Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

lunedì 22 ottobre 2012

Testimoni di Genoa (Genoa-Roma 2-4)

Kansas City 1927


Genoa pe noi ormai era diventata na sòla come nantra, co la o sempre più aperta. Sòla de varia natura, tera de rimonte da over de madonne e de gò de rimpallo all'urtimo minuto, comunque sòla ar punto che er ricordo de na gioia ormai lontanissima pareva destinata a rimané pe sempre repertorio da puntata de Sfide, contributo firmato pe Olloffeim e musei a Crocefieschi. Reduci da du settimane de orchite e primarie tra rottamatori zemaniani e tradizionalisti derossici rese acide oltre il necessario dale risorgimentali gesta degli sfaticati nostri a beneficio dela patria, s'approcciamo ala notte de Marassi co l'ardore tipico de chi all'ottava giornata se sente già ala penurtima spiaggia.

Ma er Santone a sto giro non c'ha mercanti da caccià dar tempio, o così armeno ce pare, visto che er Poropiris se semo abituati a vivelo come na fisiologica palla ar piede e che il perseverà coll'affidare chiavi de centrocampo, macchina, prima e seconda casa ale movenze polifemiche de la Cosa greca, se semo già rassegnati a consideralla na cosa normale come fu normale fasse ncampionato intero co José Angel.In panca, Pjanic e Bradley, er Malincosniaco e er Lucido, scuotono i grossi cefali, ner senso de le grosse teste.
"Maicol, perché quello gioca sempre?", chiede er Malincosniaco squarciando l'ipocrita velo de silenzio.
"Because yes", risponde placido er Lucido.
"Beacuse yes non è na risposta", insiste piano Pjanic.
"Because is big", risponde ligio Maicol.
"Beacuse is big non è na risposta e questo non è il suo grasso grosso matrimonio greco!” urla Miralem temendo nuovi pretendenti ale nozze capitane.
"Because the night belong to us", migola Maicol.
"Appunto!", s'encazza Miralem.
"E the answer, my friend, is blowing in the wind", chiosa er Lucido mentre Zio Perotta apre na busta de bruscolini e Marquinhos ne riempie mpaio.

Ma tutto sommato in the wind c'è immotivato ottimismo, e pure se stamo mentarmente sgarupati e co nautostima che Mariangela de Fantozzi ar confronto se sentirebbe na fica, du settimane d'astinenza so troppe pe scenne in tera de grifoni senza ingrifasse, per cui arzamo i cori, fori la voce e cantamo osanna nell'arto dei cieli dove o sanno bene che du centrali catechisti saudagichi come i nostri a difesa de nandicap acustico come er nostro non ce l'ha nessuno e un segno divino o ariva oggi o mai più. E però, se è vero che la fede e la passione devono pe statuto e senza deroghe fa er tagliando tra sofferenze e gironi danteschi, ner caso nostro la santità dovrebbe esse acquisita da tempo.
Manco er tempo de giunge le mano a preghiera che Marcos Tiramolla de Dios e Leandro Castagna de Jesus stanno già a invocà l'arca de Noè fingendosi leocorni, tanto e tale è er diluvio de merda che tosto come pesto s'abbatte sulle sorti nostra. La Cosa perde palla nela zona nevrargica der campo, uno s'envola tra le recchie der Poropiris pe crossà sur tacco de uno pagato da noi affinché faccia assist a no slovacco co la stanzetta tappezzata coi poster de Gamberini.

Kucka tira forte de destro sur palo sinistro, Franco resta ar centro e dopo 6 minuti già perdemo. "Nun po esse!" se dimo già scossi, perplessi e depressi mentre i nostri reagiscono ale circostanze avverse mettendose forigioco con forigioco sbajato che porta ancora quello pagato da noi a fa nantro assist a beneficio stavorta den serbo acrobatico co la cameretta tappezzata de poster de Daniele Conti. Quello sforbicia e pia traversa piena e tanto ce pare illogico che er culo c'abbia baciato in fronte che tutti, noi pe primi a casa e i rappresentanti nostra in campo, se mettemo a guardà quer legno tremolante come se guarda un cornicione che sta pe cascà, tremebondi se spostamo, mentre la palla segue le logiche dela rimbarzella e da la testa den grifone sospinta rifinisce sur mai domo acrobatico serbo. Nell'immobilità nostra quello c’ha tempo de:
- riarzasse
- salutà i parenti in tribuna che proprio oggi so venuti a vedello
- dasse na sistemata ai capelli
- insoddisfatto del risultato, fasse fa un taglio al volo da un barbiere de passaggio
- ”sfumatura alta ma senza che se vede il bianco della testa, grazie”
- ordinà na carbonara
- insoddisfatto del risultato, rimandalla indietro con sdegno
-”ce va er guanciale, no la pancetta der supermercato”
- accende er pc
- aspettà che carica
- “o devo levà st’antivirus, rallenta e basta”
- aprì word e scrive di getto alcune considerazioni circa i paralogismi della ragion pura nella critica kantiana
- aprì Cubase e remixà un pezzo dei Muse
- “mo sì’ che spigne, se non equalizzi bene è un cazzo e tutt’uno, a Bellamy”
- ipnotizzà Taccidis
- segnà

Duazzero pe loro, dopo 16 minuti. Come co la Juve, come co la Talanta se alla Talanta avessero i poster giusti in cameretta. Er Genoa pare er Barcellona, noi paremo la Roma, tale e quale. Sedici minuti e se semo già consegnati ar nemico. Er Santone esonerato, Capitan Depresso ar City Germain, Osvardo a sonà la chitara, Lamela a cantà co gli One Direction, Bardini co Villas Boas, Sabbatini partito pe le piantagioni de tabacco der Brasile, Taccidi diventato capitano dela Roma mentre Ercapitano ha annunciato er Ercapitano day.
Ercapitano day, però, è tutti i giorni che na palla rimbarza. E basta niente, ninezia, nsussurro, na parabola sbilenca come la parabola der Poropiris, che da oggetto misterioso misteriosamente scapoccia na palla che arcuata s'acquatta a chiede protezione civile Arcapitano. Che je fa na carezza, la calma e la placa e docile la fa score fino ar cantuccio più lontano. Duauno pe loro, ma Uncapitano pe noi, che s’encolla la cofana ce fa arzà in piedi pe la duecentodiciassettesima vorta. E come sia possibile che ce sia chi ancora non riesce a dì grazie a uno che t'ha fatto arzà in piedi ducentodiciassette vorte resta mistero dela fede.

Lì succede na cosa tuttosommato semplice: comincia la partita, che in quanto tale de squadre in campo ne prevede due. Le gambe s’accendono, i muscoli s’irrorano, le sinapsi s’inapsano e, pur nella generale convinzione che il 3-1 sia assai più probabile e prossimo del 2-2, iniziamo a fa quello che sapemo fa mejo: sperà, nonostante tutto. Epperò non speramo solo nonostante, speramo pure grazie. Grazie a Franco. Perchè se tra mpaio d'ore avremo difficoltà a pià sonno non pe rodimento de culo ma pe fomento, perchè se domattina non se staremo a abbaià contro ma c'avremo voja de sbranasse la settimana pe arivà de corsa ala prossima partita, perchè se tra qualche mese sta partita la riguarderemo dicendo "ao ma taa ricordi Genova?", se tutto questo aiuterà in futuro, lo si dovrà a st'omo non sempre presente, ma che quando sta in giornata può gridà a chiunque "non sei passato!", pensando tra l'altro de stajelo a dì sottovoce, e lo dice a Jorquera quando tutti ormai avevamo pensato che quello era passato, e il momento bono insieme a lui. Envece Franco vola e s'estende e la pia, e mpo de paura se porta via.

E allora noi ce speramo, loro forse ce credono o almeno ce provano, col primo tangibile risultato che tutti ricominciamo quantomeno a sventà l’ipossia. Ma alla fine un ipotetico Moscardelli o suoi eventuali agenti in missione de rappresentanza te potrebbero risponde “Tangi stocazzo”, se la parola rimanesse verbo morto. E invece il verbo si è fatto carne argentina e cipolla, è venuto in mezzo a noi ed è andato in mezzo all’area, e noi abbiamo visto la sua gloria e la sua sforbiciata, a quelli che credono nel suo nome ha dato il potere di diventare figli di Dio (quello cor 10 pe capisse), a quelli che ancora nce credono ha detto “Aò ma che cazzo devo fa più de così?”.

E così il Padre ha preso la palla e ha cercato con lo sguardo lo Spirito Santo, non l’ha trovato e ha detto “Vabbè Piris, famme vedè se sei piccione o colomba”, quello ha spiegato le ali della pace e della gioia, s’è involato fino ai confini del campo e del mondo conosciuto e ha lasciato partì nantra parabola pe quer poro cristo che aspettava davanti alla porta la lieta novella e che, quando tutto sembrava perduto ha detto: “Lazzari! no, non tu, discontinuo centrocampista ora nelle fila dell’Udinese, proprio noi lazzari in quanto morti da risorge, arzamose e camminamo, che questi stanno peggio de noi!”. L’omo che non faceva i gò brutti ma esurtava a cazzo, tira fori la linguaccia e corendo a marcia indietro dice grazie mà d’avemme fatto così bello, grazie mà d’avemme fatto così poco incline a gò che non meritano retweet.Insomma, dopo quarantacinque minuti pe un viaggio andata e ritorno dall’inferno, ne stanno pe arivà artri quarantacinque pe vedè se c’aregge a spizzà com’è fatto sto paradiso.

L’intervallo ha l’odore di incenso che purifica, ricarica e fa spegne i motori ai purman de contestatori già puntati verso Fiumicino. Succede così che la ripresa ce veda subito presenti nello spirito, e anche chi sembrava ormai smarito riarza la testa e ce dà fiducia ner futuro suo e nostro. SperoPiris, non pago de du assist, roba che avremmo pagato noi pe vedelli, prova pure mpaio de vorte a tirà con esiti improbabili, tarmente improbabili che Marquinho dala panca se risente e lo apostrofa: “Aò a coso, a busta de piscio è roba mia, inventate nantro tiro sbajato”. E Capitan Depresso, in tutto ciò, come se pone? Lui, quello che mo sta a destra de Taccidi, no anzi, a sinistra de Taccidi, no spè spè, mo sta dietro Taccidi, aridaje, volevamo dì ar posto de Taccidi, insomma, Daniele De Rossi da Ostia, se pone nel nuovo ruolo che prevede che in ogni linea der 433 zemagnano ce sia almeno un elemento che faccia mpo come cazzo je pare, basta che ala fine se vinca.

Emulo centrocampico del nomadismo offensivo Dercapitano, Capitan Mo core, pressa, imposta e lancia proprio come se je ne fregasse quarcosa de giocà co la Roma, proprio come se tifasse Roma, proprio come se fosse Daniele De Rossi da Ostia. E se rumina e se produce carcio e arivano occasioncine e carci d’angolo che però, come se ce potessimo permette er lusso, la voja de fallo strano a tutti i costi non te fa mai pensà siano occasioni propizie. Perché noi, er carcio d’angolo, quest’anno o battemo come fosse na corpa. Io a passo a te, tu a ripassi a me, se ce dice culo crossamo, preferibirmente no.

Vittime de neffetto sorpresa che ce zavorra, se ripetemo che pe esse tale la sorpresa dev’esse rara, sennò è regalata, er nemico ce sa, tanto vale ridaje la palla. Insomma, se lo strumento der carcio d’angolo è stato nei secoli utilizzato ad ogni latitudine e ad ogni livello come espediente utile e comodo a lanciare al centro della tenzone l’oggetto del contendere affinché compagni di squadra possano prevalere in altezza ed elevazione sui principali esponenenti alti dello schieramento avverso, un motivo ce sarà pure stato. E però no, io la do a te, tu la dai a me, se ce va forse crossamo, preferibirmente no. Stolti che non siamo altro, miopi e miscredenti, riluttanti riluttamo astio davanti all’ennesimo inutile corner.

Ma c’è un omo che oggi è mezzo omo e mezzo fio de quello che je gioca mpo a sinistra e mpo dietro, un omo che sta in pieno delirio mistico ed è ormai pronto alla definitiva ascensione. Sturmtruppen Florenzi se avventa sulla bandierina pe batte l’angolo e rifiatà dopo i consueti 80 chilometri percorsi. Er sordato guarda in mezzo, vede un fascio de luce che illumina er numero 9 e capisce che i tempi so maturi pe la chiamata, ma come ogni pischello fino a poco fa ar minimo contrattuale purtroppo nc’ha i soldi sur cellulare, quindi ripiega sula più classica delle soluzioni: “Osvà, te faccio no squillo e ascendi!”.

La palla se schioda dalla bandierina, lo squillo de trombe se propaga nell’aere e, insensibile all’insensibilità de Franco, rilascia na melodia celestiale che reca un solo inequivocabile messaggio di speranza per un popolo in cammino: famoje er terzo. Quello figurate, oramai è uno e trino, gne pare vero che je dici così, nse lo fa ripete du volte e pe la prima volta segna du volte. Cross su carcio d’angolo, corpo de testa, gò. La normalità diventa eccezione, la novità è il ritorno all’antico, la sorpresa è quando meno te l’aspetti, appunto, e funziona. Treaddue pe noi, stronzi privi de pazienza. Er Genoa è disperato e come ogni disperato decide d’appellasse ala superstizione e ala cabala, appello che, quando rivolto contro i colori nostra, diventa certezza scientifica, razionalismo empirico, logica kantiana.

Tanto l’arma dell’ex quanto quella der carneade dala rima facile vengono utilizzate senza riguardo ner giro de pochi minuti. Bertolacci, colui che ce fece er gò dell’ex senza avé mai giocato manco un minuto co noi, e il debuttante uruguagio Melazzi, rotolano in campo pronti a chiudere gli occhi e ricevere sul corpo il rimpallo che li farà eroi de giornata. Come se non bastasse, il loro subentrare si va ad aggiungere al di già subentrato ex der miste, quer Cirimmobile che se ce dovesse segnà non esurterà pe rispetto ar Santone che fu suo. Insomma, semo pronti a ogni tipo de beffa, anche perché er Santone de fa cambi non ne vo sapé finché Sturmentruppen non esce a braccia arzate dala trincea implorando er cambio che Malincosniaco ariva. La tristezza sulle gote sua, sua de Miralem, è composta e matura ar punto da prende in considerazione l’ipotesi de resettà tutto e ripartì da zero. Co na palla Arcapitano, palla che se perde e recupera e se porta avanti come fosse nazione de rubgy piena de erori dove però i più forti e prepotenti vincono sempre pe superiorità fisica, tigna e giustizia proletaria.

La prole nostra, quella de Nadolescente co la riga scorpita ner gel e i brufoli inesplosi, che esplode er sinistro, e chiude er conto. E’ finita, amo vinto, quattraddue de rimonta, na cosa quasi uguale e contraria a quel che ce toccò su quer campo mpar d’anni fa, na cosa quasi uguale e contraria a quel che c’è già toccato sur campo nostro st’anno e a tanta sorte nostra. Addirittura, pe esse sicuri sicuri, proprio come farebbe chiunque, da Nedo Sonetti a Crujff, entra ncentrocamparo pe na punta, Er Lucido pe la Cipolla. Er Santone rompe er dogma suo, s’umanizza, quasi ride e noi co lui.

Ce stanno certi lunedì che te svegli e non capisci subito. Guardi la sveglia e hai dormito più del solito. Entri in salotto e un'odore dolce te raggiunge, cor profumo forte er giusto, che non te appesta, ma te inebria. Er gatto che de solito s'accolla pe magnà subito te guarda come a dì "Tranquillo, n'è fame, è appetito". Allora te fai er caffellatte, ed è bono de un bono che manco se le mejo mucche svizzere t'avessero mannato er succo più pregiato pe dasse na punta co la mejo arabica nela tazza tua. Degusti, deglutisci, te ricordi.
A Roma ha vinto.

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