Comunicato della Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel (PACBI)
7 settembre 2010
In seguito al recente annuncio dell’inaugurazione di un centro culturale all’interno di Ariel, la colonia ebraica quarta per grandezza nel territorio palestinese occupato, 150 importanti accademici, scrittori e figure di intellettuali israeliani hanno dichiarato che “non prenderanno parte ad alcuna attività culturale che si svolga al di là della Linea Verde, non parteciperanno ad alcun dibattito o seminario o conferenza in qualsiasi ambito accademico all’interno degli insediamenti” ("150 academics, artists back actors' boycott of settlement arts center," Haaretz, 31 August 2010).
Alcuni di loro sono arrivati al punto di ripetere un dato di fatto, che cioè tutte le colonie israeliane costruite su terra palestinese occupata rappresentano una violazione della Quarta Convenzione di Ginevra e che ciò costituisce un crimine di guerra.
Questa presa di posizione assunta da decine di accademici e artisti israeliani ha suscitato un vespaio di polemiche nella sfera pubblica israeliana, attirandosi il rimprovero trasversale dell’intero quadro politico e specialmente dell’establishment accademico e culturale. Tutti i maggiori teatri si sono affrettati a dichiarare il loro rifiuto di boicottare Ariel motivandolo con il pretesto di dover essere al servizio “di tutti gli israeliani”. Gli amministratori delle università hanno fatto eco a queste dichiarazioni o hanno scelto il silenzio, continuando a fare affari come sempre con Ariel e gli altri insediamenti. I termini della querelle tuttavia, pongono una serie di problemi ai sostenitori dei diritti dei palestinesi. Nello stesso momento in cui diamo il benvenuto ad azioni di protesta dirette contro qualsiasi manifestazione del regime israeliano di colonialismo e apartheid, noi crediamo che questi atti debbano essere moralmente coerenti e saldamente ancorati al diritto internazionale e ai diritti umani universali.
Innanzitutto pensiamo che focalizzare l’attenzione esclusivamente sulle istituzioni degli insediamenti porti ad ignorare e a mettere in ombra la complicità di tutte le istituzioni accademiche e culturali nel sostenere il sistema di controllo coloniale e di apartheid sotto il quale il popolo palestinese soffre. PACBI ritiene che sia assolutamente evidente la collusione tra l’establishment accademico e culturale israeliano e i principali organi oppressivi dello stato israeliano. Focalizzare l’attenzione unicamente su istituzioni chiaramente complici, quali i centri culturali di una colonia della Cisgiordania, serve solo a proteggere dall’obbrobrio le principali istituzioni israeliane e, in ultima analisi, dal crescente movimento di boicottaggio globale che in modo consistente prende di mira tutte le istituzioni complici.
Inoltre, la scelta di un approccio che mira ad un ben noto insediamento coloniale nel cuore della Cisgiordania occupata, distoglie l’attenzione da altre istituzioni costruite su terre occupate. Si dovrebbe chiedere ai sostenitori di questo boicottaggio particolarmente selettivo: è accettabile invece tenere una conferenza o fare uno spettacolo nella Hebrew University, il cui campus situato sul Monte Scopus occupa terra palestinese nella Gerusalemme Est?
Se ciò che guida questo movimento è l’opposizione all’occupazione militare israeliana, allora come mai è stato ignorato, tanto per fare un esempio, il deprecabile soffocamento di istituzioni culturali nella Gerusalemme occupata? Nel 2009, la Lega Araba con il supporto dell’UNESCO ha dichiarato Gerusalemme “capitale culturale araba” per quell’anno. Le celebrazioni che durante l’anno dovevano tenersi in vari punti della città per evidenziare il ruolo storico e culturale di Gerusalemme all’interno della società palestinese ed oltre, sono state bloccate e talvolta fisicamente aggredite dalle forze di sicurezza israeliane, nel perenne sforzo di soffocare qualsiasi espressione dell’identità palestinese all’interno della città occupata. Con delle scene degne dei romanzi di Kafka, delle attività organizzate in ogni parte di Gerusalemme Est sono state senza esitazione cancellate, per cui artisti, scrittori e intellettuali palestinesi hanno dovuto far ricorso a tecniche underground, clandestine, per celebrare il patrimonio culturale e popolare della città.
Se dietro al recente appello di boicottaggio diretto contro Ariel c’è il ruolo degli artisti e degli intellettuali in quanto voci della ragione morale, noi chiediamo: dov’erano queste voci nel momento in cui istituzioni accademiche e culturali venivano senza alcuna giustificazione distrutte durante la guerra israeliana di aggressione contro Gaza del 2008-2009?
Non è passato inosservato in Israele il fatto che il movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) stia acquistando sempre più peso a livello internazionale come maniera efficace di resistere all’oppressione coloniale israeliana. In questo contesto, ci si può perdonare l’affermazione che tutti questi recenti tentativi di restringere il mirino del boicottaggio contro Israele non siano altro che il tentativo deliberato di evitare un danno più grande. Risulta quindi ancora più urgente ribadire la coerenza morale delle ragioni e dei principi della campagna di boicottaggio palestinese contro Israele.
I principi del movimento del BDS nascono dalle richieste dell’Appello palestinese al BDS, firmato da più di 150 organizzazioni della società civile palestinese nel luglio 2005, e, relativamente al campo accademico e culturale, dall’Appello palestinese al boicottaggio accademico e culturale di Israele, lanciato un anno prima nel luglio 2004. Questi due appelli al BDS ed al PACBI insieme rappresentano i documenti strategici più autorevoli e con il più ampio consenso che siano emersi in Palestina da decenni; tutte le parti politiche, le organizzazioni sindacali, studentesche, e delle donne, i gruppi dei rifugiati all’interno del mondo arabo li hanno sottoscritti e li sostengono. Entrambi gli appelli sottolineano la prevalente opinione palestinese che la più efficace forma di solidarietà internazionale con il popolo palestinese siano l’azione diretta e la continua pressione mirata a porre fine al regime coloniale e di apartheid israeliano, così come il regime di apartheid del Sudafrica fu abolito, attraverso l’isolamento internazionale di Israele condotto per mezzo del boicottaggio e delle sanzioni, forzando Israele ad obbedire alle leggi internazionali e a rispettare i diritti dei Palestinesi.
Chiediamo a coloro che proclamano di avere a cuore la coerente applicazione del diritto internazionale e il primato dei diritti umani, di riconoscere l’insieme delle complicità accademiche e culturali invece di andar dietro solo al dettaglio di un caso isolato come Ariel, e di agire di conseguenza.
Questo documento della Campagna Palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele (PACBI) è stato pubblicato per la prima volta nel numero di sett. 2010 del Bollettino del BRICUP, British Committee for Universities for Palestine (BRICUP) newsletter. E’stato ripreso e pubblicato sul sito www.electronicintifada.org il 7.09.2010.
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