Uno degli obbiettivi
principali dei tagli ai servizi sociali
imposti dalle politiche di austerità è quello di regalare a multinazionali e
grandi aziende private attività, quali l’erogazione e la gestione di
servizi indispensabili alla
sopravvivenza, da cui trarre enormi
profitti. Non è un caso che il governo Letta stia apparecchiando la vendita a
privati di aziende fondamentali per l’industria italiana.
Ma il sistema ordito
dalle istituzioni finanziarie europee, miete vittime soprattutto a livello di
amministrazioni locali. Il patto di stabilità per gli enti locali è un altro
vincolo criminale imposto dalla dittatura capitalistico-finanziaria, per cui un
comune, una regione, non possono
spendere denari, pur avendoli in cassa,
per assicurare servizi ai cittadini o provvedere alla cura e alla
manutenzione del territorio. Ovviamente
l’ente può tornare a disporre dei propri fondi per riparare a disastri ed
emergenze.
Il paradosso della tragedia della Sardegna è che i comuni non
avrebbero potuto investire nella manutenzione del territorio, cercando di
prevenire il disastro, ora invece sono
costretti a spendere molte più risorse, di cui
magari non dispongono, per riparare ai danni e ai
drammi compiuti dall’alluvione. Qui
sta la criminalità di queste dinamiche.
Investire per prevenire sciagure e vittime, pur costando meno è vietato, mentre
dover sborsare quantità molto superiori per ricostruire interi insediamenti
devastati dall’alluvione è evidentemente necessario.
Pur nella sua crudezza la logica è
semplice. La cura del territorio non è
una affare che fa gola alla speculazione privata, la sua svendita ,il suo consumo indiscriminato a
colpi di cementificazione selvaggia uniti ai
programmi di ricostruzione sono invece attività molto più interessanti per le imprese
private e dunque degne di essere perseguite a scapito dei cittadini . La strategia ha l’obbiettivo
di rendere il servizio pubblico sempre meno
efficiente per giustificare la sua dismissione a favore dei privati.
Di queste storie sono piene le cronache di molti
comuni italiani. Frosinone è uno dei tanti. La vicenda della Multiservizi, una
società in house i cui soci erano i comuni di Alatri e Frosinone, la provincia di
Frosinone, impiegava addetti per la cura del territorio e per assicurare ai cittadini servizi essenziali, come lo
scuolabus, la manutenzione di parchi e giardini e del cimitero. Dopo anni di
sperpero di denaro pubblico finalizzato al pagamento di esorbitanti emolumenti
a favore di dirigenti, più numerosi degli stessi operai , la società è stata
posta in liquidazione e l’erogazione dei servizi assicurati dall’ente , è stata
appaltata a ditte private con un aggravio dei costi per la comunità.
La Corte dei Conti aveva espresso un
parere in base al quale il comune di Frosinone avrebbe risparmiato denari assumendo direttamente i lavoratori,
piuttosto che privatizzare i servizi da loro assolti. Le stesso scenario si sta
riproducendo a Genova per la AMT, l’azienda che si occupa del trasporti
pubblico in città. Da giorni è in corso la lotta dura ed ad oltranza dei
dipendenti per evitare che il sindaco Doria torni a privatizzare l’attività . Infatti l’AMT è già stata privatizzata, ma a seguito della
mala gestione e della lotta di lavoratori e cittadini, è tornata pubblica.
Ora
ci stanno riprovando di nuovo a togliere un bene essenziale dal controllo pubblico. Allo scopo di fornire un quadro più esaustivo
su quanto è avvenuto e quanto sta avvenendo in merito a questa vicenda,
pubblichiamo l’articolo che segue dal titolo “AMT non è bastata una
privatizzazione?”. Il contributo redatto da Simone Solari è stato già
pubblicato su Aut il 20 novembre dell’anno scorso, proprio allo scopo di
mettere a confronto la vicenda Multiservizi
con quella della AMT. Rignrazio
marco Veruggio dell’associazione Controcorrente per aver messo a diposizione l’articolo
Luciano Granieri
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AMT. Non è bastata una privatizzazione?
Di Simone Solari
AMT è l'azienda comunale che gestisce il trasporto pubblico locale a Genova. Originariamente AMT significava Azienda Municipalizzata dei Trasporti. Nel 2004 la Giunta di centrosinistra con a capo il sindaco Giuseppe Pericu (allora DS oggi PD) decide di privatizzare l'Azienda (primo caso a livello nazionale) 'per evitarne il fallimento' a causa di un buco finanziario di 15 milioni di euro. Prima di effettuare la gara da AMT (diventata Azienda Mobilità e Trasporti) viene scorporata AMI (meccanici e amministrativi), una bad company al 100% del Comune di Genova, con in pancia il deficit della vecchia società. I francesi di TRANSDEV (società al 100%" della Cassa Depositi e Prestiti francese, dunque pubblica) pagano 22,5 milioni di euro per rilevare il 41% di AMT. Il primo intervento dei nuovi soci consiste nel tagliare le linee 'improduttive' (ad es.: ultima corsa della metropolitana alle 21 invece che alle 24). Successivamente vengono aumentate le tariffe: biglietto a 1,5o euro, all'epoca il biglietto più caro d'Italia, altro record nazionale).
Insomma il servizio peggiora ma costa di più. Non soddisfatti del risultato passano alla fase successiva: I'attacco ai lavoratori. L'Azienda propone un piano industriale che prevede 4oo-5oo esuberi gestiti attraverso l'introduzione di ammortizzatori sociali e I'accompagnamento alla pensione per una parte di loro e il taglio delle linee di 3,5 milioni di chilometri. Significativa l'introduzione della cassa integrazione (mai utilizzata nel settore e neanche prevista dal contratto nazionale, anche in questo caso Genova è all'avanguardia...) in deroga, con la possibilità che la Regione Liguria versi anche I'integrazione fino al 100% dello stipendio. AMT, l'allora sindaco Marta Vincenzi e l'assessore regionale del PdCI Vesco (che non riesce a trovare i soldi per il trasporto pubblico, ma li trova per la cassa in deroga e I'integrazione al 100%), ci spiegano, ancora una volta, che questo è I'unico modo per'salvare l'Azienda'. Il sindacato ( la FAISA CISAL è il primo per numero di iscritti, seguono CGIL, CISL, UIL e UGL), dopo aver firmato un preaecordo, si trova di fronte alla reazione dei lavoratori, che, appena gìunta nelle rimesse la notizia della firma, lanciano un'assemblea autoconvocata chiedendo ai propri rappresentanti sindacali di venire a spiegare le ragioni per cui lo hanno sottoscritto. D li nasce un comitato per il NO all'accordo (prontamente ribattezzato'i falchi di AMT' dalla
stampa cittadina), i cui esponenti intervengono nelle assemblee per spiegare ai colleghi per quale motivo bisogna respingere I'intesa.
La Federazione PRC di Genova, gestita all'epoca da una maggioranza di sinistra produce volantini e un pieghevole a 4 pagine per spiegare nel dettaglio l’accordo, i suoi punti deboli e le sue incongruenze, facendo delle proposte alternative per intervenire su AMT senza tagliare il servizio e le retribuzioni dei dipendenti. Il materiale viene distribuito in tutte le rimesse e ai principali capolinea, suscitando la reazione dei sindacalisti, che criticano aspramente le posizioni di Rifondazione nel corso delle assemblee preparatorie del referendum. Ma alla fine la FAISA fiuta il clima, capisce che l'accordo rischia di essere bocciato e ritira la firma, seguita a ruota dagli altri sindacati. A seguito di una nuova trattativa viene varata una nuova intesa, anch'essa pesante, ma in cui i numeri si riducono significativamente: 220 lavoratori in cassa e 1,5 milioni di chilometri i tagli alle linee. Il sindacato ottiene 5mila ore di permessi sindacali per due anni e un più che vantaggioso accordo sulla ricostruzione di carriera per i sindacalisti che rientrano in AMT (in azienda non c'è una RSU, ma ci sono una quindicina di esentati). Il passaggio successivo è l'arrivo di RATP (società che gestisce il trasporto pubblico a Parigi) al posto di TRANSDEV. Nel frattempo - come ho scritto - era cambiato anche il sindaco (da Pericu a Vincenzi) ma l'azienda continua comunque a denunciare buchi di bilancio. Dopo pochi mesi, RATP, scottata dalla bocciatura del piano industriale originario e dalle continue difficoltà create dalla resistenza dei lavoratori e dei cittadini (infatti si erano costituiti diversi comitati spontanei contro i tagli alle linee nei quartieri periferici) abbandona Genova. Possiamo dire quindi che AMT è stata ripubblicizzata dalla resistenza dei lavoratori e degli utenti. Alla fine anche la Corte dei Conti trae un bilancio della privatízzazione, riconoscendo che essa ha provocato una perdita di 70milioni di euro al Comune, mentre la magistratura ordinaria condanna I'ex sindaco Pericu a pagare 450mila euro di danni. Inoltre vengono scoperte irregolarità nella redazione dei bilanci 2006 -2009 e il Comune infligge a RATP una multa di 85mila euro per la 'cattiva gestione' dei mesi a suo carico e rifiuta di pagare 2,5 milioni di euro, che avrebbe dovuto versarle a titolo di'consulenze . Ma, secondo le clausole dell'appalto del 2oo4, entro gennaio il Comune dovrà versare comunque a RATP 22,5 milioni versati da TRANSDEV all'atto della gara. Dunque per i privati AMT è stato un investimento a rischio zero e a profitto garantito (3 milioni all'anno incassati appunto come'consulenza'...).
Quando i francesi si ritirano da AMT Genova è, di fatto, già in campagna elettorale. Il trasporto pubblico è un tema portante della campagna dei candidati sindaci. Marta Vincenzi, sindaco uscente, viene sconfitta alle primarie da un candidato 'arancione' presentatosi come 'innovativo' e che, ancora un mese dopo la sua elezione a sindaco, dichiarava: 'AMT è un'azienda malata, ma non'credo possa dare risultati I'approccio che potrebbe avere un privato: dobbiamo puntare all'efficienza e al controllo dei costi, ma nella logica del servizio pubblico! Tuttavia il primo atto di Marco Doria, sindaco di sinistra', sul trasporto pubblico è la presentazione di una delibera che prevede riduzione del costo del lavoro e una nuova privatizzazione di AMT, per 'salvarla dal fallimento' (le stesse e identiche parole di Pericu). Per 20 anni ci è stato detto che privatizzazioni e liberalizzazioni avrebbero determinato un miglioramento della qualità dei servizi pubblici e una diminuzione delle tariffe. Oggi possiamo dire che non c'è un solo caso in cui questa previsione si è verificata. Non c'è maggiore concorrenza, ma grandi monopoli che controllano quote di mercato assistito incamerando milioni di euro di risorse pubbliche ed esercitando uno strapotere assoluto nei confronti degli enti locali. Le privatizzazioni sono state un fallimento. AMT 1o dimostra ed è per questo che non smetteremo di lottare a difesa del servizio pubblico: fuori i privati e dentro lavoratori e cittadini
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