A
seguito del riordino delle province
deciso dal governo Monti, dal primo
gennaio prossimo le province di Frosinone e Latina verranno accorpate in un
unico ente. Gli organi politici dovranno avere sede esclusivamente nella città
capoluogo, che nel caso del nostro territorio, sarà Latina. Su richiesta dei
comuni laziali, decisamente contrari al provvedimento, la
regione Lazio, d’intesa con il Consiglio
autonomie locali , ha deciso di
ricorrere alla Corte Costituzionale contro la decisione del governo. Il
giudizio è atteso per il 6 novembre. Nel
nostro territorio la protesta si
diffonde di ora in ora, prima alimentata dagli esponenti del centro
destra e oggi, con vari distinguo, anche
da alcuni rappresentanti del centro sinistra (Scalia, Schietroma). Giova
ricordare che il decreto legge per il riordino delle province ha ottenuto i voti favorevoli della maggioranza bulgara
(Pd –Pdl-Udc) che sostiene l’esecutivo
Monti. Maggioranza composta dai sodali
di partito di coloro i quali ora si
stracciano le vesti per le conseguenze del provvedimento. La cittadinanza è in fermento. Si pianificano azioni di protesta eclatanti, come il blocco della Casilina, o un sit - in davanti a Montecitorio. Al di là delle
proteste più o meno dirompenti , dei dissensi più o meno articolati,
bisogna dar ragione al Presidente Iannarilli quando sostiene che il decreto del
governo è uno strappo alla democrazia. E’ vero. Non tanto perché si fa decadere
per decreto un’assemblea democraticamente eletta, come sostiene Iannarilli, ma,
aggiungiamo noi, perché si elimina un
presidio di prossimità di rappresentanza presso i cittadini. In relazione alla
questione elettorale lo strappo democratico è relativo perché il decreto prevede che nel novembre 2013 dovranno
essere rieletti gli organi della nuova provincia Lazio sud. Dunque l’assemblea che sarà chiamata ad
operare avrà legittimazione elettorale. Inoltre non
crediamo che la decadenza di una giunta
come quella attuale, inetta e inefficiente,
sia una iattura, vero è che un presidio istituzionale si allontana da una parte del territorio. E quando ciò avviene la possibilità che i
cittadini possano direttamente interagire con esso diventa più difficile. Viene
meno con questo decreto la possibilità di riformare “L’ISTITUZIONE PROVINCIA”
che oggi è strutturata in forme del tutto inappropriate. L’amministrazione provinciale è mossa da uno coacervo di interessi privati di
pochi che sfruttano
la carica pubblica a loro vantaggio personale
senza minimamente curarsi degli interessi dei cittadini. Partendo
da questo aspetto si poteva pianificare una riforma veramente democratica dell’ente, prevedendo la formazione all’interno dell’amministrazione
provinciale di strutture intermedie fra i rappresentati e i rappresentanti, costituite da movimenti, associazione e
singoli soggetti organizzati in forum tematici
con poteri propositivi, ma soprattutto di controllo sull’operato degli
amministratori . Per fare un esempio concreto, se nell’organismo provinciale costituito come controparte
pubblica di Acea, ente privato a cui è demandato il servizio
idrico, oltre al presidente della Provincia e alla consulta dei sindaci fosse
stato attivo un coordinamento di cittadini deputato alla verifica della qualità
del servizio , probabilmente i disagi e i soprusi che il nostro territorio ha
dovuto subire per la mancanza d’acqua e per
le bollette esose, non si sarebbero verificati . Fino a ieri questa e altre iniziative di partecipazione diretta
della cittadinanza, seppur di difficile
attuazione, al limite dell’utopico, erano opzioni praticabili e comunque si poteva lottare per
esse. Dall’entrata in vigore del nuovo
decreto l’aumentato numero di cittadini da
amministrare e l’ampiezza del
territorio, renderanno definitivamente inapplicabile qualsiasi forma di controllo dal basso
dell’attività governativa della nuova Provincia. Il che significherà una maggiore disinvoltura
dei nuovi consigli nel gestire le attività, una proliferazione di magheggi e
accordi sottobanco con l’abuso di esternalizzazioni e collaborazioni esterne, senza
la minima trasparenza dell’esercizio
amministrativo. Altro che contenimento
dei costi. Il vero obbiettivo di tale riforma non è il risparmio di risorse pubbliche. Per ottenere
questo risultato sarebbe stato sufficiente stabilire retribuzioni più basse per consiglieri e assessori, 2.000 euro mensili al massimo,
limitare, se non abolire le consulenze esterne, prevedendo un programma di erogazione dei
servizi a carico di dipendenti direttamente assunti dalla Provincia. Limitare
le partecipazioni in società miste risparmiando sui costi amministrativi,
remunerazione dei manager e pagamento dell’Iva . Ciò che il governo Monti vuole
ottenere con questa riforma è un ulteriore passo verso l’allontanamento della
cittadinanza dal processo decisionale. Nonché
eliminare ogni struttura intermedia fra il territorio e il governo centrale in
modo da limitare la valorizzazione della specificità
territoriale. Specificità che, consentendo direttamente ai cittadini di investire
sulla terra che abitano e godere dei
frutti dell’ investimento, difende il
territorio dalla speculazione fondiaria e finanziaria tipica
della devastazione colonizzatrice del sistema neo liberista. Dunque auspichiamo sinceramente che la Corte
costituzionale lasciando la divisione delle Province così come era fino a ieri, impedisca l’ennesimo attacco alla
democrazia portato da un governo espressione diretta del potere del capitale finanziario. Ma, contemporaneamente, riteniamo necessaria una profonda
riorganizzazione interna degli enti locali. Una rivoluzione delle dinamiche
gestionali che preveda la partecipazione diretta dei cittadini alla governance del
territorio. Un coinvolgimento che vada oltre il semplice esercizio del voto e si
estenda a processi propositivi e di controllo delle attività amministrativa.
Solo così gli enti locali potranno
costituire un presidio di democrazia forte ed incisivo.
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