Ha vinto Obama. Viva Obama. Il risultato delle
elezioni negli Stati Uniti poteva essere prevedibile, ma fino ad un certo
punto. Infatti sulla rielezione del
presidente uscente pesava come un macigno la paurosa crisi economica e la disoccupazione all’8,5% , condizioni
obbiettivamente difficili ad ottenere il mandato per altri 4 anni.
Ma dall’altra parte hanno pesato su Romney i devastanti anni dell’era Bush, padre e figlio. L’era
delle bugie sulle armi distruzione di massa irachene, sull’unilateralismo. Gli anni disinvolti dei teocon, dell’arretramento
sui dritti civili, delle guerre umanitarie,
hanno fiaccato ed esasperato la popolazione americana. Non sono bastati
dunque gli appoggi dei grandi ricchi, della lobby della armi ,del petrolio e della finanza per far dimenticare alla società americana le
miserie della governance repubblicana. In linea generale poi c’è da considerare che dai tempi
del famoso detto reaganiano “Lo stato
non è la soluzione, ma il problema” la
destra repubblicana, i cui fili venivano
tirati dal signore del neoliberismo spietato
Milton Friedman e dai Chicago Boys, è
diventata sempre più intransigente, intollerante verso i “diversi” per genere, razza , costumi sessuali. Un’involuzione che, se da un lato ha fatto proseliti verso le
comunità religiose più intransigenti, dall’altro ha cominciato a minare la credibilità politica degli Stati Uniti
. E’ possibile che i repubblicani stiano
pagando ancora oggi questo degrado politico e l’impresentabilità dei suoi
presidenti. Tuttavia la vittoria di
Obama su Romney è stata meno schiacciante della precedente su McCain. La differenza
delle preferenze popolari
nel 2008 fra i democratici e i
repubblicani era di circa diecimilioni di voti, oggi è di appena un milione di voti. Le cause, oltre alla crisi economica già
citata, riguardano la disillusione di un ampia parte di militanti rimasta
delusa dalle promesse non mantenute da Obama.
Nella prima campagna elettorale del 2008, il programma di Barack Obama
era fortemente orientato verso il
sociale. Un maggiore stanziamento di fondi per la scuola
pubblica, l’ istituzione di un sistema sanitario pubblico di qualità per tutti ,
la promozione della green economy, il
ritiro delle truppe dalle zone di guerra, con la drastica diminuzione delle
spese militari, una politica estera multilaterale con il riconoscimento della legittimità palestinese alla dignità, e ad uno stato proprio, erano i
capisaldi dell’azione di governo che Obama si impegnava ad intraprendere dopo
la sua prima elezione alla Casa Bianca. Mai
e poi mai le lobby che davvero contano negli Stati Uniti avrebbero però agevolato tali obbiettivi. Il Pentagono, le
organizzazioni finanziarie e assicurative, i petrolieri e la potente influenza
israeliana si sono rilevati ostacoli insormontabili. Infatti all’ aumento di
fondi pubblici per la scuola si è dovuto affiancare il finanziamento di istituti privati, in merito alla riforma
sanitaria i propositi di una sanità completamente pubblica sono stati disattesi,
con un limitato finanziamento statale che foraggia le assicurazioni rimaste le vere regine dell’assistenza
sanitaria , degli sgravi fiscali per l’economia
verde non c’è stata traccia, le spese militari sono triplicate e il supporto
americano nei confronti di Israele si è consolidato,
relegando la Palestina a paese aggressore, mentre sulla
questione dei confini, dei coloni, l’amministrazione Obama se ne è lavata le
mani rimandando il tutto ad una negoziazione autonoma fra Israeliani e Palestinesi. Tutto ciò si è
tradotto in una disaffezione dei militanti della prima ora verso la rielezione
di Obama. Molti di loro, soprattutto nelle comunità nere più povere non sono
andate a votare, limitando la portata della vittoria del Presidente. Ora però
questo secondo mandato, proprio perché sarà l’ultimo, potrebbe veramente
segnare la svolta. Liberato dal fardello di ricandidarsi fra quattro anni,
Obama ha la grande possibilità di realizzare veramente quel programma di
eguaglianza sociale attraverso il quale aveva ottenuto lo schiacciante consenso
nel 2008. Non dovendosi ingraziare i favori del pentagono, dei petrolieri,
della finanza, si aprono possibilità concrete per il Presidente rieletto di
terminare quella rivoluzione promessa e mai realizzata. Questa è la speranza anche di chi al, di qua
dell’oceano, auspica un’America un po’ meno imperialista e maggiormente impegnata
a costruire un occidente più umano e solidale.
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