Dal 1956 al 1965 il festival di Sanremo fu la prima
manifestazione del genere con carattere continuativo mai organizzata in Europa.
Ovviamente parliamo del festival di
jazz. Infatti in quei dieci anni, grazie
alla dedizione di Arrigo Polillo , Pino Maffei
insieme ad altri appassionati, poco prima della rassegna canora italiana,
nello stesso teatro, il salone delle
feste del Casinò di Sanremo, andava in scena il festival jazz di Sanremo.
Dalla
città dei fiori passò gente del calibro
di Duke Ellington, Ella Fitzgerald,Oscar
Peterson, Sidney Bechet, Modern Jazz Quartet, i Jazz Messanger di Art
Blakey, Bud Powell, “Cannonball Adderley”, Max Roach, Earl Hines, Chet Baker e molti
altri ancora. A riempire i cartelloni
del programma anche il meglio del jazz italiano ed europeo. Quando Polillo e Maffei
misero in piedi la kermesse non avevano
grandi speranze sulla sua riuscita.
La prima edizione del 1956 partì con un modesto finanziamento
da parte del Comune un milione e mezzo di lire. Con essi furono pagati ben
13 gruppi, ovviamente "pagati" è una parola grossa, è più corretto parlare di un
semplice rimborso spese. I concerti iniziati il 28 gennaio di quell’anno ebbero
come protagonisti quasi del tutto jazzisti italiani ma non per quello lo
spettacolo ne risentì. Del resto Franco Cerri, Gil Cuppini, il quintetto di Oscar Valdambrini Berto Pisano
erano musicisti favolosi. A spiccare il quartetto di Barney Wilen.
L’anno dopo ,il 1957, vide il decollo della
manifestazione con l’ingaggio di Sidney Bechet , forse il jazzista più popolare
in Europa, accompagnato dall’orchestra di Andrè
Rewelliotty. Di rilevo anche la performance di un allora sconosciuto Joe Zawinul, futuro tastierista dei Weather Report. A riempire il programma
ancora il meglio del jazz italiano di
allora. Si passò molto disinvoltamente dal jazz d’avanguradia , presentato da
un ottetto sperimentale guidato dal pianista Giorgio Gaslini, alla cantante Wilma
De Angelis, la presenza di quest’ultima fu ovviamente censurata dai puristi jazzofili molto
critici con l’organizzazione.
Niente paura. Nel 1959 il Modern Jazz Quartet ammaliò gli
appassionati. Fu quella una grande
edizione con Il trio di Sonny Rollins, e il quintetto di Horace Silver. A far da contorno altri
jazzisti di fama come Tete Montoliu , il sassofonista baritono
Lars Gullin. Sonny Rollins ancora non aveva preso la
decisione di ritirarsi sul ponte di Williamsburg , era in splendida forma e suonò magnificamente . Ecco cosa
scrisse Giancarlo Testoni su “Musica Jazz” di quei concerti: “Siamo tornati dal festival soprattutto con due immagini nella mente:
quella di Silver, ingobbito, rattrappito e concentrato sulla sua tastiera, con
la faccia sorridente e mite di un piccolo impiegato, e l’altra di un Rollins, alto e
membruto, con l’aspetto malizioso di un
diavolo dantesco, di quelli burloni che tutti ricordano”.
Nel 1960 il
produttore e critico Norman Granz omaggiò gli organizzatori con tutta la sua
squadra dei migliori jazzisti di “Jazz at
the Philarmonic”. Ella Fitzegrald,
il sestetto di Max Roach con i
fratelli Turrentine e un trio
strepitoso composto dagli inventori della ritmica Be Bop: Bud Powell al pianoforte, Oscar
Pettiford al contrabbasso, Kenny
Clarke alla batteria. Suonarono magnificamente il che non era scontato perché
spesso in quel periodo Bud Powell non
era granchè lucido. Non mancò uno strabiliante Chet Baker la sua esibizione fu perfetta
Quella sera invece fu magico grazie anche al suo
manager francese Marcel Romano , che lo marcò stretto, come un arcigno
difensore, per le ore precedenti il
concerto, impedendogli praticamente di
bere. Era prevista l’esibizione anche di Ornette
Coleman che però diede forfait all’ultimo momento, un appuntamento rinviato
di qualche anno.
Da allora in poi il festival andò a gonfie vele. Nel 1963 fra
un’esibizione di Ella Fitzgerald, Oscar Peterson e
Roy Eldridge andò in scena la sfida a colpi di Hard Bop fra il
sestetto di “Cannonbal” Adderley - con Nat Adderley alla cornetta, Yusef
Lateef al sassofono tenore, un imperioso Joe Zawinul al piano, Sam Jones al contrabbasso , Louis Hyes alla batteria - contro i Jazz Messanger di Art Blakey allora in
una formazione stellare: Freddie Hubbard
alla tromba, Wayne Shorter al sax
tenore, Curtis Fuller al trombone, Cedar
Walton al pianoforte, Reggie Workman
al contrabbasso, oltre a Blakey alla battera. I ragazzi di Blakey vinsero la
sfida e ne furono orgogliosi tanto che Wayne Shorter ricordò quel contest per
gli anni a venire. Comunque il sestetto di Adderley, pur sconfitto, sfoderò una
performance maiuscola con Joe Zawinul sugli scudi.
Nel 1964 Polillo e Maffei
fecero di necessità virtù. Dal momento che
i soldi per ingaggiare l’intera orchestra di Duke Ellington non erano
sufficienti, il Duca venne invitato ad esibirsi in ottetto. In questa
formazione ridotta i vari Jonny Hodges,
Harry Carney , Lawrence Brown, Paul Gonsalves, veri pilastri dell’orchestra, ebbero modo,
sollecitati da Ellington, di sfoggiare le loro doti solistiche. Ne uscì un concerto stimolante. Fra l’altro la
band ellingtoniana si esibì al Teatro Ariston,
luogo che decenni dopo sarebbe diventata la casa del festival canoro.
Purtroppo la manifestazione jazzistica
sanremese fu sempre considerata dalle
autorità cittadine una versione bastarda del festival di Sanremo vero e
proprio. Non sopportavano che nella kermesse jazzistica non ci fossero né vincitori
né vinti, che non ci fossero interessi economici da tutelare, era tutto alla
luce del sole senza manovre sottobanco per favorire uno piuttosto che un altro.
Fatto sta che iniziò un vero e proprio boicottaggio contro la creatura di
Maffei e Polillo.
Il giorno prima dell’ultima edizione svoltasi nel 1965 fu
comunicato che il teatro era stato dichiarato inagibile perché non aveva un
numero di uscita di sicurezza sufficiente. Uscite di sicurezza che magicamente
tornarono conformi , senza che venisse effettuato alcun lavoro, poche settimane
dopo per il festival della canzone. Inoltre gli organizzatori dovettero anticipare
il cachet ai musicisti perché i fondi non arrivarono in tempo . Fortunatamente ad
artisti già presenti, si rese disponibile un teatro attiguo più piccolo per cui
Oscar Peterson e il trio di Ornette Coleman con Dave Izenzon e Charlie
Moffet oltre agli altri musicisti
ingaggiati, poterono esibirsi
ugualmente.
Fu la goccia che fece
traboccare il vaso della pazienza Arrigo
Polillo e Pino Maffei i quali decisero di affondare la splendida macchina
jazzistica che avevano creato. Da allora il festival del jazz di Sanremo smise
le sue trasmissioni. L’immagine di quell’ultima
edizione rimanda ad un Ornette Coleman, alla prime sortite in Europa, che girava per il red carpet di Sanremo
ostentando un vistoso cappello a cilindro verde, suscitando lo stupore degli astanti e
l’interesse dei fotografi. Ma ai giornalisti che gli chiedevano un’intervista
Ornette chiedeva regolarmente dei
quattrini in cambio.
Lui si che aveva capito tutto.
Informazioni tratte dal libro "Stasera Jazz" di Arrigo Polillo (ed. Mondadori)
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