Luciano Granieri
Le elezioni per il Parlamento francese hanno sancito che Macron non ha la maggioranza all’ Assemblèe Nationale. Non solo, a seguito delle regole interne, che prevedono le dimissioni dei ministri bocciati dalle urne, dovranno dimettersi la ministra della salute Brigitte Bourgignon, Amelie de Montchalin , capo del dicastero della transizione ecologica, e la sottosegretaria con delega per il mare Justine Benin. E’ a rischio anche la presidente del consiglio, Elisabeth Borne, per la quale l’opposizione, oggi maggioritaria, chiederà le dimissioni.
C’è da dire che l’indubbia vittoria di Nupes, la coalizione delle sinistra, composta dal blocco di Le France Insoumise, blocco ecologista, Partito Comunista Francese e Socialisti, guidata da Jean-Luc Melenchon, pur eclatante politicamente, numericamente (135 seggi) non consente a quest’ultimo di aspirare alla carica della Borne. Inaspettato anche il risultato della destra di Marine Le Pen che passa da 9 ad 89 seggi, conquistando ben 80 parlamentari.
Il fatto comunque incontrovertibile è che i 289 seggi necessari a Macron per governare in tranquillità non ci sono. Il gruppo del presidente En Marche arriva a 245. Le possibilità per esercitare il potere sono due: Macron potrebbe costruire un’alleanza consolidata con la destra gollista dei Repubblicains (64 deputati). Ma questi hanno già fatto sapere di voler restare all’opposizione. Oppure cercare maggioranze variabili su ogni singolo provvedimento, cedendo di fatto il potere assoluto al Parlamento che, attraverso i deputati di Nupes, potrebbe chiedere, ad esempio, la nazionalizzazione delle banche e delle compagnie energetiche, salario minimo a 1500 euro, riduzione del tempo di lavoro annuale, abbassamento dell’età pensionabile e tutto quel pacchetto di misure sociali cardine del programma della coalizione di Melenchon.
Senza considerare addirittura il pericolo delle dimissioni per Macron, qualora le opposizioni facessero ricorso allo strumento parlamentare, mai usato fino ad ora, della “mozione di censura” contro il governo. Atto che se ottenesse la maggioranza in Parlamento costringerebbe l’attuale presidente a dimettersi. Un quadro complicato, indigesto alla inossidabile dittatura liberista che governa l’Europa. Una situazione che la prima ministra Elisabeth Borne definisce: “... inedita, un rischio per il Paese”.
Mi sentirei di tranquillizzare la prima ministra perché quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare, leggi BCE. Sarà proprio l’altra super donna francese, la presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde a risolvere la situazione.
Ve lo ricordate il pilota automatico di Draghi? Nulla vieta di applicarlo alla Francia, anche se un ha debito pubblico più basso rispetto all’Italia. Per altro le ultime misure monetarie messe in campo da Francoforte hanno perfezionato l’automatismo rendendolo più sofisticato ed efficiente.
Come è noto la Bce, allo scopo di raffreddare l’inflazione, ha deciso di aumentare il costo del denaro dello 0,50% entro settembre, e non acquistare debito pubblico, aggiuntivo, degli Stati membri. Fine del bazooka draghiano. Su questo secondo aspetto è importante soffermarsi perché è qui che si inserisce il pilota automatico.
Attualmente la BCE possiede circa 4.500 miliardi di debito pubblico dei Paesi dell’area euro (727 sono italiani). E’ volontà della Lagarde non diminuire questo patrimonio, ma neanche aumentarlo, lasciarlo cioè costante. Ma potrà cambiarne la composizione. Infatti è prevista la possibilità di acquistare nuovo debito pubblico di un paese membro ma solo con i capitali derivati dalla dismissione del debito pubblico di un altro paese membro .
Ecco un esempio di come si potrebbe attivare il pilota automatico. Ad un certo punto la a BCE decide acquistare 500 miliardi di nuovi titoli tedeschi, e lo fa, secondo le nuove regole, usando i soldi ricavati dal disinvestimento di 500 miliardi di titoli francesi non rinnovati. Questi ultimi finirebbero in pasto agli squali della speculazione finanziaria, provocando l’improvviso ed incontrollato innalzamento del debito pubblico, la conseguente instabilità economica, politica e sociale dello Stato francese. Ed è esattamente questo che accadrebbe se ai francesi venisse in mente, per rispettare la volontà delle urne, di pianificare una qualsiasi forma di politiche sociali.
Dunque Macron può stare tranquillo, i propositi eco- social-comunisti di Melenchon e le velleità di fare il ministro dell’economia di Marine Le Pen, andranno a farsi benedire. Con il ravveduto appoggio, in nome della responsabilità nazionale, di alcune forze che stanno oggi all’opposizione, a cominciare dagli ex gollisti Repubblicains - quelli che portarono all’Eliseo Sarkozy - il centrista Macron potrà continuare tranquillamente il suo programma liberista. Così come preteso da una classe dirigente famelica che, usando la politica a difesa della propria eletta casta, ha in odio qualsiasi rivendicazione di giustizia sociale, anche se questa non arriva da una qualche mobilitazione, ma è il volere espresso da un popolo attraverso democratiche elezioni.
Non c'è dubbio si deve fare ciò che chiede l’Europa e l’Europa, checchè se ne dica, tutto vuole tranne che democrazia.
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