Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

giovedì 14 agosto 2014

JEHAD, SALEM E IL LAVORO NAZISTA

Samantha Comizzoli

La sveglia (per me) è stata alle 5,30. Appuntamento alle 6,30 per andare alla corte militare israeliana di Salem. C'è la prima udienza per Jehad. Non entrerò, ma mi basta accompagnare i famigliari che entreranno e mi basta pensare che sarò lì quando usciranno e saprò com'è andata.
Arriviamo a Salem, anzi no, quando la vedo ho un'altra visione: arriviamo alla porta dell'inferno.
Prima del primo cancello c'è un volkswagen con una tenda e un tavolo, lì vendono cibarie e bevande. Ad aspettare ci sono un centinaio di persone, fa già molto caldo a quell'ora. Alle 08,45 un soldato israeliano arriva al secondo cancello e inizia a chiamare chi aveva consegnato il documento d'identità e si era messo in lista per entrare. Ci saranno ben 15 minuti per poter entrare. Dopo non entra più nessuno. Quando passi il secondo cancello inizia un labirinto di gabbie e tornelli stile macello, ma molto più lungo e contorto. Sopra a tutto questa area c'è una torretta aperta con all'interno una soldatessa che non posso definire donna, nemmeno femmina(mi vengono solo parolacce). Dall'alto guarda il labirinto con tutti i Palestinesi (madri dei prigionieri compresi) ammassati dentro. Vanno verso la sala che li perquisirà. Passato tutto questo si va verso la corte.

Alt! Ho detto “corte”, ma è meglio specificare che stiamo parlando di: container israeliani costruiti illegalmente in Palestina dove con leggi militari israeliane verranno giudicati SOLO Palestinesi rapiti dai soldati in modo illegale e la maggior parte delle volte, senza accusa di reato.
I parenti di Jehad entrano e noi iniziamo ad aspettare, lì fuori.
Tutt'attorno alla zona c'è una “strada defence” dove le jeeps militari continuano a passare per ronde.
Lì fuori sono rimaste una sessantina di persone; non sono lì per udienze, ma perchè in questo posto orribile rilasciano anche i permessi di lavoro per il territorio israeliano.
Passano le ore e il caldo aumenta. Iniziano ad arrivare le telefonate di amici che chiedono aggiornamenti. Niente, non sappiamo nulla, siamo qui ed aspettiamo, una sigaretta dietro l'altra.
L'uomo delle bevande è fuori di testa, urla senza senso in continuazione. Non è il caldo, è quel posto e a stare lì davanti tutti i giorni che l'ha conciato così. Non c'è il bagno ovviamente...
Arriva mezzogiorno, abbiamo superato i 40° e non sappiamo ancora un cazzo. Chi attende il permesso per il lavoro è ancora lì; così gli chiedo “ma a che ora siete arrivati?”. Mi rispondono: “siamo qui da ieri sera, abbiamo dormito qui per terra”. Poi ci allungano uno dei materassi per poterci sedere un po' all'ombra......
Sono le 14,20 quando intravedo i parenti di Jehad nel labirinto/gabbie per uscire. Ci alziamo e corriamo verso di loro e vedendo le loro facce un po' mi si rallentano le gambe.
“Jehad non l'abbiamo visto, l'udienza per lui è domani e dobbiamo tornare domani”. Distrutti tutti.
La notizia che l'udienza era oggi era arrivata direttamente da una sua telefonata dalla prigione e la cosa aveva dapprima entusiasmato poi, ragionandoci sopra, ci siamo chiesti come avesse fatto a telefonare.......
Ok, israele usa questo tipo di torture: ti da il telefono, ti usa per capire chi ami (perchè poi ti ricatterà proprio su quelle persone) e ti da informazioni false da dargli.
Jehad è nella prigione di Megiddo, non può telefonare e nessuno (nemmeno l'avvocato) può avere notizie o fargli visita. E' in una cella d'isolamento dove subisce torture psicologiche del tipo: aria fredda e calda, luce di notte e di giorno, odori nauseabondi, menzogne varie, cibo avariato.
Quando si presenterà alla corte non avrà un segno sul corpo, ma sarà sotto tortura. Alcuni prigionieri al terzo giorno così iniziano ad urlare che non ce la fanno più....
Ora, sono riuscita a scattare due foto di questa porta dell'inferno. Ma, per onestà, vi chiedo: io non ho letto forse abbastanza sui campi di concentramento e sull'olocausto, quindi faccio fatica a definire tutto questo; forse chi sa più di me di Auschwitz e degli ebrei che entravano nei campi solo perchè ebrei, mi troverà una definizione adatta per le prigione israeliane dove entri perchè sei uomo Palestinese. Forse mi potrà definir meglio i 5000 prigionieri in mano ad israele (bambini compresi) e i duemila martiri Palestinesi (uccisi da israele).
Io ho negli occhi gli occhi di Jehad prima di entrare, quelle persone che dormiranno lì questa notte per il permesso di lavoro, tutti i martiri che ho visto fino ad ora, le facce dei parenti di Jehad, il vecchio impazzito che urla lì davanti, il labirinto di gabbie, le persone schiacciate e i porci sulle torrette che ridono. Se sei Palestinese, maschio e dai 15 anni in su ogni giorno potrebbe essere l'ultimo. Mi viene solo una definizione: questo è l'olocausto.

Domani si replica.

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