Il parlamento borghese è un’istituzione in crisi profonda. Conta sempre meno ed è sempre più distaccato dalle esigenze delle masse popolari. Nell’ultima legislatura una legge su tre è stata approvata con un voto di fiducia chiesto dal governo. Più di 100 sono le leggi non approvate dagli onorevoli fannulloni e strapagati. Il fenomeno del trasformismo è dilagante: 564 cambi di casacca in cinque anni.
Non è il parlamento a controllare il governo e a decidere, ma la potenza del capitale finanziario.
Il parlamento non è altro che una macchina di oppressione contro milioni di operai costretti a subire le leggi che i rappresentanti di altre classi sociali approvano a loro danno. E’ lo specchio fedele di una borghesia decadente e reazionaria, che ha perso ogni funzione progressiva e mira solo a mantenere i suoi privilegi succhiando il sangue dal proletariato.
Oggi la classe degli operai e delle operaie è priva di un proprio partito indipendente e di una propria rappresentanza politica. Non esiste nemmeno un movimento politico, una coalizione o una lista elettorale capace di manifestare politicamente gli interessi immediati e storici della classe sfruttata, le sue aspirazioni.
In questa situazione come voterà la classe operaia?
In passato gli operai e le operaie hanno dimostrato la tendenza ad appoggiare partiti (come il PCI e i suoi eredi) che facevano di alcuni problemi sociali il loro cavallo di battaglia elettorale: la sicurezza del lavoro e della vita, i diritti dei lavoratori, il miglioramento delle condizioni di lavoro, il sostegno ai disoccupati e ai più disagiati, l’attenzione alle difficoltà e alle preoccupazioni dei salariati, senza mettere in discussione il modo di produzione vigente.
Oggi però non vi sono più partiti parlamentari di questo tipo e nelle condizioni dell’aggravarsi della crisi generale del capitalismo nessun partito borghese o piccolo borghese può garantire nulla del genere alla massa operaia.
Di conseguenza, se guardiamo ai voti validi espressi nelle ultime elezioni, l’atteggiamento della classe operaia non si differenzia molto da quello delle altre classi sociali. Non è uniforme, specie territorialmente, e assume una figura tendenzialmente coincidente con la distribuzione dei voti ai differenti partiti seguita dalle altre classi.
Questo comportamento esprime un fenomeno di tipo storico: si è fortemente indebolito il rapporto fra la classe operaia e l’ala sinistra della borghesia, così come il rapporto fra voto operaio e sindacato di appartenenza.
La fine dell’appoggio preferenziale alle forze riformiste (oggi sono più i borghesi a votare PD che gli operai) non significa però la fine della classe e della lotta di classe, ma solo l’incapacità di queste forze di mobilitare e influenzare politicamente la massa operaia.
Vi sono altri due fenomeni che meritano la nostra attenzione. Il primo è la maggiore variabilità del voto proletario, specie dei giovani e delle donne. Le elezioni del 2013 in cui è saltato lo schema bipolare hanno dimostrato che vi è fra gli operai una tendenza a preferire nuove formazioni politiche, a spostarsi verso le ultime illusioni, specie quelle populiste. E’ un sintomo del disorientamento esistente, ma anche della ricerca affannosa di un’alternativa politica.
Il secondo, che più ci interessa, è la forte correlazione fra classe operaia e rifiuto del voto in tutte le sue forme.
Possiamo dire che il solo atteggiamento elettorale caratteristico della classe operaia rispetto alle altre classi sociali è attualmente l’astensione, il voto nullo o bianco.
Ciò esprime l’elevato livello di sfiducia esistente fra operai e operaie nei confronti delle istituzioni, dei partiti borghesi e riformisti, della UE, che sono visti come responsabili del peggioramento della condizione proletaria, delle misure antioperaie e antipopolari approvate negli ultimi anni, della corruzione, etc.
Evidentemente nelle cifre dell’astensione si sommano diversi fenomeni: c’è lo scarso interesse per la politica in generale, ma ci sono anche e soprattutto il disgusto verso gli apostoli del sistema capitalistico, la negazione del voto a figure e programmi politici visti come contrari ai propri interessi, la protesta sociale, la condanna di un sistema infame. Sotto quest’ultimo punto di vista possiamo dire che il grado di maggiore consapevolezza politica degli sfruttati oggi si misura proprio nel non andare a votare. Ne verificheremo la sostanza nelle prossime elezioni del 4 marzo, mentre rilanciamo l’appello a disertare le urne e a creare nelle fabbriche e nel territorio organismi di fronte unico proletario (Comitati, Consigli, etc.).
Purtroppo la dispersione organizzativa e la confusione politica del movimento comunista, la mancanza di una forte organizzazione indipendente del proletariato non consentono ancora di approfittare dell’astensione di massa per trasformarla in movimento politico di classe con un programma rivoluzionario, per creare un nuovo schieramento che si distingua non per dar battaglia a colpi di schede elettorali, ma per la lotta di classe del proletariato, per la rivoluzione socialista e l’edificazione di un mondo diverso e migliore.
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