Fabiana Stefanoni
"Si possono spiegare quotidianamente le idee più semplici alle masse contadine e arretrate senza provare il minimo senso di stanchezza: in questo caso si tratta di far progredire strati ancora freschi. Ma che fatica dover spiegare le idee fondamentali a gente col cervello appiattito dalle falsità burocratiche!". Potrà sembrare fuori luogo iniziare un articolo sull'attuale quadro sindacale in Italia con questa citazione di Trotsky, scritta in un contesto molto differente e riferita all'atteggiamento della burocrazia staliniana. Eppure pensiamo che queste parole conservino una straordinaria attualità. Anche oggi riscontriamo una resistenza quasi perversa - controrivoluzionaria, direbbe Trotsky - alle esigenze evidenti (e quasi banali) dello scontro di una classe contro un'altra classe: la necessità della costruzione di un ampio fronte unico di resistenza e di lotta.
Con una crisi economica che nulla ha da invidiare a quella di altri Stati europei, l'Italia rimane uno dei Paesi con il livello di lotte più basso. Non che le azioni di resistenza e gli scioperi manchino: sono però frammentati e divisi e stentano a tradursi in un'azione di massa di ampie dimensioni (come è invece avvenuto ad esempio recentemente in Francia con le mobilitazioni contro la Loi Travail).
Il fenomeno è sicuramente frutto di una combinazione di fattori, che non qui è possibile indagare nel dettaglio. Ma pensiamo che ci siano due elementi, in particolare, che contribuiscono a spiegare l'arretratezza del livello di scontro di classe nel nostro Paese: da un lato, il ruolo di controllo sulla classe che ancora riescono a esercitare i grandi apparati sindacali burocratici (Cgil, Cisl e Uil); dall'altro, la debolezza del sindacalismo conflittuale e "di base", sempre più prigioniero di atteggiamenti autoreferenziali e settari. Ne è un esempio la decisione da parte delle sigle del sindacalismo conflittuale di proclamare due giornate di sciopero generale separate - e di fatto in competizione - a distanza di pochi giorni.
Con una crisi economica che nulla ha da invidiare a quella di altri Stati europei, l'Italia rimane uno dei Paesi con il livello di lotte più basso. Non che le azioni di resistenza e gli scioperi manchino: sono però frammentati e divisi e stentano a tradursi in un'azione di massa di ampie dimensioni (come è invece avvenuto ad esempio recentemente in Francia con le mobilitazioni contro la Loi Travail).
Il fenomeno è sicuramente frutto di una combinazione di fattori, che non qui è possibile indagare nel dettaglio. Ma pensiamo che ci siano due elementi, in particolare, che contribuiscono a spiegare l'arretratezza del livello di scontro di classe nel nostro Paese: da un lato, il ruolo di controllo sulla classe che ancora riescono a esercitare i grandi apparati sindacali burocratici (Cgil, Cisl e Uil); dall'altro, la debolezza del sindacalismo conflittuale e "di base", sempre più prigioniero di atteggiamenti autoreferenziali e settari. Ne è un esempio la decisione da parte delle sigle del sindacalismo conflittuale di proclamare due giornate di sciopero generale separate - e di fatto in competizione - a distanza di pochi giorni.
I grandi apparati burocratici sempre più proni al capitale Per comprendere quale sia il ruolo che si apprestano a svolgere i grandi apparati burocratici di Cgil, Cisl e Uil nella prossima fase basta segnalare che il 1° settembre hanno stilato, nella foresteria di Confindustria, un documento comune con le associazioni degli imprenditori, presentato al governo come proposta condivisa di gestione delle crisi industriali. Un'intesa che, secondo la Camusso, apre "finalmente" una stagione diversa, perché dimostra "che le parti sociali sono in grado di fare accordi e proposte, rivendicando un'interlocuzione col governo".
Se non fosse tragico, un accordo di questo tipo parrebbe quasi una barzelletta. E' come se i capponi presentassero al cuoco, insieme ai commensali, una ricetta per essere meglio cucinati al pranzo di Natale. Al cuoco - in questo caso il governo - tocca solo decidere i dettagli: potrà valutare se cuocerli a fuoco lento oppure no, ma la sorte dei poveri capponi è scontata.
Fuor di metafora, è evidente che ormai anche mimare il conflitto è diventato qualcosa di sconveniente per i dirigenti di Cgil, Cisl e Uil. Per conservare i privilegi acquisiti e preservare gli interessi della burocrazia, preso atto che non esistono più spazi di riformismo e che i padroni non intendono mollare nemmeno poche briciole, hanno accettato di abbandonare qualsiasi velleità di opposizione per dedicarsi esclusivamente al ruolo che da sempre riesce loro meglio: quello di pompieri del conflitto di classe.
La decisione dell'apparato Fiom, Landini in testa, di acconsentire all'accordo della vergogna (1) contribuisce a spiegare perché, in questo autunno di feroci attacchi padronali, sul sito del sindacato dei metalmeccanici della Cgil la parolasciopero non compaia quasi mai, se non per citare miseri sciopericchi di un'ora (come quello proclamato dopo l'omicidio dell'operaio a Piacenza) o per richiamare all'ordine gli operai dell'Fca (ex Fiat) che hanno deciso di scioperare contro Marchionne (2). Rispettare l'accordo della vergogna ha delle implicazioni ben precise: significa rinunciare all'azione conflittuale per relegare lo sciopero a un'innocua azione rituale. Un accordo, va precisato, alla fine accettato anche dalla sinistra interna ("Il sindacato è un'altra cosa") che ha presentato propri candidati alle elezioni rsu, deponendo le armi e rinunciando a creare una vera opposizione in Cgil.
Se non fosse tragico, un accordo di questo tipo parrebbe quasi una barzelletta. E' come se i capponi presentassero al cuoco, insieme ai commensali, una ricetta per essere meglio cucinati al pranzo di Natale. Al cuoco - in questo caso il governo - tocca solo decidere i dettagli: potrà valutare se cuocerli a fuoco lento oppure no, ma la sorte dei poveri capponi è scontata.
Fuor di metafora, è evidente che ormai anche mimare il conflitto è diventato qualcosa di sconveniente per i dirigenti di Cgil, Cisl e Uil. Per conservare i privilegi acquisiti e preservare gli interessi della burocrazia, preso atto che non esistono più spazi di riformismo e che i padroni non intendono mollare nemmeno poche briciole, hanno accettato di abbandonare qualsiasi velleità di opposizione per dedicarsi esclusivamente al ruolo che da sempre riesce loro meglio: quello di pompieri del conflitto di classe.
La decisione dell'apparato Fiom, Landini in testa, di acconsentire all'accordo della vergogna (1) contribuisce a spiegare perché, in questo autunno di feroci attacchi padronali, sul sito del sindacato dei metalmeccanici della Cgil la parolasciopero non compaia quasi mai, se non per citare miseri sciopericchi di un'ora (come quello proclamato dopo l'omicidio dell'operaio a Piacenza) o per richiamare all'ordine gli operai dell'Fca (ex Fiat) che hanno deciso di scioperare contro Marchionne (2). Rispettare l'accordo della vergogna ha delle implicazioni ben precise: significa rinunciare all'azione conflittuale per relegare lo sciopero a un'innocua azione rituale. Un accordo, va precisato, alla fine accettato anche dalla sinistra interna ("Il sindacato è un'altra cosa") che ha presentato propri candidati alle elezioni rsu, deponendo le armi e rinunciando a creare una vera opposizione in Cgil.
Al di fuori dei grandi apparati: cosa non funziona
Il fatto che stenti a decollare un'azione conflittuale di massa richiede una riflessione anche sul sindacalismo alternativo, riferendoci con questa espressione alle tante sigle del sindacalismo "di base" (utilizziamo non a caso le virgolette perché, come vedremo tra un po', spesso la base in questi sindacati conta molto poco).
Nate su stimolo di importanti e radicali conflitti nei luoghi di lavoro, le sigle sindacali alternative non godono certo di buona salute. Il fatto stesso che esistano innumerevoli sigle sindacali "di base", anziché essere indice di vivacità delle lotte, è spesso, al contrario, sintomo della progressiva affermazione di logiche e deviazioni burocratiche che producono infinite scissioni ai vertici.
Non vogliamo, in questo articolo, fare di tutta l'erba un fascio, né negare il fatto che il sindacalismo di base vede impegnati migliaia di onesti e combattivi attivisti nel tentativo di costruire un'alternativa sindacale ai grandi apparati burocratici. Tuttavia pensiamo che esista un fenomeno generalizzato - e per questo non citeremo nessuna sigla in particolare - che proviamo a spiegare così: l'assenza di attenzione alla democrazia operaia e alle sue esigenze, in un contesto di riflusso della lotta di classe, ha trasformato le strutture dirigenti di tanta parte del sindacalismo alternativo in strumenti di conservazione di logiche di appartenenza e di apparato, con scarsissima effettiva partecipazione della base alle decisioni politiche.
Uno degli aspetti più drammatici della degenerazione del sindacalismo alternativo è la capitolazione di alcuni settori all'accordo vergogna sulla rappresentanza: ciò significa, nel settore privato, svolgere di fatto il medesimo ruolo di Cgil, Cisl e Uil (con l'aggravante che il confronto è perso in partenza in ragione di evidenti rapporti di forza). Alcuni sindacati "di base" hanno deciso di firmare questo accordo liberticida senza nemmeno convocare un congresso straordinario, approvandolo in una riunione ordinaria di apparato. E' una scelta gravissima che avrà delle conseguenze pesanti sulla futura evoluzione di queste organizzazioni, che, se non rivedranno questa decisione, probabilmente saranno destinati a convertirsi in "piccole Cgil".
Ma la firma dell'accordo della vergogna non è l'unico limite che riscontriamo nel sindacalismo alternativo. Sono molte, e purtroppo spesso tollerate senza battaglia interna, le storture burocratiche: liderismo estremo, con autoproclamati capi che gestiscono il sindacato come fosse un'impresa di famiglia, promuovendo dirigenti e funzionari sulla base della fedeltà; espulsioni sommarie di operai e attivisti cui non viene nemmeno lasciato il diritto di difesa (e che magari vengono a sapere dal padrone, nel corso di una lotta o di uno sciopero, di non essere più "riconosciuti" dal proprio sindacato...); atteggiamenti maschilisti (e persino aggressioni) all'interno del sindacato, di cui ci si rifiuta persino di parlare perché "non sono questioni sindacali"; mancata solidarietà ad attivisti che subiscono violenze padronali; legittimazione di aggressioni fisiche ai danni di lavoratori di altri sindacati; congressi farseschi, convocati una tantum, in cui non esiste il diritto di presentare posizioni alternative a quelle dei dirigenti in carica o in cui gli statuti vengono cambiati da un giorno all'altro senza coinvolgere la base nella discussione; nomina dall'alto dei dirigenti e dei delegati con esclusione intenzionale di tutte le voci critiche; congressi organizzati senza nessun rispetto delle norme statutarie; delegittimazioni (con tanto di diffide o minacce) di realtà sindacali di fabbrica o territoriali che organizzano lotte "non approvate dai vertici"; e così via.
Il quadro complessivo che ne esce è quello di un universo di piccole sigle in perenne competizione tra di loro, in cui la base - quella vera - conta veramente poco e, per questo, trionfano le logiche autoreferenziali dei leader. Ne consegue l'incapacità, che a tratti assume dei tratti patologici, di mettere in campo azioni unitarie di classe, nonché di comprendere una verità banale della lotta di classe: è necessario assicurare alla classe lavoratrice la possibilità di un fronte unico nella lotta contro il capitale, malgrado le divisioni. Più si accentuano le deviazioni burocratiche nelle organizzazioni sindacali "di base", più gli apparati si rinchiudono su sé stessi e attaccano le altre sigle finendo così per lasciare i lavoratori in balia degli attacchi feroci di padroni e governo: uno stato di guerra di tutti contro tutti in cui alla fine nessuno sopravvive.
Il fatto che stenti a decollare un'azione conflittuale di massa richiede una riflessione anche sul sindacalismo alternativo, riferendoci con questa espressione alle tante sigle del sindacalismo "di base" (utilizziamo non a caso le virgolette perché, come vedremo tra un po', spesso la base in questi sindacati conta molto poco).
Nate su stimolo di importanti e radicali conflitti nei luoghi di lavoro, le sigle sindacali alternative non godono certo di buona salute. Il fatto stesso che esistano innumerevoli sigle sindacali "di base", anziché essere indice di vivacità delle lotte, è spesso, al contrario, sintomo della progressiva affermazione di logiche e deviazioni burocratiche che producono infinite scissioni ai vertici.
Non vogliamo, in questo articolo, fare di tutta l'erba un fascio, né negare il fatto che il sindacalismo di base vede impegnati migliaia di onesti e combattivi attivisti nel tentativo di costruire un'alternativa sindacale ai grandi apparati burocratici. Tuttavia pensiamo che esista un fenomeno generalizzato - e per questo non citeremo nessuna sigla in particolare - che proviamo a spiegare così: l'assenza di attenzione alla democrazia operaia e alle sue esigenze, in un contesto di riflusso della lotta di classe, ha trasformato le strutture dirigenti di tanta parte del sindacalismo alternativo in strumenti di conservazione di logiche di appartenenza e di apparato, con scarsissima effettiva partecipazione della base alle decisioni politiche.
Uno degli aspetti più drammatici della degenerazione del sindacalismo alternativo è la capitolazione di alcuni settori all'accordo vergogna sulla rappresentanza: ciò significa, nel settore privato, svolgere di fatto il medesimo ruolo di Cgil, Cisl e Uil (con l'aggravante che il confronto è perso in partenza in ragione di evidenti rapporti di forza). Alcuni sindacati "di base" hanno deciso di firmare questo accordo liberticida senza nemmeno convocare un congresso straordinario, approvandolo in una riunione ordinaria di apparato. E' una scelta gravissima che avrà delle conseguenze pesanti sulla futura evoluzione di queste organizzazioni, che, se non rivedranno questa decisione, probabilmente saranno destinati a convertirsi in "piccole Cgil".
Ma la firma dell'accordo della vergogna non è l'unico limite che riscontriamo nel sindacalismo alternativo. Sono molte, e purtroppo spesso tollerate senza battaglia interna, le storture burocratiche: liderismo estremo, con autoproclamati capi che gestiscono il sindacato come fosse un'impresa di famiglia, promuovendo dirigenti e funzionari sulla base della fedeltà; espulsioni sommarie di operai e attivisti cui non viene nemmeno lasciato il diritto di difesa (e che magari vengono a sapere dal padrone, nel corso di una lotta o di uno sciopero, di non essere più "riconosciuti" dal proprio sindacato...); atteggiamenti maschilisti (e persino aggressioni) all'interno del sindacato, di cui ci si rifiuta persino di parlare perché "non sono questioni sindacali"; mancata solidarietà ad attivisti che subiscono violenze padronali; legittimazione di aggressioni fisiche ai danni di lavoratori di altri sindacati; congressi farseschi, convocati una tantum, in cui non esiste il diritto di presentare posizioni alternative a quelle dei dirigenti in carica o in cui gli statuti vengono cambiati da un giorno all'altro senza coinvolgere la base nella discussione; nomina dall'alto dei dirigenti e dei delegati con esclusione intenzionale di tutte le voci critiche; congressi organizzati senza nessun rispetto delle norme statutarie; delegittimazioni (con tanto di diffide o minacce) di realtà sindacali di fabbrica o territoriali che organizzano lotte "non approvate dai vertici"; e così via.
Il quadro complessivo che ne esce è quello di un universo di piccole sigle in perenne competizione tra di loro, in cui la base - quella vera - conta veramente poco e, per questo, trionfano le logiche autoreferenziali dei leader. Ne consegue l'incapacità, che a tratti assume dei tratti patologici, di mettere in campo azioni unitarie di classe, nonché di comprendere una verità banale della lotta di classe: è necessario assicurare alla classe lavoratrice la possibilità di un fronte unico nella lotta contro il capitale, malgrado le divisioni. Più si accentuano le deviazioni burocratiche nelle organizzazioni sindacali "di base", più gli apparati si rinchiudono su sé stessi e attaccano le altre sigle finendo così per lasciare i lavoratori in balia degli attacchi feroci di padroni e governo: uno stato di guerra di tutti contro tutti in cui alla fine nessuno sopravvive.
Gli scioperi generali in programma per l'autunno
Quest'autunno si caratterizza, dal punto di vista sindacale, per due fatti degni di nota: il silenzio assordante da parte dei grandi apparati burocratici (Cgil e Fiom incluse) sulla necessità di uno sciopero generale e l'ennesima prova di divisione da parte del sindacalismo "di base". Dopo molti mesi dall'ultimo sciopero generale, le sigle del sindacalismo alternativo hanno infatti deciso di dividersi ancora una volta e proclamare due date di sciopero generale a distanza di due settimane: una il 21 ottobre (Usb, Usi, Si.Cobas e altri: il 22 ottobre è prevista a Roma una manifestazione contro Renzi) e una il 4 novembre (Cub, Usi-Ait, Sgb).
Non accusiamo nessuna di queste sigle di avere la "principale" responsabilità in questa divisione, se non altro per risparmiarci il solito coro penoso di autodifese e accuse reciproche. Ci limitiamo a constatare quello che sta avvenendo in questi giorni nei luoghi di lavoro: attivisti sindacali che si trovano in difficoltà davanti agli operai del loro sindacato che chiedono straniti perché dovrebbero scioperare un giorno e non l'altro; lavoratori che fanno confusione tra le sigle e non capiscono più, esattamente, a quale sindacato sono iscritti e a quale sciopero dovrebbero aderire; operai che fanno collette di soldi per poter scioperare due giorni non volendo apparire come crumiri davanti ai colleghi che scioperano nell'altra data; persino, purtroppo, lavoratori delusi che rinunciano a scioperare...
Intendiamoci: la proliferazione di date di sciopero generale sarebbe ottima cosa se derivasse da una fase di ascesa della lotta di classe. Ma oggi sappiamo che le cose non stanno così. Sono purtroppo ancora poche le realtà operaie in sciopero e in lotta prolungati. La verità è molto più triste: le sigle del sindacalismo conflittuale, per ragioni di miopia settaria e in contrasto con la volontà unitaria della loro base, hanno deciso di anteporre gli interessi di sigla e di perdere un'importante occasione di rilanciare un'azione di sciopero e di lotta incisiva contro il governo e contro le loro politiche.
Le compagne e i compagni di Alternativa comunista saranno in piazza al fianco dei lavoratori e della lavoratrici in sciopero sia il 21/22 ottobre sia il 4 novembre. Al contempo, critichiamo con forza la scelta di aver frammentato le iniziative di sciopero e di lotta e, per questo, sosteniamo la campagna del Fronte di Lotta No Austerity - una delle poche esperienze unitarie e organizzate democraticamente in controtendenza col quadro fin qui descritto - per la costruzione di un vero e unitario sciopero generale:http://www.frontedilottanoausterity.org/index.php?mod=none_News_bkp&action=viewnews&news=top_1474929349 .
Uniti si vince, si gridava una volta in piazza: uno slogan che pensiamo conservi oggi tutta la sua validità.
Quest'autunno si caratterizza, dal punto di vista sindacale, per due fatti degni di nota: il silenzio assordante da parte dei grandi apparati burocratici (Cgil e Fiom incluse) sulla necessità di uno sciopero generale e l'ennesima prova di divisione da parte del sindacalismo "di base". Dopo molti mesi dall'ultimo sciopero generale, le sigle del sindacalismo alternativo hanno infatti deciso di dividersi ancora una volta e proclamare due date di sciopero generale a distanza di due settimane: una il 21 ottobre (Usb, Usi, Si.Cobas e altri: il 22 ottobre è prevista a Roma una manifestazione contro Renzi) e una il 4 novembre (Cub, Usi-Ait, Sgb).
Non accusiamo nessuna di queste sigle di avere la "principale" responsabilità in questa divisione, se non altro per risparmiarci il solito coro penoso di autodifese e accuse reciproche. Ci limitiamo a constatare quello che sta avvenendo in questi giorni nei luoghi di lavoro: attivisti sindacali che si trovano in difficoltà davanti agli operai del loro sindacato che chiedono straniti perché dovrebbero scioperare un giorno e non l'altro; lavoratori che fanno confusione tra le sigle e non capiscono più, esattamente, a quale sindacato sono iscritti e a quale sciopero dovrebbero aderire; operai che fanno collette di soldi per poter scioperare due giorni non volendo apparire come crumiri davanti ai colleghi che scioperano nell'altra data; persino, purtroppo, lavoratori delusi che rinunciano a scioperare...
Intendiamoci: la proliferazione di date di sciopero generale sarebbe ottima cosa se derivasse da una fase di ascesa della lotta di classe. Ma oggi sappiamo che le cose non stanno così. Sono purtroppo ancora poche le realtà operaie in sciopero e in lotta prolungati. La verità è molto più triste: le sigle del sindacalismo conflittuale, per ragioni di miopia settaria e in contrasto con la volontà unitaria della loro base, hanno deciso di anteporre gli interessi di sigla e di perdere un'importante occasione di rilanciare un'azione di sciopero e di lotta incisiva contro il governo e contro le loro politiche.
Le compagne e i compagni di Alternativa comunista saranno in piazza al fianco dei lavoratori e della lavoratrici in sciopero sia il 21/22 ottobre sia il 4 novembre. Al contempo, critichiamo con forza la scelta di aver frammentato le iniziative di sciopero e di lotta e, per questo, sosteniamo la campagna del Fronte di Lotta No Austerity - una delle poche esperienze unitarie e organizzate democraticamente in controtendenza col quadro fin qui descritto - per la costruzione di un vero e unitario sciopero generale:http://www.frontedilottanoausterity.org/index.php?mod=none_News_bkp&action=viewnews&news=top_1474929349 .
Uniti si vince, si gridava una volta in piazza: uno slogan che pensiamo conservi oggi tutta la sua validità.
Note
(1) Per ricapitolare gli aspetti peggiori di questo accordo rimando a questa mia intervista:
http://www.alternativacomunista.it/content/view/2219/78/
(2) Ricordiamo che la direzione della Fiom ha deciso di sanzionare i propri delegati di fabbrica in Fca (Ex Fiat) per aver partecipato alla costruzione di un coordinamento tra i delegati di diverse fabbriche Fca del centro-sud e per aver proclamato gli scioperi dello straordinario comandato nelle loro fabbriche.
(2) Ricordiamo che la direzione della Fiom ha deciso di sanzionare i propri delegati di fabbrica in Fca (Ex Fiat) per aver partecipato alla costruzione di un coordinamento tra i delegati di diverse fabbriche Fca del centro-sud e per aver proclamato gli scioperi dello straordinario comandato nelle loro fabbriche.
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