traduzione di Luciano Granieri
Il Mac’s Restaurant il
nightclub di Eugene nell’Oregon centrale, è il posto
dove gli aficionados di blues si radunano per
godere del bar, del cibo Cajun,e danzano sotto le
pulsioni del blues guidate dal potere
della chitarra. I nostri amici Alan e
Susan vengono qui un paio di volte al mese per soddisfare la loro voglia di
ballare al ritmo del boogie. Ogni qualvolta mia moglie ed io passiamo dalle
parti di Eugene finiamo al Mac’s con
Alan e Susan. Loro aspettano con ansia gli innumerevoli blues festival che si
tengono dalle loro parti e possono essere considerati dei veri esperti.
A me il blues piace . Ma amo anche il jazz. Susan è affascinata dal blues ma non sopporta il jazz “il jazz moderno” per essere precisi. Sostiene che mentre balla al Mac’s è attraversata dalle pulsioni del basso, della batteria, dall’urlo del cantante, la Fender Stratocaster fa vibrare le sue ossa, i suoi muscoli, le sue pupille. Questo per lei è il paradiso. Questo è ciò che vuole dall’esperienza del blues.
Non “capisce” il jazz – troppo
celebrale, per niente viscerale, “non riesce a stimolargli alcun feeling”.
Non sono d’accordo. Mi fa piacere d poter condividere condividere
il divertimento del blues al Mac’s. Nessuno può persuadere Susan o altri ad apprezzare il jazz (o Wagner, o Edgar Varese, o Tom Waits)
attraverso dotte disquisizioni. Però la
nostra conversazione mi ha indotto a
pensare al jazz e al suo rapporto con il
blues. Pensieri alla rinfusa tipo: “Cosa delle performance di jazz può scuotere le ossa, i
muscoli, le pupille? Penso ad Art Blakey e i
Jazz Messenger, a John Coltrane, o a Kenny Garret, Wallace Rooney, mentre
stanno facendo venir giù il soffitto…”
Che dire di “Chasin’ The Trane” di John Coltrane. Un blues registrato live al Village
Vanguard il 2 novembre del 1961 con il
bassista Jimmy Garrison ed il batterista Elvin Jones. Questa performance travolgente offre un
esempio di come un trio musicale di geni (non parlatemi di Coltrane) che
suonano all’apice della loro carriera, possano prendere un blues di 12 battute
e trasfigurarlo nella frenesia di un
ruggito, in una gioia torrenziale. Non c’è nulla di più viscerale di questo.
Il groove , il feroce
potere dell’esecuzione di 16 minuti è paragonabile alla vera essenza dell’amore
di Susan per un duro e trascinante blues. Ma gli altri aspetti del suono di questo brano la lascerebbero sbalordita al
limite dell’irritazione. Coltrane si estende ai limiti del suo sax tenore,
producendo suoni atonali, urlando ed emettendo mucchi di note da capogiro (la sua tela del suono), che potrebbero procurare a qualcuno dei
moti di brivido e indurlo ad abbandonare
l’ascolto, mentre suscitare ad altri
applausi e sorrisi di gioia . Il brano
non ha un inizio, assolutamente aborrito, nonostante il trio stia già suonando
furiosamente per dieci minuti, qualcuno improvvisamente accende il sound
e la fine è molto più che improvvisa, determinata da un’unica rullata e una nota
mantenuta alla fine dell’ultimo chorus.
Ma è blues. Si possono apprezzare i cambi di accordi di Jimmy Garrison
nonostante manchi il pianoforte a dettare la progressione appropriata (McCoy
Tyner è fuori in questo pezzo) . Jimmy Garrison inoltre aiuta nel marcare
l’inizio e la fine dei chorus. Coltrane,
naturalmente, sembra ignorare la
sequenza armonica e sopravanza i
cambiamenti di accordi. Il punto è che il superiore talento dei musicisti di
jazz risiede nella capacità di trasformare il blues in una esperienza musicale
che travalica la semplice struttura formata da tre semplici accordi. Questo è
ciò che rende il jazz appagante sia per la pancia che per il cervello.
Ci sono molte altre
esaurienti trattazioni su Chasin’ the Train, comprese le puntuali note di
David Wiles che accompagnano la serie completa dei dischi della Impulse
:” Impulse’s
Complete 1961 Village Vanguard Recordings , oppure sul blog di Ronan Guilfoyle “Mostly Music” ma
non rendono l’idea.
Oppure cosa dire
di una altro modo di superare il blues,
ma con caratteristiche del tutto differenti , come nel l brano “Balcony Rock” dall’album “Jazz goes to college” di Dave Brubeck, registrato dal vivo nelle università di Oberlin, Cincicinnati
Michigan nel 1954 nel 1954. Questa performance è agli antipodi rispetto
al fiammeggiante “ Chasin’the Trane”. Susan l’avrebbe giudicata troppo celebrale.
Ma il pezzo mostra una volta di più come un
genio musicale può viaggiare oltre la strada segnata dagli accordi blues. Il
quartetto comprendente Dave includeva,
naturalmente, Paul Desmond al sax alto, Joe Dodge alla batteria, e il
contrabbassista Bob Bates ( Joe Dodge fu
più tardi sostituito dallo straordinario Joe Morello. Dodge era meno virtuoso ,
ma più umorale di Morello. Si
accontentava, di essere un ottimo sideman
e non amava stare sotto i riflettori, andava molto più d’accordo con Desmond).
“Balcony Rock”
rimane un blues di dodici battute , che in quel periodo il quartetto raramente
suonava, preferendo le più complesse sequenze di accordi degli standard, che
non avevano niente a che fare con il sound del blues, eccetto poche misure funk
che Brubeck , per alleggerire l’esecuzione, inseriva qualche volta nella prossimità centrale dei pezzi da dodici minuti. Ciò per suscitare alcuni momenti di leggerezza presso il pubblico sorpreso dalla quella stranezza.
In Balcony Rock la spinta esplorazione della melodia e
dell’armonia prende una strada che va
oltre ogni tipo di blues, compreso ciò avevo sentito da quando a 15 anni ne scoprii
i dischi. Il primo effetto che ebbe su
di me fu di gioia e meraviglia tale influenza non è diminuita con il passare degli
anni. Come “l’Adagio per archi” di Barber, o “l’Adagetto” dalla Sinfonia n.5 di
Mahler il suo effetto su di me non è mai diminuito. (Lo so state dicendo che queste citazioni
sono pretenziose, ma quante volte ascoltate questi brani. Provate a sentirli e capirete
cosa voglio dire).
Dal
provvisorio “ding dong, c’è qualcuno in
casa?” che apre serenamente l’accativante melodia di chiusura , si realizza una
compiuta e straordinariamente bella composizione. Gli assoli di Desmond e
Brubeck , scaturiscono spontaneamente, come è naturale, ma il loro confluire
verso l’empatia di ogni ascoltatore è totale. Ognuno compie una serie di
passaggi, che ora , creano tensione, diffondono un crescendo, ora si
risolvono in una sensazione di rilassamento che consente di prendere fiato, sfoggiando sfarzo,
ma mai attraverso accordi stilisticamente stucchevoli , e con una linea
melodica richiama la mente gli
archi dell’”Aria” dalla Suite in Re
maggiore di Bach.
Con la costante tenuta di Bates e Dodge della piacevole e basilare struttura a 12
battute e, ancora meglio, delle fondamenta più
essenziali dell’esecuzione jazz : il brano propone uno swing rilassato che si
evolve in un travolgente groove in 4/4.
Ma nonostante la
struttura in 12 battute sia
rispettata,gli assoli di Desmond e Brubeck,
si ergono oltre la struttura blues. Un' idea di improvvisazione continua
oltre i punti d’interruzione della
sequenza dei chorus, estendendosi per tre o quattro giri armonici consecutivamente senza interruzioni.
George Avakian,
il produttore di “Jazz Goes To College”
descrive “Balcony Rock” più accuratamente e chiaramente , di quanto io sia
stato capace di fare, ma è necessario comprare il CD per leggere le sue note . Vi consiglio di farlo perché molto
meglio delle note di copertina è la loro performance.
Penso che ne spedirò una copia a Susan.
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