Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 28 aprile 2012

Quando “Sport e Proletariato” faceva concorrenza alla Gazzetta”

Pasquale Coccia.  fonte "Alias" del 28 aprile


Ricercare nel passato tracce di sport nel movimento operaio può aiutare a capire il difficile rapporto intercorso tra la sinistra e uno dei fenomeni sociali di massa del Novecento. Se nel 1910, i giovani socialisti approvarono al loro congresso un ordine del giorno secondo il quale “lo sport non aiuta l’educazione fisica del corpo umano, anzi lo debilita , lo rovina e degenera la specie”,  nella seconda decade del Novecento si assiste al fiorire di numerose organizzazioni sportive operaie,  particolarmente durante il Biennio Rosso. L’ossatura  dello sport operaio è rappresentata da due società sportive : L’Apef  (Associazione proletaria di educazione fisica) e  l’Ape (L’Associazione proletaria escursionisti) entrambe sorte a Milano, le cui radici affondavano nel tessuto associativo operaio delle società di mutuo soccorso sorte sul finire dell’800. A Torino sorgono associazioni sportive  come “Primo Maggio”, “Carlo Marx”  e “Internazionale”  delle quali riferisce  L’Ordine Nuovo di Gramsci . Nasce  nella città della Fiat anche un comitato centrale sportivo , per coordinare i gruppi sortivi operai. Sorge l’esigenza di un organo di informazione nazionale, e la sinistra se ne fa interprete dando vita il 14 luglio del 1923 al settimanale Sport e Proletariato,  che arriverà a vendere quasi 10mila copie. Il settimanale, in una logica contrapposizione al quotidiano sportivo “borghese”  La Gazzetta dello  Sport  che ha le pagine rosa, viene stampato su pagine verdi. A firmare gli articoli sono  dirigenti  di primo piano del partito socialista come Giacinto Menotti Serrati,  i fratelli Attilio e Fabrizio Maffi, Mario Malatesta e Francesco Buffoni, che successivamente confluiranno nella Terza Internazionale e perciò  detti “terzini”, mentre Bellone e Arcuno rappresentarono il partito comunista.  L’editoriale    del primo numero di Sport e Proletariato  esplicita gli intenti:  “ Era tempo di finirla di combattere lo sport, ma bisognava piuttosto aiutarne la diffusione nella folla delle officine e dei campi per farlo diventare un mezzo di emancipazione del proletariato”. E riguardo al programma è ancora più esplicito: “dare opera perché in ogni paese non manchi la società sportiva proletaria, perché al più presto possa costituirsi pure da noi una forte e potente Federazione Sportiva del Lavoro”.  L’editoriale  si riferisce a un incontro di calcio promosso pochi mesi prima dalla Confederazione del lavoro di Milano (attuale CGIL) tra una rappresentativa  italiana di operai e la Federatione Sprotive du  Travail, finito 7 a 2 per gli italiani. Prima  dell’incontro i francesi avevano illustrato  l’organizzazione e la finalità della loro potente organizzazione sportiva operaia . L’editoriale del secondo numero è firmato da Giacinto Menotti  Serrati “Vogliamo essere soggetti nell’attività sportiva ……. Vogliamo vivere sempre meglio  migliorandoci anche fisicamente nello sforzo armonico cui lo sport deve educarci” Il dirigente socialista attacca lo sport borghese che “gonfia  i campioni e i campionissimi  e ne fa asini carichi di quattrini”.  Dal sesto numero il dibattito si anima intorno a quale struttura darsi, le prime iniziative, la connotazione politica della Federazione. “Noi non pensiamo ad alcun predominio di partito sullo sport. Più che al partito pensiamo alla classe”.  Il numero uscito l’8 dicembre del 1923  dalla tipografia Zerboni di Milano pone un unico dubbio: convocare un congresso di fondazione o affidare il tutto a una commissione mista dell’Arpef  e dell’Ape? Non ci sarà tempo per sciogliere il dubbio, perché il 10 dicembre le squadracce fasciste assaltano le redazioni de l’Avanti e del Corriere della sera  e bruciano la tipografia dove si stampavano, oltre a Sport e Proletariato  anche Pagine Rosse e Sindacato Rosso.  Dopo l’assalto fascista  il ministero degli  Interni spenderà le pubblicazioni fino al gennaio 1924, quando l’ordine di divieto sarà revocato ad eccezione di Sport e Proletariato . Che cosa turba i sogni del ministro degli Interni da vietare la stampa del settimanale sportivo operaio?  Sottosegretario agli interni era Aldo Finzi, fratello di Gino Finzi  presidente del cda della Gazzetta dello Sport  e Proletariato  in pochi numeri era riuscito coalizzare associazioni sportive e operaie  e a dar vita ad un progetto come la Federazione sportiva del  lavoro, la quale si sarebbe contrapposta ai gruppi sportivi aziendali  istituiti da i padroni che erano anche i sostenitori finanziari dello spettacolo sportivo narrato dalla Rosea.  A puntare il dito contro la Gazzetta  furono i redattori del settimanale che in risposta ottennero  una querela del presidente cda Gino Finzi . La sentenza (interamente pubblicata da  l’Avanti  del 18/11/1924) si concluse  con la condanna della rivista, ma il giudice riconobbe che la relazione tra i fratelli Finzi non era de tutto avulsa dalla chiusura del settimanale sportivo operaio.  La pubblicazione si Sport e Proletariato  rappresentò l’unica iniziativa editoriale sportiva della sinistra nel corso del Novecento.  Se il progetto della Federazione sportiva  del lavoro avesse preso corpo, il rapporto tra il movimento operaio e lo sport avrebbe avuto un significato diverso, ed evitato quella coltura di batteri che ancora oggi segna il difficile rapporto tra la sinitra italiana e lo sport.

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