Intervenendo al meeting di Comunione e Liberazione, l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, ha spiegato che “quella alla quale stiamo assistendo in questi giorni è la contrapposizione tra due modelli: uno che si ostina a proteggere il passato, l'altro che guarda avanti. Fino a quando non ci lasciamo alle spalle i vecchi modellli, non ci sarà mai spazio per guardare i nuovi orizzonti, non siamo più negli anni '60 e occorre abbandonare il modello di pensiero che vede una lotta fra capitale e lavoro e fra padroni e operai”.
Quante volte, anche a sinistra, abbiamo sentito in fondo ripetere questo motivo, a mo' di ritornello. In realtà, finché si resta nel campo delle opinioni, ognuno ha la sua. I numeri invece hanno la pessima abitudine a prestarsi molto meno a farsi manipolare, così possiamo scoprire che se un operaio del nuovo stabilimento serbo della Fiat guadagna dai 200 ai 400 euro al mese e uno italiano in media mille e 200, i vertici del Gruppo, Marchionne e Montezemolo, in piena crisi capitalistica mondiale, viaggiano sui 5 milioni di euro.
Lo stesso concetto lo ha espresso in questi giorni la Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, che, forte dei suoi 17 conti in Svizzera, afferma che quello che serve è un nuovo patto sociale per legare i salari dei lavoratori ai risultati aziendali: '”Vogliamo andare nella direzione di aumentare i salari se però uniti a maggiore produttivita, per farlo non basta lavorare solo sul contratto nazionale, perché le realtà sono diverse e bisogna lavorare azienda per azienda'”.
Peccato che anche qui i fatti smentiscano le teorie e i voli pindarici di questi rapaci chiacchieroni, visto che, se il potere d'acquisto dei salari – sempre che l'economia vada bene - è fermo al palo, i compensi dei manager aumentano all'infinito. La lotta di classe c'è, perché esistono le classi, piaccia o no a Marchionne.
Peccato che anche qui i fatti smentiscano le teorie e i voli pindarici di questi rapaci chiacchieroni, visto che, se il potere d'acquisto dei salari – sempre che l'economia vada bene - è fermo al palo, i compensi dei manager aumentano all'infinito. La lotta di classe c'è, perché esistono le classi, piaccia o no a Marchionne.
Il piano della grande borghesiaMarchionne e la Marcegaglia dicono la stessa cosa: occorre abolire il Contratto Nazionale di Lavoro, il vecchio, per lasciare spazio al nuovo che avanza. Ovvero, deregolamentazione totale dei vecchi contratti (la Newco Fiat slegata da Confindustria e Federmeccanica) e varo del nuovo modello che prevede la quota di salario fissa portata al minimo in favore di quella variabile (legata ai premi e all'andamento del mercato), quando non direttamente a contratti individuali.
E' questo il senso dell'Accordo sul nuovo modello contrattuale siglato da governo, Confindustria e sindacati collaborazionisti (Cisl e Uil in testa) e di tutta l'operazione Marchionne che punta a stracciare il Contratto Nazionale di Lavoro dei metalmeccanici, prima a Pomigliano e poi in tutte le aziende del gruppo, col plauso dell'illustre (per la borghesia) senatore del Pd Pietro Ichino.
Nel caso qualcuno osi provare a ostacolare in qualsiasi modo il grande manovratore, sono pronte due vecchie ricette tanto care ai padroni (che, anche se non esistono più... sanno come farsi rispettare): il ricatto (la chiusura degli stabilimenti) e i licenziamenti (poi, se dovesse servire in autunno, anche i manganelli della polizia).
E' questo il senso dell'Accordo sul nuovo modello contrattuale siglato da governo, Confindustria e sindacati collaborazionisti (Cisl e Uil in testa) e di tutta l'operazione Marchionne che punta a stracciare il Contratto Nazionale di Lavoro dei metalmeccanici, prima a Pomigliano e poi in tutte le aziende del gruppo, col plauso dell'illustre (per la borghesia) senatore del Pd Pietro Ichino.
Nel caso qualcuno osi provare a ostacolare in qualsiasi modo il grande manovratore, sono pronte due vecchie ricette tanto care ai padroni (che, anche se non esistono più... sanno come farsi rispettare): il ricatto (la chiusura degli stabilimenti) e i licenziamenti (poi, se dovesse servire in autunno, anche i manganelli della polizia).
Lo stabilimento serbo di KragujevacIl “nuovo che avanza” ovviamente non prevede affatto il sindacato, nemmeno quello rinunciatario che, di fronte al mancato rispetto della decisione del giudice di reintegrare i tre lavoratori ingiustamente licenziati di Melfi, non trova di meglio che indire 2 ore di sciopero e di fronte a un attacco senza precedenti alla classe operaia avanza l'idea di una manifestazione (di sabato, quindi niente sciopero!) per il 16 ottobre.
Questa è infatti una delle principali ragioni che hanno spinto Marchionne a investire 1 miliardo di euro nello stabilimento di Kragujevac, in Serbia. Lì i sindacati semplicemente non esistono. Oltre, ovviamente, al risparmio sul salario (un operaio serbo guadagna la metà di un polacco e un quinto di un italiano) e del fatto che, in virtù dell'accordo siglato due anni fa tra Belgrado e Fiat, lo Stato serbo si incaricherà dei costi della bonifica dello stabilimento (operazione molto costosa, visto che nell'area gli aerei “umanitari” della Nato -ai tempi del governo D'Alema- hanno scaricato centinaia di tonnellate di bombe e veleni) e cede la proprietà alla Fiat. La vecchia Zastava impiegava quasi 3 mila dipendenti, di cui solo un terzo sarà riassunto in breve tempo dalla Fiat, mentre il resto è a libro paga dello stato (la Serbia). Di più, per ogni assunzione, il Lingotto riceverà 10 mila euro di finanziamento pubblico. Una vera gallina dalle uova d'oro che consentirà il doppio risultato di avere da una parte (in Italia) rinvigorito lo spauracchio della delocalizzazione e dall'altra (la competizione nel mercato mondiale) concluso un affare esemplare.
Questa è infatti una delle principali ragioni che hanno spinto Marchionne a investire 1 miliardo di euro nello stabilimento di Kragujevac, in Serbia. Lì i sindacati semplicemente non esistono. Oltre, ovviamente, al risparmio sul salario (un operaio serbo guadagna la metà di un polacco e un quinto di un italiano) e del fatto che, in virtù dell'accordo siglato due anni fa tra Belgrado e Fiat, lo Stato serbo si incaricherà dei costi della bonifica dello stabilimento (operazione molto costosa, visto che nell'area gli aerei “umanitari” della Nato -ai tempi del governo D'Alema- hanno scaricato centinaia di tonnellate di bombe e veleni) e cede la proprietà alla Fiat. La vecchia Zastava impiegava quasi 3 mila dipendenti, di cui solo un terzo sarà riassunto in breve tempo dalla Fiat, mentre il resto è a libro paga dello stato (la Serbia). Di più, per ogni assunzione, il Lingotto riceverà 10 mila euro di finanziamento pubblico. Una vera gallina dalle uova d'oro che consentirà il doppio risultato di avere da una parte (in Italia) rinvigorito lo spauracchio della delocalizzazione e dall'altra (la competizione nel mercato mondiale) concluso un affare esemplare.
Unire le lotteLa portata di questa vicenda, come è evidente, va ben oltre i singoli stabilimenti della Fiat e ben oltre il Gruppo Fiat stesso.
In gioco c'è il futuro della classe operaia. Nessun risultato può essere ottenuto se la mobilitazione non coinvolgerà tutti gli stabilimenti Fiat (in Italia e nel mondo, visto che all'estero i metodi di Pomigliano sono già stati sperimentati con successo, in Polonia come in Brasile, dove vige un regime di autentico terrore). E' necessario che tutti i lavoratori del gruppo lottino per la stessa causa. Di più, questa vicenda, come dimostrato, è il cavallo di troia della grande borghesia per distruggere il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. Non è un caso che Bonanni sia stato indicato da Tremonti come “uomo di Stato, che ha profondo senso della responsabilità politica”, lasciando presagire per lui un futuro posto nell'Esecutivo.
Per questa ragione la lotta alla Fiat sarà un banco di prova fondamentale per tutta la classe operaia. Su questa vicenda è necessario costruire la piattaforma che può e deve unificare il proletariato attorno a parole d'ordine transitorie per fronteggiare la crisi e combattere il nemico comune. Che è lo stesso che vuole privatizzare la scuola, che vuole sfruttare i lavoratori sino al limite della resistenza umana, che li getta via quando non servono più, che li vuole precari, senza diritti e senza casa. Lo stesso padrone che aizza i proletari l'uno contro l'altro, nativi e immigrati, fomentando una guerra tra poveri di cui lui solo può trarre vantaggio.
La sfida che ci attende è immensa. Gli sciopericchi e le manifestazioni di sabato non servono a niente. Occorre una prova di forza generale che, a partire dall'occupazione di tutti gli stabilimenti del gruppo Fiat, dìa il via ad una nuova stagione di lotte operaie che arrivi sino alla cacciata di Berlusconi e al varo di un governo dei lavoratori per i lavoratori.
Anche se oggi il proletariato appare prostrato e succube del padronato, in realtà quello che manca è una direzione che dica che tutto questo si può fare, basta organizzarsi. Il nemico non è invincibile.
In gioco c'è il futuro della classe operaia. Nessun risultato può essere ottenuto se la mobilitazione non coinvolgerà tutti gli stabilimenti Fiat (in Italia e nel mondo, visto che all'estero i metodi di Pomigliano sono già stati sperimentati con successo, in Polonia come in Brasile, dove vige un regime di autentico terrore). E' necessario che tutti i lavoratori del gruppo lottino per la stessa causa. Di più, questa vicenda, come dimostrato, è il cavallo di troia della grande borghesia per distruggere il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. Non è un caso che Bonanni sia stato indicato da Tremonti come “uomo di Stato, che ha profondo senso della responsabilità politica”, lasciando presagire per lui un futuro posto nell'Esecutivo.
Per questa ragione la lotta alla Fiat sarà un banco di prova fondamentale per tutta la classe operaia. Su questa vicenda è necessario costruire la piattaforma che può e deve unificare il proletariato attorno a parole d'ordine transitorie per fronteggiare la crisi e combattere il nemico comune. Che è lo stesso che vuole privatizzare la scuola, che vuole sfruttare i lavoratori sino al limite della resistenza umana, che li getta via quando non servono più, che li vuole precari, senza diritti e senza casa. Lo stesso padrone che aizza i proletari l'uno contro l'altro, nativi e immigrati, fomentando una guerra tra poveri di cui lui solo può trarre vantaggio.
La sfida che ci attende è immensa. Gli sciopericchi e le manifestazioni di sabato non servono a niente. Occorre una prova di forza generale che, a partire dall'occupazione di tutti gli stabilimenti del gruppo Fiat, dìa il via ad una nuova stagione di lotte operaie che arrivi sino alla cacciata di Berlusconi e al varo di un governo dei lavoratori per i lavoratori.
Anche se oggi il proletariato appare prostrato e succube del padronato, in realtà quello che manca è una direzione che dica che tutto questo si può fare, basta organizzarsi. Il nemico non è invincibile.
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