Siamo il cambiamento che vogliamo realizzare”: con questo slogan si potrebbe
sintetizzare la vivace rottura che il movimento studentesco rappresenta oggi in
Italia, un movimento che pur mancando di compattezza e omogeneità, è la punta
avanzata di questo autunno di lotte. Le masse studentesche che abbiamo visto
nelle piazze delle ultime settimane sono un fluido vivificante nell’atmosfera
finora abbastanza sottotono del conflitto sociale nel nostro Paese. Le
responsabilità del mancato slancio conflittuale in Italia sono da imputare non
tanto a un presunto carattere conservatore del “popolo” nostrano (come ci
propone la retorica “da bar”, qualunquista e rassegnata) quanto all’opportunismo
delle burocrazie sindacali, che attualmente paralizzano le lotte, sfiancandole e
portandole ad un sistematico fallimento. Certo, anche in Italia si sono accesi
nell’ultimo periodo, focolai di lotta molto avanzati e in polemica con i gruppi
dirigenti sindacali (di Cgil e Fiom in primis): è il caso dei comitati operai di
Pioltello e Basiano, degli operai Fiom (e ora anche Cub) della Ferrari di
Modena, o del Comitato lavoratori liberi e pensanti dell’Ilva di Taranto. Ma si
tratta per ora di casi isolati, l’eccezione in una situazione conflittuale che
esiste ma che tuttavia è imparagonabile con le ben più combattive lotte condotte
in Spagna e Grecia. In questo quadro che per il momento ci pone, assieme alla
Germania, in coda allo sviluppo del conflitto sociale in Europa, noi studenti
non ci siamo fatti fermare, invadendo piazze, scuole e università, opponendoci
alla privatizzazione dei saperi e alla dismissione dell’istruzione pubblica,
opponendoci al governo Monti e agli interessi della Troika che tali politiche
impone, promuovendo occupazioni, assemblee, autogestioni, subendo una
repressione selvaggia e una criminalizzazione politica da parte di tutte le
forze politiche (“democratiche” comprese). Questo percorso, fatto anche di
debolezze, divisioni, settarismi che non manchiamo di denunciare, si è
esplicitato in due momenti significativi: le mobilitazioni nazionali del 5 e 12
ottobre, e lo sciopero generale europeo di mercoledì scorso.
Inizia l’Autunno degli studenti tra l’entusiasmo generale e il deficit organizzativo
Il 5 ottobre ha visto la prima mobilitazione studentesca di questo autunno, indetta nazionalmente dall’area della "autorganizzazione" (centri sociali, collettivi autonomi) per quanto riguarda gli studenti medi. Si sono avuti numerosi cortei in tutto il Paese, alcuni dei quali incappati in una dura repressione poliziesca: è il caso di Roma, Milano e soprattutto Torino, dove il governo Monti ha subito mostrato un rigido volto antidemocratico davanti alle giuste rivendicazioni studentesche. Rivendicazioni come il ritiro del ddl Profumo e della legge 953, meglio conosciuta come Legge Aprea, che pone il sigillo sulla privatizzazione della scuola e abolisce di fatto la rappresentanza studentesca. Riforme varate sulla base delle linee guida dell’Unione europea e che riflettono la più generale politica di austerità e rigore voluta dal capitale internazionale per far fronte alla sua crisi.
La risposta degli studenti è stata vivace ma
tuttavia ancora marginale (complessivamente la partecipazione non è stata buona:
circa 3000 a Roma, un migliaio a Milano, 900 a Napoli e 500 a Torino per citare
solo le piazze principali). La vaghezza, in alcuni casi l’assenza, di una
precisa piattaforma rivendicativa e la disorganizzazione del movimento,
evidenziano chiaramente l’incapacità politica dell’Autonomia di dirigere la
lotta in una concreta prospettiva di rottura, oltre al nocivo settarismo che
viene ispirato talvolta rispetto alle altre organizzazioni del movimento; senza
dimenticare quel fastidioso e aprioristico antipartitismo che contraddistingue
purtroppo un settore delle masse studentesche e che favorisce il radicarsi di
pulsioni anarcoidi votate alla mera spettacolarità: quell’estetica del conflitto
che ha raggiunto l’apice della tristezza nel corteo di Bologna, dove il
Collettivo autonomo studentesco ha pensato di rispondere alla guerra sociale di
Monti bruciando la bandiera di una banca, nella più totale povertà di
rivendicazioni. Tuttavia l’entusiasmo e la disponibilità al conflitto rimangono:
“Questa è la prima di una lunga serie di mobilitazioni”, un avvertimento ben
recepito dal governo visto l’apparato repressivo che fin da subito ha messo in
campo. (1)
Non ci
avrete mai come volete voi! Lo sciopero del 12 e i limiti della socialdemocrazia
studentesca
La settimana successiva, il 12 ottobre, una seconda, più partecipata, mobilitazione nazionale viene organizzata dall’Unione degli Studenti e dalla Rete degli studenti medi, parallelamente allo sciopero del personale scolastico promosso dalla Flc-Cgil. Cortei in tutta Italia (10mila a Roma, molte migliaia anche a Torino, Milano, Firenze, a Napoli e nelle altre province campane, a Bari e in tutto il Sud). Gli studenti si sono presentati armati di carote, rispondendo ironicamente ai bastoni del governo, e ribadendo la netta opposizione agli ulteriori attacchi alla scuola pubblica (l’ultima “legge di stabilità” contiene tagli per oltre un miliardo di euro, mentre si licenziano i docenti precari e si regalano centinaia di milioni alle scuole private) (2).
La settimana successiva, il 12 ottobre, una seconda, più partecipata, mobilitazione nazionale viene organizzata dall’Unione degli Studenti e dalla Rete degli studenti medi, parallelamente allo sciopero del personale scolastico promosso dalla Flc-Cgil. Cortei in tutta Italia (10mila a Roma, molte migliaia anche a Torino, Milano, Firenze, a Napoli e nelle altre province campane, a Bari e in tutto il Sud). Gli studenti si sono presentati armati di carote, rispondendo ironicamente ai bastoni del governo, e ribadendo la netta opposizione agli ulteriori attacchi alla scuola pubblica (l’ultima “legge di stabilità” contiene tagli per oltre un miliardo di euro, mentre si licenziano i docenti precari e si regalano centinaia di milioni alle scuole private) (2).
La piattaforma proposta da quella che
potremmo definire una socialdemocrazia studentesca (l’Unione degli studenti) è
apparentemente superiore alla linea dell’Autonomia. In particolare la proposta
dell’Altrariforma della scuola, elaborata dal basso da centinaia di studenti nel
corso di assemblee in tutto il Paese, rappresenta un punto molto avanzato nel
programma del movimento: si afferma l’idea di un’altra scuola possibile,
emancipata dalle logiche privatiste e mercatali, contro i criteri di una
valutazione esclusivamente numerica (come l’Invalsi) e a favore della democrazia
reale nelle scuole, contro le misure repressive come il voto in condotta e il
tetto massimo delle cinquanta assenze, per una partecipazione attiva degli
studenti e delle studentesse alla vita della scuola tramite l’istituzione di
commissioni paritetiche studenti-docenti che si vadano ad affiancare ai consigli
d’istituto (che il pdl Aprea abolisce) nell’elaborazione dei piani di offerta
formativa. Queste rivendicazioni, assieme a un grande piano di edilizia
scolastica e alle agevolazioni per trasporti, libri di testo e mense, trovano un
senso però solo se collegate alla prospettiva di trasformazione rivoluzionaria
della società. L’emancipazione dei saperi dalle logiche aziendali passa
necessariamente dall’emancipazione del lavoro dal capitale, dunque da quella che
Marx definiva “la soppressione positiva della proprietà privata”. Una
prospettiva che nell’Uds è diluita in confusi ibridi teorici, dalle teorie sul
"capitalismo cognitivo", che portano a sminuire il valore materiale del lavoro e
a mettere in discussione la primarietà della classe operaia nel conflitto
sociale, a una concezione rizomatica dell’organizzazione (basata cioè su
decentramento e orizzontalità); confusioni che non aiutano a costruire un fronte
compatto, unitario e di classe, contro il governo. Nettamente più moderata
l’altra organizzazione sindacale degli studenti, la Rete degli studenti medi,
legata a Pd e Cgil, gestita in quasi tutti i territori dai Giovani Democratici e
che propone parole d’ordine assolutamente compatibili con lo stato attuale delle
cose, condannando ogni tentativo di alzare il livello dello scontro e cercando,
in sintonia con il sindacato e il partito di riferimento, di arginare e
depotenziare le proteste.
Intanto sempre l’Uds ha lanciato una tre
giorni di mobilitazioni all’interno delle scuole, dal 25 al 27 ottobre, con
occupazioni, autogestioni e assemblee.
Toma la
huelga! Lo sciopero europeo e la repressione del
governo
Altro discorso vale per la giornata di sciopero generale europeo che ha visto scendere in piazza i lavoratori e gli studenti di 23 Paesi lo scorso 14 novembre, e organizzata in Italia dalla Cgil (nella forma spuntata delle quattro ore di astensione rituale e dei cortei territoriali segmentati e isolati) e da alcune sigle del sindacalismo di base.
Altro discorso vale per la giornata di sciopero generale europeo che ha visto scendere in piazza i lavoratori e gli studenti di 23 Paesi lo scorso 14 novembre, e organizzata in Italia dalla Cgil (nella forma spuntata delle quattro ore di astensione rituale e dei cortei territoriali segmentati e isolati) e da alcune sigle del sindacalismo di base.
Non ci soffermiamo qui sull’organizzazione e
sui contenuti dello sciopero in generale (già ampiamente trattati in altri
articoli del nostro sito), per soffermarci sulla presenza studentesca in
particolare. In effetti questa è stata la chiave di volta dello sciopero in
Italia: possiamo anzi dire che sono state proprio le masse studentesche a
capitanare questa giornata, a dimostrare più combattività e determinazione, a
stare in testa a cortei e manifestazioni in tutto il Paese, mentre la
partecipazione operaia è stata ancora una volta frazionata e intaccata dai
giochi opportunistici delle burocrazie sindacali, sempre all’opera per frenare
il conflitto e far rientrare nei ranghi i lavoratori pur disponibili alla lotta
anche in forme radicali.
Oltre 300mila studentesse e studenti hanno
invaso le strade di oltre 50 città del Paese dimostrando ancora una volta un
chiaro ed inequivocabile rifiuto delle politiche di austerità portate avanti
dalla Troika. Per la prima volta dal governo Berlusconi, si è avuta una
mobilitazione studentesca estesa e radicalizzata su tutto il territorio
nazionale, in cui sono confluite, costrette a rinunciare a settarismi vari,
tutte le forze del movimento studentesco, portando a manifestazioni dai numeri
imponenti sia nelle città metropolitane sia in quelle di provincia (3).
Una mobilitazione che ha fatto chiaramente
tremare l’attuale establishment, come si può dedurre dal meccanismo
repressivo approntato dal governo. Si sono avute infatti numerose cariche della
polizia, a Milano, Brescia, Padova, Trieste, e soprattutto a Roma, dove si è
scatenata una repressione senza esclusione di colpi. I celerini si sono
avventati con brutalità su ragazzi minorenni e indifesi, mentre candelotti di
lacrimogeni venivano sparati direttamente dal Ministero della Giustizia sugli
studenti che manifestavano. Attualmente è in corso un’inchiesta, condotta con
grande imparzialità... dalle stesse autorità responsabili delle violenze, anche
se la versione ufficiale vuole che i lacrimogeni siano stati lanciati da terra
per poi rimbalzare sulle pareti del palazzo ministeriale (la solita bufala
istituzionale, nettamente smentita da foto e testimonianze video, che rientra
nella lunga lista di menzogne dal “suicidio” Pinelli al “ritrovamento” delle
molotov nella Diaz a Genova). I
n ogni caso la repressione non ha intimorito
gli studenti, che il giorno dopo hanno contestato a Rimini la Cancellieri,
mentre a Palermo in diecimila hanno invaso le strade della città. Nel capoluogo
siciliano le proteste sono state indirizzate contro il nuovo governo regionale
di Crocetta ma anche contro tutte le forze politiche che fanno parte del sistema
borghese, grillini compresi. Anche in questo caso si sono avuti numerosi scontri
con la polizia (4). Mentre il ministro Cancellieri esprime solidarietà alle
forze dell’ordine, si levano “da sinistra” peana paternalistici incentrati più
che sulla questione della repressione in sé, sul problema dell’età dei ragazzi
bastonati: come se le manganellate agli studenti fossero “immorali”, mentre
quelle sugli operai dell’Alcoa e di Basiano “giustificate” dall'età. Altre voci,
anche dall’interno del mondo studentesco, si appellano ai numeri identificativi
sulle divise, in modo da garantire il riconoscimento degli agenti di polizia (in
questi giorni circola una petizione del genere sul web). Come se dei manganelli
numerati fossero meglio di manganelli anonimi. In realtà l'unica risposta
valida per rispondere alla repressione poliziesca viene invece sistematicamente
elusa: cioè quella del diritto all’autodifesa delle iniziative di operai e
studenti mediante la dotazione di un servizio d’ordine disciplinato e
combattivo. Una risposta troppo poco “pacifista” per le attuali direzioni del
movimento.
Costruire il
partito rivoluzionario per far vincere le lotte!
Il problema dell’autodifesa, un problema che
diverrà centrale nell’organizzazione delle prossime battaglie, rientra in quelle
questioni organizzative che potranno risolversi risolvendo una questione
propriamente politica: quella cioè della costruzione di una direzione
consapevole e organizzata delle lotte, centralizzata e a un tempo democratica,
basata su un programma autenticamente di rottura con il sistema capitalista e i
suoi governi: un programma di cui si sono fatti portatori i Giovani di
Alternativa Comunista all’interno delle mobilitazioni studentesche, all’insegna
dell’unità studenti-operai e per la costruzione di un contropotere operaio e
studentesco che possa esprimersi nell’unità delle lotte e dei comitati che in
questi mesi sono nati e stanno nascendo in tutto il Paese.
Semplificando il ragionamento possiamo dire
che il problema immediato delle lotte di oggi, cioè l’autodifesa, si risolve nel
problema politico, cioè la costruzione di una direzione che dev’essere
rivoluzionaria, cioè che porti avanti l’unità delle masse in lotta (e prima
ancora delle avanguardie), su un programma di classe che possa articolare le
rivendicazioni minime su una piattaforma di trasformazione complessiva della
società. Ecco perché la trafila dei problemi che il movimento studentesco, come
quello operaio, si trovano ad affrontare si riducono in fin dei conti a un solo
problema (per quanto gigantesco): il problema della direzione delle lotte, il
problema del partito. Con questo spirito i Giovani di Alternativa Comunista si
sono impegnati nel partecipare alle lotte di queste settimane: con uno spirito
di classe, unitario e democratico, ma che allo stesso tempo cerca di mettere in
luce le contraddizioni e le debolezze della fase attuale, proponendo come
soluzione la costruzione di un partito rivoluzionario, di tipo bolscevico, che
possa riunire le avanguardie più combattive del movimento e rendere realmente
concreta la prospettiva di un altro mondo possibile.
Note
1) http://www.corriere.it/cronache/12_ottobre_05/studenti-manifestazione-traffico_c93b2654-0ec0-11e2-8205-e823db4485d4.shtml;
2) http://www.repubblica.it/scuola/2012/10/12/dirette/sciopero_scuola-44364352/;
3) http://www.corriere.it/cronache/12_novembre_14/sciopero-generale-cortei_d14300b6-2e2c-11e2-9c24-e6f239e4fed7.shtml
2) http://www.repubblica.it/scuola/2012/10/12/dirette/sciopero_scuola-44364352/;
3) http://www.corriere.it/cronache/12_novembre_14/sciopero-generale-cortei_d14300b6-2e2c-11e2-9c24-e6f239e4fed7.shtml
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