Qualche riflessione:
Rimanere nell’Euro significa subire l’erosione dei salari e
una regime fiscale a favore delle imprese per mantenere la competitività. Inoltre bisogna fare i conti con la deflazione che
comporta la stagnazione dei prezzi favorendo la speculazione finanziaria che
prospera investendo a tassi di interesse
superiori alla variazione dei prezzi.
Risultato: ci guadagna il capitalismo
finanziario, ci perde il mondo del lavoro e gran parte della popolazione.
Uscire dall’euro significa subire gli effetti
della svalutazione della moneta indirizzata al recupero della competitività
delle imprese, una ripresa dell’inflazione e, dal momento che non esiste una dinamica di adeguamento
dei salari all’aumento dei prezzi,
determinato dalla crescita del costo delle materie prime, si realizzerebbe ugualmente l’erosione del
potere d’acquisto dei salari, senza
contare che riprenderebbe a piè sospinto la speculazione valutaria,
grande fonte di accumulazione da parte dei grandi potentati finanziari. Risultato
anche in questo caso ci guadagna il capitalismo finanziario e ci perdono i
lavoratori e gran parte della popolazione .
Probabilmente
uscendo dall’euro potrebbe essere più semplice rigettare le politiche cravattare
dal fiscal compact, ma il debito non è che scompare per incanto e neanche il
Fondo Monetario sparisce, pronto a sostituirsi alle vessazioni che oggi
derivano dai trattati. Dunque a me
sembra che la questione, se rimanere o meno nell’euro, non sia così
fondamentale infatti a rimetterci, in un caso o nell’altro, è sempre la stessa
categoria di persone, cioè chi non
possiede fondi d’investimento depositati in qualche banca d’affari.
Capisco
anche che in termini mediatici, soprattutto in vista della campagna elettorale per le elezioni europee ,
sia molto più semplice ridurre tutto ad una faccenda: euro si, euro no, ma il problema vero è un
altro. E’ frustrante dover scegliere fra
morire di deflazione o morire di inflazione, non sarebbe meglio scegliere di
vivere? E per vivere bisogna minare alla
base il sistema su cui poggia tutta la
costruzione. Il sistema cioè che pone le
leggi del mercato come uniche regole della vita di tutti noi.
Tale principio sta alla base del TFUE
(trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) in cui è auspicata la competitività fra le
nazioni secondo i dettami del libero mercato.
In realtà un modello di società
regolata da tali principi è ciò che hanno sempre perseguito e
ottenuto i signori del capitalismo
finanziario e delle multinazionali, cioè quell’1% della popolazione che depreda
il restante 99%.
Se non si mette
seriamente in discussione questo caposaldo solidamente sedimentato anche nelle
forze riformiste non ha alcun senso auspicare gli Stati Uniti d’Europa, basati
sulla solidarietà fra le nazioni. Anzi impostare il proprio programma
elettorale su questa prospettiva, condendola magari con la rinegoziazione dei trattati
europei è fuorviante. Né giovano le spinte sovraniste o
nazionaliste, tese alla riconquista della sovranità nazionale, monetaria o
identitaria che sia. Il capitalismo finanziario ha sempre tratto
linfa dalle divisioni e dalle diseguaglianze che queste determinano fra nazioni
o parti di società.
E’ inutile girarci
intorno. Per tornare a respirare è necessario abbattere il capitalismo
finanziario e per farlo è necessaria una Unione non espressione di confederazione
di Stati ma espressione di classe sociale. E’ fondamentale che oltre le sovranità, i nazionalismi, oltre i confini statuali, si realizzi l’unità
del 99% contro i predatori dell 1%. E’ sulla realizzazione di questa unità che quei
partiti, che ancora si riconoscono nei valori del predominio del
lavoro sulla finanza, della solidarietà sociale, se ancora esistono, dovrebbero
battersi e chiedere il consenso ai cittadini per una società più giusta,
non solo europea.
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