Adesso guardatevi questo filmato:
Si tratta di una lezione di etica applicata svoltasi in un istituto scolastico dell'Ohio, docenti i ragazzi di una classe di quella scuola elementare. Hanno svolto una lezione pratica di cosa significhi società, prima ancora che solidarietà, e lo hanno fatto con la semplice genialità dei ragazzi, di menti prive di sedimenti e incrostazioni corruttrici. Menti lucide, visioni chiare, nessuna complicazione teorica o ideologica, niente ruggine del risentimento, semplice consapevolezza di cosa è buono e cosa non lo è, rispetto a condizioni e bisogni che ci rendono diseguali, non disumani.
Il soggetto utilizzato per la lezione è la malattia di Matt, un ragazzino della loro classe che, nonostante la paralisi spastica cerebrale, ha voluto iscriversi alla gara dei 400 metri, sapendo benissimo di non poter battere i suoi coetanei. Lui, che riesce a fatica a reggersi in piedi e muovere passi scoordinati, fatica quattro volte di più di un suo coetaneo solo per muoversi dal banco e andare in bagno. Ma sa anche che nessuno è il migliore, e che ci deve essere posto, un posto uguale a quello degli altri, anche per chi non arriva fra i primi. E allora si iscrive, si allena e partecipa.
Appena partiti, i compagni, concentrati sulla gara, lo lasciano indietro, si impegnano a fare il meglio che possono. Poi, si accorgono che Matt non ha abbandonato, che continua il suo (penoso?) percorso, e lo vedono diversamente: apprezzano la sua tenacia, decidono che va sostenuto. Si schierano dietro di lui, nessuno lo supera, ma lo applaudono, gli lanciano grida di sostegno, diventa il loro "campione".
Non vince la gara, Matt, perché non si può vincere ovunque, sempre. Ma vince la sfida alla malattia, stravince la partita con la vita, conquista il suo posto in quella piccola società che è il suo ambiente sociale, la sua scuola. Diventa uno come gli altri, c'è chi arranca in matematica, chi non sa disegnare, altri proprio non imparano i congiuntivi, e Matt non arriva primo nella corsa. Che c'è di strano?
Così i suoi compagni decidono di spiegare agli adulti come si fa in questi casi: non costa niente, nemmeno l'orgoglio ne soffre, anzi ci si sente anche più importanti, dopo.
Sia chiaro, non è il primo episodio, né sarà l'ultimo di questo tipo. Ma ogni volta ci sembra necessario ringraziare chi lo compie, soprattutto quando, come in questo caso, la pietà si unisce alla fraternità. Quando cioè non ci si limita a dolersi per le condizioni di un fratello, ma si gioisce con lui della sua dignità.
Retorica? Forse. Ma la retorica non è per forza falsità: se attraverso un gesto coem quello dei piccoli amici di Matt può spiegare le cose colpendo la sensibilità di chi ascolta, sia la benvenuta! Sarà sempre meglio del cinismo, della freddezza ostentata fin quando pagano gli altri per sfamare un istinto di virilità che offusca il sentimento di umanità.
Ci verrebbe da abbracciarli tutti, quei ragazzi, se non temessimo di sporcarli con le nostre meschinità da "grandi". Poi pensiamo che cresceranno anche loro, e il rischio che diventeranno dei manager spietati o dei falliti spietati è grande. Ma li vogliamo vedere così, impegnati a loro modo semplicemente ad essere umani.
Saluti rispettosi
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