Le conclusioni del Consiglio nazionale della
Federazione della Sinistra spiegano, meglio di ogni analisi, la natura
profondamente opportunistica dei gruppi dirigenti che la compongono.
Il terreno comune della disputa ( e del compromesso finale) non riguarda
affatto la difesa del lavoro e tanto meno le prospettive del socialismo, ma il
recupero ad ogni costo di una rappresentanza parlamentare e il rientro “nel
gioco politico”: anche a scapito dei più elementari principi di classe e
anticapitalistici.
DILIBERTO, SALVI, PATTA, ALL'ABBRACCIO COL PD
Gli ex ministri Diliberto e Salvi, e l'ex sottosegretario Patta, traducono la
propria aspirazione nella profferta spudorata di un patto di governo col PD:
cioè con lo stesso partito che ha consentito la nascita del governo Monti, ne
ha votato le peggiori misure antioperaie, gli ha garantito la non belligeranza
della CGIL. Con lo stesso partito che ha posto alla base della coalizione di
centrosinistra “il rispetto dei vincoli europei”, cioè la fedeltà al programma
di lacrime e sangue del fiscal compact per i prossimi 20 anni.
E' una scelta di clamorosa capitolazione al PD e al vendolismo. E' una scelta
che non ha alcun rapporto con la realtà dello scontro di classe e neppure
formalmente coi contenuti anti Monti della propria propaganda politica o con la
natura della stessa iniziativa referendaria sui temi del lavoro. Ha un rapporto
esclusivamente con la propria salvazione di ceto politico.
Ed è talmente forte, a questo scopo, l'ansia di una propria rilegittimazione
agli occhi di Bersani, che PDCI, Salvi, Patta annunciano la propria
partecipazione alle primarie del centrosinistra a diretto sostegno di Bersani.
Chi al primo turno, chi in ogni caso al secondo. Il soccorso a Bersani contro
Renzi diventa la carta negoziale affannosamente esibita per cercare di
rientrare dalla finestra nel centrosinistra di governo, cioè nella possibile
futura formula di governo della settima potenza capitalista del mondo. Da cui
furono costretti ad uscire, a malincuore, dopo la disfatta del 2006/2008. E' il
sospirato ritorno all'ovile di ministri in pectore, nostalgici delle proprie
“glorie” ministeriali.
PAOLO FERRERO ALL'ABBRACCIO CON DI PIETRO
L'ex ministro Ferrero traduce invece le aspirazione istituzionali del PRC in
altra forma. Dopo una faticosa circumnavigazione.
Assieme a Diliberto e Salvi, Ferrero aveva raggiunto col PD un anno fa un
accordo di “alleanza democratica” contro Berlusconi: che avrebbe impegnato la
FDS ad un sostegno esterno al governo borghese di centrosinistra per tutta la
legislatura, in cambio di una manciata di deputati e senatori garantita dalla
soglia di sbarramento del 2% prevista dal Porcellum per le coalizioni. L'ultimo
congresso del PRC ha avuto come baricentro di discussione proprio l'accordo
“democratico” con Bersani.
Ma dopo la caduta di Berlusconi e l'avvento di Monti, garantito dal PD,
l'accordo saltò. Perchè il nuovo scenario politico nazionale separava i vecchi
alleati. E tutta l'evoluzione politica, compreso il nuovo asse Bersani Vendola,
chiudeva lo spazio negoziale del PRC verso il PD. In altri termini: un Bersani
che scaricava Di Pietro non era più disposto a imbarcare Ferrero. E Vendola,
geloso del proprio ruolo, contribuiva a ostruire il passaggio.
A questo punto Paolo Ferrero fa di necessità virtù. Dichiara superata l'intesa
( nazionale) col PD, e vira verso il cosiddetto polo dei “non allineati” al
governo: cioè verso un blocco imperniato sull'asse con Di Pietro, col possibile
apporto aggiuntivo di forze minori.
Qual'è la base politica di questa nuova proposta?
Non certo una base di classe o anche solo coerentemente democratica. La IDV
partecipa al gruppo liberale del Parlamento Europeo; ha votato più volte in
diverse sedi istituzionali il pareggio di bilancio in Costituzione dentro la
logica del Fiscal compact; la sua impronta populista e questurina l'ha
collocata al fianco della Polizia sul fronte del G8 e su posizioni spesso reazionarie
in fatto di immigrazione; la sua politica spregiudicata in campo amministrativo
e la “cultura” politica diffusa che la impregna ha selezionato al suo interno
un personale spesso corrotto e dedito al peggiore trasformismo; il suo stesso
padre padrone Di Pietro è oggi precipitato dalle vette ( recitate) della
“pubblica virtù” al sottoscala degli scandali immobiliari: con l'emersione
pubblica di una vita avventurosa , fortemente segnata da legami ambigui con
ambienti dominanti ( la ricca donazione ricevuta dal capitalista Borletti in
funzione del progetto politico dell'Ulivo, e poi spesa in case private, è di
per sé una sintesi inequivocabile, casa più casa meno, del dipietrismo).
La base vera della proposta del blocco con Di Pietro è dunque ben altra:
l'ambizione del ritorno in Parlamento, ad ogni costo. Quindi anche a costo
dell'alleanza innaturale con un soggetto politico segnato da tratti reazionari
e per di più oggi in caduta libera di consenso e di immagine proprio per
effetto delle sue ambiguità pubbliche e private. Di più: pur di cementare il
blocco con Di Pietro, Ferrero gli ha dichiarato ieri pubblicamente la “propria
solidarietà” proprio nel momento del suo naufragio immobiliare. Un po' per
aiutarlo a sopravvivere, condizione necessaria di un accordo. Un po' per ben
disporlo, nel caso sopravviva, a una apertura verso il PRC. Cosa non si fa per
qualche deputato e senatore! Invece di liberare finalmente settori proletari
dall'influenza truffaldina del populismo, si corteggia un capo populista (in
declino) aiutandolo a nascondere la sua truffa. E sperando che il trasformista
Zipponi, dietro le quinte, sappia compensare tanta generosità al momento della
definizione delle liste.
PERCHE' RESTA LA FEDERAZIONE?
La cosa curiosa è che questa divisione plateale tra PDCI e PRC non è approdata
nello scioglimento della Federazione della Sinistra, che anzi tutti i
protagonisti si sono affrettati a salvaguardare.
Un ingenuo potrebbe chiedersi: ma cosa può rimanere di una Federazione se i
soggetti “federati” si presentano elettoralmente in contrapposizione in una
competizione nazionale decisiva? La spiegazione è molto semplice. I venditori
non sono certi della disponibilità degli acquirenti e decidono di cautelarsi
reciprocamente. Diliberto, Salvi e Patta non sono certi di riuscire a incassare
la sospirata benedizione di Bersani. E Ferrero non è affatto certo delle
disponibilità di Di Pietro e della sua stessa tenuta. Quindi, meglio tenersi al
coperto: perchè no possono ancora escludere di essere “costretti” a “restare
insieme” elettoralmente.
Peraltro PDCI e PRC stanno insieme delle giunte di centrosinistra di tanta
parte d'Italia ( talvolta con la UDC, come in Liguria), e i loro assessori
votano unitariamente i tagli locali alla sanità, alla scuola, ai servizi, al
servizio dei governatori regionali del PD. Perchè disperdere questo
“patrimonio” unitario, per di più alla vigilia delle elezioni anticipate in
Lombardia, Lazio, Molise?
Ciò che tiene insieme la Federazione, col consenso di tutti i suoi gruppi
dirigenti, è dunque la stessa logica di ceto politico, la stessa logica
compromissoria, che sta alla base delle loro ( diverse) opzioni politiche: la
propria autoconservazione ( o recupero) istituzionale. E' la stessa logica che
in altre forme spinse tutti gli ex ministri della sinistra, appena pochi anni
fa, a votare e gestire le peggiori politiche antioperaie ( inclusa la
detassazione dei profitti delle banche dal 34% al 27% assicurata nel 2007 dal
governo Prodi e votata dal ministro Ferrero). E' la logica che ieri ha
seppellito le sinistre e che minaccia oggi i loro resti. A vantaggio della
borghesia e del populismo grillino.
PER IL PARTITO DELLA RIVOLUZIONE
Ai compagni della Federazione e dei suoi partiti, con cui condividiamo lotte e
battaglie, ai tanti militanti critici del PRC e del PDCI, vogliamo dire in
conclusione una cosa sola: abbiate rispetto di voi stessi. Liberatevi dai
gruppi dirigenti della disfatta. Costruite assieme a noi il partito della
rivoluzione, sulle uniche basi su cui è possibile costruirlo: non il programma
del New Deal, ma il programma del governo dei lavoratori; non i principi
dell'opportunismo istituzionale, ma i principi della coerenza di classe.
E' una strada certo difficile , controcorrente, in salita. Ma è l'unica che non
è esposta al germe diffuso del trasformismo. L'unica che si confronta realmente
col fallimento storico del capitalismo e del riformismo. L'unica che può
portare al socialismo.
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