Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

lunedì 7 ottobre 2013

La comunità che prega con la Bibbia e il giornale

Luca Kocci. da "il manifesto" del 05/10

Dalla parte dei poveri, le omelie discusse insieme ai fedeli, per il divorzio e il sostegno alla Palestina... La storia di un impegno cattolico nato con il '68. Ma siamo sicuri che Gesù voleva i preti di oggi?

Era il 2 settembre 1973 quando le donne, gli uomini e i giovani della comunità della basilica di San Paolo fuori le mura riuniti attorno all'ex abate Giovanni Franzoni uscirono fuori dal tempio e celebrarono la loro prima messa in un salone della via Ostiense, a poche centinaia di metri dalla basilica dove erano soliti incontrarsi, discutere e pregare. 
Nacque così la Comunità cristiana di base di San Paolo - che oggi festeggia i suoi 40 anni -, una delle esperienze più significative della stagione del post-Concilio, del «dissenso cattolico» e di quella Chiesa di base lontana dal Vaticano ma vicina al Vangelo che, come un fiume carsico, continua a scorrere nelle profondità nel corpo della Chiesa.
Non è la più anziana delle Comunità di base italiane. Prima di lei, alla fine del 1968, a Firenze era nata quella dell'Isolotto, attorno a don Enzo Mazzi, in seguito all'episodio che diede il via al '68 cattolico: l'occupazione del duomo di Parma da parte di un gruppo di giovani cattolici che denunciavano i finanziamenti delle banche alla Curia per la costruzione di una nuova cattedrale.
Dopo il '68 il «dissenso» cresce sia in Italia che all'estero - in America latina sboccia la teologia della liberazione -, messo in moto dalle istanze di rinnovamento del Concilio Vaticano II, e arriva fino a Roma, il «cuore dell'impero» ecclesiastico: don Roberto Sardelli lascia la sua parrocchia al Tuscolano e i privilegi che essa gli garantiva per andare a vivere fra i senza casa dell'Acquedotto Felice - uno dei tanti «borghetti» dove migliaia di persone avevano costruito delle abitazioni di fortuna e vivevano ai margini della città - dando vita ad una scuola popolare (la Scuola 725) sul modello di quella di Barbiana; i salesiani allontanano - e poi espellono dalla congregazione - due professori dalla loro università, don Giulio Girardi, fra i maggiori protagonisti del dialogo fra cattolici e marxisti e dei Cristiani per il socialismo, e don Gerard Lutte, che aveva scelto di andare ad abitare con i baraccati di Pratorotondo, alla periferia nord est di Roma, e di sostenerli nelle loro lotte fino all'assegnazione delle case popolari alla Magliana; nasce una moltitudine di gruppi di base riuniti nell'Assemblea ecclesiale romana che si mobilita contro il Concordato e per una «Chiesa povera e dei poveri».
Nella basilica di San Paolo fuori le mura, retta dai benedettini cassinesi, dal 1964 c'è un giovane abate, Giovanni Franzoni, che aveva partecipato alle fasi finali del Concilio e iniziava a farsi interrogare dalle contraddizioni della città e di un quartiere popolato e popolare come San Paolo, animato anche dalla convinzione che la vita monastica non significava isolamento dal mondo ma impegno nella storia. Prende forma così una comunità «orizzontale» di laici, donne e uomini, che cominciano a riflettere sul che fare per vivere un Vangelo ancorato alla società e alla città e si immergono nelle vicende sociali e politiche: l'opposizione alla parata militare del 2 giugno e ai cappellani militari, le manifestazioni contro la guerra in Vietnam, il sostegno all'obiezione di coscienza al servizio militare, le lotte degli operai licenziati della Crespi (una fabbrica di infissi non lontana dalla basilica), l'attenzione agli emarginati e agli esclusi, in particolare i reclusi nell'ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà. A San Paolo si realizza anche quella piena partecipazione dei laici alla vita della Chiesa proclamata dal Concilio e mai compiuta: l'omelia della messa domenicale, celebrata in basilica dall'abate Franzoni, viene preparata il sabato sera in un confronto collettivo e paritario con i laici.
Fascisti e cattolici tradizionalisti protestano - passando anche all'azione con irruzioni durante le assemblee e con scritte contro Franzoni sui muri dei palazzi del quartiere -, i gerarchi ecclesiastici mugugnano e guardano a vista la comunità, ma non trovano elementi per intervenire con delle sanzioni. Fino all'aprile del 1973. «Durante la messa, un giovane andò al microfono per pronunciare la sua preghiera, che veniva proclamata spontaneamente da chiunque - ricorda Franzoni -. In quei giorni sui giornali si parlava di un'operazione speculativa sul dollaro compiuta dallo Ior che era stata criticata addirittura dagli organismi finanziari internazionali. E quel giovane, nella preghiera, chiese che i suoi figli potessero crescere in una Chiesa che non si dovesse vergognare perlomeno di fronte ai santuari del capitalismo. Due giorni dopo venni convocato da mons. Mayer, segretario della Congregazione vaticana dei religiosi, il quale mi chiese di censurare le preghiere. Ne parlammo in comunità. Alcuni mi suggerivano di accettare, aggiungendo però che in tal caso l'esperienza della comunità sarebbe finita perché avrebbe perso l'autonomia. Tornai dal monsignore, gli dissi che non avrei obbedito e contestualmente fissammo la data delle mie dimissioni da abate di San Paolo: il 12 luglio 1973. Credo che tirò un grande sospiro di sollievo».
Prima di lasciare la basilica, Franzoni fa in tempo a pubblicare La terra è di Dio, una lettera pastorale - quindi a pieno titolo un documento del magistero perché San Paolo era sede vescovile - che conteneva un severo atto d'accusa contro la speculazione fondiaria ed edilizia portata avanti con il silenzio e la complicità dell'istituzione ecclesiastica e contro gli stretti legami fra Chiesa e potere economico, all'ombra della Democrazia cristiana. Il 26 agosto Franzoni celebra la sua ultima messa in basilica, davanti a 3mila persone. E il 2 settembre c'è la prima eucaristia nel salone di via Ostiense: partecipano in più di 800. È nata la Comunità cristiana di base di San Paolo.
Desacralizzare e riappropriarsi del Vangelo per incarnarlo nella storia, in piena autonomia e libertà di coscienza, sarà la linea della Comunità, che in questi 40 anni camminerà «tenendo in mano la Bibbia e il giornale». Nel referendum del 1974 si schiera a favore del divorzio e in questa circostanza Franzoni viene sospeso a divinis, gli viene cioè proibito di amministrare i sacramenti, che in Comunità continueranno ad essere celebrati comunitariamente, con o senza prete. Nel 1976, dopo la sua dichiarazione di voto per il Pci pubblicata sul settimanale Con Nuovi Tempi, viene dimesso dallo stato clericale. Poi il referendum sul divorzio e il coinvolgimento in tutte le lotte sociali degli anni '80 e '90. 
In tempi più recenti l'opposizione alle guerre in Iraq e Afghanistan, la partecipazione al World Gay Pride del 2000, nell'anno del Giubileo; nel 2005 il referendum sulla legge 40, contro l'ordine di astensionismo arrivato dal card. Ruini; poi il sostegno alle battaglie di Beppino Englaro e Piergiorgio Welby, commemorato a San Paolo mentre Ruini gli aveva negato il funerale religioso; oggi le attività con i profughi afghani accampati alla stazione Ostiense, nell'indifferenza delle istituzioni capitoline; le storiche battaglie contro il Concordato e i cappellani militari, ma anche i percorsi di fede con il gruppo biblico e il gruppo donne che, seguendo il filone della ricerca teologica e biblica femminista, approfondisce le tematiche riguardanti la condizione della donna nella Chiesa e nella società. Non un'altra Chiesa ma una Chiesa altra.



Giovanni Franzoni: «Bergoglio è simpatico e popolare ma non tocca i nodi della chiesa»


La Comunità di base di San Paolo è nata 40 anni fa. Giovanni Franzoni, all’epoca abate della basilica di San Paolo fuori le mura, prima di essere sospeso a divinis e dimesso dallo stato clericale dal Vaticano per le sue posizioni sociali e politiche – dalla denuncia delle collusioni fra Chiesa e poteri forti, alla presa di posizione a favore del divorzio, fino alla dichiarazione di voto per il Pci – ne racconta le origini.
«La domenica celebravo in basilica la messa di mezzogiorno e nelle omelie tentavo di seguire l’insegnamento del teologo protestante Karl Barth: tenere insieme la Bibbia e il giornale. Ovvero attualizzare il Vangelo, incarnarlo nelle contraddizioni della società. Dopo un po’, con un gruppo di 30-40 persone, decidemmo di incontraci il sabato sera per preparare insieme l’omelia. Leggevamo i testi, discutevamo insieme, i laici portavano il loro contributo che per me, monaco, era molto importante. E la domenica la mia predica era il risultato di quel confronto: quindi un’omelia partecipata, non un indottrinamento dall’alto. Fu quello, di fatto, il primo nucleo della comunità».
Cominciò tutto da lì?
«Ci coinvolgemmo sempre più anche nel sociale: l’opposizione alla parata militare del 2 giugno e ai cappellani militari, le lotte con i disoccupati e i senza casa, le denunce della speculazione edilizia ecclesiastica, le manifestazioni contro la guerra in Vietnam. Arrivarono le contestazioni dei fascisti e dei cattolici tradizionalisti, arrivarono anche le visite apostoliche, cioè le ispezioni, delle gerarchie ecclesiastiche, da cui però passai sempre indenne. Fino al 1973.
Quando nacque la Comunità di base di San Paolo
Ci riunivamo in alcuni locali sulla via Ostiense dove iniziammo a celebrare la messa, con il cardinal Poletti, vicario del papa per la città di Roma, che “non approvava ma non proibiva”. E ancora oggi siamo lì
Siete degli scissionisti?
No, non vogliamo un’altra Chiesa, anche perché mi sembra che ce ne siano già tante, ma una Chiesa altra. Siamo dei riformatori, vogliamo che la Chiesa cambi per essere più fedele al Vangelo e al Concilio.
Che ne è del Concilio?
Lo spirito e le istanze del Concilio Vaticano II sono state soffocate da Ratzinger e da Wojtyla: la collegialità, la partecipazione, la sinodalità sono parole vuote. Certo i Sinodi dei vescovi si svolgono, ma hanno un valore solo consultivo, quindi sono totalmente inefficaci. Si continua ad ignorare il ruolo delle donne nella Chiesa, valorizzate solo a parole. C’è stata la sistematica repressione dei teologi che esprimevano un punto di vista diverso, a cominciare dai teologi della liberazione.
Papa Bergoglio sta raccogliendo molti consensi, anche dall’opinione pubblica laica e di sinistra. Qual è il suo giudizio?
È ancora presto per esprimere una valutazione complessiva. Ha cominciato il suo pontificato con una grande retorica pauperistica. La retorica è lecita, ci mancherebbe altro. L’immagine crea simpatia e consenso, ma devono arrivare anche delle decisioni su questioni controverse, altrimenti è solo apparenza.
Per esempio?
Per esempio sulla collegialità. Deve essere vera. I Sinodi devono avere potere decisionale, sennò non servono a nulla. Poi la riabilitazione dei teologi, dei vescovi e dei preti repressi da Wojtyla e Ratzinger, non solo quelli vivi ma anche quelli che sono morti da “eretici”. Non per un riconoscimento post mortem, ma per dire che oggi è possibile parlare liberamente, senza timori di vedersi tolta la cattedra, senza paura di subire emarginazioni e scomuniche. E poi le donne, esaltate a parole ma escluse da ogni ruolo decisionale nella Chiesa.
Parliamo di sacerdozio femminile?
No, parlo di ruoli decisionali e di responsabilità. Durante il Concilio un vescovo indiano, totalmente inascoltato, fece notare che molte responsabilità nella Chiesa non sono legate allo stato clericale. Cioè non bisogna essere per forza preti per ricoprirli. Questi ruoli possono essere affidati ai laici e quindi anche alle donne: i nunzi apostolici, i capo dicasteri, anche i cardinali. Gli otto “saggi” nominati da Bergoglio per riformare la Curia sono tutti cardinali maschi. Ci sarebbe potuto essere tranquillamente qualche laico e qualche donna, senza necessità che fosse prete. La questione del sacerdozio femminile è più ampia: il rischio è di clericalizzare anche le donne. E poi siamo sicuri che Gesù volesse dei preti così come sono oggi?
E sui principi non negoziabili?
Il discorso è analogo. Papa Francesco usa toni concilianti, parla in modo spontaneo. Ma bisogna affrontare i nodi. Va bene che il papa dica “chi sono io per giudicare un gay”, ma se poi quella persona chiede che la sua unione omosessuale venga benedetta dalla Chiesa cosa gli si risponde? Che non è possibile. E allora le parole non sono sufficienti. Bisogna invece aprire le porte, discutere insieme e decidere.

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