Dopo aver
rabbonito i maggiordomi Bonanni e
Angeletti assicurando che la Fiat non chiuderà altri stabilimenti in Italia,
dopo aver depennato il marchio Lancia dalla produzione automobilistica
italiana, dopo aver marginalizzato la produzione Fiat alla sola 500 e derivati
( Panda compresa) , dopo aver sostenuto che dai siti produttivi italiani usciranno
solo super car: Maserati, Jeep, e Alfa Romeo (che verrà equiparata a brand premium
come Audi e Bmw), dopo aver dimenticato di specificare con quali
investimenti tali vetture alto di gamma potranno raggiungere l’eccellenza tecnologica necessaria a
competere con marchi esteri di prestigio , l’amministratore delegato Sergio Marchionne
torna sulla terra. A tanti illusori programmi sventolati in faccia
a sindacati creduloni, l’ad con il maglioncino fa seguire un comunicato vero. Non una previsione, non
una promessa, ma un arrogante provvedimento deciso in spregio, oltre che ai lavoratori, anche
alle istituzioni italiane e alla stessa Carta Costituzionale. E’ di poche ore la
notizia certa secondo cui la Fiat metterà in
mobilità o, se non ci saranno i
presupposti, LICENZIERA’ nella fabbrica di Pomigliano 19 lavoratori per poter
rispettare l'ordinanza della Corte d'Appello di Roma che la obbliga ad assumere
i 19 dipendenti di Fiat Group Automobiles iscritti alla Fiom che hanno
presentato ricorso per discriminazione. Lo
stesso destino toccherà ad altri 126 lavoratori che dovranno lasciare il posto ai
rimanenti 126 dipendenti iscritti alla
FIOM reintegrati dalla stessa sentenza. Fiat giustifica tale decisione sostenendo che, a causa del crollo del mercato
italiano ed europeo, l’attuale organico presente nello stabilimento G.B.Vico di Pomigliano è più
che sufficiente, per cui al reintegro dei 145 lavoratori iscritti alla FIOM dovrà necessariamente corrispondere la mobilità
di altri 145 dipendenti ora regolarmente assunti. Se le previsioni sulle
capacità produttiva e sulle aspettative di vendita si sono rivelate del tutto
sbagliate la colpa non è degli operai, ma degli analisti e dei manager a
cominciare proprio dal Dott. Marchionne. Chi sbaglia paga, dunque a pagare
dovrebbe essere proprio colui il quale ha un salario 500 volte più alto di un
operaio. Ma la natura di questo ennesimo
atto di arroganza non è di origine commerciale-amministrativa, è tutta
politica. Con questa presa di posizione Fiat vuole ricordare alle istituzioni
che per mantenere aperti gli stabilimenti in Italia deve poter gestire i rapporti di lavoro al di fuori delle regole sancite dal contatto
nazionale collettivo. Per continuare a
produrre nel nostro paese il Lingotto deve essere libero di licenziare chi,
quando e come vuole, deve poter aumentare
i ritmi di lavoro, diminuire le pause, eliminare il diritto allo sciopero
e la rappresentanza sindacale non
gradita , deve in sostanza togliere ai
lavoratori tutti quei diritti conquistati in anni di
lotte. Ma soprattutto la decisione di mettere in mobilità un numero di operai
pari a quelli iscritti alla FIOM che
dovrà reintegrare per rispettare l’ordinanza del tribunale, è una altra azione
prevista dal piano teso ad alimentare la guerra fra poveri e disgregare la
solidarietà fra gli operai. Tale
subdolo piano ebbe origine con l’indizione dei referendum a Pomigliano e a Mirafiori sul ricatto “diritti
in cambio di lavoro”, che già allora creò divisioni e contrasti fra chi decise
di cedere e chi invece scelse di
resistere. Il malcontento dei 19 lavoratori che andranno in mobilità sarà inevitabile,
come sarà prevedibile l’acredine di questi verso i 19 addetti iscritti alla FIOM che subentreranno
al loro posto. Del resto la strategia di dividere il fronte dei lavoratori non
è nuova. Anche alla Ilva di Taranto la scaltrezza padronale dei Riva ha diviso
il fronte operaio fra chi, non volendo
perdere il posto di lavoro è disposto a
morire di cancro e destinare alla stessa sorte i cittadini di Taranto, e chi
invece sta lottando per salvaguardare lavoro e salute, invocando gli
investimenti necessari da parte della famiglia Riva per mettere a norma gli
impianti. Diffondere il germe della guerra fra poveri è una consuetudine consolidata
all’interno dell’accattona classe imprenditoriale e finanziaria italiana. Ciò dovrebbe
essere ormai noto soprattutto alle forze
sindacali. Ma il vero problema risiede
proprio nelle dinamiche sindacali, orientante ad alimentare, la divisione dei
lavoratori ,anziché combatterla. Se negli anni della crisi economica,
determinata dal fallimento del pensiero unico neo liberista, si è
fatto scempio dei diritti dei lavoratori, la colpa è soprattutto di quelle
forze sindacali che anziché porsi a difesa di questi diritti hanno ceduto alle lusinghe padronali
rendendosi responsabili di un sordido doppio gioco. Per porre fine a tale
perverso sistema è necessario liberarsi di questi maggiordomi, dei Bonanni,
degli Angeletti, che continuano a imbrogliare i lavoratori vendendoli al
padronato. E’ necessario inoltre ricondurre la CGIL ad una condotta più
dichiaratamente favorevole alla classe lavoratrice . Il maggiore sindacato
italiano deve mettere da parte, titubanze incertezze legate ai destini dei
politici di riferimento (leggi Bersani) e difendere senza se e senza ma i
diritti dei lavoratori indicendo ad esempio per il 14 novembre prossimo lo
sciopero generale contro il capitalismo finanziario così come avverrà in altre
nazioni d’Europa. Se la classe operaia non riuscirà al più presto a liberarsi dei fardelli Cisl,
Uil e a reindirizzare l’azione della CGIL verso una dinamica di rappresentanza concentrata
esclusivamente alla difesa dei lavoratori, le speranze di ridare al lavoro la
dignità sociale sancita dalla Costituzione sarà del tutto vana.
Nessun commento:
Posta un commento