Continua la “Battaglia delle pance vuote” così in Palestina è conosciuta la lotta dei prigionieri politici palestinesi che a partire dal 17 aprile in 1500 hanno iniziato uno sciopero della fame, per il miglioramento delle durissime condizioni carcerarie e per la fine dell’odiosa pratica della detenzione amministrativa.
Lo sciopero della fame è ormai arrivato al 14 ° giorno, e va crescendo, ad oggi sono oltre 2300 gli scioperanti, un segnale chiarissimo della capacità di resistenza che sta crescendo tra gli oltre 4300 detenuti palestinesi. Tra questi Ahmad Sa'adat leader del FPLP le cui condizioni a seguito dello sciopero della fame si sono aggravate ed è stato trasferito nel carcere di Ramleh .
Con questa forma di lotta pacifica e drammatica, negli ultimi mesi i prigionieri politici palestinesi hanno portato lo scontro con l’occupante israeliano fin dentro le carceri, lanciando al tempo stesso un indicazione di unità e di resistenza verso il proprio popolo. Già ad ottobre dello scorso anno centinaia di prigionieri palestinesi iniziarono a rifiutare il cibo per tre settimane. E’ stata poi la volta di Kadher Adnan che ha resistito per più di 64 giorni nel suo sciopero della fame contro l’ennesimo arresto arbitrario e preventivo a cui era sottoposto, seguito da Hana Shalabi una donna che è stata rilasciata ed esiliata dopo oltre 40 giorni di digiuno politico. I prigionieri palestinesi insieme alle associazioni di sostegno come Addameer e la Palestinians’ Prisoners Society , chiedono:
- La fine della detenzione amministrativa; Il diritto alle visite per famiglie dei prigionieri della Striscia di Gaza, a cui questo diritto è negato da oltre 6 anni;
- Il miglioramento delle condizioni di vita dei prigionieri e la fine della legge 'Shalit', che priva i detenuti palestinesi dell’accesso ai giornali e ai media, e persino del materiale didattico .
- La fine alle le politiche di umiliazione inflitte ai detenuti e alle loro famiglie, quali perquisizioni corporali, le irruzioni notturne nelle celle e le punizioni collettive.
Dalle carceri israeliane i resistenti palestinesi chiedono la solidarietà internazionale, il sostegno alla loro lotta e la denuncia della macchina repressiva israeliana che si fa ogni giorno più dura. Dinanzi ai preparativi di possibile conflitto con l’Iran, e più in generale di fronte al quadro di instabilità e di tendenza alla guerra i palestinesi rappresentano, per i governanti sionisti, il fronte interno e quindi una popolazione estranea da tenere brutalmente sotto controllo. Come per altri aspetti, la comunità internazionale ossia l’Unione Europea e gli Stati Uniti, lasciano mano libera all’alleato israeliano che può così rafforzare la sua occupazione.
Questa lotta dei prigionieri palestinesi rappresenta una tappa del movimento di liberazione nazionale, ma a differenza di altre del passato si svolge in uno scenario inedito per difficoltà e contesto internazionale . Il movimento che si sta sviluppando nelle prigioni israeliane, sta crescendo per influenza e capacità organizzativa, tanto che nel secondo comunicato del Supremo Comitato Direttivo questi conferma la prosecuzione e l’estensione del movimento di protesta finché le richieste non saranno accolte.
Il Primo Maggio in Palestina è stata la giornata dei lavoratori e dei prigionieri, è stata l’ennesima giornata di resistenza popolare contro l’occupazione israeliana con manifestazioni in molte città e villaggi palestinesi.
Il movimento di solidarietà internazionalista è chiamato a sostenere come ha fatto nella giornata del 17 aprile la lotta dei prigionieri politici palestinesi
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