Comunisti italiani e Rifondazione Comunista ci riprovano. La
necessità di ricostituire un partito comunista unitario è diventata, secondo le
segreterie dei due partiti, impellente. Dunque si è dato il via alla scomposizione
delle singole organizzazioni e la
confluenza dentro un soggetto politico unitario che abbia al
centro gli strumenti ideologici comunisti.
La declinazione nel nostro
territorio di questo progetto ha visto un’ incontro, tenutosi a
Frosinone il 13 dicembre scorso, in cui esponenti locali e nazionali del PdCi e
del Prc hanno illustrato ai convenuti l’appello alla costituzione del Partito
Comunista d’Italia. In effetti il deserto di rappresentanza in cui vagano le
classi subalterne offre uno spazio di agibilità politica enorme, ed è questo vuoto
che il nuovo soggetto vorrebbe riempire con una proposta che sia fondata su solide
basi comuniste. Fondamenta programmatiche in cui l’anticapitalismo, l’antimperialismo, l’internazionalismo, siano le parole d’ordine dalle quali non si può prescindere per progettare un modello di
società realmente comunista.
Detta così
la cosa potrebbe essere interessante, ma le analisi di fattibilità di un
progetto simile indicano un percorso estremamente lungo e difficile. Anche se
lo spazio politico potenziale è enorme, occuparlo secondo una declinazione
comunista della società è estremamente complesso. Un partito comunista dovrebbe
ricostruirsi sui militanti, sugli attivisti che oggi sono completamente assenti.
Prima del progetto politico è necessario mettere in atto un processo di ricostruzione
dei rapporti sociali che un tempo costituivano la linfa vitale dei movimenti comunisti. Non si può parlare di
anticapitalismo ad un blocco sociale che ha smarrito i valori di solidarietà, di condivisione, della propria
condizione di classe, di consapevolezza di chi sia realmente il nemico da
sconfiggere.
Generazioni stordite e permeate per decenni dalle sirene della scuola di Chicago,
dai cattivi maestri friedmaniani, si sono arrese al mercato come supremo
regolatore della vita quotidiana. La consegna incondizionata dei partiti
socialisti e riformisti all’ineluttabilità delle regole neoliberiste basate
sulla competitività, in luogo della cooperazione, sull’individualismo in luogo
della solidarietà, sull’autostima incardinata sull’avere e non sull’essere,
hanno frantumato il terreno dove la pianta comunista avrebbe potuto ancorare saldamente le sue radici.
Dalla fine degli
anni ’70, stagione alter-mondista a parte, anche i partiti comunisti, soprattutto in Italia, hanno abdicato. Anziché
rinsaldare e innovare il rapporto con il
blocco sociale di riferimento hanno preferito concentrarsi sul come diventare
comitato elettorale. Da qui è iniziato un processo di de-ideologizzazione necessario per diventare parte del gioco della
spartizione delle poltrone, degli incarichi e soprattutto dei finanziamenti. Da
qui si è iniziato, senza pudore, e spesso addolcendo o rinnegando certi
principi fondanti, a pianificare
alleanze ideologicamente improponibili, ma utili per acquisire posizioni di
privilegio. Da qui è iniziato il processo di omologazione alla bieca trattativa
per il potere che poi, agli occhi della gente, ha assimilato i partiti
comunisti alle altre congreghe elettorali che in termini di illegalità ben peggio
hanno operato.
Di tutto questo credevo si iniziasse a ragionare nell’incontro di sabato scorso. Invece, a parte
qualche accenno all’educazione dei giovani e all’organizzazione militante fatto
da Laura Marzola del comitato provinciale del PdCI, si sono ascoltate le solite
analisi sulla compatibilità di certe alleanze, pestifere, all’inizio del
discorso, ma possibili alla fine del ragionamento, necesarie per acquisire visibilità.
Ci
siamo sentiti dire che ormai un’alleanza con il Pd non è praticabile. Ma che
scoperta interessante! Ancora siamo al
punto di valutare se e quando allearsi con un partito ultraliberista? Su Sel, poi, si è possibilisti. Come se il
partito di Vendola non fosse nella maggioranza di alcuni consigli locali che,
come nel caso del Lazio, sono in prima
linea nello smembramento dei servizi di pubblica utilità, per svenderli alle lobby
private.
La questione della sanità nella nostra Provincia è emblematica. Abbiamo
assistito alla totale
vendita, in saldo, al privato dei laboratori di analisi e delle strutture
riabilitative , alla reiterazione di
accordi con istituti privati indagati e condannati per truffa verso la regione.
Questo è l’anticapitalismo di Sel? No
compagni non ci siamo.
Quale partito
comunista si vuole costruire se non ci sono militanti, se non ci sono i
giovani. L’altra sera, a parte gli esponenti di partito, la platea, pur numerosa,
era formata da anziani, i più teneri d’età si attestavano sulla cinquantina.
Queste sono le masse? Dov’erano le falci e martello nelle proteste contro lo smembramento
della sanità pubblica provinciale? Quella piazza è stata lasciata a CasaPound e
al M5S. Non ci sono falci e martello vicino alla tenda dei lavoratori della ex
Multiservizi in lotta per riacquistare il
proprio posto di lavoro. Sulle
nefandezze di Acea si registrano flebili segnali, quando la lotta per la
ripubblicizzazione dell’acqua dovrebbe vedere in prima fila un movimento anticapitalista!
Li bisogna stare per riacquisire un
minimo di credibilità, anche prendendosi degli insulti. Il popolo non è con
noi, e dobbiamo riconquistarlo riacquistando coerenza e rigore ideologico,
altro che progettare alleanze per ipotetiche campagne elettorali. In verità non ho assistito a tutto il convegno. Sono andato
via un po’ nauseato dopo certe
stucchevoli elucubrazioni. Ho ascoltato gli interventi dei dirigenti di
partito, Oreste Della Posta (PdCI) Giacomo Marchioni (P.R.C.), Laura Marzola
(PdCI), Massimo Palombi (P.R.C.) e il
giovane (vivaddio) Davide Parente (FGCI) e mi è bastato. Ignoro se i relatori successivi si siano misurati sulle
problematiche citate , ma un fatto e
certo, l’inizio di questa esperienza sa tanto di minestra
riscaldata.
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