Per fronteggiare la crisi, le risorse si trovano tagliando i costi delle Forze armate e rinunciando al dispendioso programma per i caccia F35
Il messaggio di fine anno inviato dal ministro della Difesa Giampaolo Di Paola alle Forze Armate contiene finalmente l'implicita ammissione di una verità di cui i pacifisti e gli analisti più attenti sono consapevoli da tempo: le Forze Armate italiane sono sovradimensionate e bisogna ridurne gli organici. Costano troppo (23 miliardi di euro) e questo anche perché abbiamo troppi soldati e soprattutto troppi ufficiali e sottufficiali. Nonostante questo, la recente manovra del governo Monti le spese militari non le ha nemmeno sfiorate. Si tratta di spese ingenti che ci mettono sempre tra i primi 10 paesi al mondo per spesa militare. Spendiamo pro-capite più della Germania. Ce lo possiamo permettere?
In tutto, 180mila persone che fanno lievitare i costi delle Forze Armate a livelli incompatibili con la crisi economica che stiamo vivendo. Un dinosauro burocratico dove, in proporzione, abbiamo più generali che nell'esercito degli Stati Uniti, più comandanti (ufficiali e sottufficiali) che comandati (soldati) e che non riesce, con 180mila soldati e graduati, ad assicurare un soddisfacente turn over a 8mila militari che si trovano nelle missioni all'estero. Nelle Forze Armate regnano sprechi ed inefficienza, l'operatività è un concetto vago e la parola "casta" può benissimo essere utilizzata per i privilegi corporativi delle sue gerarchie. Per non parlare delle commistioni opache con quel via vai di commesse di armi con al centro Finmeccanica, in questo aiutata da ex generali e capi di stato maggiore assunti all'uopo.
Proprio nel messaggio di Di Paola si dice che la ristrutturazione che aspetta le Forze Armate nel 2012 deve essere all'insegna "della operatività e dell'efficienza", che tradotto in parole povere significa uno strumento militare pronto all'azione nei teatri di guerra, ben armato, integrato appieno nella Nato, pronto a mettersi al servizio di quell'umanitarismo-militare che ci ha visto ben attivi in Kosovo, Iraq e Afghanistan. Non a caso, nonostante la crisi, Di Paola non ha alcun ripensamento sul dispendioso programma dei cacciabombardieri F35 (15 miliardi di euro) e sugli altri sistemi d'arma, né tanto meno su una missione di guerra come quella in Afghanistan, che ci costa centinaia di milioni di euro l'anno. Il rischio è che si voglia ridurre il personale per destinare le risorse risparmiate ai sistemi d'arma. È più che probabile. Invece bisognerebbe ridurre anche le spese per le armi, a partire dai caccia F35: si tratta di un importo che vale la metà dell'ultima manovra di Monti. Perché il rigore deve sempre valere per i pensionati, i lavoratori, i giovani e mai per le armi ed i militari? Perché si può sempre ridurre la spesa per la scuola, la sanità, il welfare e mai quella militare? Si potrebbe benissimo dimezzare del 50%, senza venire meno ai nostri obblighi internazionali. In tutto 13 miliardi: ecco dove trovare i soldi per fronteggiare la crisi.
Che le nostre Forze Armate abbiano poi un ruolo "di pace" nel mondo è discutibile. Almeno per l'Afghanistan, dove è in corso una guerra da dieci anni e i nostri soldati vi sono pienamente coinvolti. Ma se – come dice Di Paola – obiettivo del nostro impegno nelle missioni all'estero è di portare pace, democrazia e sicurezza alle popolazioni civili, sarebbe stato opportuno dedicare un «commosso pensiero» non solo ai nostri militari morti nella missione in Afghanistan, ma anche alle tante vittime civili afgane causate dal nostro intervento e dai nostri alleati. Si tratta di molte persone e non di "effetti collaterali", la cui vita vale quella come quella dei nostri militari caduti. E, anche per il nostro ministro della Difesa, sarebbe un atto di rispetto ricordarsene in questi giorni festivi di afflato umanitario.
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