Le lavoratrici ed i lavoratori di Cinecittà chiedono a tutti i cittadini di questo Paese il sostegno alla loro battaglia contro chi vuole distruggere lo storico sito degli Studios sulla via Tuscolana, vanto e orgoglio dell'Italia. Abete e soci per rilanciare il cinema, vogliono seppellire Cinecittà sotto una colata di cemento: un albergo di 200 stanze, 6000 parcheggi, piscina, ristoranti, sale fitness, in sfregio alla mission e ad ogni forma di cultura. Per realizzare tutto questo progettano di affittare, vendere e licenziare i lavoratori. Se va in porto questo disegno sparirà per sempre un mondo, la capacità di decine di migliaia di artigiani, che grande hanno fatto la storia del cinema, andrebbe persa per sempre. Cinecittà rimarrebbe soltanto un sogno del passato e l'Italia sarebbe derubata di uno dei suoi simboli più magici. La politica, le Istituzioni, il mondo della cultura devono impegnarsi nella costruzione di un progetto vero.
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sabato 20 ottobre 2012
Attaccata Estelle Freedom Flottilla.
Video post a cura di Luciano Granieri
Estelle, Keep Sailing for Justice. Gaza Is waiting...
Safi Ahmed
Estelle, Keep Sailing for Justice. Gaza Is waiting...
Safi Ahmed
Agencies – The Canadian Boat To Gaza reported that they received a message from the Finnish Foreign Department informing that Israel informed them that its soldiers will board Estelle solidarity ship currently around 120 Nautical Miles away from the Gaza shore.
The Estelle ship is sailing under a Finnish flag; its crew was informed that the army will board the ship in international waters, and will tow the ship along with the activists to the Ashdod Port.
Activists on-board the ship said that if the Israeli army attacks them, the attack will be another act of piracy and kidnapping to enforce the illegal Israeli siege and blockade on the coastal region.
Irene McInnis of the Canadian Boat to Gaza stated that the ship is challenging the illegal and inhuman siege imposed on the coastal region, and added that “the world should not be silent anymore”.
It is worth mentioning that retired Canadian Member of Parliament (MP) is on board the Estelle solidarity ship.
A recent tweet from the ship says; “The crew reports that it is dark and still calm, but there are unidentified boats moving around them. We wish for peace and justice”, the Ship to Gaza Sweden Ship to Gaza Sweden @ShiptoGazaSE said on its twitter account.
Last Sunday, Israel issued a warning informing Finland that its army will intercept and stop the Estelle solidarity ship heading to the Gaza Strip to deliver humanitarian supplies.
Attaccata Estelle Freedom Flottilla
Napoli Urban Blog
La necessità di unificare le lotte per respingere i "bastoni" del governo
Fabiana Stefanoni Pdac
Il governo Monti presenterà al
parlamento una legge finanziaria - chiamata beffardamente "legge di stabilità",
espressione edulcorata che poco si addice a uno Stato e a un'economia nazionali
che di stabile hanno ben poco - che prevede un taglio pari a 12 miliardi di euro
alla spesa pubblica. E' una manovra simile a quella che i premier di altri Paesi
europei stanno varando in queste settimane, dalla Spagna al Portogallo alla
Grecia. Ma, mentre in quei Paesi le manifestazioni di massa contro i tagli del
governo sono all'ordine del giorno, qui da noi non sembra ancora innescarsi una
risposta all'altezza dell'attacco in corso. E' utile interrogarsi sul perché,
anche al fine di individuare un'alternativa alla grottesca pace sociale che sta
accompagnando uno dei più pesanti attacchi della storia alla classe lavoratrice
nel nostro Paese.
Solo bastoni: le carote per i lavoratori sono
finite
Il ministro dell'istruzione Profumo, nel difendere la proposta di aumentare di 24 ore al mese a parità di salario l'orario base degli insegnanti - cosa che comporterebbe il taglio di altre decine di migliaia di posti di lavoro che vanno ad aggiungersi ai 180 mila posti di lavoro persi nella scuola per i tagli della Gelmini - ha esplicitato la strategia d'azione sua e del governo di cui fa parte: "credo veramente che il Paese dobbiamo un po' allenarlo, dobbiamo usare un po' di bastone e un po' di carota, qualche volta dobbiamo utilizzare un po' di più il bastone e un po' meno la carota, altre volte viceversa ma non troppa carota". Il ministro dimentica un particolare importante: il governo non ha più carote da distribuire ai lavoratori, ai tantissimi disoccupati, agli studenti.
Lo dimostra questa ultimissima manovra finanziaria, che prevede un taglio da più di un miliardo al sistema sanitario nazionale, già pesantemente colpito dalla spending review di luglio: vengono ulteriormente ridotte le spese per l'acquisto di beni, servizi e dispositivi medici, a cui andrà ad aggiungersi un altro ridimensionamento dei posti letto negli ospedali per opera delle regioni (che subiscono un'ulteriore stretta di più di 2 miliardi, che si tradurrà in tagli ai servizi, sanitari in primis). Se si sommano ai tagli di Monti quelli di Tremonti, si ricava che in un solo anno la Sanità italiana ha subito tagli pari a 13,7 miliardi (senza contare i tagli delle spese di competenza delle regioni).
Il pubblico impiego con questa manovra subisce ancora un pesantissimo attacco: blocco dei contratti (e degli aumenti) fino al 2014, blocco dell'indennità di vacanza contrattuale (cioè di una parte della retribuzione erogata dallo Stato nel periodo che intercorre tra la scadenza di un contratto e il suo rinnovo), addio definitivo ai recuperi delle tornate contrattuali perse. In parole più semplici, questo significa che le già misere buste paga dei dipendenti pubblici non solo non vedranno aumenti ma, al contrario, saranno ulteriormente ridotte. Fanno eccezione, guarda caso, i dirigenti (quelli con retribuzioni pari a centinaia di migliaia di euro, che hanno proprio in questi giorni visto riconosciuto dalla Consulta l'illegittimità del taglio del 5% delle loro retribuzioni per "irragionevole effetto discriminatorio").
L'operazione "cieli bui" - in virtù della quale è previsto lo spegnimento dell'illuminazione durante le ore notturne per risparmiare sulle spese dell'elettricità - completa questa manovra: il cielo sopra le teste di milioni di proletari è sempre più buio.
Il ministro dell'istruzione Profumo, nel difendere la proposta di aumentare di 24 ore al mese a parità di salario l'orario base degli insegnanti - cosa che comporterebbe il taglio di altre decine di migliaia di posti di lavoro che vanno ad aggiungersi ai 180 mila posti di lavoro persi nella scuola per i tagli della Gelmini - ha esplicitato la strategia d'azione sua e del governo di cui fa parte: "credo veramente che il Paese dobbiamo un po' allenarlo, dobbiamo usare un po' di bastone e un po' di carota, qualche volta dobbiamo utilizzare un po' di più il bastone e un po' meno la carota, altre volte viceversa ma non troppa carota". Il ministro dimentica un particolare importante: il governo non ha più carote da distribuire ai lavoratori, ai tantissimi disoccupati, agli studenti.
Lo dimostra questa ultimissima manovra finanziaria, che prevede un taglio da più di un miliardo al sistema sanitario nazionale, già pesantemente colpito dalla spending review di luglio: vengono ulteriormente ridotte le spese per l'acquisto di beni, servizi e dispositivi medici, a cui andrà ad aggiungersi un altro ridimensionamento dei posti letto negli ospedali per opera delle regioni (che subiscono un'ulteriore stretta di più di 2 miliardi, che si tradurrà in tagli ai servizi, sanitari in primis). Se si sommano ai tagli di Monti quelli di Tremonti, si ricava che in un solo anno la Sanità italiana ha subito tagli pari a 13,7 miliardi (senza contare i tagli delle spese di competenza delle regioni).
Il pubblico impiego con questa manovra subisce ancora un pesantissimo attacco: blocco dei contratti (e degli aumenti) fino al 2014, blocco dell'indennità di vacanza contrattuale (cioè di una parte della retribuzione erogata dallo Stato nel periodo che intercorre tra la scadenza di un contratto e il suo rinnovo), addio definitivo ai recuperi delle tornate contrattuali perse. In parole più semplici, questo significa che le già misere buste paga dei dipendenti pubblici non solo non vedranno aumenti ma, al contrario, saranno ulteriormente ridotte. Fanno eccezione, guarda caso, i dirigenti (quelli con retribuzioni pari a centinaia di migliaia di euro, che hanno proprio in questi giorni visto riconosciuto dalla Consulta l'illegittimità del taglio del 5% delle loro retribuzioni per "irragionevole effetto discriminatorio").
L'operazione "cieli bui" - in virtù della quale è previsto lo spegnimento dell'illuminazione durante le ore notturne per risparmiare sulle spese dell'elettricità - completa questa manovra: il cielo sopra le teste di milioni di proletari è sempre più buio.
Ecco a chi vanno le carote!
Mentre il governo chiede continuamente sacrifici a chi non ha più nemmeno i soldi per comprarsi il pane, effettivamente c'è qualcuno che continua a ricevere succulente carote. E non si tratta tanto e solo dei "deputati" e dei "politici", le cui nefandezze ora sono sotto gli occhi di tutti. C'è qualcuno che continua a ricevere carote d'oro zecchino dal governo, e lo fa senza che nessun giornalista - né quelli della stampa borghese illuminata né quelli che hanno intrapreso crociate contro la "casta dei politici" - gridi allo scandalo. Sono i capitalisti della grande industria, i banchieri, i grandi azionisti, cioè coloro che hanno sempre avuto in dono dai governi loro amici - da Prodi a Berlusconi a Monti, indifferentemente - centinaia di miliardi di euro, sia sotto forma di finanziamenti diretti (come i soldi erogati nel piano di salvataggio delle banche o negli incentivi alla Fiat) sia sotto forma di finanziamenti indiretti (come nel caso degli ammortizzatori sociali, con i quali lo Stato ha pagato gli operai al posto dei padroni). Per fare un esempio recente, il famigerato decreto "Salva Italia", del dicembre 2011, mentre innalzava drasticamente l'età pensionabile e introduceva la famigerata Imu, stanziava 700 milioni come "misura di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria". Così, quest'ultima "legge di stabilità", mentre bastona a sangue le schiene già spezzate dei lavoratori, regala ancora soldi a investitori e speculatori: per le loro tasche già gonfie vengono stanziati ben 790 milioni per la realizzazione del Tav Torino-Lione e oltre 1,2 miliardi di euro per il Mose a Venezia. Carote d'oro a pochi capitalisti che devastano l'ambiente, bastonate a sangue per milioni di lavoratori.
Mentre il governo chiede continuamente sacrifici a chi non ha più nemmeno i soldi per comprarsi il pane, effettivamente c'è qualcuno che continua a ricevere succulente carote. E non si tratta tanto e solo dei "deputati" e dei "politici", le cui nefandezze ora sono sotto gli occhi di tutti. C'è qualcuno che continua a ricevere carote d'oro zecchino dal governo, e lo fa senza che nessun giornalista - né quelli della stampa borghese illuminata né quelli che hanno intrapreso crociate contro la "casta dei politici" - gridi allo scandalo. Sono i capitalisti della grande industria, i banchieri, i grandi azionisti, cioè coloro che hanno sempre avuto in dono dai governi loro amici - da Prodi a Berlusconi a Monti, indifferentemente - centinaia di miliardi di euro, sia sotto forma di finanziamenti diretti (come i soldi erogati nel piano di salvataggio delle banche o negli incentivi alla Fiat) sia sotto forma di finanziamenti indiretti (come nel caso degli ammortizzatori sociali, con i quali lo Stato ha pagato gli operai al posto dei padroni). Per fare un esempio recente, il famigerato decreto "Salva Italia", del dicembre 2011, mentre innalzava drasticamente l'età pensionabile e introduceva la famigerata Imu, stanziava 700 milioni come "misura di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria". Così, quest'ultima "legge di stabilità", mentre bastona a sangue le schiene già spezzate dei lavoratori, regala ancora soldi a investitori e speculatori: per le loro tasche già gonfie vengono stanziati ben 790 milioni per la realizzazione del Tav Torino-Lione e oltre 1,2 miliardi di euro per il Mose a Venezia. Carote d'oro a pochi capitalisti che devastano l'ambiente, bastonate a sangue per milioni di lavoratori.
Il ruolo delle burocrazie sindacali
Ma torniamo alla domanda iniziale. Perché, nonostante questo massacro sociale, in Italia non assistiamo alla risposta di lotta e di massa che vediamo in altri Paesi colpiti da misure analoghe? Le lotte sono state in questi mesi varie e in qualche caso radicali: dalla dura lotta degli operai della Irisbus e dell'Alcoa a quella altrettanto radicale degli operai della Jabil di Cassina de' Pecchi, dagli scioperi degli immigrati alle lotte degli operai dell'Esselunga e di Basiano, fino alle mobilitazioni degli operai Fincantieri, dei no-Tav, dei precari della scuola, degli studenti, dei lavoratori di Taranto contro i licenziamenti all'Ilva. Ma sono lotte che per ora sono rimaste divise e frammentate, in alcuni casi condotte in un vicolo cieco dalle burocrazie sindacali, che hanno firmato accordi al ribasso cantando la litania del "non possiamo fare nient'altro".
E' proprio, paradossalmente, il fatto che la classe lavoratrice italiana è la più sindacalizzata d'Europa che contribuisce a determinare questa situazione. Sono circa 15 milioni gli iscritti alle tre confederazioni sindacali concertative Cgil, Cisl e Uil (6 milioni iscritti alla Cgil, la più grande numericamente). Questo determina un peso enorme degli apparati burocratici di questi tre sindacati che - anche in virtù del rapporto privilegiato con lo Stato che ne tutela i privilegi - hanno una grande capacità di controllo sulla classe lavoratrice nel nostro Paese. E questi apparati burocratici, che mirano anzitutto alla propria conservazione, stanno ponendo un freno fortissimo alle mobilitazioni. La radicalizzazione delle lotte è, infatti, vista come un nemico da esorcizzare da chi, negli apparati burocratici, vive di piccoli o grandi privilegi: la conservazione dello status quo diventa la premessa per la conservazione di questo strato di parassiti.
Ma torniamo alla domanda iniziale. Perché, nonostante questo massacro sociale, in Italia non assistiamo alla risposta di lotta e di massa che vediamo in altri Paesi colpiti da misure analoghe? Le lotte sono state in questi mesi varie e in qualche caso radicali: dalla dura lotta degli operai della Irisbus e dell'Alcoa a quella altrettanto radicale degli operai della Jabil di Cassina de' Pecchi, dagli scioperi degli immigrati alle lotte degli operai dell'Esselunga e di Basiano, fino alle mobilitazioni degli operai Fincantieri, dei no-Tav, dei precari della scuola, degli studenti, dei lavoratori di Taranto contro i licenziamenti all'Ilva. Ma sono lotte che per ora sono rimaste divise e frammentate, in alcuni casi condotte in un vicolo cieco dalle burocrazie sindacali, che hanno firmato accordi al ribasso cantando la litania del "non possiamo fare nient'altro".
E' proprio, paradossalmente, il fatto che la classe lavoratrice italiana è la più sindacalizzata d'Europa che contribuisce a determinare questa situazione. Sono circa 15 milioni gli iscritti alle tre confederazioni sindacali concertative Cgil, Cisl e Uil (6 milioni iscritti alla Cgil, la più grande numericamente). Questo determina un peso enorme degli apparati burocratici di questi tre sindacati che - anche in virtù del rapporto privilegiato con lo Stato che ne tutela i privilegi - hanno una grande capacità di controllo sulla classe lavoratrice nel nostro Paese. E questi apparati burocratici, che mirano anzitutto alla propria conservazione, stanno ponendo un freno fortissimo alle mobilitazioni. La radicalizzazione delle lotte è, infatti, vista come un nemico da esorcizzare da chi, negli apparati burocratici, vive di piccoli o grandi privilegi: la conservazione dello status quo diventa la premessa per la conservazione di questo strato di parassiti.
Le manifestazioni del 20 e del 27 ottobre
La Cgil, il principale sindacato italiano, in virtù del suo legame con il Pd (che appoggia il governo Monti), non solo si è rifiutata di proclamare scioperi generali contro le "riforme" delle pensioni e del lavoro, ma anche oggi - mentre sottoscrive rinnovi contrattuali che smantellano di fatto la contrattazione collettiva, come nel caso del rinnovo del contratto dei chimici - si limita a convocare un presidio il 20 ottobre a Roma, sulla base di una piattaforma che è ben difficile distinguere dalle dichiarazioni di Confindustria: politica industriale a favore degli investimenti, proroga degli ammortizzatori sociali, "allentamento" del patto di stabilità per permettere ai Comuni di completare le opere infrastrutturali (cioè per permettere ai Comuni di saldare le spese con le imprese). La rivendicazione più "radicale" è "detassazione delle tredicesime", come se qualche euro in più in busta paga una tantum permettesse di risolvere i problemi degli operai che non arrivano a fine mese. E' una manifestazione a supporto del Pd e delle sue manovre di governo ed elettorali, alla quale purtroppo parteciperanno molti lavoratori convinti a torto di scendere in piazza contro il governo Monti.
Una settimana dopo, il 27 ottobre, si svolgerà invece una manifestazione - il "No Monti Day" - promossa dal Comitato No Debito di Giorgio Cremaschi. E' una manifestazione convocata con modalità, purtroppo, non democratiche, in parte speculari a quelle delle burocrazie sindacali: il Comitato No Debito è rimasto di fatto un intergruppi, in cui i leader di vari partiti e sindacati, cooptati da Cremaschi, decidono dove e quando convocare le manifestazioni. L'importante occasione di lanciare un grande movimento per il non pagamento del debito anche in Italia è rimasta in gran parte tradita, perché non ha dato vita, per volontà dei promotori, a un reale processo di costruzione di strutture di base nelle città.
La Cgil, il principale sindacato italiano, in virtù del suo legame con il Pd (che appoggia il governo Monti), non solo si è rifiutata di proclamare scioperi generali contro le "riforme" delle pensioni e del lavoro, ma anche oggi - mentre sottoscrive rinnovi contrattuali che smantellano di fatto la contrattazione collettiva, come nel caso del rinnovo del contratto dei chimici - si limita a convocare un presidio il 20 ottobre a Roma, sulla base di una piattaforma che è ben difficile distinguere dalle dichiarazioni di Confindustria: politica industriale a favore degli investimenti, proroga degli ammortizzatori sociali, "allentamento" del patto di stabilità per permettere ai Comuni di completare le opere infrastrutturali (cioè per permettere ai Comuni di saldare le spese con le imprese). La rivendicazione più "radicale" è "detassazione delle tredicesime", come se qualche euro in più in busta paga una tantum permettesse di risolvere i problemi degli operai che non arrivano a fine mese. E' una manifestazione a supporto del Pd e delle sue manovre di governo ed elettorali, alla quale purtroppo parteciperanno molti lavoratori convinti a torto di scendere in piazza contro il governo Monti.
Una settimana dopo, il 27 ottobre, si svolgerà invece una manifestazione - il "No Monti Day" - promossa dal Comitato No Debito di Giorgio Cremaschi. E' una manifestazione convocata con modalità, purtroppo, non democratiche, in parte speculari a quelle delle burocrazie sindacali: il Comitato No Debito è rimasto di fatto un intergruppi, in cui i leader di vari partiti e sindacati, cooptati da Cremaschi, decidono dove e quando convocare le manifestazioni. L'importante occasione di lanciare un grande movimento per il non pagamento del debito anche in Italia è rimasta in gran parte tradita, perché non ha dato vita, per volontà dei promotori, a un reale processo di costruzione di strutture di base nelle città.
La manifestazione del 27
ottobre, inoltre, è convocata sulla base della piattaforma riformista elaborata
da Cremaschi e calata dall'alto, senza che vi sia stato alcun percorso di
discussione che coinvolgesse le migliaia di lavoratori e giovani che
condividono la parola d'ordine del non pagamento del debito e che potrebbero
essere coinvolti nello sviluppo di una reale mobilitazione.
E' una piattaforma che rivendica la
possibilità di riformare il capitalismo nel momento in cui questo sistema
economico è in piena putrefazione. E' una piattaforma che, anziché rivendicare
l'esproprio senza indennizzo della grande industria e delle banche, propone di
porre "forti vincoli" alle multinazionali; che propone una "rivoluzione per la
democrazia" e un "drastico taglio alle spese militari" (nemmeno quindi la loro
abolizione). E', appunto, un programma che pretende di riformare il capitalismo
con misure neokeynesiane, anziché avanzare rivendicazioni che ne implichino
l'abbattimento. Per questo il Pdac non ha sottoscritto quella piattaforma (a
differenza di altre organizzazioni politiche, che pure a parole si definiscono
"rivoluzionarie", che invece l'hanno accettata in silenzio in cambio di un po'
di visibilità mediatica) ma si attiverà per la migliore riuscita di quella
manifestazione e sarà a Roma il 27 ottobre per proporre l'unico programma
realistico di fronte alla crisi del sistema capitalistico: unificare le lotte e
le vertenze in uno sciopero generale europeo, espropriare senza indennizzo e
sotto controllo operaio la grande industria e le banche, cacciare Monti per un
governo operaio.
La procura di Torino nega le torture, verità per Fabiano
Simonetta Zandiri
Testimonianza diretta di Fabiano Di Bernardino, studente bolognese e attivista del TPO, ricoverato presso il reparto di Traumatologia dell'ospedale CTO di Torino, che racconta l'inaudita serie di viloenze subite dalla Polizia all'interno del cantiere bunker della Maddalena, dopo essere stato fermato durante la manifestazione NO TAV del 3 luglio 2011 in Val di Susa
L'hanno catturato e poi pestato in 10, con manganello e bastoni, gli hanno spezzato il braccio, il naso, gli hanno dato calci nei testicoli, l'hanno trascinato verso la cosiddetta "base", un casotto dove avevano il deposito dei lacrimogeni, lasciato steso su un lettino dopo essere passato in mezzo ad un "corridoio" di carabinieri e poliziotti che continuavano a sputargli in faccia e prenderlo a calci, fino a quando, una volta sul lettino, c'è stata l'ennesima sfilata di fdo per colpirlo ancora.... si chiama TORTURA, TORTURA e non può essere negata, meno che mai ARCHIVIATA, e non è possibile e accettabile che una testata giornalistica come REPUBBLICA scriva una MENZOGNA e non la RETTIFICHI. VERGOGNA! GUARDATE E DIFFONDETE QUESTO VIDEO... visto che Fabiano non può avere la cosiddetta "giustizia", che la gente sappia almeno LA VERITA'!
Testimonianza diretta di Fabiano Di Bernardino, studente bolognese e attivista del TPO, ricoverato presso il reparto di Traumatologia dell'ospedale CTO di Torino, che racconta l'inaudita serie di viloenze subite dalla Polizia all'interno del cantiere bunker della Maddalena, dopo essere stato fermato durante la manifestazione NO TAV del 3 luglio 2011 in Val di Susa
Iannarilli tifa Polverini
Luciano Granieri
Il presidente della Provincia Antonello Iannarilli rifiuta
di diventare decadente. Ha bloccato la procedura avviata dal consiglio per
farlo decadere entro il 29 ottobre, ultima data utile per disfarsi del fardello provinciale e candidarsi alle elezioni politiche. Ci piacerebbe credere che la pressione dell’opposizione e di una
parte di cittadinanza, compreso il nostro blog e il nostro movimento Collettivo
Ciociaro Anticapitalista, abbia indotto
il presidente ad una procedura meno subdola.
Ovvero la presentazione delle
dimissioni e l’azzeramento della giunta.
La realtà invece è un’altra. Il presidente,abile gestore dell’uso
privato di carica pubblica, si è fatto due conti, e ne ha concluso che
suscitare tanto casino per una forzatura procedurale sarebbe stato
controproducente e probabilmente avrebbe determinato una caduta d’immagine in
vista delle eventuali candidature o alle politiche o alle regionali. Infatti le mire del presidente provinciale,
ex uscente, non cambiano di una virgola.
Prima fase del piano. Puntare alla Regione
Lazio. Per presentare la propria candidatura alla Pisana, Iannarilli deve
dimettersi entro 45 giorni dalla data
delle elezioni. A questo punto è d’obbligo
tifare per la Polverini affinchè tiri per le lunghe nello stabilire la data delle elezioni. Ormai
sembra certo che si andrà al voto per la Ragione non prima di gennaio-febbraio del prossimo anno. Nel frattempo il massimo dirigente provinciale,
nel rimanere ancorato insieme ai suoi sodali compagni di
merende alla poltrona, spera che il Parlamento lavori per lui. In particolare
sarà oggetto di attenzione il
disegno di legge che riforma il reato di diffamazione a mezzo
stampa, la legge “Salva Sallusti” per
intenderci , arenatasi
presso la commissione Giustizia del
Senato. Qualcuno potrà obbiettare che c’entra
la legge “salva Sallusti” con Iannarilli. C’entra. E’ sufficiente ricordare la straordinaria abilità
dei parlamentari piddiellini nell’infilare in disegni di legge
marginali, tipo la definizione della lunghezza della coda dei gatti, emendamenti di tutt’altra
natura e di ben altro interesse alla gestione privata di carica pubblica.
Infatti fra gli emendamenti al dispositivo
di legge “Salva Sallusti” che saranno
posti in votazione presso la commissione Giustuzia del Senato il 23 ottobre prossimo, ne figura uno proposto dal senatore Pdl Gennaro Coronella che sarà molto
interessante per Antonello Iannarilli. Infatti la proposta, che poco c’entra con la legge in discussione, prevede
di revocare l’ineleggibilità in
Parlamento dei presidenti di Provincia.
Un emendamento che se passasse toglierebbe le castagne dal fuoco non solo a
Iannarilli, ma anche a tanti altri presidenti di provincia, per lo più del Pdl che vogliono candidarsi alle politiche. Pare che l’emendamento possa esser
cassato per estraneità alla materia, ma il
lassismo del governo Monti mostrato sulle proposte di legge che non riguardano
la materia economica, non esclude che la
norma possa ripresentarsi sotto altra forma
e approvata. Dunque perchè fare tanto casino per nulla? Male che va, se la Polverini riuscirà a
tenere duro, c’è pronta per Iannarilli una candidatura alla Regione, se poi i
parlamentari piddiellini riusciranno a
fare bene il proprio lavoro, si riproporrà
intatta la possibilità per uno scranno in Parlamento. Non facciamoci
illusioni, chi è abituato a preservare la carica pubblica per i propri interessi
privati non si fa soggiogare né dalle
forze di opposizione -che in realtà
protestano, non per denunciare la
forzatura delle procedure , ma perché anche
loro vorrebbero una bella poltrona pubblica, da cui alimentare i propri
interessi privati – né da quattro
disperati come noi che strillano dalle piazze e dai blog.
venerdì 19 ottobre 2012
Uso privato di carica pubblica
Collettivo Ciociaro Anticapitalista
Il Collettivo Ciociaro Anticapitalista, denuncia l’uso
privato di carica pubblica che il “DECADENTE” presidente della Provincia di
Frosinone Antonello Iannarilli, la giunta e i consiglieri di maggioranza stanno
impunemente esercitando per
assicurare la propria sopravvivenza e difendere i
privilegi acquisiti. L’utilizzo
di normative -quali quelle relative alla
incompatibilità di cariche fra presidenza di enti locali e incarichi
parlamentari - a proprio uso e consumo,
la cui validità è legittima solo quando è funzionale a mantenere in vita una
giunta provinciale agonizzante anche senza il suo Presidente, è scandaloso. Ed
è ancora più scandalosa la solerzia con cui il
consiglio Provinciale si attiva
quando c’è da deliberare per salvaguardare i propri privilegi
soprattutto se questa è paragonata al lassismo totale riservato alla
deliberazioni su provvedimenti che
riguardano il governo del territorio. La
vicenda della consiglio provinciale di Frosinone, unita a quella della Regione
Lazio dove la governatrice Polverini, pur dimissionaria, sta tergiversando
nell’indire le elezioni, prendendosi tutto il tempo necessario e anche oltre, per foraggiare con incarichi pubblici a pioggia
l’elite a lei collaterali , e per riorganizzare le proprie truppe, sono
fulgidi esempi di come le cariche pubbliche siano usate per scopi privati. Non è fondamentale curarsi della grave crisi
sociale che investe i propri amministrati, non è utili occuparsi dei scuola,
sanità e crisi occupazionale, tutto
questo comporta solo grane. L’importante
è, fra un taglio alla sanità e un accorpamento scolastico, curarsi dei propri interessi e se possibile
acquisire nuovi privilegi. Per questo motivo il collettivo ciociaro
anticapitalista, auspica una rivoluzione politica e sociale degli enti pubblici.
E’ necessaria la formazione di organismi partecipativi, composti da singoli
cittadini, movimenti , comitati , che oltre ad offrire contributo di
partecipazione diretta al governo del
territorio, svolgano il compito di controllare la trasparenza e l’efficienza delle amministrazioni pubbliche, denunciando abusi e inefficienze. E’ ora che
la comunità si riappropri del proprio diritto democratico di controllare
l’operato di coloro che ha scelto come propri amministratori.
Comunicato inviato alla stampa.
E i presidenti provinciali si accorsero dell'incompatibilità del doppio mandato
Andrea Cristofaro. Collettivo Ciociaro Anticapitalista
E’ impressionante assistere all’uso personalistico che i
partiti e i loro esponenti fanno delle istituzioni. In piena ondata di
antipolitica causata fra l’altro anche dalle ultime inchieste sulla diffusa
abitudine dei rappresentanti del popolo di rubare soldi pubblici, i politici
non si perdono d’animo e continuano a fare i loro porci comodi senza
preoccuparsi della reazione dell’opinione pubblica. E lo fanno sicuramente a
ragion veduta, visto che la gente ha dimostrato troppe volte la propria
incapacità di reagire alle ingiustizie e agli imbrogli. Così in ottobre diversi
presidenti e consigli provinciali tutti insieme si sono accorti, dopo aver
svolto per anni il doppio incarico di presidente e di deputato, che le due
cariche sono incompatibili. Quindi vari presidenti si sono dimessi entro il 12
ottobre, guarda caso l’ultimo giorno utile per potersi candidare alle
politiche. Ma altri, fra cui il “nostro” Iannarilli sono stati ancora più
creativi: hanno fatto in modo che il consiglio provinciale votasse l’incompatibilità
del doppio incarico, facendoli decadere. La differenza è presto detta: in
questo caso il presidente si potrà candidare e il consiglio non verrà sciolto,
perché il suo posto sarà occupato dal vice presidente. Rimane il fatto che
questo consiglio provinciale che improvvisamente si dimostra così attento alle
regole, per diversi anni ha mantenuto un presidente incompatibile, difendendone
il diritto a portare a termine tutti e due i mandati. Ma noi siamo sicuri che
le persone a questi particolari non faranno caso, e continueranno a votare
questa gentaglia che usa le istituzioni a proprio uso e consumo. Come stanno
facendo i parlamentari che da mesi sono impegnati a sviluppare una nuova legge
elettorale, come insistentemente chiede il presidente della repubblica
raccomandandosi che sia una legge elettorale che tenga fuori dal parlamento le
voci fuori dal coro e che non provochi un cambio della linea politica
dell’attuale governo. Naturalmente il presidente fan del mercato e delle banche
usa altre parole, ma il senso è quello. Questi tizi, dicevamo, fra una fiducia
e l’altra votate per il governo Monti, essendo ormai esentati dal dover fare
politica stanno usando tutte le energie per inventarsi una legge elettorale che
renda impossibile che qualcuno perda e soprattutto che renda inutili le
elezioni. Così si inventano i premi di maggioranza fatti a misura di sondaggio
e di alleanze, la regola salva lega, i voti di preferenza finti, i quorum
aumentati. E anche in questo caso fanno affidamento sull’indifferenza passiva
del popolo. Neanche le primarie sfuggono alla regola: le regole vengono cambiate
ad arte per impedire l’ascesa del sindaco di Firenze, fra doppio turno e albi
di iscrizione resi pubblici e secondo turno a numero chiuso. Anche in questo
caso gli elettori che andranno a votare alle primarie saranno dei semplici
comprimari che pensano di essere invece i protagonisti. Stenderei un velo
pietoso sulla battaglia per la data delle elezioni che si sta svolgendo nel
Lazio. La situazione reale è che al centrosinistra ai fini elettorali conviene
andare subito al voto, mentre al centrodestra conviene aspettare. Così inizia
la battaglia sui regolamenti e sulle postille, che niente ha a che vedere con
la soluzione dei problemi della regione Lazio e dei suoi cittadini: anche qui
le istituzioni usate a proprio uso e consumo. Ma il centrosinistra che in questi giorni va in
piazza a chiedere elezioni entro l’anno per portare pulizia e giustizia è
quello stesso centrosinistra che aveva votato insieme al Pdl l’aumento dei
soldi dati ai gruppi consiliari e che quei soldi li ha anche presi ed usati; ed
è lo stesso centrosinistra che in anni di governo ha fatto innumerevoli favori
ai poteri forti a danno dell’ambiente e della qualità di vita dei cittadini. Ma
queste sono cose che non contano: ciò che conta è che il centrosinistra ha già
il candidato per le regionali, e invece il centrodestra è in pieno caos
politico. E già, il candidato alla presidenza della regione del Pd dopo aver
fatto campagna elettorale per le comunali di Roma ora non può aspettare, non
sia mai che succeda qualcosa al nazionale e gli tocchi cambiare ancora e
presentarsi alle politiche. E poi il tesoriere dell’Idv è stato colto con il
malloppo nel sacco, meglio andare subito alle elezioni prima che ne scoprano
qualcun altro. A proposito: nell’ufficio di presidenza regionale l’aumento dei
soldi ai gruppi consiliari per il centrosinistra l’hanno votato il Pd e l’Idv.
I consiglieri della Fds hanno detto che non ne sapevano niente, che i soldi li
hanno presi si, ma li hanno usati solo per fare politica. Ora mi chiedo: ma
quanta politica hanno fatto i consiglieri della Fds, visto che siccome non
c’erano soldi, dal regionale del Prc per le elezioni delle ultime comunali di
Frosinone alla lista del Prc sono arrivati 500 euro? E per fortuna c’era stato
l’aumento. E così mentre il paese viene stritolato dalle spire del FMI i
rappresentanti del popolo si dedicano a lotte dietro le quinte per conservare i
privilegi e poltrone, e si delineano all’orizzonte le future alleanze che
daranno origine ai patetici (politicamente) carrozzoni che si contenderanno le
poltrone nelle varie assemblee, nazionali, regionali e comunali. Qualcuno si
presenterà a sinistra fuori dal coro, e per questo andrà lodato, ma ciò non
toglie che le prossime elezioni saranno del tutto inutili, avranno un risultato
stabilito a tavolino, concordato fra i due poli principali, e di conseguenza il
voto degli elettori sarà ininfluente sul risultato delle elezioni stesse.
Quella parte della sinistra che avrà la fermezza di restare fuori dal
centrosinistra deve organizzarsi per preparare il dopo elezioni, la stagione di
lotte che sicuramente arriverà nei prossimi mesi, quando anche il gioco della
Cgil verrà scoperto. Ormai in tutte le iniziative elettorali del Pd è presente
un rappresentante della Cgil, non ultima l’iniziativa svolta a Frosinone
davanti alla prefettura con la presenza di tutti i “pezzi grossi” del
centrosinistra provinciale, o addirittura la Camusso che accompagna Bersani ad una iniziativa
per le primarie: come si può pensare che un sindacato del genere possa svolgere
il proprio ruolo, quando fa campagna elettorale insieme al partito che più di
tutti, appoggiando il governo Monti, sta attaccando i diritti dei lavoratori? Un
sindacato che non indice uno sciopero generale perché più che gli interessi dei
lavoratori interessano i legami con uno dei partiti che stanno distruggendo i
diritti conquistati con anni di lotta? E intanto, per ricordare a tutti che il
parlamento ormai non decide più niente, si fa già il nome del prossimo
presidente della Repubblica, un certo Monti…………
Verso il "No Monti Day"
Luciano Granieri. Collettivo Ciociaro Anticapitalista
I filmati sono tratti da http://www.ecodellarete.net/
Ieri
pomeriggio ho partecipato con molto piacere all’incontro dibattito
organizzato dagli amici di www.ecodellarete.net presso la saletta centro delle arti di
Frosinone. Nel corso dell’assemblea i rappresentanti di movimenti , partiti e
singoli cittadini che parteciperanno il prossimo 27 ottobre al No Monti day erano
chiamati a spiegare le motivazioni della
loro adesione e mettere in luce l’assoluta necessità di costituire un fronte comune
forte contro le politiche messe in atto dal governo dei tecnici. L’incontro pubblico aveva la primaria finalità
di fornire maggiori informazioni ad un ipotetico uditorio sulla natura dell’evento, cercando di squarciare il velo di falsità e di luoghi comuni costruiti ad
arte dai media asserviti trasversali e bipartisan, secondo cui la cura di
cavallo, che ammazza il cavallo, pianificata dal governo Monti sotto dittatura
della troika (Bce, Fmi e Unione europea) è necessaria per uscire dalla crisi. Purtroppo l’uditorio era più che ipotetico,
era praticamente assente, se si esclude una cittadina che ha avuto il buon cuore di
ascoltarci ma anche di intervenire. Il Dibattito quindi si è svolto fra gli stessi relatori che evidentemente non dovevano convincersi l’un l’altro
sulla necessità di contrastare il governo
Monti e i trattati europei che
impongono la macelleria sociale. Rimane
comunque la platea della rete.
Spero fortemente che i nostri interventi
possano costituire, per chi avrà la bontà di visionarli sul
nostro blog o, ancora meglio, su www.ecodellarete.net, un momento di controinformazione,
una piccola ma affilata spina che si incunei nella costruzione mediatica tesa ad
inculcare nelle menti l’ineluttabilità
di questo piano di impoverimento di massa. In merito allo svolgimento del
dibattito vorrei fare qualche
riflessione. Intanto non tutte i movimenti invitati hanno inviato
un loro rappresentante. Oltre al
sottoscritto , in rappresentanza del
Collettivo Ciociaro Anticapitalista , c’erano Severo Lutrario, dell’USB, Luigi Sorge, del Partito Comunista dei Lavoratori,
Domenico Belli segretario del circolo cittadino di Sel e i
padroni di casa di www.ecodellarete.net Fiorenzo Fraioli e Claudio Martino. Non
pervenuti gli esponenti della FIOM , di Rifondazione e del Movimento 5 Stelle,
l’unico movimento a motivare la sua
assenza con una e.mail nella quale si
asseriva che, pur nella condivisione dell’ostilità al governo Monti, il Movimento 5 Stelle declinava l’invito a partecipare all’assemblea perché composta da relatori troppo schierati
a sinistra. Chissà se ci fosse stato
qualcuno di CasaPound forse qualche grillino si poteva recuperare. La
cosa personalmente mi ha interessato il giusto, cioè nulla, e ho trovato anche
eccessivo il tempo dedicato da Fiorenzo Fraioli a stigmatizzare questa assenza.
Per il resto il dibattito ha evidenziato
due posizioni ben precise. Mentre Fiorenzo Fraioli attribuisce alla moneta
unica, ai trattati europei -che
impongono ai paesi che li hanno sottoscritti il fiscal compact, e il paraggio di bilancio - la colpa della
crisi e dello strapotere dell’oligarchia finanziaria, il sottoscritto e Luigi Sorge del Pcl, invece, sostengono che l’euro e i trattati europei (funzionali al trasferimento del potere decisionale nelle
mani del’oligarchia capitalista) non sono altro che un’arma potentissima a
disposizione del capitalismo e che non è sufficiente neutralizzare l’arma
ma bisogna decisamente eliminare, attraverso la lotta di calasse, l’assassino che la usa ossia il sunnominato capitalismo. Purtroppo la polemica inaspritasi
su queste posizioni ha forse un po’ deteriorato la natura unitaria del
messaggio contro il governo Monti che sarebbe dovuto uscire chiaro dall’assemblea. Ma si sa la discussione è il sale
della democrazia, a patto magari che si rispetti il diritto di tutti ad esprimere la propria idea senza
interrompere continuamente e bruscamente
con il tentativo di delegittimare le
posizioni altrui. Del resto, a giudicare delle adesioni al No Monti Day, saranno molti i comunisti che la
pensano come me e Luigi a scendere in piazza . Parteciperanno: Rifondazione Comunista , la Rete dei
Comunisti, Partito Comunista dei lavoratori, Sinistra Critica, Carc (Comitato
di appoggio alla resistenza Comunista) e chi non è d’accordo con queste posizioni
dovrà farsene una ragione magari sacrificandosi nel condividere la protesta con persone che la
pensano diversamente . A proposito! Dall’assemblea è uscita un notizia inaspettata
. Domenico Belli di Sel ha assicurato la partecipazione del suo gruppo al No
Monti day, è uno scoop perché ad oggi Sinistra
Ecologia e Libertà non figura nella lista delle adesioni né a livello di
partecipazione di singoli circoli, né tanto meno a livello nazionale.
I filmati sono tratti da http://www.ecodellarete.net/
giovedì 18 ottobre 2012
No Monti Day: il 27 ottobre c'è rischio scontri. Forse un servizio d'ordine
fonte: http://www.huffingtonpost.it
Gli organizzatori del No Monti Day temono che la manifestazione del 27 ottobre degeneri in scontri e tafferugli organizzati da gruppi estranei alla protesta di piazza. E per questo starebbero organizzando un servizio d'ordine per tenere lontani coloro che dovessero presentarsi a volto coperto. Il tentativo, insomma, è quello di non replicare la giornata del 15 ottobre 2011 quando l'enorme mobilitazione sfociò nella lunga guerriglia urbana di piazza San Giovanni.
«Sappiamo che qualcuno, non avendo le forze per organizzare niente di proprio, si comporta da parassita e approfitta delle masse in piazza per coprirsi e fare guerriglia», confessa un promotore che preferisce rimanere anonimo. La paura è che un eventuale pioggia di sampietrini e fumogeni possa oscurare ancora una volta, a livello mediatico, le ragioni di una mobilitazione che idealmente vorrebbe ricollegarsi alle altre mobilitazioni europee.
In effetti all'interno del frastagliato movimento la discussione sullo svolgimento del No Monti Day è sotterranea ma vivacissima. Per le aree più radicali, il corteo del 27 ottobre sarebbe un compromesso pacifico soprattutto nella scelta di rimanere lontano dai palazzi della politica: il percorso concordato infatti prevede di partire da piazza della Repubblica e arrivare a piazza San Giovanni. Nessun assedio al Parlamento come è accaduto recentemente a Madrid, dunque, e nessuna piazza Syntagma. In questo modo, è l'accusa, si cerca di stemperare «la giusta rabbia popolare» che invece diventa protagonista in Spagna e soprattutto in Grecia: ed è proprio la continua rivolta greca il riferimento di coloro che vorrebbero una reazione forte al governo Monti e alle politiche dell'austerity.
Al No Monti Day per il momento aderiscono parti della Fiom vicine a Giorgio Cremaschi (comitato No Debito), la Cgil insegnanti, il sindacato Cobas e molte rappresentanze sindacali di base, rete degli studenti universitari, Rifondazione Comunista, ma anche Gianfranco Mascia del Popolo Viola, scrittori e docenti universitari. Sempre nelle parole degli organizzatori, la speranza è quella di «coinvolgere la gente comune, non affiliata alla politica, persone giovani e meno giovani che non sono d'accordo con quello che sta succedendo in nome dello spread».
Nessun esponente di Sinistra ecologia e libertà ha invece manifestato la propria adesione, al contrario dell'anno scorso: la battaglia del 15 ottobre in questo senso ha segnato uno spartiacque all'interno della sinistra, che nella sua parte maggioritaria avrebbe voluto scendere in piazza pacificamente sul modello degli allora “indignados” spagnoli e degli Occupy americani. Ora risulta difficile capire in quale modo l'opposizione alle politiche europee e del governo Monti possa esprimersi senza cadere nella trappola della violenza o non-violenza.
Centro sinistra provinciale in piazza per sollecitare le elezioni regionali
Luciano Granieri
Di seguito alcune immagini del presidio con intervista all’Eurodeputato Pd Francesco De Angelis, al consigliere regionale del Pd Francesco Scalia, al segretario provinciale di Sel Nazzareno Pilozzi e al segretario del circolo cittadino, sempre di, Sel Domenico Belli.
La protesta dei
consiglieri regionale di opposizione delle Regione Lazio, dall’occupazione
della sede della giunta si è diffusa alle città capoluogo, con sit-in indetti dai vertici
provinciali dei partiti del centro sinistra davanti alle prefetture . L’ostinata decisione della dimissionaria Renata
Polverini di rinviare le elezioni per il nuovo consiglio fino almeno alla primavera del prossimo anno sta esasperando anche i cittadini comuni i
quali, attraverso alcune associazioni
hanno presentato un esposto contro la governatrice per abuso d’ufficio . Ieri quindi anche a Frosinone segretari provinciali ed esponenti di spicco dei partiti di centro
sinistra, hanno organizzato un presidio in Piazza della Libertà davanti alla
prefettura. Da I segretari provinciali
Sara Battisti (Pd), Orlando Cervoni (PdCi) , Ornella Carnevale (Rifondazione
Comunista) Nazzareno Pilozzi (Sel), al presidente Socialista e consigliere provinciale
Gianfranco Schietroma, al consigliere regionale Pd Francesco Scalia all’eurodeputato,
sempre del Pd, Francesco De Angelis ,
tutti hanno condiviso con forza, insieme
ai militanti e rappresentanti sindacali,
la necessità di andare alle elezioni del
consiglio regionale entro il 16 dicembre.
L’ampio schieramento di centrosinistra in questo frangente sta cercando anche di ritrovare l’unità perduta nel convinto
sostegno condiviso alla candidatura di Nicola Zingaretti, dirottato dai vertici
Pd alla corsa per la Regione anziché concorrere come precedentemente previsto
alla carica di sindaco di Roma. Al di la delle valutazioni politiche che
possono più o meno essere condivise, per quello sarebbe auspicabile visionare
il programma di Zingaretti, resta il
fatto che l’accanimento terapeutico per
tenere in vita l’assise dimissionaria sta
costando molto alla comunità, sia in termini di strappo alla democrazia che in
meri termini economici. Il risparmio di
denaro pubblico che si otterrebbe accorpando in un election day , comunali d
Roma, regionali e politiche, sarebbe irrisorio di fronte allo sperpero dovuto
alla remunerazione di un consiglio destituito e inerme, alla perdita di fondi
europei che lo stesso consiglio destituito non può chiedere nei tempi
necessari. Ma soprattutto votare a dicembre
porrebbe fine alle ultime devastanti scorribande
dalla Polverini . Solo ieri la
governatrice ha riunito una giunta fantasma per distribuire un pacchetto di
provvedimenti a beneficio di amici
imprenditori. Si tratta di 85 milioni di
euro di regalie decise a tempo scaduto ,
fra cui spicca il cambio di destinazione d’uso da industriale a commerciale della
zona di Castel Romano, in pratica il via
libera alla costruzione di nuovi centri commerciali in quell’area. Andare al voto prima possibile significa porre termine al saccheggio di denaro
pubblico regionale che la Polverini sta usando per foraggiare clientele
elettorali in vista della sua candidatura
alle elezioni politiche. Il
prolungamento dell’agonia serve anche ai sodali della Polverini come Luciano Ciocchetti (Udc) deciso
a rimanere asserragliato nel suo ufficio di assessore fino a
quando il partito non riuscirà ad assicurargli
un posto in Parlamento. Questa grave e
anomala situazione forse richiederebbe ben altra mobilitazione che non i
semplici sit in organizzati dall’opposizione. Ma chi semina
l’assopimento delle coscienze democratiche predicando, in nome del riformismo, moderazione ideologica per il
mantenimento di una pace sociale che sta
reggendo sempre meno, non può raccogliere
la forza popolare necessaria per
alimentare un conflitto risolutivo.
Sicuramente la sfilata dei segretari provinciali dei partiti di centro sinistra
davanti ai Prefetti non sortirà alcun effetto , non sarà che acqua fresca per
la determinata impunità della Poverini. Speriamo
solo che venerdì prossimo la ministra
Cancellieri, riesca a ottenere la resa della ex governatrice e ristabilire un
minimo di giustizia democratica.
Di seguito alcune immagini del presidio con intervista all’Eurodeputato Pd Francesco De Angelis, al consigliere regionale del Pd Francesco Scalia, al segretario provinciale di Sel Nazzareno Pilozzi e al segretario del circolo cittadino, sempre di, Sel Domenico Belli.
mercoledì 17 ottobre 2012
Il presidente decaduto
Luciano Granieri
Riassunto iconomusicale
Ciò che è accaduto oggi al consiglio provinciale di
Frosinone è l’ennesimo esempio di uso privatistico delle cariche istituzionali.
E’ una consuetudine molto in voga ultimamente soprattutto nelle assisi provinciali. In vista dell’accorpamento delle
province, che depotenzia i poteri dei dirigenti,
e
della disponibilità di caselle lasciate
libere nei consigli regionali dimissionari e in odor di camorra, molti
presidenti provinciali sono invogliati a salire di grado, e dal momento
che per candidarsi ad altre poltrone devono
disfarsi della loro ormai ingombrante e inutile carica provinciale, fanno di
tutto per svincolarsi. Ma solidarietà di casta vuole che un presidente di
provincia debba comunque assicurare la
pagnotta ad assessori e consiglieri di maggioranza che l’hanno appoggiato mantenendoli
ben saldi sulla loro poltrona . Ciò non
sarebbe possibile in caso di dimissioni perché il consiglio verrebbe
commissariato e di fatto la giunta azzerata.
Ma il geniale escamotage
escogitato dalla giunta provinciale di Frosinone guidata da Iannarilli riesce
ad accontentare tutti. L’attuale
presidente Iannarilli ha mire alte, vuole candidarsi a consigliere regionale e, per
assicurare la permanenza dei suoi adepti nei
posti che contano, ha resuscitato
una vecchia norma. Ovvero una legge che rende incompatibile la carica di Presidente
della Provincia con incarichi parlamentari ( Iannarilli è attualmente deputato).
L’entrata in vigore di tale normativa risale al 2011, ma fino ad oggi nessuno
nell’assise provinciale se ne era accorto
. Finalmente oggi una distratta giunta ed un ancora più svagato
consiglio provinciale hanno fatto ammenda della
loro distrazione e si sono resi conto che Iannarilli, essendo deputato, non può ricoprire la carica di presidente della Provincia, MEGLIO TARDI CHE MAI. Dunque un rinsavito consiglio provinciale
riunito oggi ha posto a votazione “La
contestazione dell’incompatibilità dei ruoli del presidente della Provincia”
provvedimento approvato grazie ai voti della maggioranza che ha fatto decadere
l’attuale presidente, evitando così il commissariamento dell’ente e l’azzeramento
della giunta. Piccolo particolare al comando della Provincia dovrebbe accedere
il vice presidente, incarico che nella giunta provinciale frusinate risulta
vacante in quanto la delega alla vice presidenza attribuita a Cardinali era
stata ritirata da Iannarilli qualche mese fa . Ma ad eleggere un vice presidente
da far diventare in un battibaleno presidente non ci vuole molto. I consiglieri di opposizione consci di essere
testimoni dell’ennesima presa in giro, hanno tentato di far mancar il numero
legale per rinviare il voto. La cosa
sembrava riuscire, ma come al solito ci hanno pensato quelli dell’Udc a rompere
le uova nel paniere. Gli ex democristiani di Casini si sa non si
fanno scrupoli a favorire dall’opposizione
la maggioranza o, viceversa, a far cadere una maggioranza di cui son membri favorendo l’opposizione. Infatti Alessia Savo
consigliere Udc d’opposizione assieme all’altro consigliere di
opposizione, ex fascista ripulito Fabio
Bracaglia, rientrano in aula assicurando il numero legale e la riuscita della
farsa. Iannarilli è decaduto
per mano del consiglio, libero quindi di assurgere ad incarichi più alti, mentre i suoi consiglieri possono comunque
rimanere li dove sono sempre stati. Ma la provincia di Frosinone non è l’unica ad aver pianificato questa
strategia. Anche nella provincia di
Napoli il presidente Cesaro è decaduto libero di candidarsi alle elezioni
politiche. Questi stratagemmi meschini offendono la dignità dei cittadini che
hanno votato il loro rappresentanti. Ormai le cariche nei consigli provinciali, regionali, le poltrone di sindaco,
passano di mano come se le istituzioni pubbliche fossero holding in cui gli amministratori delegati si scambiano
le posizioni di comando. Così come nelle
multinazionali i dipendenti non devono mettere bocca sulla composizione del
consiglio di amministrazione, anche ai
cittadini non deve interessare se un presidente di provincia decide di
diventare consigliere regionale, o un
sindaco preferisce candidarsi alla
presidenza della provincia. Ai cittadini si chiede di votare ogni tanto e poi di lasciar fare agli eletti senza
impicciarsi. Se non si riesce a minare
il senso di impunità di questi loschi figuri, la collettività dovrà sempre più
subire decisioni lesive alla propria
dignitosa sopravvivenza. Urge dunque provare
a rovesciare il sistema ed esigere il controllo popolare sull’operato dell’oligarchia elettoralistica. E’ ORA CHE IL POTERE TORNI
NELLE MANI DEL POPOLO.
Riassunto iconomusicale
ll presidente Iannarilli non vuole giocare più, vuole andare
via a giocare in altri campi (regionali
o nazionali) , ma gli assessori voglio fermarsi li, non vogliono lasciare più
la loro poltrona. E allora? E allora essendo il presidente Iannarilli anche deputato torna buona una norma secondo la quale un
presidente di provincia non può ricoprire contemporaneamente la carica di
deputato. Era una norma di tanto tempo fa che ovviamente nella giunta
provinciale di centrodestra si sono guardati bene dall'applicare. Del resto si
sa per gli adepti di Berlusconi la legge è uguale per tutti ma per alcuni è più
uguale di altri.
Oggi quel codicillo
torna buono, perchè consente di far decadere il presidente della provincia che
così può candidarsi alla regione o di nuovo al parlamento, senza far
commissariare il consiglio provinciale
la cui presidenza verrà affidata al vice presidente per altro ancora da
nominare. Si salva così la capra Iannarilli che potrà sedere su qualche scranno
della Pisana o di Montecitorio e si salvano anche i cavoli degli assessori e
consiglieri di maggioranza che rimarranno viceversa incollati allo scranno
provinciale grazie al quale hanno goduto già di enormi privilegi .E poi
qualcuno dice che questi assessori e questi consiglieri sono inetti...Tutta
invidia
A proposito i brani sono "Non gioco più" di Mina con
uno straripante TOOT THIELEMAN all'armonica e un frammento di "Io mi fermo qui" dei Dik Dik.
martedì 16 ottobre 2012
Dopo la manifestazione per la Valle del Sacco il "No Monti day"
Collettivo Ciociaro Anticapitalista
con l'aiuto straordinario degli AreA il brano è "Le labbra del tempo"
Seconda Tappa resistente:
Prima tappa resistente
Manifestazione in difesa della Valle del sacco.con l'aiuto straordinario degli AreA il brano è "Le labbra del tempo"
Seconda Tappa resistente:
Il Collettivo Ciociaro Anticapitalista parteciperà alla
manifestazione nazionale No Monti Day.
Sabato 27 ottobre saremo in piazza a Roma insieme ad altri movimenti, organizzazioni e singoli cittadini perché siamo convinti che non esistono altri
mezzi , alternativi alla mobilitazione, per
tentare di incrinare il pensiero unico neoliberista. L’oligarchia finanziaria, in sinergia con gli
interessi delle multinazionali, ha di fatto preso il potere diretto anche nel nostro Paese. Il governo Monti, strenuo difensore degli interessi di questa oligarchia, non è una parentesi emergenziale,
ma è il prodotto della degenerazione politica, del decadimento di questo
esercizio da strumento di rappresentanza
dei cittadini a corporazione tesa alla strenua difesa degli interessi del
capitale. Tanto più si è resa necessaria questa svolta autoritaria , quanto più sono risultati evidenti i disastri
che il pensiero neoliberista ha procurato alla società e alla stessa economia. Il potere finanziario non può ammettere che è
il sistema da cui trae linfa e capacità
di accumulo a provocare la crisi, né può permettere che questa
incontrovertibile verità possa diffondersi nella società civile. Ecco perché la presenza di un
governo diretta emanazione delle
oligarchie finanziarie è indispensabile. Un governo come quello guidato da
Monti - che faccia pagare la crisi provocata dalle
grandi scorribande finanziarie a chi subisce incolpevole gli effetti nefasti della crisi stessa, che continui nella sistematica operazione di
saccheggio del reddito da lavoro a
favore delle rendite finanziarie, che, grazie alla compiacenza dei media di
regime, di comitati elettorali conniventi e spesso di forze sindacali asservite
, diffonda la falsità per cui è l’eccessiva spesa
sociale a provocare il debito e non l’emorragia di capitali necessari a pagare
gli interessi maturati attraverso scorribande finanziarie criminali - è vitale per la sopravvivenza del pensiero
unico . Non si deve sapere ad esempio che nel 2011 il rapporto fra entrate fiscali e spese
sociali era in attivo (avanzo primario) di 370miliardi, mentre la spesa per il
pagamento di interessi maturati, spesso a
seguito di attacchi speculativi orditi dai
facoltosi clienti delle banche d’affari ammontava a 2000 miliardi. Le conseguenze
che l’azione di un governo simile provoca sulla collettività sono
terribili. Disoccupazione, precarietà del lavoro, sanità e scuola pubblica annientate,
mercificazione di beni comuni, sono il
prezzo che la comunità deve pagare alla dittatura della finanza . Per non
finire annientati da questo perverso sistema è necessario ribellarsi sin da
subito ai governi come quello guidato da
Monti che tale sistema impongono, ecco perché sabato 27 noi saremo in piazza,
per dire basta alla dittatura del capitalismo e alle ingiustizie prodotte dal
regime neoliberista che pervade tutta l’Europa.
Sul seguente link l’elenco
delle adesioni.
Aquino, raccolta firme per i referendum sul lavoro
Comitato referendario di Aquino
La prima iniziativa promossa
dal comitato referendario di Aquino per quanto concerne la raccolta
firme per i referendum sul lavoro ha dato un esito molto positivo,infatti si
sono raccolte ben più di 200 firme.
Questo testimonia il grande interesse dei nostri cittadini verso temi di
grande spessore sociale e sopratutto si evidenzia la volontà di non sottostare
alle decisioni di un governo composto da
banchieri e dalla grande finanza.
La raccolta firme continuerà con altre iniziative pubbliche
in modo da dare a tutti i cittadini la
possibilità di firmare . Ricordiamo ancora una volta che possono firmare solo i
residenti del comune di Aquino fino al
12 gennaio 2013.
Come si può facilmente notare ancora una volta i mass media non danno nessuna notizia su questi
referendum, ed ecco perché abbiamo deciso di coordinarci e dare vita a questo
comitato in modo da poter informare tutti di queste iniziative
e dare un grande contributo a queste lotte di democrazia.
Togliere il lavoro ad un uomo corrisponde esattamente a
privarlo della propria dignità. Quindi lanciamo un forte appello a tutti
coloro, che come noi intendono portare avanti questa battaglia, a venire firmare e ad aderire a questo comitato.
Diciamo no alla precarietà e riappropiamoci della nostra
dignità di lavoratori.
"Caporalismo" oggi
Angelino Loffredi. Fonte. http://www.unoetre.it
Gramsci, il Caporalismo, l'attuale situazione politica:"Comandare per comandare è caporalismo" Invece bisogna comandare "perché un fine sia raggiunto" e cioè bisogna comandare per obbedire a un fine e allora gli altri obbediranno per comandare. Scrive meglio Gramsci quando precisa:"Nell'obbedienza c'è un elemento di comando e nel comando un elemento di obbedienza. Il comando è una funzione. Per questo merita di comandare solo chi intende far cessare la funzione stessa di comando".Le ultime vicende politiche, gli scandali che le stanno attraversando, i partiti basati sull'obbedienza al capo, privi di un adeguato processo di selezione del personale politico mi hanno fatto tornare in mente la categoria del Caporalismo, evidenziata in "Passato e Presente" da parte di Antonio Gramsci.
INDIETRO POPOLO ! UN VENTENNIO DI CANZONI Dal temibile CISCO ai Modena City Ramblers
Cisco
AVETE MAI VISTO UN FILM PARTENDO DALL’ULTIMA SCENA?
AVETE MAI LETTO UN LIBRO COMINCIANDO DALL’EPILOGO?
SE NON VI E’ MAI SUCCESSO, E’ ARRIVATO IL MOMENTO
INDIETRO POPOLO! IL NUOVO TOUR “INDOOR” DI STEFANO “CISCO” BELLOTTI, VI
PORTERA’ A SPASSO NEL TEMPO PARTENDO DALLA FINE DELLA STORIA PER ARRIVARNE ALLE
RADICI, CERCATE DI TENERE IL PASSO PERCHE’ POTRESTE PERDERVI O ANCHE CADERE DAL
PALCO!
INDIETRO POPOLO E’ UN NASTRO RIAVVOLTO NEL PRESENTE PER RILEGERE IL PASSATO E
AFFRONTARE MEGLIO IL FUTURO, UNA “MARATONA ALL’INCONTRARIO” NELL’ULTIMO
VENTENNIO SCURO DEL NOSTRO PAESE CON UN SOLO VINCITORE, LA MUSICA!
DA MONTI A MANI PULITE, DALL’EURO ALLA LIRA, DA BERLUSCONI A …BERLUSCONI!
20 ANNI DI COMBAT FOLK MOLTIPLICATI PER 20 CAVALLI DI BATTAGLIA, UN MODO PER
FESTEGGIARE, BALLARE, POGARE E PRENDERSI IN GIRO, UNA STRADA CON ACCESSO VIETATO
A CHI NON HA VOGLIA DI RICORDARE, RIFLETTERE E CARENZA DI AUTOIRONIA
INDIETRO POPOLO! IL NUOVO TOUR DI STEFANO “CISCO” BELLOTTI
Da dicembre e per tutta la stagione invernale, in tutti i migliori
locali Italiani !!!
Secondo atto della commedia tragica Cai-Alitalia
Luciano Granieri
Oggi con la presentazione
del nuovo piano industriale di Cai - Alitalia va in scena un altro atto
della tragicommedia costruita intorno alla compagnia aerea di bandiera
nazionale . Questa rappresentazione,
iniziata quattro anni fa, vede come protagonisti il meglio della drammaturgia
berlusconiana unita al meglio della drammaturgia del sobrio governo tecnico. Un cast di all
star, riunite tutti insieme appassionatamente,
per un successo che in quattro anni ha bruciato tre miliardi
di denaro pubblico , ridotto sul lastrico 4 mila esodati ed oggi si appresta a bruciare altri mille posti di lavoro , agnelli
scarificali offerti al perverso canovaccio della socializzazione dei debiti e
privatizzazione di profitti, che in questo caso non si sono realizzati. Ma
ripercorriamo in breve la sceneggiatura della commedia. Quattro anni fa, a
seguito delle pesanti perdite accumulata da Alitalia, il governo Berlusconi, anziché
cedere ad Air France il pacchetto azionario della compagnia di bandiera
italiana, sacrificando in nome dell’italianità una migliore offerta economica e
un decente trattamento per i lavoratori offerto dai Francesi, decise di
favorire una congrega di suoi amici imprenditori e banchieri. La compagnia berlusconiana, sotto la sapiente
regia di Corrado Passera - nel primo atto banchiere di BancaIntesa, nel secondo
atto, ministro per le attività produttive
nel governo dei tecnici - decise, come da
prassi, di socializzare i debiti, lasciati in pagamento alla comunità
attraverso la parte pubblica di Alitalia, e privatizzare il ramo attivo della compagnia a favore dei soliti noti
influenti amici affamatori di popolo. Nacque Cai (Compagnia Aera italiana) una Spa composta da capitani coraggiosi allora amici del governo in carica. Nel
novero di questa èlite figuravano accattoni come :Roberto Colaninno, l’avvelenatore di Taranto,oggi agli arresti domiciliari, Emilio
Riva, Emma Marcegaglia, allora presidente di Confindustria , l’onnipresente
Benetton e Carlo Toto, patron della compagnia low cost “AirOne”, il quale da debitore sull’orlo della banca rotta, grazie
alle magie dell’allora banchiere e oggi ministro, Corrado Passera, riuscì a racimolare
qualche milione per acquistare una parte della nuova società. Socio di minoranza, attore non protagonista, rimase Air France. Partire con una azienda nuova di zecca bonificata da debiti non
era sufficiente. In cambio dell’impegno a salvare l’orgoglio italico nel
trasporto aereo costoro esigevano la riduzione
del personale da 20.000 a 14.000 addetti
con salari minori e orari di lavoro più lunghi , oltre a enormi agevolazioni fiscali. Il tutto
con l’assenso dei sindacati di regime impegnati alla salvaguardia, non dei lavoratori, ma dei
propri privilegi. Per 4.300 dipendenti
scattò la cassa integrazione. Ammortizzatore sociale che, terminando sabato scorso , ha dato inizio alla mobilità lunga regime con cui questi lavoratori dovrebbero
arrivare alla pensione. Già dovrebbero. Perché
nel frattempo è entrata in scena l’attrice protagonista della compagnia dei teatranti tecnici. La
ministra del (NON) lavoro Elsa Fornero. Tale
stella di prima grandezza ha spostato il
traguardo della pensione per questi
lavoratori di sette anni in avanti, gettando 4000 famiglie nella disperazione senza uno straccio di remunerazione mensile, né
stipendio, né pensione . Partendo da condizioni economiche che più favorevoli non potevano essere la cordata di mega manager- industriali,
banchieri privati amici degli amici è riuscita in un’impresa titanica. Accumulare
in quattro anni gli stessi debiti che la compagnia pubblica aveva accumulato in
venti . Alla faccia dell’efficienza dei privati!!! Nel secondo atto in scena oggi il nuovo piano
industriale che il presidente Roberto Colaninno presenterà ai sindacati di
regime e al governo -nelle persone dell’ex
banchiere regista della commedia, oggi ministro per le attività produttive, Corrado Passera e di Guido Improta, oggi sottosegretario
allo stesso ministero, e ieri responsabile delle relazione esterne di Cai – conterrà
il solito programma lacrime e sangue: I 750 addetti messi incassa integrazione a zero ore nel 2011 verranno licenziati, a loro si aggiungeranno altri 1.000
lavoratori assunti a tempo indeterminato. Il destino dei precari,
a cui sono stati estorti 2000 euro per i
corsi di formazione, è del tutto ignoto ma
è ragionevole prevedere che non
riservi nulla di buono. Dunque attori della
vecchia e della nuova compagnia ,o presenti con parti diverse in entrambe le compagnie contemporaneamente, stanno per certificare l’ennesimo fallimento
di una classe imprenditoriale e finanziaria marcia ma sempre in auge pronta ad arricchirsi alle spalle della collettività . Per
soddisfare le mire dei vari Berlusconi, Tremonti, Colaninno, Riva, Toto,
Passera, Improta e soci, si sono sacrificati migliaia di posti
di lavoro , gettati al vento miliardi di euro. E oggi, probabilmente, Air France rimasta
sullo sfondo, si farà avanti di nuovo per
acquistare Alitalia ma con un offerta notevolmente inferiore a quella proposta
quattro anni fa e con un piano industriale che provocherà altre pene per i
lavoratori. I sindacati di regime adesso strillano, minacciano mobilitazioni, ma dove
stavano quattro anni fa? La vicenda Alitalia è una chiara dimostrazione di come
il governo dei banchieri non è affatto diverso da quello dei pagliacci . Anzi nella sua fredda
determinazione a trasferire porzioni di capitali dal reddito da lavoro all’accumulazione
finanziaria è anche più spietato. Del
resto gli attori sono gli stessi. Ieri i banchieri facevano affari in combutta
con la classe politica, oggi continuano a prosperare ai danni della
collettività gestendo i propri interessi in prima persona, relegando la politica al ruolo di
catalizzatore della rabbia popolare.
Mentre l’indignazione e si riversa
sui Formigoni, sui Fiorito, sulla Polverini,
mentre si continua a discutere se Vendola appoggerà Renzi, qualora quest’ultimo vincesse le primarie del
contro sinistra , o viceversa, mentre si esalta l’estrazione popolare di
Bersani, fotografato e ripreso nell’officina del padre l’oligarchia liberista
mette appunto l’ennesimo scippo da
undici miliardi e mezzo ai danni di disoccupati, lavoratori, precari, malati . E
nessuno, a parte chi finalmente si è convinto a
scendere in piazza il prossimo 27 ottobre contro la dittatura del potere
finanziario e capitalista incarnato dal governo Monti, dice nulla.
Vendola vuole bombardare la Siria?
fonte: http://www.controlacrisi.org
Oggi sul quotidiano Il secolo XIX è uscita un'intervista a Nichi Vendola che ha fatto notizia per l'apertura nei confronti dell'ipotesi dell'elezione di Monti alla Presidenza della Repubblica (non riusciamo a capire come su questa via si possa "archiviare il neoliberismo" ma tralasciamo in questa sede di approfondire).
Ma c'è un altro stralcio piuttosto inquietante in tema di politica estera (cioè di guerre prossime venture) che merita una sottolineatura:
Giornalista: Se ci fosse un intervento militare come in Libia cosa fareste?
«Noi al governo non avremmo 'danzato' il Bunga Bunga insieme a Gheddafi. Faccio fatica a capire perché hanno bombardato la Libia e non la Siria. E comunque, durante il governo Prodi fui d'accordo sulla missione di pace in Libano, e fui anche orgoglioso perché tra quei militari c'erano molti pugliesi.»
Se l'italiano non è un'opinione dobbiamo dedurrre che secondo Nichi Vendola sarebbe giustificata la partecipazione dell'Italia a un intervento armato anzi direttamente al bombardamento della Siria.
Va ricordato che anche sulla Libia Nichi Vendola si lanciò in avventati giudizi positivi sull'imposizione della no-fly zone che poi nel giro di poche ore si trasformò nel bombardamento a tappeto di un paese sovrano conclusosi soltanto con l'uccisione di Gheddafi e il cambio di regime. E' questa la cura che Nichi Vendola propone per la guerra civile siriana?
Speriamo di no, anche se non abbiamo dubbi che il PD si accoderebbe immediatamente a un'eventuale richiesta NATO/USA.
Certo un bombardamento della Siria non avrebbe nulla da spartire con la missione di pace in Libano che ha visto la partecipazione delle truppe anche italiane come forza di interposizione tra belligeranti che accettavano l'intervento internazionale come garanzia per la cessazione del conflitto armato.
Siamo sicuri che si tratti di una frase detta male (magari per l'ansia di accreditarsi come forza di governo) o riportata male.
Doveroso segnalarla in un paese in cui è stato il centrosinistra a invocare l'intervento militare in Libia.
lunedì 15 ottobre 2012
Frammenti di Oreste Scalzone, da Genova al 15 ottobre, passando per Matteo Renzi
Oreste Scalzone
12 anni bastano compagni.
Avete mai visto una rivoluzione, una sovversione,
che continua a riprodursi per appuntamento, spettacolare.
Ce li organizza la
società dello spettacolo, e noi appresso. Ogni volta s’è riprodotta così: chi
faceva il pacifico, chi faceva il black bloc…ma fino a quando?Sappiamo già
tutto, fino a quando andremo avanti?
Il 15 ottobre forse ha chiuso un
cerchio.
[...]
La crescita, l’intergenerazionale…quelli del ’69, l’operaio
comune eh, non io, Pifano, Curcio o Miliucci, ma quello delle canzoni di lotta
continua: ha recuperato del reddito, no? ha mandato il figlio all’università? E
mo si ritrova che fa da ammortizzatore sociale.
Pulisce il culo dei bambini,
tiene in casa la nuora o il genero , c’ha già i genitori con l’Alzheimer (perché
è l’aumento della speranza di vita dopo i 75 anni) aspetta di avercelo lui e
gli dicono pure che ha rubato il futuro a quella faccia da cazzo di Matteo
Renzi.
Dottor Niki e mister Vendola
Fonte, www.controlacrisi.org
13 ottobre 2012.
Una giornata particolare. Una giornata in cui parte la grande campagna di
raccolta firme per il referendum 'salva Articolo 18' (quello smantellato dalla
riforma del lavoro votata anche dal Pd). Una campagna promossa da forze
politiche e sociali della sinistra, da Rifondazione alla Fiom, dall'Idv a Sel.
Per questo si potrebbe definire una bella giornata. Ma è anche il giorno in cui
si 'firma' un'altra cosa, in netta contrapposizione con la precedente. Si
'firma' la 'carta d'intenti' di Pd, Sel e Psi.
Un vero e proprio
patto vincolante che stabilisce come la risoluzione di controversie relative a
singoli atti o provvedimenti rilevanti fra i progressisti saranno risolti da una
votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta
congiunta. In poche parole il partito di maggioranza imporrà a Sel e Psi la
propria linea. Inoltre, il patto prevede per i progressisti il vincolo di lealtà
istituzionale agli impegni internazionali e ai trattati sottoscritti dal nostro
Paese, fino alla verifica operativa e all’eventuale rinegoziazione degli stessi
in accordo con gli altri governi e ad appoggiare l’esecutivo in tutte le misure
di ordine economico e istituzionale che nei prossimi anni si renderanno
necessarie per difendere la moneta unica e procedere verso un governo
politico-economico federale dell’eurozona.
Fra i primi a commentare
negativamente i contenuti del patto è stato Alfonso Gianni di Sel, che ha detto:
"definire il patto come una strada in salita sarebbe un eufeismo"... "Un
evidente compromesso tra chi vuole proseguire l'agenda Monti e chi no". Gianni
ha dato giudizi trancianti sul patto. "In questo modo – ha continuato - si ha
un'immagine surreale dell'Italia, come se il governo Monti fosse stata una
parentesi trascurabile che non ha prodotto guasti. Quindi si glissa sull'articol
18, persino sull'art.8, oggetto di referendum, non si parla di fiscal compact.
Anzi si ribadisce la volontà di assicurare la lealtà istituzionale agli impegni
internazionali e ai trattati sottoscritti dal nostro paese".
Netto è
stato anche il giudizio di Paolo Ferrero del Prc: "Con questo accordo il Fiscal
Compact non si cambierà mai perché quel trattato la Germania non è disponibile a
rinegoziarlo, si può solo disdettare unilateralmente. Qui si dice chiaramente
che la politica economica impostata da Monti continuerà. Del resto visto che i
simboli hanno il loro valore, forse non è un caso che quello schieramento abbia
abbandonato non solo la parola sinistra ma anche quella centro
sinistra".
Insomma, nello stesso giorno in cui la maggioranza del popolo
di sinistra – compresi i militanti di SEL - inizia a raccogliere le firme per i
referendum (Vendola è uno dei componenti del comitato promotore, cioè uno di
quelli che ha apposto la firma in cassazione per presentare i quesiti) contro le
controriforme sul lavoro in chiara discontinuità con le ricette che l'Europa
liberista ha imposto in questi anni, Vendola firma un patto di lealtà agli
impegni istituzionali ed ai trattati sottoscritti con un partito come il PD che
questi impegni li ha già portati in agenda appoggiando il Governo Monti.
Tutto questo rischia di diventare un incubo per i militanti di Sel, che
mentre raccolgono le firme per smantellare le porcate fatte dal governo Monti,
sostenuto dal Pd, devono anche partecipare a delle primarie che decideranno chi
andrà a proseguire quelle porcate. Alcuni non riescono a capire come queste due
cose si possano mettere insieme, essendo totalmente contrapposte tra
loro.
Quello che si temeva si sta avverando: è arrivato Dottor Niki e
Mister Vendola!
domenica 14 ottobre 2012
La candidatura alla presidenza USA di Dizzy Gillespie
Vincenzo Martorella. fonte : www.ilpost.it
Quando il trombettista Dizzy Gillespie salì sul palco del Monterey Jazz
Festival per comunicare al mondo la sua intenzione di candidarsi alle elezioni
presidenziali statunitensi, Mitt Romney era un adolescente sedicenne: e
certamente seguiva gli sviluppi della situazione dal momento che il padre
George, all’epoca governatore del Michigan, era uno dei candidati alle primarie
del partito Repubblicano. Barack Houssein Obama, invece, aveva da poco compiuto
due anni.
Era il 21 settembre 1963, e mentre pensava a chi piazzare nei punti
nevralgici del potere e nel futuro gabinetto della Casa Bianca (ribattezzata per
l’occasione Casa del Blues) Gillespie non era mai stato così serio in vita sua:
Miles Davis capo della CIA, Duke Ellington ministro dello Stato, Max Roach
ministro della Difesa, Charles Mingus ministro della Pace, Louis Armstrong
all’Agricoltura, Malcolm X alla Giustizia ed Ella Fitzgerald alle Politiche
Sociali.
L’annuncio fu fatto nel suo tipico stile, a metà tra umorismo graffiante e
musica spericolata. «Voglio diventare Presidente degli Stati Uniti – urlò al
microfono davanti a trentamila spettatori entusiasti – perché ce ne serve uno!».
Questa frase diventò immediatamente lo slogan della campagna elettorale. Ma per
inseguire un improbabile successo, Gillespie sapeva di aver bisogno di un inno.
Il cantante Jon Hendricks, eminenza poetica dell’entourage gillespiano, quella
sera si unì alla band: molto solennemente spiegò che il brano che stavano per
eseguire avrebbe fatto da colonna sonora alla corsa presidenziale di
Gillespie.
Si intitolava Vote for Dizzy: la musica era quella di Salt
Peanuts, un vecchio classico del bebop; il testo, invece, l’aveva scritto
lo stesso Hendricks sulle note della melodia, e diceva cose così: “Vote Dizzy!
Vote Dizzy! You want a good president who’s willing to run / You wanna make
government a barrel of fun”, “Votate per Dizzy! Volete un bravo presidente che
si dia da fare / Volete un bel governo che vi faccia sganasciare”; o ancora:
“Your political leaders spout a lot of hot air / But Dizzy blows trumpet so you
really don’t care”, “Gli altri politici quanto fiato san sprecare / Ma Dizzy se
non altro lo usa per suonare” (la traduzione è di Dario Matrone).
L’annuncio lanciato dal palco di Monterey veniva in realtà da lontano. La
società statunitense si avvicinava pigramente all’elezione presidenziale del
novembre 1964, preparando il secondo, scontato, mandato per John Fitzgerald
Kennedy. Per sfruttare il clima propagandistico la ABC, l’agenzia che si
occupava del management di Gillespie, all’inizio del 1963 aveva prodotto una
serie di spillette con la scritta “Dizzy for President”. Avrebbe dovuto essere
semplice materiale promozionale, ma gli avvenimenti presero una piega diversa.
In quell’anno, infatti, accaddero fatti ai quali un tipo da sempre a fianco dei
neri e dei più deboli (categorie che troppo spesso coincidevano negli Stati
Uniti, e delle quali Gillespie si era trovato a far parte) non poteva assistere
passivamente.
Il 12 giugno, all’indomani del celebre discorso in cui Kennedy illustrava
agli americani il suo disegno di legge contro la segregazione razziale nelle
scuole e nei luoghi pubblici, l’attivista afroamericano Medgar Evers fu freddato
con una fucilata alla schiena mentre entrava nella sua casa a Mound Bayou, nel
Mississippi. Dell’omicidio fu accusato Byron De La Beckwith, un militante del
White Citizen’s Council, formazione assimilabile al Ku Klux Klan; questi, grazie
a una vergognosa manipolazione dei giurati (tutti bianchi), evitò il carcere per
oltre trent’anni fino a quando, nel 1994, il caso fu riaperto e lui finalmente
condannato.
La storia alimentò l’immaginario riformista del tempo: Bob Dylan e Nina
Simone incisero canzoni sull’accaduto, scrittori e commediografi lo misero al
centro di romanzi e lavori teatrali, fino al film del 1996 Ghost of
Mississippi (uscito in Italia l’anno dopo col titolo di
L’agguato), nel quale Rob Reiner ricostruiva la riapertura del processo
e la condanna di De La Bleckwith, interpretato da James Woods.
Due mesi e mezzo più tardi, oltre trecentomila afroamericani (per le autorità
molti meno) marciarono su Washington in difesa dei loro diritti. Reclamavano
pari opportunità di lavoro, invocando misure più ficcanti e determinate rispetto
a quelle indicate da Kennedy nel suo discorso. Sul palco si alternarono i
rappresentanti delle sei categorie religiose e politiche afroamericane più
importanti; tra questi, Martin
Luther King pronunciò il suo celebre discorso I Have a Dream.
Joséphine Baker fu l’unica donna a prendere ufficialmente la parola. E tra le
decine di migliaia di manifestanti, una coppia esibiva con fierezza la spilletta
“Dizzy for President”: fu quella la molla che trasformò un’idea forse bislacca
in una faccenda più seria.
A settembre, la piccola e sgangherata macchina elettorale che avrebbe
sostenuto Gillespie era stata messa in piedi grazie all’intervento di Ralph
Gleason e sua moglie Jeannie. Gleason era un noto critico jazz, e aveva
iniziato, in articoli pubblicati su quotidiani nazionali e riviste
specializzate, a diffondere la notizia di una eventuale candidatura da parte di
Gillespie. Il quale, invece, non aveva ancora sciolto la riserva: inserirsi nel
complicatissimo meccanismo elettorale americano non era affatto facile.
Gillespie decise di provarci quando, il 15 settembre, un vile attentato
dinamitardo alla Sixteenth Street Baptist Church di Birmingham, Alabama, provocò
la morte di quattro ragazzine afroamericane. La strage, evidentemente, puntava a
fermare il processo di integrazione razziale avviato negli Stati del sud, un
processo contro il quale il governatore dell’Alabama – George Wallace, populista
e segregazionista, che si sarebbe candidato alle primarie del partito
Democratico – si opponeva da sempre. Come nel caso Evers, il colpevole, Robert
Chambliss, appartenente a una cellula del Ku Klux Klan, fu subito individuato,
ma grazie a protezioni e connivenze riuscì a evitare il carcere a vita, a cui fu
poi condannato nel 1977, quando il caso venne riaperto.
Cinque giorni dopo la strage razzista di Birmingham, Dizzy Gillespie annunciò
a Monterey la sua volontà di candidarsi alla più alta carica degli Stati Uniti.
Dalle gradinate un gruppo di fans provenienti da San Francisco espose un
lenzuolo che inneggiava a Dizzy for President.