E' un delirio, è il delirio di un pazzo!"
(A. Bogdanov, menscevico, parlando di Lenin e delle Tesi di Aprile)
(A. Bogdanov, menscevico, parlando di Lenin e delle Tesi di Aprile)
di Francesco Ricci
E' il 3 aprile 1917 (16 aprile del nostro calendario) quando il cosiddetto "treno blindato" che ospita Lenin, Zinoviev, la Krupskaja, Inessa Armand, Radek e altri arriva alla stazione Finlandia. Ad accoglierlo c'è una delegazione del soviet di Pietrogrado, guidata dal menscevico Cheidze che pronuncia un discorso di benvenuto. Lenin gli volta le spalle e si rivolge alla folla. Scrive Trotsky: "Il discorso che Lenin pronunciò alla stazione Finlandia sulla natura socialista della rivoluzione russa fu una bomba per molti dirigenti del partito [bolscevico, ndr]." (1)
Lenin espone nuovamente la sua posizione a 200 militanti che, la sera del 3 aprile, lo ascoltano a Pietrogrado. Tra loro c'è anche Nicolaj Soukhanov (menscevico internazionalista) che nelle sue Memorie così racconta l'effetto che fece quel discorso: "(...) sembrava che tutti gli elementi fossero usciti dai loro rifugi e che lo spirito di distruzione universale, che non conosceva né limiti né dubbi (...) si librasse nella sala (...)." Quando Lenin finisce di parlare, ci sono applausi ma i dirigenti bolscevichi presenti hanno lo sguardo smarrito.
Lenin ha indicato al contempo un cambio di strategia e la necessità, per realizzare la nuova linea, di distruggere l'influenza schiacciante dei menscevichi e dei Socialisti-Rivoluzionari nei soviet (i bolscevichi sono in quel momento una piccola minoranza). Il caso vuole che proprio il giorno successivo sia organizzata una riunione per avanzare verso la riunificazione tra bolscevichi e menscevichi...
Soukhanov, che assiste, scrive: "A questa riunione (...) Lenin apparve come l'incarnazione vivente della scissione e tutto il senso del suo intervento consisteva in primo luogo nel seppellire l'idea dell'unificazione." (2)
Lenin espone nuovamente la sua posizione a 200 militanti che, la sera del 3 aprile, lo ascoltano a Pietrogrado. Tra loro c'è anche Nicolaj Soukhanov (menscevico internazionalista) che nelle sue Memorie così racconta l'effetto che fece quel discorso: "(...) sembrava che tutti gli elementi fossero usciti dai loro rifugi e che lo spirito di distruzione universale, che non conosceva né limiti né dubbi (...) si librasse nella sala (...)." Quando Lenin finisce di parlare, ci sono applausi ma i dirigenti bolscevichi presenti hanno lo sguardo smarrito.
Lenin ha indicato al contempo un cambio di strategia e la necessità, per realizzare la nuova linea, di distruggere l'influenza schiacciante dei menscevichi e dei Socialisti-Rivoluzionari nei soviet (i bolscevichi sono in quel momento una piccola minoranza). Il caso vuole che proprio il giorno successivo sia organizzata una riunione per avanzare verso la riunificazione tra bolscevichi e menscevichi...
Soukhanov, che assiste, scrive: "A questa riunione (...) Lenin apparve come l'incarnazione vivente della scissione e tutto il senso del suo intervento consisteva in primo luogo nel seppellire l'idea dell'unificazione." (2)
Imparando dalla Comune di Parigi
Ma facciamo un passo indietro. Subito dopo aver appreso dello scoppio della rivoluzione di febbraio, Lenin inizia dall'esilio svizzero una battaglia per modificare radicalmente la strategia del partito. Per prima cosa il 6 marzo invia al partito questo telegramma: "Nostra tattica: sfiducia completa, nessun appoggio al nuovo governo: sospettare in particolare di Kerensky; armamento del proletariato, sola garanzia (...) nessun riavvicinamento con altri partiti." (3)
Nel mese di marzo scrive le Lettere da lontano (la Pravda ne pubblicherà solo una, tagliandola). Al centro di queste lettere e dei fondamentali testi successivi, tra cui spiccano le Tesi di Aprile, di cui ci occuperemo tra poco, c'è l'esempio della Comune di Parigi che Lenin è tornato a studiare in quei mesi, mentre sta compilando il cosiddetto Quaderno azzurro (Il marxismo e lo Stato), una raccolta di citazioni commentate di tutti i concetti espressi da Marx ed Engels in relazione al tema dello Stato, lavoro che gli servirà per scrivere Stato e rivoluzione (4).
La rivoluzione che si sta sviluppando in Russia, afferma Lenin, è una rivoluzione socialista. Per questo l'obiettivo della rivoluzione è "spezzare lo Stato borghese", così come fecero gli operai parigini, e sostituire a esso la dittatura del proletariato. Cioè non si tratta di cambiare il conduttore della vecchia macchina statale ma di distruggerla e di sostituirla con una completamente nuova. Ma per arrivare a questo obiettivo è necessario affermare la più completa indipendenza del proletariato dalla borghesia e dal governo provvisorio, che è un governo borghese nonostante sia sostenuto dai Soviet (in cui hanno la maggioranza i Socialisti-Rivoluzionari e i menscevichi).
Ma facciamo un passo indietro. Subito dopo aver appreso dello scoppio della rivoluzione di febbraio, Lenin inizia dall'esilio svizzero una battaglia per modificare radicalmente la strategia del partito. Per prima cosa il 6 marzo invia al partito questo telegramma: "Nostra tattica: sfiducia completa, nessun appoggio al nuovo governo: sospettare in particolare di Kerensky; armamento del proletariato, sola garanzia (...) nessun riavvicinamento con altri partiti." (3)
Nel mese di marzo scrive le Lettere da lontano (la Pravda ne pubblicherà solo una, tagliandola). Al centro di queste lettere e dei fondamentali testi successivi, tra cui spiccano le Tesi di Aprile, di cui ci occuperemo tra poco, c'è l'esempio della Comune di Parigi che Lenin è tornato a studiare in quei mesi, mentre sta compilando il cosiddetto Quaderno azzurro (Il marxismo e lo Stato), una raccolta di citazioni commentate di tutti i concetti espressi da Marx ed Engels in relazione al tema dello Stato, lavoro che gli servirà per scrivere Stato e rivoluzione (4).
La rivoluzione che si sta sviluppando in Russia, afferma Lenin, è una rivoluzione socialista. Per questo l'obiettivo della rivoluzione è "spezzare lo Stato borghese", così come fecero gli operai parigini, e sostituire a esso la dittatura del proletariato. Cioè non si tratta di cambiare il conduttore della vecchia macchina statale ma di distruggerla e di sostituirla con una completamente nuova. Ma per arrivare a questo obiettivo è necessario affermare la più completa indipendenza del proletariato dalla borghesia e dal governo provvisorio, che è un governo borghese nonostante sia sostenuto dai Soviet (in cui hanno la maggioranza i Socialisti-Rivoluzionari e i menscevichi).
Quando Lenin diventò... "trotskista"
Non è possibile apprezzare la profondità della svolta proposta da Lenin se non si ricorda quale era la posizione precedente, sostenuta per anni dai bolscevichi.
Dall'inizio del secolo vi erano tre differenti concezioni della futura rivoluzione russa (5).
I menscevichi, in nome di una presunta "ortodossia marxista" (in realtà travisando Marx e attribuendogli una concezione evoluzionistica non dialettica della storia), ritenevano che la Russia dovesse passare per uno stadio di sviluppo capitalistico, di industrializzazione, prima di poter arrivare - dopo un considerevole lasso di tempo - alla rivoluzione socialista. Dunque avrebbe dovuto esserci dapprima una rivoluzione borghese, per liberare il Paese dalle catene dello zarismo, diretta dalla borghesia, con il sostegno del proletariato come alleato subordinato e con la socialdemocrazia nel ruolo di ala sinistra e pungolo del "fronte democratico" diretto dai liberali; dopo secoli di sviluppo capitalistico, sarebbe arrivata l'ora della rivoluzione socialista.
La posizione di Trotsky si collocava al polo opposto: riteneva incapace la borghesia nazionale di realizzare gli obiettivi democratici e per questo prefigurava una rivoluzione socialista, guidata dal proletariato che avrebbe egemonizzato i contadini poveri, per instaurare la dittatura del proletariato e assolvere, senza soluzione di continuità, i compiti democratici e (nel quadro internazionale di allargamento della rivoluzione) quelli socialisti (l'esproprio della grande industria, ecc.). Ciò sarebbe stato possibile perché lo "sviluppo diseguale e combinato" della società e della rivoluzione a livello internazionale avrebbe consentito alla Russia (come agli altri Paesi arretrati) di "saltare" alcuni passaggi, rompendo uno schema "evoluzionistico" a tappe, sostituito dalla "rivoluzione permanente".
In mezzo si collocava la posizione di Lenin e dei bolscevichi: rivoluzione borghese "portata fino in fondo" ma (vista l'incapacità della borghesia nazionale, legata con mille fili al capitalismo straniero) con una direzione in mano al proletariato e ai contadini (in una alleanza "algebrica", per riprendere la critica di Trotsky), per instaurare una "dittatura democratica degli operai e dei contadini", cioè non una dittatura del proletariato ma una repubblica dentro i limiti della democrazia borghese, preludio di un successivo rapido sviluppo verso la rivoluzione socialista (i tempi sarebbero stati dettati dalla rivoluzione in Europa). Lenin credeva dunque, come i menscevichi, a una rivoluzione borghese: ma a differenza dei menscevichi pensava a un'altra direzione, una direzione degli operai e dei contadini, indipendente dalla borghesia; pensava a un altro programma, incentrato sulla confisca delle terre ai nobili; e pensava a una tempistica diversa da quella ipotizzata dai menscevichi: non ci sarebbero stati secoli a separare questa prima rivoluzione dalla successiva rivoluzione socialista.
Ma la rivoluzione di febbraio fu la conferma (almeno per chi voleva ragionare) che l'unica concezione corretta e praticabile era quella di Trotsky. Per garantire l'assolvimento degli obiettivi democratici (rivoluzione agraria, riduzione della giornata lavorativa, pace, Assemblea costituente) era necessario instaurare preliminarmente la dittatura del proletariato (sostenuto dai contadini poveri), basata sui soviet: e dunque bisognava rovesciare il governo borghese che costituiva un ostacolo sulla via del pieno potere dei soviet.
Lenin non esitò ad abbandonare la vecchia teoria e, con grande scandalo di molti, iniziò a difendere, nei fatti, la teoria che da oltre dieci anni aveva elaborato Trotsky. Per questo, commenta Trotsky: "Nulla di strano che le Tesi di Aprile di Lenin siano state condannate come trotskiste." (6)
Non è possibile apprezzare la profondità della svolta proposta da Lenin se non si ricorda quale era la posizione precedente, sostenuta per anni dai bolscevichi.
Dall'inizio del secolo vi erano tre differenti concezioni della futura rivoluzione russa (5).
I menscevichi, in nome di una presunta "ortodossia marxista" (in realtà travisando Marx e attribuendogli una concezione evoluzionistica non dialettica della storia), ritenevano che la Russia dovesse passare per uno stadio di sviluppo capitalistico, di industrializzazione, prima di poter arrivare - dopo un considerevole lasso di tempo - alla rivoluzione socialista. Dunque avrebbe dovuto esserci dapprima una rivoluzione borghese, per liberare il Paese dalle catene dello zarismo, diretta dalla borghesia, con il sostegno del proletariato come alleato subordinato e con la socialdemocrazia nel ruolo di ala sinistra e pungolo del "fronte democratico" diretto dai liberali; dopo secoli di sviluppo capitalistico, sarebbe arrivata l'ora della rivoluzione socialista.
La posizione di Trotsky si collocava al polo opposto: riteneva incapace la borghesia nazionale di realizzare gli obiettivi democratici e per questo prefigurava una rivoluzione socialista, guidata dal proletariato che avrebbe egemonizzato i contadini poveri, per instaurare la dittatura del proletariato e assolvere, senza soluzione di continuità, i compiti democratici e (nel quadro internazionale di allargamento della rivoluzione) quelli socialisti (l'esproprio della grande industria, ecc.). Ciò sarebbe stato possibile perché lo "sviluppo diseguale e combinato" della società e della rivoluzione a livello internazionale avrebbe consentito alla Russia (come agli altri Paesi arretrati) di "saltare" alcuni passaggi, rompendo uno schema "evoluzionistico" a tappe, sostituito dalla "rivoluzione permanente".
In mezzo si collocava la posizione di Lenin e dei bolscevichi: rivoluzione borghese "portata fino in fondo" ma (vista l'incapacità della borghesia nazionale, legata con mille fili al capitalismo straniero) con una direzione in mano al proletariato e ai contadini (in una alleanza "algebrica", per riprendere la critica di Trotsky), per instaurare una "dittatura democratica degli operai e dei contadini", cioè non una dittatura del proletariato ma una repubblica dentro i limiti della democrazia borghese, preludio di un successivo rapido sviluppo verso la rivoluzione socialista (i tempi sarebbero stati dettati dalla rivoluzione in Europa). Lenin credeva dunque, come i menscevichi, a una rivoluzione borghese: ma a differenza dei menscevichi pensava a un'altra direzione, una direzione degli operai e dei contadini, indipendente dalla borghesia; pensava a un altro programma, incentrato sulla confisca delle terre ai nobili; e pensava a una tempistica diversa da quella ipotizzata dai menscevichi: non ci sarebbero stati secoli a separare questa prima rivoluzione dalla successiva rivoluzione socialista.
Ma la rivoluzione di febbraio fu la conferma (almeno per chi voleva ragionare) che l'unica concezione corretta e praticabile era quella di Trotsky. Per garantire l'assolvimento degli obiettivi democratici (rivoluzione agraria, riduzione della giornata lavorativa, pace, Assemblea costituente) era necessario instaurare preliminarmente la dittatura del proletariato (sostenuto dai contadini poveri), basata sui soviet: e dunque bisognava rovesciare il governo borghese che costituiva un ostacolo sulla via del pieno potere dei soviet.
Lenin non esitò ad abbandonare la vecchia teoria e, con grande scandalo di molti, iniziò a difendere, nei fatti, la teoria che da oltre dieci anni aveva elaborato Trotsky. Per questo, commenta Trotsky: "Nulla di strano che le Tesi di Aprile di Lenin siano state condannate come trotskiste." (6)
La riscoperta della dialettica nel marxismo
E' stato giustamente osservato da vari studiosi (7) che la svolta operata da Lenin alla stazione Finlandia fu preparata, da un punto di vista teorico, con l'immersione nello studio della Scienza della logica di Hegel che Lenin iniziò nel 1914. Uno studio di cui sentiva il bisogno per spiegare il tradimento della Seconda Internazionale di fronte alla Prima guerra mondiale e per comprendere la capitolazione completa cui erano giunti i suoi maestri di un tempo: Plechanov e Kautsky (quest'ultimo, in parallelo con la deriva burocratica della Spd, stava abbandonando progressivamente quel marxismo di cui era stato il "papa rosso" nell'Internazionale).
In quei mesi, chiuso nella biblioteca di Berna, Lenin scopre un altro Marx, ripulito dalle incrostazioni feuerbachiane, un marxismo dialettico (quello delle Tesi su Feuerbach scritte da Marx nel 1845) che nasce in rottura col "vecchio materialismo". Un marxismo basato sulla comprensione della dialettica soggetto-oggetto, privo di ogni concezione causalista, che contrasta con quel determinismo meccanico che pure lo aveva influenzato in parte per un periodo (si pensi al suo Materialismo ed empiriocriticismo, del 1909). E' la scoperta del vero Marx, travisato dai suoi discepoli e deformato dall'opportunismo della Seconda Internazionale: il Marx che afferma che "l'educatore deve essere educato" (terza delle Tesi su Feuerbach), cioè che le circostanze possono essere cambiate dall'azione umana, dalla lotta di classe, dalla praxis rivoluzionaria. Lenin ritrova il Marx che afferma che è l'uomo a fare la storia, anche se in circostanze che non ha determinato. Non vi è in questo Marx nessuna "legge dello sviluppo storico" che prescriva a ogni popolo una evoluzione lineare, nessun fatalismo.
E' la rottura col marxismo ossificato di Plechanov che, non per caso, di fronte alla rivoluzione d'Ottobre esclamerà: "E' la violazione di tutte le leggi della storia".
E' in questo passaggio cruciale, condensato nei Quaderni filosofici (8), che Lenin, alzando lo sguardo dai libri di Hegel, si impossessa della dialettica che Marx aveva ripreso da Hegel e a cui aveva conferito un carattere rivoluzionario. Lenin non deve ripartire da zero: è pur sempre colui che, dal 1902, con la sua teoria del partito d'avanguardia (che porta il socialismo "dall'esterno" dell'ordinario scontro tra le classi), implicitamente aveva rifiutato il socialismo inteso come mero prodotto della spinta di "leggi economiche". A Berna, per così dire, inizia a risolvere una contraddizione che rimaneva nel suo pensiero: la contraddizione tra concezione del partito e programma.
E' stato giustamente osservato da vari studiosi (7) che la svolta operata da Lenin alla stazione Finlandia fu preparata, da un punto di vista teorico, con l'immersione nello studio della Scienza della logica di Hegel che Lenin iniziò nel 1914. Uno studio di cui sentiva il bisogno per spiegare il tradimento della Seconda Internazionale di fronte alla Prima guerra mondiale e per comprendere la capitolazione completa cui erano giunti i suoi maestri di un tempo: Plechanov e Kautsky (quest'ultimo, in parallelo con la deriva burocratica della Spd, stava abbandonando progressivamente quel marxismo di cui era stato il "papa rosso" nell'Internazionale).
In quei mesi, chiuso nella biblioteca di Berna, Lenin scopre un altro Marx, ripulito dalle incrostazioni feuerbachiane, un marxismo dialettico (quello delle Tesi su Feuerbach scritte da Marx nel 1845) che nasce in rottura col "vecchio materialismo". Un marxismo basato sulla comprensione della dialettica soggetto-oggetto, privo di ogni concezione causalista, che contrasta con quel determinismo meccanico che pure lo aveva influenzato in parte per un periodo (si pensi al suo Materialismo ed empiriocriticismo, del 1909). E' la scoperta del vero Marx, travisato dai suoi discepoli e deformato dall'opportunismo della Seconda Internazionale: il Marx che afferma che "l'educatore deve essere educato" (terza delle Tesi su Feuerbach), cioè che le circostanze possono essere cambiate dall'azione umana, dalla lotta di classe, dalla praxis rivoluzionaria. Lenin ritrova il Marx che afferma che è l'uomo a fare la storia, anche se in circostanze che non ha determinato. Non vi è in questo Marx nessuna "legge dello sviluppo storico" che prescriva a ogni popolo una evoluzione lineare, nessun fatalismo.
E' la rottura col marxismo ossificato di Plechanov che, non per caso, di fronte alla rivoluzione d'Ottobre esclamerà: "E' la violazione di tutte le leggi della storia".
E' in questo passaggio cruciale, condensato nei Quaderni filosofici (8), che Lenin, alzando lo sguardo dai libri di Hegel, si impossessa della dialettica che Marx aveva ripreso da Hegel e a cui aveva conferito un carattere rivoluzionario. Lenin non deve ripartire da zero: è pur sempre colui che, dal 1902, con la sua teoria del partito d'avanguardia (che porta il socialismo "dall'esterno" dell'ordinario scontro tra le classi), implicitamente aveva rifiutato il socialismo inteso come mero prodotto della spinta di "leggi economiche". A Berna, per così dire, inizia a risolvere una contraddizione che rimaneva nel suo pensiero: la contraddizione tra concezione del partito e programma.
La battaglia di Lenin per "riarmare" il partito
Una parte maggioritaria del gruppo dirigente bolscevico non capisce subito la necessità della svolta indicata da Lenin.
Kamenev e Stalin, principali dirigenti che precedono l'arrivo in Russia di Lenin, rimanendo ancorati alla vecchia posizione (che peraltro deformavano ulteriormente a destra), ritengono che i bolscevichi debbano offrire un sostegno esterno al governo provvisorio "nella misura in cui" attua determinate politiche; si tratta, cioè, di fare "pressioni" sul governo. Per loro siamo al primo stadio: alla "rivoluzione democratico-borghese", mentre quella socialista potrà svilupparsi solo come secondo stadio. Dunque i bolscevichi, prima dell'arrivo di Lenin, si schierano di fatto su posizioni analoghe a quelle dei menscevichi: persino sulla questione della guerra, con la Pravda diretta da Stalin e Kamenev che ripudia il disfattismo rivoluzionario che aveva caratterizzato il bolscevismo, e con il soviet della regione di Mosca che approva, con l'appoggio dei bolscevichi, la risoluzione dei socialpatrioti sulla guerra.
Alla Conferenza nazionale del partito, che inizia a Pietrogrado il 27 marzo, Stalin presenta la relazione sul governo. Nella relazione sostiene che il governo provvisorio sta consolidando le conquiste rivoluzionarie e dunque compito del soviet è di "controllarlo" e incalzarlo. Come logica conseguenza, Stalin presenta una mozione per avviare un percorso di unificazione con i menscevichi, che è approvata con 14 voti a favore e 13 contro. Si capisce perché, una volta consolidato il potere della burocrazia, Stalin censurerà i verbali di questa Conferenza (solo dagli anni Sessanta saranno pubblicati).
Una parte maggioritaria del gruppo dirigente bolscevico non capisce subito la necessità della svolta indicata da Lenin.
Kamenev e Stalin, principali dirigenti che precedono l'arrivo in Russia di Lenin, rimanendo ancorati alla vecchia posizione (che peraltro deformavano ulteriormente a destra), ritengono che i bolscevichi debbano offrire un sostegno esterno al governo provvisorio "nella misura in cui" attua determinate politiche; si tratta, cioè, di fare "pressioni" sul governo. Per loro siamo al primo stadio: alla "rivoluzione democratico-borghese", mentre quella socialista potrà svilupparsi solo come secondo stadio. Dunque i bolscevichi, prima dell'arrivo di Lenin, si schierano di fatto su posizioni analoghe a quelle dei menscevichi: persino sulla questione della guerra, con la Pravda diretta da Stalin e Kamenev che ripudia il disfattismo rivoluzionario che aveva caratterizzato il bolscevismo, e con il soviet della regione di Mosca che approva, con l'appoggio dei bolscevichi, la risoluzione dei socialpatrioti sulla guerra.
Alla Conferenza nazionale del partito, che inizia a Pietrogrado il 27 marzo, Stalin presenta la relazione sul governo. Nella relazione sostiene che il governo provvisorio sta consolidando le conquiste rivoluzionarie e dunque compito del soviet è di "controllarlo" e incalzarlo. Come logica conseguenza, Stalin presenta una mozione per avviare un percorso di unificazione con i menscevichi, che è approvata con 14 voti a favore e 13 contro. Si capisce perché, una volta consolidato il potere della burocrazia, Stalin censurerà i verbali di questa Conferenza (solo dagli anni Sessanta saranno pubblicati).
Le Tesi di Aprile
Le Tesi di Aprile sono senza dubbio il testo più importante che sia stato scritto nei convulsi mesi della rivoluzione russa. Sono un testo breve: 10 tesi per un totale di 5 o 6 pagine, pubblicato sulla Pravda il 7 aprile (20 secondo il nostro calendario).
Rileggiamo insieme questo testo.
Tesi 1: rifiuto del "difensismo rivoluzionario" di menscevichi e Socialisti Rivoluzionari, che sostiene il proseguimento della guerra. Tesi 2: la borghesia ha scippato il potere al proletariato, in quanto quest'ultimo era insufficientemente consapevole e organizzato; bisogna rovesciare la situazione, ridando il potere al proletariato appoggiato dai contadini poveri. Non è un compito di un imprecisato futuro: è "il compito dell'attuale momento." Tesi 3: nessun appoggio (neppure critico) al governo provvisorio e anzi implacabile denuncia della sua natura di governo borghese. Rovesciando la politica seguita fin lì dalla direzione di Kamenev e Stalin, si precisa che non vanno poste condizioni al governo, non va "stimolato criticamente", perché questo significherebbe solo "seminare illusioni" sul fatto (impossibile) che un governo borghese possa conciliare gli interessi delle due classi mortalmente nemiche, borghesia e proletariato. Questa Tesi fondamentale merita un'osservazione: per Lenin non si tratta di obbedire ad astratti criteri, a un qualche dogma: il fatto è che sostenere in qualsiasi modo un governo borghese significa ostacolare la conquista del proletariato alla comprensione della necessità di "spezzare" la macchina statale borghese come passaggio ineludibile per costituire un governo "degli operai per gli operai". Tesi 4: essendo i bolscevichi "un'esigua minoranza" nei soviet rispetto "agli elementi opportunistici", bisogna "spiegare pazientemente alle masse" perché stanno seguendo una politica sbagliata e perché è necessario il passaggio "di tutto il potere statale ai soviet". Tesi 5: l'obiettivo non è una repubblica parlamentare borghese ma una repubblica dei soviet, ciò che implica lo scioglimento dei corpi repressivi, la sostituzione dell'esercito permanente con l'armamento operaio, la eleggibilità e revocabilità a tutte le funzioni. Tesi 6: confisca di tutte le grandi proprietà fondiarie e nazionalizzazione di tutte le terre sotto controllo dei soviet. Tesi 7: fusione di tutte le banche in un'unica banca nazionale posta sotto il controllo dei soviet. Tesi 8: controllo della produzione e della distribuzione da parte dei soviet. Tesi 9: coerentemente con tutto ciò, bisogna che un congresso cambi il programma e anche il nome del partito (in Partito Comunista). Tesi 10: creazione da subito di una nuova Internazionale rivoluzionaria che rompa con i riformisti e col centro di Kautsky, Cheidze, ecc. (9)
Il vecchio programma, riassunto nella "dittatura democratica degli operai e dei contadini", è liquidato da Lenin come "una formula che non serve più a niente" (sarà poi Stalin a riesumarla nel corso della degenerazione burocratica dei decenni successivi, ma questa è un'altra storia) e chi sostiene quella formula "merita di essere relegato nell'archivio delle curiosità bolsceviche pre-rivoluzionarie." (10)
Le Tesi di Aprile sono senza dubbio il testo più importante che sia stato scritto nei convulsi mesi della rivoluzione russa. Sono un testo breve: 10 tesi per un totale di 5 o 6 pagine, pubblicato sulla Pravda il 7 aprile (20 secondo il nostro calendario).
Rileggiamo insieme questo testo.
Tesi 1: rifiuto del "difensismo rivoluzionario" di menscevichi e Socialisti Rivoluzionari, che sostiene il proseguimento della guerra. Tesi 2: la borghesia ha scippato il potere al proletariato, in quanto quest'ultimo era insufficientemente consapevole e organizzato; bisogna rovesciare la situazione, ridando il potere al proletariato appoggiato dai contadini poveri. Non è un compito di un imprecisato futuro: è "il compito dell'attuale momento." Tesi 3: nessun appoggio (neppure critico) al governo provvisorio e anzi implacabile denuncia della sua natura di governo borghese. Rovesciando la politica seguita fin lì dalla direzione di Kamenev e Stalin, si precisa che non vanno poste condizioni al governo, non va "stimolato criticamente", perché questo significherebbe solo "seminare illusioni" sul fatto (impossibile) che un governo borghese possa conciliare gli interessi delle due classi mortalmente nemiche, borghesia e proletariato. Questa Tesi fondamentale merita un'osservazione: per Lenin non si tratta di obbedire ad astratti criteri, a un qualche dogma: il fatto è che sostenere in qualsiasi modo un governo borghese significa ostacolare la conquista del proletariato alla comprensione della necessità di "spezzare" la macchina statale borghese come passaggio ineludibile per costituire un governo "degli operai per gli operai". Tesi 4: essendo i bolscevichi "un'esigua minoranza" nei soviet rispetto "agli elementi opportunistici", bisogna "spiegare pazientemente alle masse" perché stanno seguendo una politica sbagliata e perché è necessario il passaggio "di tutto il potere statale ai soviet". Tesi 5: l'obiettivo non è una repubblica parlamentare borghese ma una repubblica dei soviet, ciò che implica lo scioglimento dei corpi repressivi, la sostituzione dell'esercito permanente con l'armamento operaio, la eleggibilità e revocabilità a tutte le funzioni. Tesi 6: confisca di tutte le grandi proprietà fondiarie e nazionalizzazione di tutte le terre sotto controllo dei soviet. Tesi 7: fusione di tutte le banche in un'unica banca nazionale posta sotto il controllo dei soviet. Tesi 8: controllo della produzione e della distribuzione da parte dei soviet. Tesi 9: coerentemente con tutto ciò, bisogna che un congresso cambi il programma e anche il nome del partito (in Partito Comunista). Tesi 10: creazione da subito di una nuova Internazionale rivoluzionaria che rompa con i riformisti e col centro di Kautsky, Cheidze, ecc. (9)
Il vecchio programma, riassunto nella "dittatura democratica degli operai e dei contadini", è liquidato da Lenin come "una formula che non serve più a niente" (sarà poi Stalin a riesumarla nel corso della degenerazione burocratica dei decenni successivi, ma questa è un'altra storia) e chi sostiene quella formula "merita di essere relegato nell'archivio delle curiosità bolsceviche pre-rivoluzionarie." (10)
L'arrivo di Trotsky: "il migliore dei bolscevichi"
Il 12 aprile la Pravda pubblica un articolo di Kamenev che critica le Tesi e che precisa che quella di Lenin è una posizione personale, non del partito. Kamenev aggiunge che la linea di Lenin è inaccettabile perché propone l'immediata trasformazione della rivoluzione in rivoluzione socialista: qualcosa che a Kamenev (e non solo a lui) ricorda molto la posizione da sempre sostenuta da Trotsky che i bolscevichi avevano combattuto.
Nei giorni seguenti Lenin inizia una dura battaglia di frazione e riesce a guadagnare il sostegno di una parte importante dei quadri operai, i quali peraltro (si pensi agli operai di Vyborg, colonna dorsale del partito) avevano già espresso aspre critiche verso la linea della Pravda. Ma ci vuole tempo: non vince subito. Nella prima votazione, nel Comitato di Pietrogrado, il 12 aprile, le Tesi sono respinte con 13 voti contro, 2 a favore e 1 astensione. Una settimana dopo, in una conferenza della regione di Pietrogrado, Lenin batte Kamenev con 20 voti contro 6 e 9 astensioni. Infine, alla VII Conferenza panrussa del partito (Pietrogrado, 24-29 aprile) le Tesi di Lenin guadagnano la maggioranza. Tuttavia, anche qui, una risoluzione specifica sul tema del "carattere" socialista della rivoluzione prende solo 71 voti su 118 (11): una parte del partito è ancora ferma al vecchio "completare la rivoluzione democratica", di conseguenza questa ala del partito (tra cui spiccano Kamenev, Rykov, Nogin; mentre Stalin si è nel frattempo riallineato alla linea risultata maggioritaria) ritiene che il ruolo dei soviet sia di semplice "controllo" del potere che deve rimanere al governo provvisorio.
Sul tema del cambio di nome del partito, che ha proposto per demarcarsi ancora più nettamente dai menscevichi, Lenin raccoglie il suo solo voto. Non è una vittoria semplice, dunque, ed è certo favorita dal fatto che il governo provvisorio andava incontro a una prima profonda crisi, con manifestazioni di opposizione nelle strade. Ma, soprattutto, come nota Trotsky (12) la vittoria di Lenin sulla destra del partito è favorita dal fatto che, di là dalla formula programmatica sbagliata della "dittatura democratica", il partito bolscevico si preparava da quindici anni a prendere la testa del proletariato nella lotta per il potere e per questo nella pratica, superando la propria stessa direzione, i militanti già agivano inconsapevolmente in un'altra prospettiva, che Lenin illuminerà con le Tesi di Aprile.
Nel frattempo, il 4 (17 con il nuovo calendario) maggio anche Trotsky arriva a Pietrogrado, dopo aver passato i primi mesi dell'anno a New York, in seguito all'espulsione da Spagna e Francia, e dopo un mese agli arresti nel campo militare di Amhrest da cui viene liberato in seguito a una campagna del soviet di Pietrogrado. Già nelle prime settimane dopo lo scoppio della rivoluzione aveva scritto una gran quantità di articoli (in gran parte pubblicati sul periodico in lingua russa Novyj Mir) dove riprendeva la sua teoria della "rivoluzione permanente" e la sviluppava nel quadro concreto: opposizione inconciliabile al governo provvisorio come premessa indispensabile per consegnare tutto il potere ai soviet e dunque sviluppare la rivoluzione socialista.
Quando arriva in Russia, Trotsky inizia la collaborazione con Lenin che porterà alla fusione degli Interdistrettuali (13) con i bolscevichi.
Mentre Lenin ha superato il suo programma "centrista" della "dittatura democratica", Trotsky ha superato le sue critiche "centriste" al partito di tipo bolscevico e ha abbandonato l'unitarismo: è in effetti dal 1914 che sta gradualmente modificando posizione per giungere "alla conclusione che c'era necessità non solo di una battaglia ideologica contro il menscevismo (...) ma anche di una rottura organizzativa senza compromessi con esso." (14).
Così, mentre la "rivoluzione permanente" non è più vista (almeno fino all'avvio della stalinizzazione nel 1924) come un'idea specifica di Trotsky, ma diventa pratica e patrimonio del bolscevismo e della successiva (1919) Internazionale Comunista, Trotsky diviene (definizione di Lenin) "il migliore dei bolscevichi".
Il 12 aprile la Pravda pubblica un articolo di Kamenev che critica le Tesi e che precisa che quella di Lenin è una posizione personale, non del partito. Kamenev aggiunge che la linea di Lenin è inaccettabile perché propone l'immediata trasformazione della rivoluzione in rivoluzione socialista: qualcosa che a Kamenev (e non solo a lui) ricorda molto la posizione da sempre sostenuta da Trotsky che i bolscevichi avevano combattuto.
Nei giorni seguenti Lenin inizia una dura battaglia di frazione e riesce a guadagnare il sostegno di una parte importante dei quadri operai, i quali peraltro (si pensi agli operai di Vyborg, colonna dorsale del partito) avevano già espresso aspre critiche verso la linea della Pravda. Ma ci vuole tempo: non vince subito. Nella prima votazione, nel Comitato di Pietrogrado, il 12 aprile, le Tesi sono respinte con 13 voti contro, 2 a favore e 1 astensione. Una settimana dopo, in una conferenza della regione di Pietrogrado, Lenin batte Kamenev con 20 voti contro 6 e 9 astensioni. Infine, alla VII Conferenza panrussa del partito (Pietrogrado, 24-29 aprile) le Tesi di Lenin guadagnano la maggioranza. Tuttavia, anche qui, una risoluzione specifica sul tema del "carattere" socialista della rivoluzione prende solo 71 voti su 118 (11): una parte del partito è ancora ferma al vecchio "completare la rivoluzione democratica", di conseguenza questa ala del partito (tra cui spiccano Kamenev, Rykov, Nogin; mentre Stalin si è nel frattempo riallineato alla linea risultata maggioritaria) ritiene che il ruolo dei soviet sia di semplice "controllo" del potere che deve rimanere al governo provvisorio.
Sul tema del cambio di nome del partito, che ha proposto per demarcarsi ancora più nettamente dai menscevichi, Lenin raccoglie il suo solo voto. Non è una vittoria semplice, dunque, ed è certo favorita dal fatto che il governo provvisorio andava incontro a una prima profonda crisi, con manifestazioni di opposizione nelle strade. Ma, soprattutto, come nota Trotsky (12) la vittoria di Lenin sulla destra del partito è favorita dal fatto che, di là dalla formula programmatica sbagliata della "dittatura democratica", il partito bolscevico si preparava da quindici anni a prendere la testa del proletariato nella lotta per il potere e per questo nella pratica, superando la propria stessa direzione, i militanti già agivano inconsapevolmente in un'altra prospettiva, che Lenin illuminerà con le Tesi di Aprile.
Nel frattempo, il 4 (17 con il nuovo calendario) maggio anche Trotsky arriva a Pietrogrado, dopo aver passato i primi mesi dell'anno a New York, in seguito all'espulsione da Spagna e Francia, e dopo un mese agli arresti nel campo militare di Amhrest da cui viene liberato in seguito a una campagna del soviet di Pietrogrado. Già nelle prime settimane dopo lo scoppio della rivoluzione aveva scritto una gran quantità di articoli (in gran parte pubblicati sul periodico in lingua russa Novyj Mir) dove riprendeva la sua teoria della "rivoluzione permanente" e la sviluppava nel quadro concreto: opposizione inconciliabile al governo provvisorio come premessa indispensabile per consegnare tutto il potere ai soviet e dunque sviluppare la rivoluzione socialista.
Quando arriva in Russia, Trotsky inizia la collaborazione con Lenin che porterà alla fusione degli Interdistrettuali (13) con i bolscevichi.
Mentre Lenin ha superato il suo programma "centrista" della "dittatura democratica", Trotsky ha superato le sue critiche "centriste" al partito di tipo bolscevico e ha abbandonato l'unitarismo: è in effetti dal 1914 che sta gradualmente modificando posizione per giungere "alla conclusione che c'era necessità non solo di una battaglia ideologica contro il menscevismo (...) ma anche di una rottura organizzativa senza compromessi con esso." (14).
Così, mentre la "rivoluzione permanente" non è più vista (almeno fino all'avvio della stalinizzazione nel 1924) come un'idea specifica di Trotsky, ma diventa pratica e patrimonio del bolscevismo e della successiva (1919) Internazionale Comunista, Trotsky diviene (definizione di Lenin) "il migliore dei bolscevichi".
Un indispensabile insegnamento per l'oggi
Per concludere, è interessante chiedersi: che posizione avrebbe assunto, se fosse stata presente ai fatti, tutta quella sinistra, italiana e mondiale, che sta ricordando il centesimo anniversario dell'Ottobre (Rifondazione persino dedicando al 1917 la propria tessera del 2017)? La risposta a noi sembra certa: una parte maggioritaria avrebbe sostenuto il governo provvisorio, partecipandovi con propri ministri; un'altra parte (che noi definiamo "centrista", cioè semi-riformista) avrebbe dato un sostegno "critico" al governo, promettendo alle masse la possibilità di condizionarlo con l'azione di piazza. Mentre solo una piccola parte della sinistra mondiale (di certo la Lit-Quarta Internazionale, e chi altri?) si sarebbe attenuta alle indicazioni di quel telegramma di Lenin: nessun appoggio al governo, nessun riavvicinamento alla sinistra che sostiene il governo.
Ci sbagliamo? No, e la riprova viene dalla semplice osservazione di quello che ha fatto negli ultimi decenni tutta la sinistra, con l'eccezione nostra. E' sufficiente vedere la politica di Rifondazione Comunista in questo quarto di secolo: col sostegno ai due governi Prodi e la partecipazione diretta al governo dell'imperialismo con un proprio ministro (Paolo Ferrero, attuale segretario del partito). O ancora, si può guardare a come tutta la sinistra riformista e semi-riformista si è ritrovata unita in questi ultimi anni nell'indicare nel governo borghese greco "di sinistra" di Tsipras un modello da imitare. Lo stesso hanno fatto con i governi del Pt in Brasile: indicati come l'esempio della possibilità di governare il capitalismo diversamente, conciliando gli interessi delle classi.
Non sono queste le prove certe che tutta questa sinistra, se si fosse trovata nella rivoluzione del 1917, sarebbe stata dal lato opposto di Lenin?
Nel fare questa constatazione bisogna aggiungere che quando parliamo dei governi Prodi, di Lula-Dilma, di Tsipras non stiamo parlando di governi nati da una rivoluzione e sostenuti dai soviet, come quelli a cui i bolscevichi fecero in ogni caso opposizione nel 1917! In questo senso bisogna concludere che il riformismo odierno si colloca a un gradino ancora più basso di quel riformismo menscevico che secondo la celebre definizione di Trotsky si era guadagnato il diritto a finire nell'immondezzaio della storia.
Dunque le Tesi di Aprile continuano, un secolo dopo, a essere un testo scandaloso per i riformisti. Mentre l'Ottobre è celebrato come un glorioso evento del passato, svuotato dei suoi insegnamenti. Quegli insegnamenti di cui dobbiamo invece riappropriarci perché la classe operaia possa incamminarsi, con le lotte e la rivoluzione, verso un nuovo Ottobre.
Per concludere, è interessante chiedersi: che posizione avrebbe assunto, se fosse stata presente ai fatti, tutta quella sinistra, italiana e mondiale, che sta ricordando il centesimo anniversario dell'Ottobre (Rifondazione persino dedicando al 1917 la propria tessera del 2017)? La risposta a noi sembra certa: una parte maggioritaria avrebbe sostenuto il governo provvisorio, partecipandovi con propri ministri; un'altra parte (che noi definiamo "centrista", cioè semi-riformista) avrebbe dato un sostegno "critico" al governo, promettendo alle masse la possibilità di condizionarlo con l'azione di piazza. Mentre solo una piccola parte della sinistra mondiale (di certo la Lit-Quarta Internazionale, e chi altri?) si sarebbe attenuta alle indicazioni di quel telegramma di Lenin: nessun appoggio al governo, nessun riavvicinamento alla sinistra che sostiene il governo.
Ci sbagliamo? No, e la riprova viene dalla semplice osservazione di quello che ha fatto negli ultimi decenni tutta la sinistra, con l'eccezione nostra. E' sufficiente vedere la politica di Rifondazione Comunista in questo quarto di secolo: col sostegno ai due governi Prodi e la partecipazione diretta al governo dell'imperialismo con un proprio ministro (Paolo Ferrero, attuale segretario del partito). O ancora, si può guardare a come tutta la sinistra riformista e semi-riformista si è ritrovata unita in questi ultimi anni nell'indicare nel governo borghese greco "di sinistra" di Tsipras un modello da imitare. Lo stesso hanno fatto con i governi del Pt in Brasile: indicati come l'esempio della possibilità di governare il capitalismo diversamente, conciliando gli interessi delle classi.
Non sono queste le prove certe che tutta questa sinistra, se si fosse trovata nella rivoluzione del 1917, sarebbe stata dal lato opposto di Lenin?
Nel fare questa constatazione bisogna aggiungere che quando parliamo dei governi Prodi, di Lula-Dilma, di Tsipras non stiamo parlando di governi nati da una rivoluzione e sostenuti dai soviet, come quelli a cui i bolscevichi fecero in ogni caso opposizione nel 1917! In questo senso bisogna concludere che il riformismo odierno si colloca a un gradino ancora più basso di quel riformismo menscevico che secondo la celebre definizione di Trotsky si era guadagnato il diritto a finire nell'immondezzaio della storia.
Dunque le Tesi di Aprile continuano, un secolo dopo, a essere un testo scandaloso per i riformisti. Mentre l'Ottobre è celebrato come un glorioso evento del passato, svuotato dei suoi insegnamenti. Quegli insegnamenti di cui dobbiamo invece riappropriarci perché la classe operaia possa incamminarsi, con le lotte e la rivoluzione, verso un nuovo Ottobre.
Note(1) Lev Trotsky, Le lezioni dell'Ottobre (Prospettiva edizioni, 1998, pag. 220).
(2) N. Soukhanov, "Le discours de Lénine du 3 avril 1917", pubblicato nei Cahiers du Mouvment Ouvrier, n. 27, 2005, direzione di J.J. Marie. Nostra traduzione dal francese.
Vari passaggi della testimonianza di Soukhanov sono ripresi anche da Trotsky in Stalin (1940) e soprattutto nella Storia della rivoluzione russa (qui e in seguito citiamo l'edizione Mondadori, 1969).
(3) Citato da Trotsky in Storia della rivoluzione russa, vol. I, pag. 320. Il telegramma, scritto in francese, fu spedito a Stoccolma ai bolscevichi in partenza per la Russia e venne letto a Pietrogrado il 26 marzo in una riunione dei membri del CC bolscevico presenti in Russia.
(4) Per un'analisi delle Lettere da lontano e del riferimento alla Comune di Parigi ci permettiamo di rinviare al nostro recente articolo: "1871-1917: Due rivoluzioni allo specchio. Perché i bolscevichi studiarono la Comune di Parigi per fare l'Ottobre", versione in italiano dell'articolo pubblicato sul sito della Lit-Quarta Internazionale col titolo: "1871-1917: ¿Por qué los bolcheviques estudiaron la Comuna de París para hacer el Octubre?"
(5) Abbiamo ricostruito questo dibattito, in forma ben più approfondita di quanto sia possibile nello spazio di questo articolo, nel nostro: "Che cosa è la teoria della rivoluzione permanente" in Trotskismo oggi n. 1, settembre 2011.
(6) Lev Trotsky, Storia della rivoluzione russa, vol. I, pag. 347.
(7) Pensiamo a vari studi di Michael Lowy, tra cui "De la Grande logique de Hegel à la gare finlandaise de Petrograd" in Dialectique et révolution (Anthropos, 1973) o al più recente e interessante (per quanto non condividiamo alcune conclusioni) Kevin Anderson, Lenin, Hegel and Western Marxism (University of Illinois Press, 1995).
(8) V.I. Lenin, Quaderni filosofici, in Opere complete, volume 38 (Editori Riuniti, 1966).
(9) V.I. Lenin, Tesi di Aprile, in Opere complete, volume 24, pagg. 10 e sgg (Editori Riuniti, 1966).
(10) Le espressioni che abbiamo posto tra virgolette in questa frase sono utilizzate da Lenin nelle Lettere sulla tattica (Opere complete, volume 24, pag. 33 e sgg.).
(11) Per un'analisi dettagliata delle diverse votazioni svoltesi nella Conferenza di Aprile si veda: Marcel Liebman, La révolution russe (Marabout Université, 1967); o anche Jean Jacques Marie, Lénine (Balland, 2004).
(12) Su tutta la questione relativa alle Tesi di Aprile e alla battaglia nel partito rinviamo alla migliore storia del 1917 esistente, quella di Lev Trotsky: Storia della rivoluzione russa e in particolare, per i temi che qui trattiamo, a due capitoli del primo volume: "I bolscevichi e Lenin" e "Il riarmo del partito".
(13) Gli interdistrettuali o Mezhraionka, un'organizzazione di circa 4000-5000 militanti, in realtà costituiva più un coordinamento di ex menscevichi ed ex bolscevichi che un partito. Ne facevano parte anche Ioffe, Lunacharsky, Antonov-Ovseenko, Urickij. Per un approfondimento si veda: Ian D. Thatcher, "The St. Petersburg/Petrograd Mezhraionka, 1913-1917: The Rise and Fall of a Movement for Social-Democratic Unity" in Slavonic & East European Review, 87, 2009.
(14) Su questo v. Lev Trotsky, "Il riarmo del partito", in Storia della rivoluzione russa (pag. 342-360).
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