Qualcuno ricorderà la parodia del “bleus” di Tony
Santagata. Il cantante pugliese si
affannava a dimostrare come il “bleus”
fosse nato a Bari. Si esibiva con la chitarra suonando il gospel, Oh, when the saints go marching in, cambiando però le
parole, per cui il pezzo diventata Ti si magnete
li strascenete culi cim de rep.
Quella di Santagata è una bouatade, ma non del
tutto campata in aria. Può sembrare strano ma il blues, chiamiamolo col suo
nome vero, si basa su un forte caposaldo
culturale. Quell’influenza musicale arabo-mussulmana, che mise le sue prime radici nell’area del Mediterraneo e in
particolare nel meridione d’Italia, fra il 690 e il 1072 dc. Quella stessa influenza era radicata in molte etnie musulmane che
popolavano la savana sub-sahariana . I negrieri , inglesi, portoghesi e olandesi,
all’epoca della tratta degli schiavi con
l’America, spesso preferivano comprare gli schiavi, da mercanti arabi, i quali, attingevano in quella
zona d’Africa che comprendeva Mahli, il nord del Ghana e della Nigeria, il
Gambia il Senegal e il sud del Niger. Le razzie dei negrieri in realtà
colpivano anche le etnie residenti nella porzione costiera, corrispondente agli
attuali stati della Liberia, Sierra
Leone, Costa D’Avorio, Ghana, Togo, Nigeria e Camerun sudoccidentale. Queste popolazioni avevano un altro tipo di costruzione
musicale. Esse si esprimevano
essenzialmente con la forza delle percussioni, a differenza delle etnie di influenza arabo-musulmana che privilegiavano
forme vocali, una delle più tipiche era il maqam-saba.
Secondo il musicologo
inglese Paul Oliver ad influire sul jazz vero e proprio furono le poliritmie
tipiche delle popolazioni costiere, mentre a dar forma al blues furono litanie, canti e
musiche delle popolazioni sub-sahariane dell’interno, quelle di
influenza musulmana. Molte cronache
sudiste dell’epoca riferiscono della massiccia presenza di schiavi musulmani. Questi avevano portato dall’Africa numerosi strumenti musicali della tradizione araba come liuti e
fiati. Gli stessi strumenti che si suonavano
nell’Italia meridionale ben prima dell'anno mille . Ciò fu determinante per la diffusione,
nel sud d’Italia degli stessi capisaldi armonici presenti nell’Africa
sub-sahariana. Quindi arriviamo, più o
meno, alla stessa conclusione suggestiva di
Tony Santagata per cui il folklore
musicale calabrese, napoletano, pugliese, siciliano è molto più simile a quello
afroamericano di quanto non si creda. In molti jazzisti italo-americani si
nota infatti, epidermicamente, una tendenza alla bemollizzazione delle note, alle intonazioni calanti, in definitiva al blues, che non può essere casuale.
In realtà gli schiavi africani, una volta sbarcati in America venivano privati
dei loro strumenti, per cui l’espressione musicale delle etnie musulmane
rimaneva esclusivamente vocale. Gli
schiavi , che erano riusciti a reperire qualche strumento o a costruirne
dei poveri surrogati, provavano ad esprimere il proprio atavismo utilizzando la
metrica musicale di bianchi. Ma ciò era impossibile, o quanto meno complicato.
Perché le intonazioni oscillanti, l’iterazione cantilenante del canto di
derivazione araba potevano essere espresse strumentalmente utilizzando la scala
pentatonica africana, anziché quella
diatonica tipica della tradizione europea. Si crearono in tal modo le caratteristiche
note blues che, per convenzione, si indicano nella bemollizzazione del mi e del
si. La “bemollizzazione” è una definizione musicale europea non proprio
esatta per descrivere il fenomeno delle “note blues”, di fatto note “di mezzo”
assai vaghe e strascicate, con un’intonazione influenzata dalle spiccate
caratteristiche di “parlato”.
Queste espressioni armoniche si contaminarono con la
vasta gamma di soluzioni ritmiche proprie delle popolazioni deportate dalle
zone africane costiere, dando origine ad
una forma originale, quale il blues arcaico. Una musica dalle forti rivendicazioni sociali. Longstreet e Dauner ne “il dizionario del jazz” (Il saggiatore) scrissero: “Il blues è ironico, sarcastico, tragicomico,
di accusa, ma non è mai lacrimevole, nostalgico e ancor meno sentimentale. Temi
preferiti sono la donna e l’uomo
abbandonati, la povertà, la posizione sociale, la discriminazione razziale.
Soprattutto in questo ultimo caso ci si serve di una satira mordace con
frequenti allusioni a problemi di attualità e politici.”
Sapere che forti
elementi costitutivi del blues erano presenti nel Mediterraneo e nell’Italia meridionale,
è l’ennesima dimostrazione di come la cultura, la musica, non conosca confini. Non ci sono steccati che possano fermarla. E per tutti coloro che pretendono di impedire, attraverso muri e barriere, l'approdo in Europa delle migliaia di persone che scappano dalla guerra, o dalle zone flagellate dagli interessi del capitalismo finanziario,
questa è una brutta notizia, perché come dimostra la storia del blues , l’integrazione
è un processo irreversibile. Si può rallentare a prezzo di sanguinosi e criminali genocidi, ma non si può fermare.
Il brano che segue può essere indicativo di come agiscano le influenze
arabe sull’armonia blues. Si tratta di
Empty Bank, un pezzo tratto dalla colonna sonora del film di Dennis
Hopper, The Hot Spot, realizzato nel 1990. Non
una pellicola memorabile, ma la colonna sonora, composta da Jack Nitzsche , vede protagonisti musicisti e blues man eccezionali. L’immenso
Miles Davis alla tromba , Joe Lee
Hooker, chitarra e voce, quindi i chitarristi Taj Mahal e Roy Rogers, straordinario con la slide guitar, il bassista Tim Brown, il batterista Earl
Brown .
Good Vibrations
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