di Francesco Ricci (PdaC)
Si approfondisce la crisi dei partiti borghesi Ma la soluzione verrà dalle lotte, non dalle urne.
Elezioni amministrative. Alcune considerazioni. L'alta astensione, così come il successo delle liste del comico Beppe Grillo, sono un sintomo della crisi acuta del sistema politico della borghesia, che sta perdendo credibilità non solo e non tanto per gli scandali che lo avvolgono, per la corruzione che trasuda da ogni parte, ma soprattutto perché conduce una guerra sociale (i "piani di austerità") per scaricare la crisi del capitalismo sulle masse popolari.
In particolare, come sempre nel sistema dell'alternanza borghese (come si vede nel resto d'Europa), le elezioni penalizzano in primo luogo i partiti che hanno governato per ultimi. In questo quadro va letto il vero e proprio crollo del Pdl berlusconiano e della Lega Nord.
In ogni caso non sarà dalle urne (né queste né quelle delle prossime elezioni politiche) che potrà uscire una soluzione per i lavoratori. Le prossime elezioni politiche, dopo la "parentesi" di Monti, con ogni probabilità, segneranno solo il nuovo passaggio di testimone tra i due schieramenti dell'alternanza, e il prossimo governo nazionale proseguirà l'attacco ai lavoratori per recuperare i profitti padronali, come conferma il fatto che il governo Monti e la sua politica di macelleria sociale godono oggi del sostegno congiunto di Pdl, Pd e "terzo polo".
La crisi dei riformisti, la prospettiva dei rivoluzionari
La sinistra socialdemocratica, Sel di Vendola e Prc (quest'ultimo continua, anche sul piano elettorale, a scivolare sempre più giù), si prepara a sostenere il prossimo governo di centrosinistra: così come in queste elezioni amministrative ha stretto alleanze di governo praticamente ovunque (a parte Frosinone ndr) col Pd. La logica governista di questa sinistra, l'ossessione per le poltrone e gli sgabelli borghesi che nutrono i gruppi dirigenti burocratici di quella che viene chiamata "sinistra radicale", non sono solo perdenti ma appaiono tanto più grottesche a fronte dell'attacco violentissimo e aperto sferrato dai governi della
borghesia e della nuova situazione di ascesa delle lotte in Europa e nel mondo che apre la strada a una ripresa delle lotte nelle piazze anche in Italia.
Il Pdac e il risultato importante di Verona
L'alternativa vera, di classe, va cercata fuori dalle urne. Come Pdac pensiamo che la scelta di partecipare alle elezioni sia meramente tattica: per questo di volta in volta valutiamo se e come presentarci. In quest'ottica anche a queste elezioni abbiamo partecipato col solo scopo di usare quello che è un gioco truccato della borghesia e delle sue istituzioni: per dare visibilità alle lotte dei lavoratori e delle classi subalterne. A queste amministrative abbiamo presentato liste del partito a Lecce e a Verona. E il nostro risultato era già conseguito prima dell'apertura delle urne perché, in entrambe le situazioni, siamo riusciti a interloquire con centinaia di lavoratori e di giovani, usando la campagna elettorale per fare propaganda su un programma coerentemente rivoluzionario. A Verona attorno alla candidatura di Ibrahima si è coagulato un settore importante di lavoratori e, in particolare, di lavoratori dello strato più oppresso, quello degli immigrati. La candidatura stessa ha avuto una grande visibilità nazionale: essendo nei fatti la cosa di cui più si è parlato a sinistra, nazionalmente.
Pur vedendo nel mero dato numerico una questione secondaria, in quanto siamo interessati a tradurre la battaglia propagandistica in nuove energie militanti per la costruzione del partito rivoluzionario, dobbiamo segnalare, a fianco della percentuale nella media dell'estrema sinistra da noi conseguita a Lecce, il dato significativo raggiunto dal nostro candidato Ibrahima Barry a Verona. Nella città dominata dalla Lega Nord e dalla destra razzista, pur scontando il fatto che molti attivisti e sostenitori del Pdac non potevano votare, in quanto immigrati privi di cittadinanza, pur avendo avviato la costruzione della nostra sezione locale solo da qualche mese, pur avendo potuto investire nella campagna elettorale solo qualche centinaio di euro raccolti in una scatola di cartone ai presidi, Ibrahima Barry prende lo 0,7% e circa mille voti (si noti che Rifondazione e Pdci, nonostante i mezzi superiori e la visibilità mediatica nazionale, prendono, insieme, lo 0,9%). Mille voti a un candidato immigrato, operaio, trotskista, e a un programma rivoluzionario che parla di abbattimento del sistema capitalistico. E' l'evidente riflesso, per quanto proveniente da quello specchio deformato e falsante che sono le elezioni borghesi, perlomeno di una simpatia vasta raccolta in questa difficilissima (e talvolta anche rischiosa) campagna elettorale.
Le lotte sono la prospettiva dei rivoluzionari
Se, come altri a sinistra del Prc, fossimo interessati al grottesco gioco dei numeri elettorali, dovremmo oggi dire che il Pdac prende -e nella città più difficile- il voto più alto, in percentuale e numeri, a sinistra di Rifondazione. E' un fatto. Ma non è a fatti di questo tipo che guardano i rivoluzionari. I fatti che ci interessano sono la costruzione di nuove lotte unitarie, dei lavoratori nativi e immigrati; il rafforzamento di quel partito rivoluzionario che ancora non c'è e che è indispensabile per sviluppare le lotte, su scala nazionale e internazionale, in una prospettiva di rovesciamento di questo sistema sociale e politico.
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