Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 11 novembre 2016

La vittoria di Trump: il volto disgustoso dell'imperialismo

dichiarazione del Segretariato della
Lit - Quarta Internazionale
 

Il repubblicano Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti. Nonostante in termini di voti ci sia stato un virtuale pareggio tra lui e Hillary Clinton, Trump ha avuto una chiara maggioranza tra i "grandi elettori".
E' ancora presto per trarre tutte le conclusioni da un evento politico di questa grandezza, però possiamo fare una prima analisi che sarà necessario approfondire in seguito.
La vittoria di questo personaggio borghese, populista di destra (con posizioni xenofobe, razziste e maschiliste), contro gli apparati di entrambi i partiti tradizionali, ha provocato un forte impatto negli Stati Uniti e in tutto il mondo e si stanno sviluppando grandi dibattiti sul significato di quanto è avvenuto.
Tutti gli analisti coincidono nel segnalare che Trump ha guadagnato voti tra ampi settori di elettorato bianco delle regioni rurali, di piccoli proprietari e specialmente il voto di lavoratori bianchi impoveriti, i settori colpiti dai costi della deindustrializzazione, dalla crisi, dai bassi salari, dalla precarizzazione del lavoro e dalla disoccupazione. Una caduta sociale che non è stata frenata dal "recupero" economico del periodo di Obama e dalla diminuzione della disoccupazione.
In questi settori ha sfondato il discorso razzista, xenofobo e reazionario di Trump contro gli immigrati, i suoi attacchi al "sistema dei politici" e le sue false promesse per cui "basta lavorare duro e seriamente" perché ritorni la "grandezza degli Stati Uniti" e si "recuperi il sogno americano". Questo discorso populista di destra gli ha consentito non solo di vincere nelle roccaforti abituali dei repubblicani ma anche in Stati dove l'elettorato era più oscillante e anche negli storici insediamenti degli operai industriali bianchi come il Michigan (Detroit). Questo settore di lavoratori ha espresso in questo modo la sua frustrazione e rabbia contro "il sistema", rompendo col Partito democratico e svoltando a destra, sostenendo Trump.
Questo voto dei lavoratori bianchi mostra l'assenza di un'alternativa chiara e indipendente, di una direzione classista e rivoluzionaria, che lavori per l'unità della classe lavoratrice, combattendo i pregiudizi razziali e le ideologie borghesi, cominciando per quelle diffuse nel proprio Paese.
E' necessario precisare però il peso reale di questo appoggio tra i lavoratori: non dimenticando che gli elettori di Trump rappresentano comunque appena il 25% dell'elettorato reale (e che questa percentuale include gli agrari e le classi medie delle zone rurali). Per questo non si può spiegare perché Trump ha vinto se al contempo non si considera il discredito elettorale del Partito democratico e la rottura a sinistra di una parte della sua base elettorale, che non ha votato né la Clinton né Trump. Alla base di questo discredito c'è la profonda delusione che hanno prodotto i governi della presidenza Obama in cui settori di massa avevano riposto delle aspettative.
Obama ha governato "per i ricchi" senza risolvere nemmeno uno dei problemi più sentiti dalle masse; ha condotto una politica dura e repressiva, attaccando gli immigrati "illegali" e avallando l'ondata di violenza, repressione e omicidi di giovani neri compiuti dalla polizia.
A ciò si somma il fatto che la Clinton era una candidata chiaramente di destra (appoggia incondizionatamente Israele e i crimini del sionismo; ha sostenuto e promosso tutte le guerre e le invasioni di altri Paesi degli ultimi vent'anni; ha sostenuto la persecuzione degli immigrati latinoamericani e la repressione dei neri) e, inoltre, una candidata priva di qualsiasi carisma tra le masse. Anzi, era una candidata che suscitava ostilità.
Il peggioramento socio-economico che abbiamo citato non solo ha provocato movimenti verso destra ma ha generato anche una svolta a sinistra di settori di massa, che si è espressa nell'alto numero di voti raccolti da Bernie Sanders nelle primarie del Partito democratico.
Al di là di ciò che effettivamente è Sanders, egli si è presentato come qualcosa di "nuovo", un "socialista" critico dei danni prodotti dal capitalismo. In questo modo ha attirato la simpatia di milioni di giovani. Tanto che secondo alcuni analisti è possibile che se il candidato fosse stato Sanders avrebbe potuto battere Trump.
Ma la candidatura della Clinton ha chiuso questa possibilità e ha portato alla rottura di una buona parte dei sostenitori di Sanders con il Partito democratico: secondo un sondaggio, solo una metà dei giovani che appoggiarono Sanders hanno votato per la Clinton. Un'altra rottura importante si è prodotta con una parte della popolazione e della gioventù nera (rappresentata dal movimento Black Lives Matter) che non ha sostenuto la Clinton.
In entrambi i casi si tratta di ampie rotture sul versante di sinistra, altamente progressive.
La maggioranza della sinistra mondiale sta guardando solo al mero dato elettorale e per questo trae la conclusione che l'elezione di Trump sarebbe espressione di una "svolta reazionaria" che attraversa il mondo.
Noi della Lit non concordiamo con questa analisi. Esiste una polarizzazione crescente che ora si esprime negli Stati Uniti.
Per realizzare le sue proposte, Trump dovrà scontrarsi con due ostacoli. Il primo è la lotta di classe. Al di là delle sue promesse populiste, Trump non ha altra possibilità che attaccare le masse e i lavoratori a vantaggio del capitalismo imperialista.
Può darsi che un settore dei lavoratori bianchi che lo hanno votato lo sostenga nei suoi attacchi agli immigrati e ai neri; però è probabile anche che un altro settore si disilluda rapidamente e in questo caso l'attuale sostegno a Trump si trasformerebbe nel suo opposto.
Gli altri settori (coloro che non lo hanno votato) già vedono Trump come un nemico. Per esempio, un giorno dopo le elezioni, giovani attivisti di varie città degli Stati Uniti hanno dato vita a numerose manifestazioni di migliaia di persone contro il nuovo presidente: cosa che non si era mai vista negli Stati Uniti. Sono giovani che non hanno votato né per Trump né per la Clinton e che non si sentono rappresentati da nessuno. Sono i primi segnali di una nuova tendenza?
Il secondo ostacolo che Trump dovrà affrontare sono le organizzazioni della borghesia imperialista che hanno cercato di evitare l'elezione di Trump perché non lo considerano "affidabile" e non concordano con le sue proposte. Alcune di queste proposte, infatti, riguardano gli interessi del cuore dell'economia imperialista statunitense (la borghesia finanziaria e il suo parassitismo). Trump è disposto ad affrontare questo scontro? In questo caso, è inevitabile che si producano scintille.
Una parte delle proposte di Trump sono contrapposte al metodo che definiamo della "reazione democratica" che è stato il metodo tattico usato dall'imperialismo nel mondo negli ultimi decenni per contrastare le rivoluzioni e le lotte, da dopo la dura sconfitta che gli Usa hanno subito in Vietnam nel 1975. Questo metodo consiste nel difendere gli interessi dell'imperialismo alternando al "bastone" la "carota" delle negoziazioni, degli accordi, delle elezioni.
Nel 2001 Bush cercò di modificare questa politica a favore di un'altra, più bonapartista e bellicista: la "guerra al terrorismo". Però è stato duramente sconfitto in Irak e in Afghanistan e ciò ha prodotto una crisi profonda per l'imperialismo nel mondo (e anche all'interno degli Stati Uniti). L'elezione di Obama significò un tentativo di rispondere a questa situazione e di tornare alla politica della "reazione democratica" dell'imperialismo in forma piena (recentemente appoggiandosi anche sul ruolo del nuovo papa Francesco).
Trump romperà con la politica di accordi praticata coi Castro a Cuba, con le Farc in Colombia, con l'Iran in Medio Oriente? Romperà con la tattica di utilizzare il metodo delle elezioni nei Paesi semicoloniali? Ricordiamoci che Bush cercò di modificare almeno parzialmente questa tattica ma si ruppe i denti contro la reazione delle masse nel mondo e ciò indebolì lo stesso regime politico degli Stati Uniti.
Nell'edizione in spagnolo, il New York Times (un giornale molto legato alla borghesia finanziaria imperialista), analizzando la situazione e alcune proposte di Trump, ha messo in guardia: "Il prossimo presidente dovrà fare fronte alle richieste di un Paese frantumato. Se cercherà di imporre misure repressive contro le minoranze etniche contro cui ha condotto la campagna elettorale, specialmente gli ispano-americani e i musulmani, provocherà una resistenza feroce."
Anche gli imperialisti europei hanno espresso la loro preoccupazione: il presidente francese Hollande (utilizzando uno humor acido) ha dichiarato: "mi congratulo con il nuovo presidente degli Stati Uniti perché è quanto si fa abitualmente. Però non posso nascondere la nostra inquietudine."
In altre parole, al di là della stessa dinamica della lotta di classe negli Stati Uniti e nel mondo, l'elezione di Trump produce una crepa profonda nella borghesia imperialista statunitense e mondiale. Crepa dalla quale, come diceva Lenin, possono emergere mobilitazioni e lotte dei lavoratori e delle masse.
Per questo, con la dinamica che aprono, crediamo che se queste elezioni esprimono qualcosa è essenzialmente l'acuirsi degli elementi di crisi che vive il regime politico statunitense. A nostro giudizio, l'elezione di Trump, lungi dal chiudere questa crisi, può ampliarla.
Come rivoluzionari, il nostro compito è promuovere le lotte contro questo nuovo nemico negli Stati Uniti e nel mondo. Come abbiamo visto, negli Stati Uniti le mobilitazioni sono già iniziate.
Bisogna contrastare le divisioni xenofobe, razziste e maschiliste che i nostri avversari cercano di imporre tra i lavoratori e bisogna unificare tutte le lotte e le rivendicazioni contro il nuovo governo: la mobilitazione già in corso dei giovani va unita con la lotta per i 15 dollari di salario orario, con la difesa della salute e dell'educazione pubblica, con la lotta per i diritti degli immigrati (a partire da quelli latino-americani, i più sfruttati), con le rivendicazioni di Black Lives Matter contro la repressione e gli omicidi per mano poliziesca, con la lotta per la difesa dei diritti dei neri.
In questo percorso di lotta, è necessario avanzare contemporaneamente nella costruzione di un partito operaio, socialista e rivoluzionario che esprima gli interessi di tutti i settori della classe lavoratrice e assuma la lotta contro tutte le oppressioni.
Oggi nel mondo, con l'elezione di Trump cade la maschera ipocrita e "simpatica" di Obama (che tanta confusione ha generato nelle masse). L'imperialismo torna a mostrare il suo vero volto disgustoso: xenofobo, razzista, maschilista, sfruttatore e prepotente. Questo può in definitiva favorire la crescita della coscienza e della lotta antimperialista in tutto il mondo, così come accadde nel periodo di Bush in cui folle gigantesche si riunivano nelle piazze per contestarlo in ogni Paese che visitava.
Riempiamo le piazze di manifestazioni contro Trump e contro l'imperialismo!
 

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