Uno dei momenti in cui
la barbarie, e l’indecenza prendono in ostaggio le dinamiche sociali si
materializza durante le campagne
elettorali.
Ciò avviene da quando i
partiti si sono trasformati, da
strumento di partecipazione politica per
i cittadini , in comitati d’affari. La
ricerca del consenso non si basa sulle idee ma sul marketing. Il candidato
diventa un prodotto da magnificare, la sua “mission” è quella di promettere mirabilie al fine di vendere la propria
effimera merce . Di conseguenza le
campagne elettorali sono infarcite da lucenti, quanto mirabolanti, spot in cui l’interesse dei cittadini - la tutela
dei quali dovrebbe essere il primo obiettivo di chi si candida - diventa l’ultima opzione, anzi spesso viene ignorata e disattesa.
Un
esempio eclatante di barbarie elettorale è la vicenda dello Ius Soli. Un provvedimento di dignità,
una norma sacrosanta, indispensabile per un Paese
che accampa la pretesa di dichiararsi
civile, sacrificata sull’altare degli interessi dei comitati d’affari presenti in Parlamento. Questi hanno valutato l’approvazione dello Ius Soli come un pericolo
per la cattura del consenso. Una sciagura messa in piedi dalla falsa narrazione, diffusasi come un virus, della paura per l’immigrato protagonista di una fantomatica quanto epocale
invaisone. Non è il primo e non sarà l’ultimo provvedimento di civiltà
sacrificato alle ragioni dell’ottenimento dello scranno. Fra i banchi della maggioranza o fra quelli
della minoranza non fa differenza basta stare nel Palazzo.
I famigerati programmi devono essere
flessibili . Se il sondaggio indica che lo Ius Soli fa perdere voti si cancella
dalla lista. Se la liberalizzazione della vendita delle armi fa acquistare voti
si, pone come primo punto programmatico. E’ il mercato bellezza! I fiori
non si vendono più? Si tolgono dalla
produzione, se viceversa i cannoni mostrano l’interesse della clientela si aumenta la loro costruzione.
A occhio e croce i propositi sono gli stessi
in capo agli schieramenti che offriranno la loro mercanzia il 4 marzo prossimo.
Si pianificano elemosine mortificanti a favore della marea di gente alle prese con
una vita precaria: redditi definiti con le più
disparate perifrasi,( di cittadinanza, di dignità, di marciapiede), si è tutti concordi nell’aiutare delinquenti in Libia, in Niger per
ricacciare indietro o imprigionare gli
immigrati prima che questi ,affogando nel Mediterraneo, possano mostrare al
mondo la nostra inciviltà . Sterminiamoli
a casa loro .
Ancora, tutti promettono di eliminare la legge Fornero, ma
nessuno, ossequioso ai dettami della stabilità finanziaria, lo farà. E poi il lavoro. E’ il punto principale
del programma di ogni aggregazione, ma nessuno se la sente di andare oltre al
già sperimentato sistema fallimentare di
foraggiare le grandi aziende in cambio di qualche posto di lavoro in
più, magari precario. E le tasse? Altro stucchevole mantra per cui i liberali veri vogliono abbassarle ai ricchi, mentre i
liberali riformisti pure, oltre naturalmente
a promettere l’ennesimo
inasprimento alla lotta all’evasione, che puntualmente si concretizza con
condoni e rottamazioni di cartelle esattoriali.
Come si vede siamo in presenza di un giro di promesse, limitato, asfittico. Aria!
C’è bisogno di aria. C’è bisogno di un partito che abbia il coraggio di uscire
dagli invalicabili confini dati, e programmare un piano che guardi lontano, non all’oggi per il
domani. E quali sono i confini dati?
Semplice sono le ferree barriere imposte dal capitalismo. Se non si prende
minimamente in considerazione di sovvertire l’ineluttbilità dell’accumulazione
capitalista, si rimarrà sempre prigionieri di un giogo asfittico, chiuso e
malsano .
Il capitalismo, la libera concorrenza, il libero mercato, il
liberismo (quante citazioni a sproposito della parola libero!) sono male piante che andrebbero estirpate. Se
qualcuno da una parte accumula capitali, evidentemente dall’altra parte ci sarà gente che non avrà il necessario per vivere. Se si
consente ai capitali di rimpinguarsi a dismisura attraverso la speculazione
finanziaria, è inutile promettere la rivalutazione del lavoro come veicolo di
dignità e promozione sociale. Esso rimarrà sempre una forma di schiavismo,
magari mitigato da qualche elemosina
tipo reddito di cittadinanza.
Si dirà: c’è
la globalizzazione che grazie al progresso tecnologico ha unificato il mondo trasformandolo in un
grande villaggio globale, ha unificato i mercati, basta un clic e si possono
sposare capitali da un lato all’altro del pianeta in pochi secondi, un processo,
secondo molti, che non può regredire, è
il segno della post modernità . Siamo sicuri? Il motore della globalizzazione comprende
un complesso intreccio fra mezzi di comunicazione e di trasporto che guarda
caso sono in mano al capitale. E’ possibile collettivizzare questi mezzi ed espropriarli
alle mega lobby finanziarie?
La velocità
di comunicazione non consente solo di trasferire capitali in un battibaleno ma
anche di organizzare rivolte sociali in poco tempo, di diffondere l’idea che
alla globalizzazione del mercato debba sostituirsi la globalizzazione dei
diritti.
Per essere più concreti: c’è qualcuno che ha il coraggio di proporre l’abolizione della
proprietà privata, solido caposaldo su cui si basano le dinamiche capitaliste?
La casa è di chi la abita, il campo è di chi lo coltiva, la fabbrica è di chi
ci lavora, gli elementi e i servizi
fondamentali alla vita, come acqua, salute ed istruzione sono di chi ne
usufruisce. Pensare un rapporto di
produzione fuori dal capitalismo, consentirebbe di togliere di mezzo Acea, ad
esempio, che ci tiranneggia facendo profitti sull’acqua. Fuori dal capitalismo
le fabbriche e le fonti generatrici di servizi sarebbero di proprietà dei
lavoratori, i quali riacquisterebbero, oltre che la dignità di concorrere al benessere della collettività , un potere politico vero. Il diritto alla
salute e all’istruzione sarebbe veramente nella disponibilità di tutti , non solo dei più ricchi.
Sono consapevole del
fatto che un tale prospettiva non può essere spesa in una campagna elettorale
come quella in corso, non può imporsi
come strumento di dignità in una canea di voci indegne pronte a promettere
qualsiasi cosa pur di ottenere la poltrona. Un programma basato sul
rovesciamento del capitalismo non può camminare solo su dinamiche nazionali ,
ma investire processi di internazionalizzazione di condivisione globale. Ci
provarono i No Global, poco meno di vent’anni
fa. Il capitalismo si sentì talmente minacciato da reagire con una violenza inaudita
(vedi il G8 di Genova).
Con ciò non
considero inutile una candidatura alle prossime elezioni, ma questa deve costituire un primo passo. Un atto utile, nella misura in cui si utilizza il mega palcoscenico
elettoral-mediatico, per denunciare gli imbrogli del libero
mercato, per affermare che una sinistra o è anticapitalista o non è . Poi però c’è bisogno di una grande operazione
culturale, utile a riacquistare credibilità
verso il proprio blocco sociale ormai
disperso in rivoli approdati all'estrema destra leghista e al grillismo. Un percorso
lungo che abbisogna di applicazione, convinzione, in breve, l'applicazione della
politica quella vera e non l'opprimente vociare del marketing elettorale .
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