Un ricordo di Robert Hecht della Kansas City di Chiarlie
Parker
traduzione di Luciano Granieri
La notte in cui incrociai realmente lo sfavillante genio di Charlie Parker stavo
nell’appartamento della mia fidanzata nel Lower East Side. L’anno era il 1961. Avevo
diciannove anni lei era molto più anziana e molto più hipster di me, mi aveva non solo introdotto alla grande
musica , ma anche insegnato ad
apprezzare il meglio dell'arte in assoluto. Possedeva i dischi di jazz più importanti,
compreso quello che stava sul piatto del giradischi quella notte. Era The Fabulous
Bird per l’etichetta Jazztone.
Conteneva le riedizione
di alcune fenomenali sessioni di Parker incise per la Dial nel 1947.
Aveva una stereo veramente a “bassa fedeltà”
. Ricordo ancora il vinile ,il giradischi aveva la manopola dei toni avvolta dallo scotch per
mantenerla ferma nel suo alloggiamento. Ma l’alta fedeltà non era un problema,
in parte almeno, perché quella sera avevo appena fumato uno striminzito bastoncino di the grande come la
metropolitana di New York .
Sebbene fossi un amante del jazz fin dall’età di 10 anni e
avessi ascoltato Bird da tempo,
riconoscendo sicuramente la sua grandezza , non ero mai riuscito ad apprezzarlo completamente. Non mi aveva mai impressionato granchè . Ma quella sera, quando suonò “Out of
Nowhere”tutto cambiò. Sul tema principale dello straordinario standard di
Johnny Green, Bird sviluppò un incredibile melodia , con una serie di figure ripetute che
semplicemente mi misero al tappeto, e ancora oggi mi provocano
la stessa sensazione . La sua maestria emerse così chiaramente e profondamente, con l’incredibile invenzione melodica, la perfetta architettura musicale del suo
assolo, il roccioso e solido senso dello swing e del ritmo, la profonda,
profonda passione della sua esecuzione , il sound delicato e crudo allo stesso tempo, e i virtuosismi
...... Dio mio i virtuosismi!, Rimasi
pietrificato, completamente in balia di quel suono. Ancora e ancora sollevai
il braccio del giradischi lo
riposizionai più volte all’inizio del
brano per perdermi nella meraviglia della sua esecuzione . Da quella notte in
poi, Bird fu un assoluto defintivo per me , ancora lo è, e lo sarà per le decadi a
venire. Dopo la sua morte, i jazz fans
scrissero “Bird vive” sui muri
dei sotto passaggi, dei palazzi di New York e di tutte le altre città pazze per il
jazz (Io stesso l’ho fatto sul cemento fresco di un marciapiede a Palo Alto in
California). In verità, la sua musica vive come un solido pilastro, qualcuno è anche arrivato ad affermare: un solido
della musica del ventesimo secolo.
Ma passiamo ad
un’altra notte, una notte di diciotto anni più tardi ,a Kansas City, un notte calda e molto umida di fine agosto. Kansas City era
la città natale di Bird, il posto dove aveva
fatto esperienza per diventare padrone di se stesso.
Era tardi stavo
in attesa fuori nel buio
davanti alla sala del sindacato musicisti, il Local 627, una pietra
miliare dei posti per fare musica di Kansas City. Fu qui che per la prima
volta, “Il Presidente" (Lester Young ndt)
incontrò il “Conte” (Count Basie ndt)
“Perché siete voluti a andare in quel buco” chiese il nostro vecchio tassista
nero. “Non c’è niente altro che una manica di fottuti demoni drogati li dentro”
Ma li c’era la storia. Il Local 627 fu una delle prime più importanti sedi del sindacato musicisti
Afroamericani. Fu qui che per la prima volta “Il Presidente” incontrò il
“Conte”, dove il giovane Bird si fermava ,dove molti altri grandi musicisti si fermavano nel loro viaggio attraverso Kansas City. La
sede del sindacato era un vecchio stabile di mattoni, ma anche nel buio avrei
potuto distinguere le grandi note musicali dipinte di rosa sulla facciata. Ci
era giunta notizia che ancora si organizzavano
jam session occasionali che duravano tutta la notte in quel vecchio sacrario.
Eravamo alla disperata ricerca di in po’ di vero jazz durante la nostra breve visita alla città,
sperando di trovarlo entro il paio di giorni in cui durava il nostro soggiorno dopo essere giunti dalla California. Ma le mie irrefrenabili voglie non riuscivano a trovare soddisfazione provavo la stessa sensazione di uno in procinto di essere ingoiato dalla notte di Kansas City.
Stavo nel cuore dei bassifondi di Kansas City, la verità era che avevo intuito di
essere molto piccolo e molto bianco per rimanere li fermo in quel buio
pesto.
Un frammento di luce filtrò attraverso una crepa di una
porta e immaginai che li dentro ci fosse una festa privata a cui nessuno
avrebbe potuto accedervi se non attraverso una parola d’ordine o un segnale
segreto convenuto. Rimasi a pensare per un secondo. Mi sembrò di sentire una
fragorosa risata , un odore di erba scadente mi investì (o credo fosse qualcosa
di simile annusando da fuori), bussai per un po’ ma nessuno rispose per cui mi
avviai di nuovo verso il nostro taxi in attesa.
“
Nessuna fortuna” dissi al mio amico Michael non appena
scivolai nel sedile posteriore.” Credo che non sia destino per noi ascoltare il vero jazz di Kansas City in questo viaggio”. All’inizio della serata avevamo stacciato la città in cerca di buon jazz, dopo aver sofferto attraverso
alcuni infimi piano bar, avevamo abbandonato l’impresa, e io stavo prendendo atto di una beffarda realtà: quella notte, in una delle principali città del jazz non era dato di ascoltare buona musica. Pensare di far riferimento alla vecchia sala del
sindacato musicisti. Come apparve evidente
si rivelò un fiasco.
Eravamo Kansas City per un convegno d'affari ma nelle ore
libere volevamo tentare di cogliere qualcosa della vera essenza del posto e
della sua valenza storica nel jazz. ( Ancora il meraviglioso museo del jazz non
era stato edificato e nemmeno la straordinaria statua di Bird ere stata
eretta).
Il nostro tassista, però ci salvò la serata regalandoci un
giro in un area compresa fra la 12° strada (quella del 12° Street
Rag di Basie) e la 18° strada. Era il quartiere dove al culmine di quella era jazzistica contraddistinta dalla corruzione, esistevano un sostanzioso numero di localini jazz e
blues. Il nostro tassista sapeva dove si trovavano molti dei vecchi club e sale da
ballo, anche se immaginava non rimanessero molte tracce della loro presenza.
Giro l’angolo e si diresse presso un parcheggio vuoto fra la
diciottesima e Highland. “Proprio qui doveva esserci il Sunset Club”. Erbacce folte coprivano i resti di vecchi
muri. Muri che una volta assorbivano il sound delle classiche jam session. Lester
Young, Ben Webster, Herschel Evans,
Coleman Hawkins. Charlie Parker avevano suonato
qui, chorus dopo chorus, in modo
sublime fino al mattino. Durante i suoi anni d’oro Kansas City divenne famosa
per alcune delle più leggendarie e lunghe jam session della storia del jazz.
Continuò a guidare
sorpassammo la congiunzione fra la diciottesima e Vine, dove adesso non
c’è nulla se non un segnale stradale e il ricordo di Big Joe Turner mentre
cantava il suo Piney Brown blues.
“Yes I dreamed last night I was standing at
the corner of 18th and Vine,
I shook hands with Piney Brown and I could
hardly keep for cryin”
(Si la scorsa note ho sognato che stavo all’angolo fra la
diciottesima e Vine, stringevo le mani di
Piney Brown e non avrei potuto trattenere le lacrime ndt)
Quindi tornammo indietro oltre la
dodicesima strada notammo uno
spazio buio e deserto dove una volta
doveva esserci il
Reno Club. Qui ,secondo quanto riferisce la leggenda, Charlie Parker,
non ancora musicalmente integrato, fu messo in ridicolo per i suoi incerti tentativi
di suonare il suo strumento . Fu umiliato, costretto a lasciare il club e
la città. Così disse al suo amico Gene
Ramey :”Non preoccuparti, tornerò,
sistemerò io questa gente. Tutti ridono di me oggi, ma aspetta vedrai” Dopo alcuni duri rovesci Bird
sistemò veramente quella gente, e tutta
quella gente in tutti gli strumenti del jazz rinnovò radicalmente la
forma di quell’arte.
Così finì la nostra esplorazione di quegli storici luoghi.
Ma il mattino dopo, siccome eravamo determinati
a trovare alcune tracce del nostro idolo musicale, decidemmo di lasciare definitivamente il convegno d’affari per continuare ad
esplorare la città in cerca di qualche testimonianza che in qualche modo
rendesse omaggio a Bird. Cercando sull'elenco telefonico (in quel periodo
internet non c’era – ve li ricordate gli elenchi telefonici?) scorsi i
nominativi alla ricerca della Fondazione
per la Memoria di Charlie Parker. Chiamai ed appresi che era una scuola
d’arte per i bambini provenienti dal
ghetto . La persona che mi rispose disse che saremmo stati i benvenuti per una
visita di cortesia. Così decidemmo di attraversare la città e dare un’occhiata. La passeggiata ci offrì
l’opportunità di vedere meglio il vecchio quartiere di Bird.
L’immagine , quindi,mostrava l’improbabile scenario di due trentenni bianchi, freak ,appassionati di jazz che
passeggiavano nel ghetto nero di Kansas City
in una assolata giornata d’estate,
avendo anche l’ardire di fischiettare o canticchiare assoli di Charlie Parker, assoli
diligentemente memorizzati attraverso anni di devoto ascolto. Ricordo
che stavo cantando alcuni frammenti sparsi del famoso testo scritto
da King Pleasure per lo straordinario blues di Bird “Parker’s Mood”
If you want to go to Kansas City
I’m feeling low down and blue, my heart’s full
of sorrow
Don’t hardly know what to do; where will I be
tomorrow?
Goin’ to
Kansas City. Want to go, too?”
(Vieni con me se vuoi andare a Kansas City. Mi sento giù triste, il mio cuore è pieno di dolore. Non so proprio cosa fare, dove sarò domani? Sto andando a Kansas City, vuoi venire, anche tu? Ndt)
Passammo da Oliver Street, ma non riuscimmo ad individuare la casa d’infanzia di Bird fra le più sgangherate del quartiere. Dopo aver camminato per un po’ di miglia, trovammo la strada per la Fondazione. Un edificio storico dalle sembianze austere. Entrammo ci presentammo come dei semplici fan di Bird giunti li solo per il nostro amore ed il rispetto della grandezza dell’uomo e dell’artista.
Non eravamo preparati all’accoglienza che ricevemmo. Molti fra
il personale delle facoltà ci dedicarono del tempo nella mattinata chiacchierando con noi per spiegare i programmi della
Fondazione. Sembravano sinceramente interessati , onorati dal fatto che noi avevamo fatto il possibile
per andarli a visitare.
Lo slogan della fondazione era : “Fuori dalla strada, dentro
,l’arte” lo scopo della loro missione era quello di dotare la gioventù
Afroamricana di un’istruzione musicale,
sia jazz che classica, oltre che
insegnare recitazione, danza, ed altre
forme di spettacolo. Il programma fu stabilito, alcuni anni prima dal musicista di Kansas City Eddie Baker.
Molti maestri del jazz, fra cui Clark Terry e Max Roach donarono parte del loro
tempo per organizzare delle clinics ai ragazzi del quartiere.
Fummo presentati ad Anne Brown, la presidente della
Fondazione, che ci accolse con un caloroso benvenuto. Appesa al muro del suo ufficio c’era una foto in
bianco e nero scattata all’epoca della sepoltura di Bird risalente al ’55.
Nella foto Max Roach ed altri grandi del jazz stavano di fronte alla tomba ,
Chiesi dove fosse quella tomba così che potessimo andare il a testimoniare il nostro rispetto.
“Non la troverete mai”, disse la presidente Brown. La gente ha distrutto la pietra tombale
per portare via dei souvenir del grande Bird. Li non hanno
lasciato più nulla. (Da allora lessi che
alcuni anni più tardi fu installata una nuova lapide, ma con il rimarcabile
errore di recare inciso sulla pietra un sax tenore, non propriamente lo
strumento principale suonato da Bird).
Dopo averci mostrato le classi e gli spazi per le
performance, Jim, uno dei maestri di musica della Fondazione, ci accompagnò all’Arthur Bryant per il pranzo, senza dubbio
uno dei migliori ristoranti di Kansas City. Poi, sulla strada del ritorno ,ci mostrò l’unico angolo della città
allora dedicato a Bird . In uno
spazio popolare c’era una piazza chiamata Piazza Charlie Parker. Nell’area esistevano altre strade come
Mary Lou Williams Way, Bennie Moten Lane ed Ella Fitzgerald Drive. Il
nostro nuovo amico aveva un punto di
vista cinico su tutto ciò. “Sono disposto a scommettere che solo una o due
persone che abitano qui avranno mai saputo chi fosse Charlie Parker, lasciato
da solo ad ascoltare la sua musica”
disse con più di un certo disgusto. “Quella sta solo nei dischi.
Jim ci condusse di nuovo alla Fondazione, dove prima di
andare via volemmo salutare la Presidente Brown. Ci sedemmo a chiacchierare con lei
ancora per un po’, dicendogli di come
fossimo rimasti impressionati del lavoro che stavano facendo li, così come eravamo
rimasti compiaciuti della gentilezza e del calore con cui fu accolta la nostra
visita spontanea. Ci stupimmo molto quando ,
prese dal cassetto della sua scrivania due medaglioni di bronzo e ce li
diede. Su un lato c’era impressa una
bella immagine di Parker intento a suonare il suo strumento, circondato dalle
parole: “L’immortale Chiarlie “Bird” Parker”, sull’altro lato le date della sua
breve vita (1920-1955), il nome della Fondazione, e l’encomio “Bird vive”.
“Normalmente regaliamo queste medaglie ai soci finanziatori -disse-. Ma questo
è un giorno veramente speciale, siamo rimasti veramente toccati dalla vostra
visita”.
Meravigliati dalla sua generosità e consapevoli che di tutto
ciò avremmo fatto tesoro per il resto delle nostre vite, la ringraziammo
profondamente e chiesi: “Cosa vuol dire che oggi è un giorno veramente
speciale?”
Sorrise sinceramente
e disse. “Non lo sapevate? Oggi è il 29 agosto, il compleanno del
Charlie Parker".
Postscriptum
Passeranno decenni prima di un mio ritorno a Kansas City. In
questo periodo, fu edificato fra la 18°
strada e il distretto di Vine l’American
Jazz Museum dove una potente scultura di
Bird troneggia nella piazza vicino al museo. Sotto l’enorme busto di bronzo
sono scritte le parole “Bird vive”. Mia moglie nel 2011 mi ha immortalato proprio li, vicino a Bird.
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