanziaria  si sarebbe riversata una colata di 115.000 metri cubi di cemento (case e centri commerciali)  a saturare in maniera soffocante  lo spazio vitale del quartiere Campo Sportivo. La trattativa, proseguita anche con la giunta successiva del sindaco Marini, non si è concretizzò , per le incontentabili aspirazioni degli imprenditori privati, i quali  non erano disposti a spendersi più di tanto nella costruzione del nuovo impianto sportivo. 

Ma la storia dello stadio Matusa è infinita e oggi, con la giunta Ottaviani, si ripropone più letale che mai. Infatti i nuovi accordi prevedono la totale calata di braghe del primo cittadino. Il quale, a fronte di una riduzione della cubatura che andrebbe a seppellire l’area del Matusa, toglie l’incombenza al suo burattinaio  di costruire il nuovo stadio. L’arena dove i Canarini dovranno sgambettare nei prossimi anni  non graverà sui grandi costruttori  privati ma sarà a totale carico dei cittadini i quali si vedranno togliere servizi e aumentare tributi per pagare il nuovo campo da gioco. 

Eppure Ottaviani stesso, all’epoca del project financing approntato da Marzi, si dichiarò contrario all’operazione. Oggi ne capiamo le vere ragioni. All’attuale primo cittadino evidentemente, sarà  sembrato un insulto chiedere ad un privato di contribuire all’edificazione  di un opera pubblica in cambio di un’area su cui accumulare  profitto e speculazione. 

Dunque fra vecchie e nuove speculazioni “Quelli del Parco al Matusa” continuano indefessi nella propria battaglia in difesa di una città vivibile a misura di bambino, di donna e di uomo. Contro c’è la lobby locale del cemento che manipola sindaci e amministratori. Ma dall’incontro di sabato scorso è emersa ancora maggiore la voglia di lottare anche in memoria di che non c’è più, come Dante D’Aguanno e Luigi Di Santo, due protagonisti indiscussi di quella lotta. A loro infatti era dedicato l’evento svoltosi il 10 gennaio. Ed è anche in loro nome che bisogna continuare ad impegnarsi per difendere il diritto ad abitare in  una città sana e vivibile.




L'ultima nuova storia di Julio Monteiro Martins,

Franca Dumano


"Il mondo ha bisogno di nuove storie. Mai ne ha avuto bisogno come oggi, soprattutto perché in un'era di grandi cambiamenti, in parte realizzati e in parte subiti dalle nostre generazioni, le nostre storie dovranno saper raccontare le cose che non vogliamo più, e se possibile definire quelle che vogliamo per i nostri figli in una ipotesi accettabile di futuro".
Julio Monteiro Martins


Con profondo rammarico annuncio ai naviganti di AUT la scomparsa di Julio Monteiro Martins,  intellettuale brasiliano che viveva a Lucca dal 1995. Ci ha lasciato il 24 dicembre scorso, dopo una breve e letale malattia.
Molti gli interessi in comune tra Julio e i lettori di AUT: il tema complesso delle migrazioni  (sul quale infatti il blog aveva pubblicato un suo TESTO LETTERARIO) l'impegno culturale e politico, la denuncia delle ingiustizie e delle complicità, la pluralità di chiavi di lettura della realtà.
E' difficile riassumere in poche frasi la vita di uno scrittore, meglio ricorrere alla magia e alla potenza delle sue stesse parole .“59 anni  di passione per la scrittura”- così li aveva definiti a novembre nella recensione dell' articolo di Ruffato Luiz su El pais “Una vita a due tempi”. Ruffato ripercorre infatti il tempo della scrittura brasiliana di Julio Cesar Monteiro Martins, con le pubblicazioni in portoghese[1] e il ”secondo” tempo di  Julio Monteiro Martins (aveva abbandonato Cesar) con l'insegnamento all'Università di Pisa di lingua  portoghese e letteratura brasiliana e le pubblicazioni in italiano [2], la scuola di scrittura creativa sagarana e l'omonima rivista on line.
Fra questi due tempi, la cesura di un esilio, definito come “una sorta di suicidio amministrato” ; un esilio splendidamente ritratto nei versi “esilio/vino versato sul vassoio d'argento mentre le tazze /restano vuote. Esilio, gabbia senza sbarre/protetta dalla distanza /invalicabile/delle nostre angosce. Esilio/falena lanciata in mare/dallo scirocco/insieme alla sabbia /del deserto”.
Un esilio fecondo, nel nostro Paese, che avrebbe meritato dalla critica letteraria e dalla stampa un'accoglienza o quantomeno un congedo più attenti. Ma Monteiro non ha mai cercato facili consensi, è sempre stato per sua scelta uno scrittore “anti-marketing” e ha chiarito più volte in interventi, articoli e interviste il significato di una scrittura profonda, impegnata, critica, stimolante.
Un esilio prolifico in tutti i campi della scrittura: oltre a  romanzi e racconti, è altresì  autore  di opere teatrali (L'isteria del marmo, Hitler e Chaplin, Per motivi di forza maggiore, Aula magna) e di sceneggiature cinematografiche pluri premiate quali Garganta (tratta dal libro As Forcas desarmadas)  e Referentia (tratta da Sabe quem dançou?).
L'impegno politico e il ruolo della letteratura sono centrali nell'opera e nella vita di Monteiro; in Brasile è stato cofondatore  del partito  verde, avvocato dei diritti umani e garante dell'incolumità di gruppi di bambini di strada a seguito della terribile strage di Candelaria del 1993, in cui minori inermi furono uccisi dalla polizia mentre dormivano in strada . Nel raccontare questa agghiacciante storia Julio diceva che la cosa che  lo aveva colpito di più era la noncuranza della morte (e della vita) di questi bambini su cui doveva vigilare con altre persone fino al processo e alla loro testimonianza. Sprezzanti del pericolo o assuefatti ad esso, facevano “giochi”  pericolosissimi come  camminare sul bordo di alti edifici senza parapetto, praticarsi dei tagli non sempre superficiali  sugli arti.
Ha contribuito inoltre in maniera significativa alla diffusione dei nuovi autori e nuovi contenuti in Brasile con la fondazione nel 1983 della casa editrice “Anima”. Anche in questo caso rimando alle parole di Julio, al racconto “Cingoli, ciclostili e profumo di tè. Il boom letterario brasiliano 30 anni dopo[3], che descrive l'amore per la politica e la letteratura, ricordando a distanza di tempo l'esperienza  della generazione “ciclostile “(chi non è giovanissimo-come me- ha impresso nella memoria il ciclostile con cui si facevano una volta i volantini)  fino alla disillusione della politica possibile e non sognata. Anni in cui scrittori giovanissimi, al di sotto dei 25 anni, scrivevano su fogli sparsi, lasciavano fotocopie nelle librerie, nelle spiagge, nelle fiere, nelle cassette della posta, per sfuggire ai controlli di polizia, dopo la dura esperienza della dittatura e della repressione politica. Anni di reading e dibattiti  nelle librerie e nelle università con ascoltatori attenti e assorti. Gli anni della cosidetta leteratura marginal   che con mezzi economici  molto limitati è riuscita a compiere “il più radicale e  profondo rinnovamento della letteratura brasiliana dai tempi del Movimento de Arte Moderna del 1922, del Movimento Antropofágico”.[4]Gli anni del volo esistenziale della poetessa Ana Cristina Cesar, del libro “Ai tuoi piedi” e del suo suicidio a 20 anni.
Oppostosi  giovanissimo alla dittatura e costretto a fuggire a Parigi, dopo vari viaggi e esperienze di insegnamento di scrittura creativa nel Vermont, in Portogallo, nello Iowa, Monteiro è approdato nel nostro Paese per amore.
In Italia, nella splendida cornice della città di Lucca,scriveva in italiano, studiando e promuovendo il fenomeno degli scrittori migranti che scrivono in una lingua diversa dalla madrelingua, con convegni, articoli e saggi. Era diventato un punto di riferimento sulla letteratura migrante per critici, lettori , studenti e scrittori.
Fra i suoi numerosi contributi e stimoli di Julio alla riflessione politica e culturale evidenzio la sua partecipazione all'antologia “Non siamo in vendita. Voci contro il regime, ed Arcana", 2006. Dal 2000 dirigeva con passione la rivista letteraria trimestrale on line sagarana (cioè la storia delle storie, la storia infinita, parola inventata come titolo del suo primo libro da  Joăo Guimăraes Rosa ) che pubblicava testi inediti, traduzioni di autori stranieri, saggi, poesie, racconti, testi di esordienti e testi del direttore [5]Comunicativo e disponibile, gestiva altresì l'omonima scuola di scrittura creativa con sede dapprima a Lucca (ove ho avuto la fortuna di incontrarlo) e dal  2007 a Pistoia.
“Cronista dal limbo” si era così definito più volte, uno scrittore che racconta  un Brasile fuori dagli stereotipi delle spiagge e della spensieratezza, della povertà e  della delinquenza; un paese enorme con contraddizioni ed evoluzioni da analizzare e superare con consapevolezza.
Un Brasile, anzi tutto un mondo, magistralmente ritratto nei suoi racconti brevi, spesso brevissimi, genere amato da Julio, “ in sintonia con la sensibilità frammentaria del nostro tempo”.  Racconti da costruire e inventare per esplorarne le capacità espressive: Monteiro esultò di gioia per il Nobel a Alice Munro, un riconoscimento anche al genere letterario di cui era indiscussa maestra.
Il ruolo della letteratura e la sua stretta compenetrazione con la vita è sintetizzato in “Uova di cigno, uova di tartaruga” [6], in cui lo straordinario Afrânio Coutinho, anziano bibliofilo che come Peter Kien, il sinologo di Canetti, per amore dei libri ha rinunciato anche alla casa, tenendo per sé solo lo spazio di un letto ,  ha creato nella sua abitazione, accanto ad una fornitissima biblioteca, uno spazio culturale, l'Officina Letteraria. La prima esperienza del genere in Brasile, alla quale ha collaborato anche un giovane Monteiro che, delegato dall'anziano erudito a rispondere alla domanda “A che serve la narrativa?” replica:  È come chiedersi a che serviamo noi esseri umani, giacché ci confondiamo con l'atto narrativo, fondatore dell'umanità, e che, come noi, è fine a se stesso, non solo mezzo o strumento. La necessità di narrare è un organo vitale della nostra biologia. Di fatto, non esiste popolo che non abbia la sua letteratura”.
La riflessione di Julio sul senso autentico della scrittura era continuata anche nell'opera che uscirà
a breve per l'editore Besa “La macchina sognante” : una raccolta di citazioni, detti, aforismi di scrittori celebri , costruita su un “gioco” di domande di Milva Maria Cappellini e “risposte “di Julio Monteiro.
Potrei scrivere ancora a lungo dell'opera, della poetica e del pensiero di questo intellettuale coraggioso,  con toni sempre entusiastici, non per retorica dovuta alla sua scomparsa, ma per vera ammirazione. (tra l'altro, avevo già scritto su AUT una recensione di un testo di commento all'opera di Monteiro ” UN MARE COSI' AMPIO ). Rimando tuttavia i lettori al sito www.sagarana.it per spunti e approfondimenti e- spero vivamente - futuri dibattiti. Ho attinto  in maniera consistente alle parole di Julio, autorevoli e dignitose, perché sono troppo preziose per non essere divulgate e perché confido ancora nella loro straordinaria comunicatività.




[1]                                                                            Torpalium, racconti, ed. Attica, 1977; SABE QUEM DANCOU? Racconti, ed. Codecri, Rio, 1978; Arterias e becos, romanzo. Ed Summus, San Paolo, 1978; Barbara, romanzo, ed Codecri. Rio, 1979, A OESTE DE NADA, racconti, ed . Civilizaçao Brasileira , Rio, 1981, AS FORCAS DESARMADAS, RACCONTI, ed. Anima, Rio, 1983; O LIVRO DAS DIRETAS , saggi, ed Anima, Rio, 1984, MUAMBA, racconti, ed. Anima, Rio, 1985, O ESPACO IMAGINARIO, Rio, 1987. Importante la sua partecipazione alla leggendaria antologia  (30000 copie vendute in pochissimo tempo ) Histórias de um novo  tempo con scrittori del calibro  di Abreu e  de Andrade, all'epoca esordienti.
[2]                                                           Il percorso dell’idea, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera, 1998 (poesie), Racconti italiani, Nardò, Besa, 2000 (racconti); La passione del vuoto, Nardò, Besa, 2003 (racconti); madrelingua, Nardò, Besa, 2005 (romanzo); L’amore scritto, Nardò, Besa, 2007(racconti); La grazia di casa mia, Milano, Rediviva, 2013.
[3]                             www.sagarana.it, il direttore, biografia, “Cingoli, ciclostili e profumo di tè”.
[4]     op. cit.
[5]                             Segnalo fra itanti, Magia e Domino in www.sagarana.it
[6]             www.sagarana.it, il direttore, biografia, “uova di cigno, uova di tartaruga”

lunedì 12 gennaio 2015

Je suis

Vedo che ultimamente in politica internazionale anche qui in Italia va di moda il francese: e allora anche io voglio esprimere un mio pensiero sulla situazione dell'Europa, naturalmente cimentandomi nella lingua di Hollande. Il titolo del pezzo è: "Je suis": 
                                 

                                                                JE SUIS

 Je suis , 
vous êtes , 
il/elle est , 
nous sommes , 
vous êtes , 
ils sont .

                                          

            Andrea Cristofaro

Jobs Art

Luciano Granieri


“Voglia di lavorare, voci dal disagio della disoccupazione e della precarietà” E’ il titolo di un’iniziativa organizzata dal blog Unoetre. Una no stop di 10 ore (dalle 10 alle 20)  in cui si sono succedute testimonianze sulla disoccupazione e la precarietà  che flagella la nostra Provincia. Hanno  partecipato  donne e uomini  della Provincia di Frosinone che hanno dovuto misurarsi con la perdita  del  lavoro.

 All’incontro, svoltosi domenica 11 gennaio presso la saletta delle arti di Corso della Repubblica , hanno anche presenziato esponenti sindacali,  politici eletti nel nostro territorio e amministratori per lo più di provenienza Pd.  Fra  un dibattito e l’altro si sono alternati esibizioni artistiche, musicali, teatrali e pittoriche. 

Sull’evento  artistico  vogliamo  focalizzare in primis la nostra attenzione. Come è noto la Ciociaria è stato un territorio ad alta vocazione agricola. Attitudine naturale smembrata dall’avvento della grande industria che ha invaso  le campagne , grazie ai finanziamenti pubblici resi disponibili dalla Cassa del Mezzogiorno negli anni ’60. Una sorta di colonizzazione industriale che ha divorato pezzi importanti di territorio. Uno sciame  di grandi aziende ha riempito il cielo, la terra e le acque di putrido inquinamento, fornendo un benessere volatile e limitato nel tempo. Imprese che   sono  poi scappate  con le tasche sature  di  soldi pubblici elargiti a piene mani, anche in epoche successive agli anni del boom, dagli enti locali, e hanno lasciato vuoto e devastazione. 

Campagne annientate e disoccupazione dilagante questo è l’epilogo della stagione delle grandi industrializzazioni. Le opere  pittoriche che Livio Antonucci e Paolo D’Amata hanno creato proprio sotto i nostri occhi, hanno reso in modo esauriente, con la loro espressività artistica,  la storia del lavoro in Ciociaria. Nel quadro di Paolo D’Amata è rappresentata  l’attività  dei campi, un’opera dai colori sgargianti  con una contadina intenta a lavorare la terra.  L’Opera di Livio Antonucci ritraeva  uno scorcio del centro storico di Frosinone animato da un corteo di protesta di lavoratori. Il soggetto era  tratto da una fotografia scattata durante una  manifestazione svoltasi negli anni ’70. Sul palco della sala,  i discorsi, le variegate descrizioni dello stato dell’arte dell’occupazione nel nostro territorio, le promesse, e gli impegni presi,  non sono state così potenti come l’espressività di questi due artisti.


Ma veniamo a quanto è emerso dagli interventi succedutisi nel corso della mattinata. Per verità di cronaca è necessario sottolineare che queste note si riferiscono esclusivamente  a quanto accaduto  la mattina di domenica, in quanto non mi è stato possibile partecipare all’evento pomeridiano. Gli ex dipendenti presi nella morsa del licenziamento dalle crisi aziendali succedutesi  nella nostra Provincia, hanno fornito un quadro desolante, ma significativo, su cosa significhi rimanere senza lavoro. Ma nella difficoltà di una vita in cui è difficile intravedere un’ipotesi di futuro, queste persone hanno conservato un briciolo di fiducia nei riguardi di chi li rappresenta in Parlamento, nelle istituzioni locali, nei sindacati. 

E’ fiducia ben riposta? Personalmente avrei qualche dubbio. Mi riferisco a quanto affermato con estrema sincerità dalla Senatrice Spilabotte in relazione all’Accordo di Programma messo a punto dal Ministero della Attività produttive in collaborazione con la Regione Lazio  relativo al comprensorio industriale di Anagni-Frosinone e al polo turistico di Fiuggi. Come si è appreso dalla Senatrice, membro, fra l’altro, della Commissione lavoro a Palazzo Madama, questo programma, affidato nella fase operativa ad Invitalia spa, prevede un contributo di 40 milioni di euro, suddivisi in 30 milioni a carico del Ministero e 10 milioni a carico della Regione Lazio. Per accedere a tali finanziamenti però è richiesto un contributo minimo delle entità interessate  compreso fra i 7 e i 20 milioni di euro. Una precondizione che solo grandi aziende  possono soddisfare e che non si confà alle esigenze produttive del nostro territorio composto da piccole e medie imprese. Infatti al bando hanno risposto solo due aziende. 

Dunque, o questo accordo è stato pensato senza tener in minimo conto il  tessuto produttivo  a cui andava applicato, o è l’ennesimo regalo alla grande imprenditoria. Sia nell' uno, che nell’altro caso, la risposta politica al grave problema della disoccupazione è stata più che insufficiente addirittura deleteria. In verità la senatrice Spilabotte è impegnata anche sul fronte della possibile integrazione di 300 ex lavoratori VDC nel programma di accompagnamento alla pensione determinato dalla legge di salvaguardia per gli esodati approvata nell’ottobre scorso. Ma come precisato dalla stessa Senatrice la proposta è stata avanzata direttamente dai lavoratori.  In buona sostanza le uniche proposte che hanno una possibilità di successo non sono state promosse della politica ma dai lavoratori stessi.  Come sempre più spesso mi capita di constatare, a curare gli interessi dei lavoratori devono pensarci i lavoratori medesimi . 

 In realtà sullo sfondo di questa interessante kermesse aleggiava un convitato di pietra che, pur presente,  nessuno, almeno nella mattinata, ha avuto il coraggio di evocare. Ed è il macigno del jobs act. Avrei avuto il piacere di sottoporre alla senatrice, nonché membro della commissione lavoro al Senato, il seguente quesito: Quale sviluppo avrebbero avuto determinate vertenze locali importanti,  inerenti a licenziamenti collettivi,  se fosse stato in vigore il jobs act, che annulla gli effetti a tutela dei lavoratori in caso di  licenziamento  senza giusta causa anche ai contratti collettivi?  

Sollevati dall’obbligo del reintegro i datori di lavoro non si sarebbero minimamente degnati di intavolare trattative,  a partecipare a tavoli di contrattazione. Avrebbero scucito quei quattro soldi di indennizzo e risolto il problema senza curarsi del dramma in cui avrebbero gettato migliaia di famiglie.  Plaudiamo comunque all’iniziativa dei colleghi di Unoetre che ha avuto il merito di portare all’attenzione di media e collettività la drammatica situazione occupazionale nella nostra Provincia, ma forse alla pur necessaria visibilità mediatica avrebbe dovuto essere  associato un discorso più realistico scevro da derive auto celebrative da parte del politico o amministratore di turno.