Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 31 marzo 2012

Manifesto per un soggetto politico nuovo

Oggi in Italia meno del 4% degli elettori si dichiarano soddisfatti dei partiti politici come si sono configurati nel loro paese. Questo profondo disincanto non è solo italiano. In tutto il mondo della democrazia rappresentativa i partiti politici sono guardati con crescente sfiducia, disprezzo, perfino rabbia. Al cuore della nostra democrazia si è aperto un buco nero, una sfera separata, abitata da professionisti in gran parte maschi, organizzata dalle élite di partito, protetta dal linguaggio tecnico e dalla prassi burocratica degli amministratori e, in vastissima misura, impermeabile alla generalità del pubblico. È crescente l' impressione che i nostri rappresentanti rappresentino solo se stessi, i loro interessi, i loro amici e parenti. Quasi fossimo tornati al Settecento inglese, quando il sistema politico si è guadagnato l'epiteto di "Old Corruption".
 

In reazione a tutto questo è maturata da tempo, anche troppo, la necessità di una politica radicalmente diversa. Bisogna riscrivere le regole della democrazia, aprirne le porte, abolire la concentrazione del potere ed i privilegi dei rappresentanti, cambiarne le istituzioni. E allo stesso tempo bisogna inventare un soggetto nuovo che sia in grado di esprimersi con forza nella sfera pubblica e di raccogliere questo bisogno di una nuova partenza. I due livelli - la democratizzazione della vita pubblica del paese e la fondazione, anche a livello europeo, di un soggetto collettivo nuovo, si intersecano e ci accompagnano in tutto il manifesto. Le nostre sono grandi ambizioni ma siamo stanchi delle clientele che imperversano, dell'appiattimento della politica su un modello unico, delle partenze che non partono. E poi, con la destra estrema che alza la testa in tutta l'Europa, si fa sempre più pressante lo stimolo ad agire, a non lasciare una massa di persone in balia alle menzogne populiste. Oggi la sfera separata della politica in Italia, "il palazzo" per intenderci, non rappresenta affatto parti intere del paese: le persone giovani, specialmente del Sud e donne, che non trovano sbocco ai loro sogni e ai loro percorsi educativi. 
 
Le operaie e gli operai, che vedono giorno dopo giorno minacciati i loro diritti dentro la fabbrica, le commesse e i commessi intrappolati nella catena della distribuzione, i ceti medi del pubblico impiego, quelli della scuola, della sanità, dell'amministrazione pubblica, che in questi anni sono stati tartassati e disprezzati; i giovani precari, spesso super-qualificati, vittime di una flessibilità selvaggia neoliberista inizialmente introdotta dal centro-sinistra che ha tolto loro dignità e futuro, la rete dei microproduttori e del cosiddetto lavoro autonomo di seconda generazione entrata in crisi con la recessione. Tutti questi elementi possono mobilitarsi nella società per poi trovare nel palazzo solo un muro di gomma o un ascolto distratto. È ora di spezzare questi meccanismi perversi. Al loro posto proponiamo un nuovo percorso in cui i cittadini riescano ad appropriarsi, attraverso processi democratici diversi, del potere di contare e di decidere.
 

La «poesia pubblica», per utilizzare la frase del poeta americano Walt Whitman, deve entrare nella storia della Repubblica. E lo farà quando un gruppo sempre più grande di cittadini (donne ed uomini) qualificati, informati e attivi decideranno di farne la loro bandiera.
Diffondere il potere, non concentrarlo
Oggi le decisioni sono sempre prese altrove - non a livello comunale ma regionale, non nel parlamento romano ma a Bruxelles, non a Bruxelles ma a Francoforte, non alla Bce ma dai mercati, strane creature che vivono solo di giorno ma che decidono tutto lo stesso, sia per il giorno che per la notte.
 
Il nostro compito è di frenare per quanto possiamo questa fuga decisionale verso l'alto, l'inspiegabile e l'astratto. Bisogna innescare un processo opposto che destituisca, decostruisca, ceda, decentri, abbassi, distribuisca, diffonda il potere. Bisogna riaffermare la validità della dimensione territoriale locale (ma non localistica), espandendo tutti quegli spazi in cui il governo e il cittadino sono vicini l'uno all'altro. Il comune è uno di questi. Carlo Cattaneo, una delle più belle ed inascoltate voci del nostro Risorgimento, nel 1864 descrisse il comune come «la nazione nel più intimo asilo della sua libertà». E aggiunse, con un pizzico di amarezza: «Pare che fuori di codesto modo di governo la nostra nazione non sappia operare cose grandi». Ridare spazio e poteri ai comuni, e metterli in contatto tra di loro sarebbe già in sé una cosa grande. La Rete dei comuni per i beni comuni punta in questa direzione, verso una valorizzazione profonda dei beni comuni e dei diritti fondamentali ad essi collegati. E punta anche ad agire dal basso verso l'alto, costituendo una sede congeniale per proposte da sottoporre alla Commissione Europea ai sensi del Trattato di Lisbona e del regolamento Ue n.211/2001. Si pensi, per esempio, al progetto di una Carta Europea dei Beni Comuni, così come deliberato dal Comune di Napoli, mediante la quale inserire la nozione di bene comune tra i valori fondanti dell'Unione e fronteggiare la dimensione puramente mercantile (market oriented) del diritto comunitario. In questo modo il potere locale riesce ad aggregarsi, a contare a livello nazionale, a diventare forza anche transnazionale ma sempre quale attuazione di un indirizzo politico espresso dal basso e soprattutto dalla cittadinanza attiva.
 

Non basta. Il comune è un'istituzione costituzionale, non un'aggregazione di una certa tendenza politica. Un soggetto politico nuovo dovrebbe impegnarsi su tanti terreni, sia dentro le istituzioni che fuori, cercando sempre di coniugare fra di loro livelli diversi della democrazia: quella rappresentativa, quella partecipativa e quella di prossimità. In prima istanza esso dovrebbe interagire con le forze e movimenti della società civile. Essi agiscono per una grande varietà di motivi - in nome dell'ambiente, in difesa dei diritti dei lavoratori, per la legalità e contro la criminalità organizzata, per la dignità e la parità delle donne - in un mondo (e un mondo di lavoro) ancora profondamente patriarcali. Nel rapporto tra i generi l'eguaglianza non può limitarsi alle "pari opportunità", cioè ad accomodamenti (pur necessari) dentro un sistema che resta immutabile, ma diviene un processo in grado di sovvertire l'esistente. Chi vive una situazione di ineguaglianza non può limitarsi a voler essere uguale a chi si ritiene superiore o più potente, al contrario aspira al superamento dei vecchi modelli.
 

Tutte queste istanze della società civile sottolineano giustamente la loro specificità e autonomia; molte insistono anche sull'informalità e spontaneità delle loro strutture. Ma allo stesso tempo tutte hanno un bisogno disperato di connettersi fra loro e con le sedi decisionali, di presentare i loro punti di vista nelle istituzioni e di riformare quelle istituzioni stesse. Si cerca un nuovo tipo di relazione politica: che forma potrebbe mai assumere una volta che ci si rende conto dell'inadeguatezza del sistema attuale della rappresentanza?

Il nuovo spazio pubblico della democrazia 
A metà dell'Ottocento John Stuart Mill era convinto che il nuovo sistema rappresentativo garantisse a «tutte le voci» del Regno di farsi sentire nel parlamento. La storia gli ha dato torto. Anche in virtù della deriva maggioritaria, i parlamenti si sono sempre più allontanati dal paese reale, e sempre più i parlamentari rappresentano, in primo luogo, se stessi. La democrazia rappresentativa ha bisogno, dunque, sia di una sua riforma interna in senso proporzionale, sia di essere arricchita da nuove forme di democrazia partecipativa. Ciò che vale per il sistema politico nazionale è ancora più vero per i partiti in cui la democrazia ha sempre fatto fatica ad imporsi. La teoria che sottende ai cambiamenti deve essere resa esplicita: il sistema rappresentativo è l'unico che garantisce la partecipazione di tutti i cittadini in condizioni di voto segreto. Esso gioca di conseguenza un ruolo insostituibile. Ma per affrontare l'attuale crisi deve essere associato alla democrazia partecipativa. E il punto cruciale riguardante il rapporto tra i due risiede nel fatto che l'attività costante della partecipazione alimenta e garantisce, stimola e controlla la qualità della rappresentanza e la qualità della politica pubblica.
 

In altre parole, è emersa in questi ultimi anni una domanda esplicita di rottura che ha al suo centro una nuova percezione dello spazio pubblico, che non può essere ridotto né all'attività, sempre più degradata, dei partiti, né ai codici di per sé privatistici, del mercato. Tra i cittadini è cresciuto il desiderio di riappropriarsi di ciò che è comune, non solo beni ma anche processi. La democrazia si allarga e diventa più inclusiva: delle nuove forme di partecipazione dei cittadini, della gestione dei beni comuni, della società civile che interagisce, in piena autonomia, con una sfera politica che si apre alla cittadinanza invece di chiudersi come un riccio.
 

Processi di questo tipo cambierebbero in positivo anche il delicato rapporto tra privato e pubblico. Nei decenni del neoliberismo abbiamo assistito al trionfo del privato, declinato in vari modi: consumismo, chiusura nell'interesse personale, familismo, evasione fiscale; ma anche, sul versante opposto, solitudine, frammentazione, esclusione. Sarebbe ora di riattivare e riapplicare quella rivoluzionaria intuizione del movimento delle donne degli anni '60 e '70: «Il personale è politico». Le persone, uomini e donne, devono riflettere sul loro privato - i loro valori, consumi, strategie individuali e familiari. Questa riflessione ha rilevanza per lo spazio pubblico di più grande emergenza - l'ambiente. Una visione ecologica del mondo incentrata sui beni comuni richiede una trasformazione qualitativa e relazionale del rapporto tra spazi pubblici e privati, così da perseguire la giustizia ambientale e sociale. I destini del pianeta non possono essere affidati esclusivamente ad interessi individualistici, guidati dal tasso di profitto a breve termine e dalla negazione della dignità del lavoro. In coerenza con una visione ecologica del mondo incentrata sui beni comuni, occorre invece coniugare i doveri e i diritti, per costruire relazioni equilibrate per l'insieme della collettività.
 

Troppe volte la partecipazione, come viene praticata dai partiti ansiosi di dimostrare la loro disponibilità e la loro modernità, ha assunto il volto dello sfogatoio, con assemblee caratterizzate da un confusionismo generale. Occorre invece uscire da questa mistificazione della sovranità popolare, e allo stesso tempo destrutturare una sovranità popolare totalmente fondata sulla delega. Occorre trasformare il livello prepolitico della partecipazione in diritto alla democrazia. Possiamo infatti mutuare i principi della Convenzione europea di Aarhus - legge dello Stato a partire dal 2001. La Convenzione, attraverso l'istituto della partecipazione, riduce la discrezionalità delle scelte politico-amministrative, obbligando le istituzioni a prendere in considerazione le istanze partecipative e ad argomentare in maniera più circostanziata le proprie decisioni.
 

In questo senso il Laboratorio Napoli "Per una Costituente dei beni comuni" prevede sedici consulte divise per macro-aree che si interfacciano con i singoli assessorati attraverso il ruolo dei facilitatori. L'informazione deve costituire il presupposto per una reale partecipazione. Il processo partecipativo è normato e calendarizzato, la sua violazione può determinare l'annullamento degli atti amministrativi. Ciò rende certo il processo evitando forme fasulle e confusionarie della partecipazione, ponendosi come un esempio del necessario connubio tra rappresentanza e partecipazione. 
Un altro esempio di partecipazione, disegnato per la consultazione di un grande numero di cittadini, è il referendum on line che, preceduto dalla necessaria dispensa di informazione bi-partisan, può portare alle decisioni in tempi rapidissimi.
Un altro ancora viene chiamato Party (partecipazione attiva riunendo tavoli interagenti). È un metodo ispirato a due fra i più diffusi (Town meeting e Open Space Technology), che permette di discutere e decidere insieme sia su questioni locali che nazionali. Un'assemblea, ad esempio, viene divisa in tavoli di dieci-quindici persone ciascuno. I/le partecipanti, che possono non conoscersi affatto, affrontano i temi a loro sottoposti. Per ogni tavolo si sceglie una persona per facilitare il dibattito, un'altra per prendere appunti. Dopo una lunga e informata discussione in un arco di tempo prestabilito, ogni tavolo cerca di esprimere nel report un'opinione collettiva che può anche comprendere proposte diverse. Alla fine, una sintesi di tutto il lavoro svolto viene presentato alla plenaria. L'interazione tra chi partecipa ai tavoli e la possibilità di essere praticata a costi contenuti e con un uso ottimale delle tecnologie informatiche, costituiscono un pregio particolare di questo tipo di democrazia partecipativa.
 

Di tutte le forme di democrazia partecipativa, quella iniziata nella città di Porto Alegre in Brasile rimane una delle più convincenti, e per tre ragioni principali: la prima perché la partecipazione è calendarizzata, con un forte senso di continuità temporale durante l'anno, non limitata a una singola occasione. La seconda perché prevede un gran numero di luoghi e livelli di partecipazione, dagli incontri di strada (street meeting) di gennaio al Consiglio di bilancio in settembre, alla solenne adozione del bilancio partecipativo da parte del consiglio municipale e del sindaco a fine anno. E la terza perché è un processo, non un momento, che contribuisce così alla formazione di un prezioso capitale per qualsiasi democrazia - gruppi crescenti di cittadini informati, attivi e con idee chiare su che cosa costituisce una cultura democratica. Dobbiamo trovare, declinando in più di un modo la democrazia partecipativa, la forza per portare avanti una vera rivoluzione culturale fatta di trasparenza e responsabilità.
 

Forme e pratiche di una nuova aggregazione
La degenerazione degli attuali partiti politici oscura e mortifica gli ideali di molte persone che, soprattutto a livello di base, vi militano in buona fede e con generosità. La volontà di partecipazione, di far da sé, di riprendere in mano il bandolo del discorso pubblico, richiede invece un modello di pratica e di organizzazione politica radicalmente altro rispetto a quello formatosi nel lungo ciclo novecentesco. Non possiamo più accettare un modello incentrato sulla stretta identificazione di sfera pubblica e di sfera politica con un tendenziale primato della seconda sulla prima, in quanto luogo di espressione della forma partito intesa come unico soggetto dotato di voce e legittimazione.
 

I nostri Costituenti, nello scrivere l'art. 49, avevano immaginato i partiti come luoghi di mediazione, corpi intermedi fra società e istituzioni politiche. Luoghi nei quali potesse formarsi e organizzarsi il consenso. Ma il principio costituzionale che i partiti devono concorrere «con metodo democratico» alla vita politica nazionale, è stato realizzato solo parzialmente, in riferimento alle relazioni esterne dei partiti. In realtà s'immaginava che il metodo democratico dovesse valere soprattutto nel funzionamento interno dei partiti, sulla base di principi quali la solidarietà, l'eguaglianza, la pari dignità, la trasparenza. Una volontà velocemente disattesa da un sistema politico che si è progressivamente organizzato con strutture opache, piramidali, fortemente escludenti.
 

I partiti politici attuali sono così diventati organizzazioni completamente anacronistiche rispetto ad un modello di democrazia che non può più esaurirsi nella rappresentanza e nella delega. Il fondamento giuridico leggero che li intende quali libere associazioni di cittadini non riconosciute (Codice civile) risulta paradossale. Essi incredibilmente si trovano nella posizione di godere da un lato di tutti i benefici di un soggetto privato, dall'altro di avere accesso ad ingenti risorse pubbliche. Un mostro a due teste che si appella al diritto di riservatezza, proprio dei soggetti privati, mentre vive di risorse pubbliche in una dimensione opaca, espressione di corruzione e perversa contaminazione di interessi pubblici-privati.
Noi vogliamo invece affermare l'interpretazione autentica dell'espressione «metodo democratico», vogliamo un soggetto politico che, oltre i partiti, sappia muovere dai fondamenti costituzionali per creare nuovi modelli di partecipazione politica, fondati sulla passione, la trasparenza e l'altruismo.
In primo luogo il soggetto nuovo, nelle sue regole e pratiche, dovrebbe mettere l'accento sull'inclusione. L'immagine dei partiti arroccati ai propri privilegi e separati dal resto della società, dediti all'hollowing out, allo svuotamento della democrazia - sempre più potere nelle mani della leadership, sempre meno democrazia interna, sempre meno iscritti (Peter Mair) - dovrebbe cedere il passo a un'altra, totalmente diversa, basata sull'allargamento dello spazio pubblico della politica, non sulla sua restrizione. Dentro questo spazio, non più separato dalle istanze della società, si muoverebbe una pluralità di attori politici nuovi. Si passa così dall'esclusione verticistica (il tesserato come spettatore passivo degli show dei suoi leader) all'inclusione orizzontale: il cittadino come agente in una struttura basata su regole democratiche. La struttura del nuovo soggetto non sarebbe piramidale ma confederale, senza un centro nazionale fisso ma con un coordinamento itinerante e a rotazione che si sposta regolarmente da regione a regione. I singoli individui si aggregano in modo egualitario sia alla sfera della discussione e della decisione, sia a quella dell'azione, ognuno nei limiti delle sue possibilità e delle sue disponibilità di tempo. A tutti i livelli cerchiamo le forme politiche che consentiranno realisticamente la possibilità di confrontarsi e decidere insieme (vedi sopra nel paragrafo B). Ci interessa un luogo dove si sperimentino pratiche fondate sul "potere di" piuttosto che sul "potere su".
 

Il soggetto nuovo nascerà da un'istanza diametralmente opposta a quella che ha guidato quasi tutti i processi organizzativi novecenteschi. Organizzarsi, secondo quel modello significava unificare gli identici, raccogliere in un unico contenitore (modellato gerarchicamente sulla struttura statale) gli omogenei - coloro che condividono gli stessi valori, gli stessi linguaggi, gli stessi ideali, gli stessi interessi e gli stessi luoghi. Crediamo invece che organizzare, oggi, voglia dire mettere in connessione le diversità: culturali, etniche, linguistiche. Inventare la forma della convivenza in un mondo e in una società in cui quello che era distante e separato tende a convergere e intrecciarsi. L'organizzazione politica dovrebbe essere il grande laboratorio in cui si inventano e si forgiano i nuovi linguaggi di un dialetto universale in grado di superare la separatezza Una politica che sappia emanciparsi dalla coppia schmittiana "amico-nemico". Che sappia trovare la propria essenza non nell'esclusione reciproca (e nel conflitto tra identità chiuse e separate) ma nell'inclusione e nella contaminazione-connessione-ibridazione tra identità.
 

Una serie di regole semplici e condivise che in questi anni sono diventate patrimonio comune determineranno il comportamento del nuovo soggetto nelle istituzioni e fuori di esse. Adozione di un codice etico e dunque politico nella ricerca e accettazione dei finanziamenti, rifiuto della gestione clientelare di risorse e consulenze, primarie per la selezione dei candidati o assemblee partecipate nei piccoli comuni, limiti e vincoli di mandato, rotazione negli incarichi di direzione, trasparenza nell'uso delle risorse. La vita interna del nuovo soggetto si baserà anch'essa su alcune semplici regole di base: prendere le decisioni ricercando in modo prioritario il massimo consenso possibile; quando occorre procedere al voto con il sistema "una testa un voto", unire il rispetto delle decisioni maggioritarie con la salvaguardia dei diritti delle minoranze, possibilità per tutti di votare in modo regolare e segreto. Nelle riunioni del nuovo soggetto, considerazioni di genere devono assumere un posto di massima importanza: nessuna tolleranza per i soliti maschi accentratori. Tempi stretti di intervento, ascoltare ciascuno/a e fare in modo che ciascuno/a parli, report tempestivi delle riunioni.
 

La chiave della vita interna dovrebbe essere la prevenzione insieme all'invenzione: prevenzione di tutte quelle forme di burocratizzazione e di oligarchia che hanno sempre caratterizzato i partiti socialdemocratici (per non parlare di quelli democristiani), un'invenzione che si nutre di una partecipazione dal basso sempre più formata politicamente: negli ultimi anni, tante delle persone coinvolte nelle campagne referendarie e in mobilitazioni simili si sono informate, studiando, sostituendosi così ai partiti nelle proposte di nuove politiche. La formazione, ormai assente nelle strutture partitiche (con gravi danni non solo a livello nazionale, ma anche nelle amministrazioni locali, con politici sempre più ignoranti) è un terreno su cui ritornare a impegnarsi. Più estesa la scala, più arduo diventa il nostro compito. In ogni caso la nuova democrazia deve camminare mano in mano con l'efficacia. Oltre al come si decide, diventa importante come si funziona. È del tutto inutile rimpiazzare la repubblica delle banane o quella dei "tecnici" con una delle chiacchiere.
 

Lavoriamo per stemperare, rendendolo dinamico, il confine fra le persone che partecipano a campagne e gli iscritti. Pensiamo ad allargare il potere decisionale a tutti, attraverso consultazioni vincolanti tramite voto referendario e primarie, per la materia elettorale e non solo.

Comportamenti e passioni
Le regole formali, preziose e insostituibili, non sono sufficienti. Ad esse va associata la lenta ma costante creazione di una cultura profondamente diversa. Per troppo tempo abbiamo scelto di escludere dal campo della politica qualsiasi riflessione sulle passioni e sui comportamenti individuali. Un esempio fra tanti: la cultura della pace. Siamo bravi a predicare la non-violenza a livello internazionale ma molto meno a praticarla come virtù sociale. Le relazioni tra di noi nella sfera pubblica politica rimangono piuttosto primitive, senza alcun guida. Anzi. Abbiamo accettato fin troppo facilmente che la nostra pratica politica sia intrisa della violenza e della competitività, una forma di neo-liberismo interiorizzato. Superare una cultura così longeva e insidiosa non è questione di una stagione politica. Ma riconoscere la legittimità del tentativo è già un grande passo in avanti. 
Quando parliamo delle passioni e delle emozioni viene in mente primo di tutto un discorso sul loro governo. Tante volte consentiamo che siano le passioni negative - l'invidia, l'odio, l'orgoglio, l'ira - e i comportamenti sociali che ne derivano - la rivalità, la voglia di sopraffare, il perseguimento dei propri interessi in modo esclusivo - a guidare le nostre azioni. E spesso lo facciamo con una grande inventiva, rappresentando i dissidi come "differenze oggettive", negando con veemenza le loro origini soggettive. Questo approccio rende la sfera pubblica politica paragonabile a una grande giungla preistorica, dominata da ego-mostri - politici moderni gonfiati dall'attenzione incessante dei media. Un primo passo, dunque, verso una nuova politica in questo campo sarebbe un discorso centrato sul governo e sull'autogoverno delle passioni, l'invito forte all'autodisciplina, la produzione di un codice di comportamento.
 

Soprattutto dobbiamo negare spazio a una delle passioni più dannose - il narcisismo. Siamo stufi di leader narcisi e non vogliamo semplicemente affidarci a figure carismatiche, incoraggiate al massimo dalla moderna personalizzazione della politica. Non sopportiamo il protagonismo sfrenato e l'auto-compiacimento senza fine. Se il nuovo soggetto politico venisse concepito come veicolo per una leadership che si presenta in questo modo, avrebbe poca possibilità di crescere e fiorire. 
Le passioni non esistono però solo per essere governate. Una seconda riflessione invita al superamento della classica contrapposizione tra ragione e emozioni, la prima vista come positiva e civilizzante, le seconde giudicate negative e primitive. Certe emozioni e i comportamenti sociali che ne derivano costituiscono invece una risorsa preziosissima per la sfera pubblica politica: la compassione e la gioia, l'amore e la speranza, la generosità e il rispetto per gli altri. Non cerchiamo una nuova sfera politica di auto-abnegazione e di sacrificio, in cui l'individuo si annulli a servizio della causa comune. Cerchiamo invece l'autorealizzazione individuale in un contesto collettivo radicalmente nuovo, all'insegna dell'eguaglianza. Sarebbe interessante sperimentare di più il sentimento dell'empatia, cioè la capacità di mettersi nei panni dell'altra/o, in termini non solo personali ma politici, praticando quella «salda comunanza» (Martha Nussbaum) che esalta le facoltà tipicamente umane di scelta e di socialità.
 

Tutto questo può trovare una prima verifica nella sfera della micro-politica, la cultura sottostante e di supporto alle regole formali e alle grandi riunioni nazionali. È qui che i partiti politici tradizionali danno il peggio di sé. Abbiamo visto dirigenti dei partiti venire alle riunioni e poi leggere ostinatamente i giornali finché non è il loro turno di parlare o quello di un altro dirigente (rivale). Abbiamo visto ovunque i tipici atteggiamenti maschili - non solo di uomini - per cui ci si preoccupa solo del proprio intervento, poi si riaccendono i cellulari e ci si mette a chiacchierare in fondo alla sala. Tutti arrivano in ritardo: più importante sei, più in ritardo arrivi. Tutto l'impasto di una riunione o di un'assemblea assume l'aspetto livido di una contusione, di una profonda e persistente ferita alla democrazia. Da quel terreno cosa può scaturire di nuovo o di buono?
 

A livello di micro-politica un soggetto nuovo metterebbe invece l'accento su un modo di comportarsi radicalmente diverso, all'insegna dell'eguaglianza e della cooperazione fra generi, della capacità di ascoltare, della puntualità, dell'incoraggiare alla partecipazione i più timidi o chi ha meno esperienza. Ritroverebbe una fisicità della politica oltre le reti virtuali di Internet, avrebbe attenzione alla massima circolazione dell'informazione interna e cura che i nuovi partecipanti non si sentano ospiti, ma protagonisti alla pari degli altri. A predominare sarebbero le virtù sociali della mitezza e della fermezza. Il mite, scrive Norberto Bobbio, «è l'uomo (donna) di cui l'altro ha bisogno per vincere il male dentro di sé». Alle sue qualità intrinseche ne viene aggiunta un'altra - quella della fermezza, la capacità di non cedere, come ci ha insegnato Gandhi, ma di insistere con pacatezza. Così la cultura politica nuova si distanzia mille miglia da quella classica del Novecento, basata com'era in grande parte sul machiavellismo, sulla realpolitik, sulla furbizia e l'autoreferenzialità.

Quattro nodi radicali e di rottura 
1. Si rompe con il modello novecentesco del partito, introducendo nuove regole e pratiche: trasparenza non segretezza, semplicità non burocrazia, potere distribuito non accentrato, servizio non carrierismo, eguaglianza di genere non enclave maschili, direzione e coordinamento collettivo e a rotazione, non di singoli individui carismatici. .
2. Si rompe con questo modello neo liberista europeo che vuole privatizzare a tutti i costi, che non ha alcuna cultura dell'eguaglianza, che minaccia a morte lo stato sociale, la dignità e sicurezza del lavoro. Si insiste invece sulla centralità dei beni comuni, la loro inalienabilità, la loro gestione democratica e partecipata. 
3. Si rompe con la visione ristretta della politica, tutta concentrata sul parlamento e i partiti. Si lavora invece per un nuovo spazio pubblico allargato, dove la democrazia rappresentativa e quella partecipata lavorano insieme, dove la società civile e i bisogni dei cittadini sono accolti e rispettati.
4. Si riconosce l'importanza della sfera dei comportamenti e delle passioni, rompendo con le pratiche mai esplicitate ma sempre perseguite dal ceto politico attuale: la furbizia, la rivalità, la voglia di sopraffare, il mirare all'interesse personale. Al loro posto mettiamo l'inclusività, l'empatia, la mitezza coniugata con la fermezza.
 

Una proposta
Il futuro di questo manifesto, del progetto di radicale rinnovamento della soggettività politica che esso propone, è nelle mani di tutti e tutte coloro che lo desiderano attivamente. Si può iniziare dall'impegno a promuovere incontri, inventare momenti partecipativi e occasioni di confronto fondate su una comune condizione sociale o sul radicamento attivo nei territori. Una mobilitazione diffusa e connessa, che non imponga esclusività di appartenenze e che si ritrovi poi in un primo appuntamento nazionale. 
Inoltre si può pensare che sia positiva la presenza alle elezioni amministrative di liste di cittadinanza politica che prendano a riferimento e contribuiscano a costruire questo progetto nazionale. Una rete orizzontale di rappresentanza che sia radicata nei territori e connotata dagli elementi di metodo prima indicati: democrazia, governo partecipato dei beni comuni, etica, nuova cultura delle relazioni. Non si tratta di aggiungere sigle contro tutto e tutti, né di sommare esperienze locali che restano locali, tanto meno di chiudersi nel recinto di una radicalità ideologica.
Vogliamo costruire un soggetto che determini una trasformazione complessiva, costruisca anche alleanze e mediazioni ma con l'ambizione tutt'altro che minoritaria di mettere in campo un'altra Italia. Di lavorare per un'altra Europa.
Per adesioni, contributi scritti, informazioni: www.soggettopoliticonuovo.it
 
Primi firmatari: 
Andrea Bagni, Paul Ginsborg, Claudio Giorno, Chiara Giunti, Alberto Lucarelli, Ugo Mattei, Nicoletta Pirotta, Marco Revelli, Massimo Torelli (redattori del testo), Giuseppina Antolini, Danila Baldo, Giuliana Beltrame, Piero Bevilacqua, Valter Bonan, Paolo Cacciari, Nicoletta Cerrato, Adelaide Coletti, Emmanuele Curti, Sergio D'Angelo, Giuseppe De Marzo, Gianna De Masi, Silvia Dradi, Luigi Ferrajoli, Dario Fracchia, Luciano Gallino, Domenico Gattuso, Luca Giunti, Celeste Grossi, Danilo Lillia, Marinunzia Maiorani, Teresa Masciopinto, Luca Nivarra, Leo Palmisano, Tonino Perna, Riccardo Petrella, Anna Picciolini, Sandro Plano, Chiara Prascina, Corinna Preda, Giuliana Quattromini, Leana Quilici, Alessandro Rampiconi, Domenico Rizzuti, Stefano Rodotà, Chiara Sasso, Enzo Scandurra, Laura Tonoli, Mapi Trevisani, Vittorio Vasquez, Fulvio Vassallo Paleologo, Guido Viale

Il 13 aprile con chi vuole cambiare le cose

Angelino Loffredi da http://www.unoetre.it/


 Il 13 aprile prossimo le organizzazioni sindacali, finalmente, unite ci chiamano a scendere in piazza per difendere i diritti, la dignità, l'occupazione, fermare i licenziamenti facili per chiedere al governo Monti di portare avanti una diversa politica economica capace di suddividere equamente i sacrifici e avviare la ripresa.
A proposito di ingiustizie da noi subite e di privilegi immeritatamente elargiti ad amici e sodali, colgo l'occasione per evidenziare che Antonio Mastropasqua, Presidente dell'INPS, mercoledi, in una audizione alla Camera non è stato capace di quantificare il numero degli esodati. Quelle persone che per gli ultimi provvedimenti legislativi non andranno in pensione e non avranno il lavoro. Viene da chiedere: incompetenza, sottovalutazione o mancanza di tempo per approfondire un argomento che è al centro della discussione? Il Presidente dell'INPS, infatti, è membro di tanti enti di cui è difficile definire il numero esatto. Non avendo il dono dell'ubiquità, ovviamente, non è in grado di seguire tutte le responsabiltà e rispondere in modo preciso.Tante presenze in Enti e Società che qualcuno che legge vorrà farci conoscere minuziosamente. Per questo sarebbe utile e doverosamente trasparente di questo moderno Stakanovista conoscere l'ammontare delle tantissime remunerazioni sia nel dettaglio che nell' ammontare complessivo.
Se le organizzazioni sindacali denunciano le ingiustizie tocca ai parlamentari definire attraverso provvedimenti di legge una incisiva lotta per la giustizia, l'occupazione e contro i profitti di regime. A tale proposito uno dei provvedimenti dovrebbe avere il seguente principio: un incarico, una remunerazione, più incarichi sempre una sola remunerazione. La soluzione è possibile se i parlamentari non sono iscritti al partito de profittatori.
Lontano dagli ignavi, dalle doppiezze e dalle ipocrisie della politica politicante, che bisogna sempre smascherare, il 13 aprile sarò ancora una volta con il sindacato, con chi non si arrende e vuole cambiare lo stato delle cose.

Noi corriamo da soli

Luciano Granieri


Secondo appuntamento con la stampa per la candidata a sindaco Marina Kovari. Il programma di comunicazione elettorale della coalizione;  Sel,  Rifondazione-La Colomba e Frosinone Bene comune   prevede, dopo la presentazione ufficiale di tutta la formazione ,  appuntamenti di presentazione delle singole liste che supportano Marina  nella corsa alla poltrona di primo cittadino. Apre Sinistra Ecologia e Libertà partito della candidata a sindaco. Alla presenza dei vertici locali, Domenico Belli, segretario del circolo cittadino, Nazzareno Pilozzi,  segretario provinciale,  Guglielmo  Abbondante coordinatore regionale , i giornalisti convenuti hanno potuto approfondire il percorso che ha portato Sel alla scelta di correre al di fuori degli schieramenti frusinati più o meno di centro sinistra capitanati da Marzi  e Marini e di scegliere come compagni di viaggio Rifondazione con dentro gli indipendenti del movimento la “Colomba” e la lista civica Frosinone Bene Comune. La scelta secondo i vertici provinciali  è stata alla fine obbligata, perché dopo svariate trattative intercorse con la compagine mariniana e quella marziana, si sono  resi conto che il tema programmatico di queste liste  non era al centro degli obbiettivi. Ma ciò che interessava era l’ottenimento dei consiglieri e di una vittoria puramente elettorale, il programma sarebbe venuto dopo. Tutto ciò non era in linea con gli obbiettivi di Sel, che dopo aver proposto invano le primarie si è  trovata a prendere altre strade, giungendo a definire l’attuale coalizione con Rifondazione e Civica “ Frosinone Bene Comune”. Evidentemente il sodalizio con Rifondazione Comunista e gli indipendenti della Colomba era inevitabile. Infatti il percorso impostato dal circolo cittadino “Carlo Giuliani” di Rifondazione ha posto sin da subito  al centro della propria proposta elettorale una base programmatica che prevedeva, e prevede  la  riqualificazione urbanistica a metri cubi di cemento ZERO, rifiuto completo della speculazione edilizia e finanziaria, incompatibilità con gli attuali scenari bipolari che nel caso di Frosinone ormai sono diventati “TIPOLOARI”. (Marzi, Marini, Ottaviani). La nostra radicalità  ci ha consentito di arrivare a determinate soluzioni alternative molto prima dei nostri COMPAGNI di viaggio.  Infatti  Sel, ha condiviso solo dopo una serie di colloqui e sondaggi, con le altre anime del centro sinistra frusinate, una posizione che Rifondazione aveva sposato da tempo, che gli ultimi sviluppi giudiziari, non hanno fatto altro che confermarne la giustezza . Comunque, sia come sia,  i processi  con cui si è arrivati alla condivisione di un percorso che ha come stella polare l’idea di una nuova città, non sono determinanti. L’importante è che le varie anime della sinistra frusinate si siano aggregate attorno al progetto condiviso da Sel, Rifondazione, e Frosinone Bene Comune, che sostiene con tutte le forze Marina Kovari nella corsa alla poltrona di primA cittadinA di Frosinone. Siamo sicuri che questa proposta innovativa sarà capita e apprezzata dai cittadini di Frosinone.

Interventi di Domenico Belli, Guglielmo Abbondante, Marina Kovari




Conferenza stampa: risposte di Nazzareno Pilozzi e Marina Kovari

giovedì 29 marzo 2012

C'E' POCO DA RIDERE

Francesco Ricci


La foto di Cernobbio vale più di mille articoli esplicativi.
Intorno a un tavolo colmo di cibi, siedono Monti, la segretaria della Cgil Camusso, i segretari dei partiti borghesi che sostengono il governo, Bersani, Alfano, e pochi altri.
Si fanno fotografare tutti sorridenti. La segretaria della Cgil addirittura sghignazza a bocca spalancata.  
La cosa dovrebbe sembrare strana. La Cgil ha appena annunciato uno sciopero generale contro la cosiddetta riforma del lavoro del governo cosiddetto tecnico, il governo in cui i banchieri per una volta non si fanno rappresentare da intermediari ma siedono direttamente, il governo che ha il sostegno della Troika europea e di tutte le grandi famiglie del capitalismo italiano. Il governo che sta scatenando una guerra contro i lavoratori e le masse di giovani disoccupati, per far pagare al proletariato un conto ben più salato di quello del ricco pranzo immortalato nella foto.
Mentre si ingozzano di tortelli e di pesce (come ci informano minuziose e soddisfatte cronache sulla stampa padronale), i commensali, cioè il comitato d'affari della borghesia allargato alla presunta rappresentante dei lavoratori, parlando del grande imbroglio.
Ora si capiscono meglio i tempi lunghi (un disegno di legge in parlamento) voluti da Napolitano. Il tempo serve per imbrogliare i lavoratori. La Cgil farà il suo sciopero (se lo farà, visto che la data è ancora indefinita): in ogni caso sarà solo una passeggiata per "sensibilizzare" il pescecane Monti. Il Pd farà un gioco di emendamenti parlamentari sulla parte che riguarda l'articolo 18. Stamattina su Repubblica Scalfari ha indicato il punto di accordo dettato dalla borghesia: l'articolo 18 (che peraltro già oggi fornisce una parziale difesa dai licenziamenti, che sono di massa) sarà riscritto sul "modello tedesco". Cioè nei casi di licenziamento "per ragioni economiche" (sic), si prevede prima un tentativo di conciliazione tra padrone e sindacato e, in caso di fallimento, è il magistrato a decidere tra indennizzo o reintegro. 
Sempre Scalfari, lucido porta-parola della borghesia cosiddetta progressista (quella che punta per il dopo Monti a un centrosinistra allargato a Casini, Vendola ed eventuali appendici di "sinistra radicale" per archiviare definitivamente Berlusconi), spiega che ben altra è la posta in gioco ed è meglio non cercare di stravincere sui simboli ma piuttosto portare a casa i risultati veri. E i risultati veri per i padroni sono le manovre devastanti (per il proletariato) che Monti sta facendo approvare per "salvare l'Italia", cioè per pagare il debito miliardario di banchieri e industriali e scaricare i costi della crisi del capitalismo sugli operai e sulle masse popolari. Si tratta della "riforma" del sistema pensionistico, dell'attacco generale al mondo del lavoro, dei pacchetti di "austerità". Ciò non toglie che si possa poi conseguire anche l'essenziale di quanto interessa alla borghesia persino sull'articolo 18. Appunto con l'imbroglio alla tedesca, cui giungere dopo un abile gioco delle parti, senza far perdere la faccia alla Cgil, senza far perdere voti al Pd.
Anche Squinzi, nuovo presidente della Confindustria, ci informa Scalfari, è d'accordo per procedere su questa strada.
Ecco di cosa ridono a quel tavolo.
Sta a noi, ai lavoratori, ai giovani indignati, scavalcare le burocrazie sindacali e politiche, infrangere i progetti governisti cullati dalla cosiddetta sinistra radicale, spezzare le chiusure settarie delle direzioni del sindacalismo di base, chiamare la direzione della Fiom a rompere realmente con la burocrazia Cgil (altro che le astensioni di Landini nel direttivo Cgil!). Sta a noi farli smettere di ridere. Sta a noi imporre con una grande lotta nelle piazze uno sciopero generale prolungato. Per difendere davvero l'articolo 18, per dire No al pagamento del debito, per costruire una comune risposta del proletariato europeo contro la guerra sociale scatenata dai governi imperialisti. Per avanzare verso l'unica soluzione realistica alla crisi del capitalismo in putrefazione: un governo dei lavoratori in una prospettiva rivoluzionaria e socialista.

All Inclusive (Milan-Roma 2-1)

Kansas City 1927

Quando finisce il minuto di silenzio una poderosa pacca sulla spalla avverte Franco. Se gioca.
A San Siro, Milano, laddove se sognare è quasi sempre proibito, quest'anno, l'anno dei record al ribasso e de la revolucion dietro l'angolo più lungo della storia, azzardare il sogno dei tre punti, ma anche di un punto solo, spalanca le porte delle prese per il culo e della superbia oltre ogni immaginazione. E però il caso vuole che oggi, er Mila, forse proprio perché l'avversario de giornata semo noi (cosa che non ammeteremo mai), se presenti sule zolle meneghine co nundici ibrido de vecchie glorie, glorie incerottate ar punto da dové presto lascià er campo pe altre vecchie semiglorie, capigliature piramidal post punk, fluidificanti da primavera magrebina (che i vostri due amatissimi accompagneranno in ogni sua singola azione co un: se vabbè allora Mesbah è forte) e Ibrahimovic. Noi, invece, più o meno semo i mejo. Coll'eccezione de Pjanic in panca, in campo ce so i due capitani, ce so er Caciara e Erfucipolla, Aquistinho s'è mbustata na maja e là dietro semo zavorrati co Rosi e Chiaia, compensati dar Cannicane e quello che i commentatori de Roma Cianner chiameranno Rodry pe tutta la gara, scorciatoia confidenziale poco e goffamente scorciata ar punto che chiamallo Taddey sarebbe stato più cool.

Noi cominciamo la tenzone co na tenzone addosso degna de miglior causa, la percentuale der possesso palla, unica componente delo staff giallorosso che torna sempre e comunque a casa contenta, stavorta c'ha er broncio. "Mbè? A regà, se rinunciate financo a me, a me che ogni vorta ve paro er culo co armeno un argomento da addurre a difesa dei vostri discutibili risultati, sete popo stronzi".
"Oh a Possy, che te possyno, nte devi scardà a sta maniera, questo è er Mila, mica Erno Vara, mo' ce provamo a tiratte mpo su, ma nun è facile, qua c’è da non pialle e da dalle, nse po fa na cosa sola, er pacchetto è tutto compreso" prova a risponde na delegazione co la majassorica. Ma mentre l'altri parlano c'è già qualcuno che agisce, è Er Caciara (che continueremo a chiamà così anche se ha detto che je piace de più Nascar, è giovane, un giorno capirà) che ar grido de "Thiago, je la fai o stai a fa er vago?" je fa letteralmente e non metaforicamente stirà le zampe ar Silva de turno e lo leva dai giochi. "Diamine, un sicuro protagonista del match lo abbandona anzitempo, che disdetta, questo funesto accadimento non potrà che inficiare il tasso tecnico dell'intero incontro" pensiamo tutti.
Ma ner mentre che se inficia, questi ce provano, e tipo pe na mezz'ora bona noi la porta non la vedemo proprio, invece loro la nostra la vedono eccome, e anche se chi la difende non la sente, non vordì che non c'abbia er buongusto de difendela cor tatto che gli è consono, risparmiando a tutti i nostri olfatti fragranze difficili da sopportare. Dopo i tentativi de Urby, de Sulley e de Zlaty sventati o usciti de poco, quer giovane dalla testa a cresta de gallo e dalle sopracciglia a cazzo de cane ce va vicino veramente. Ma la primavera araba era nanno fa, e così la paraboletta arcuata che Er Faraone scocca da Treqquarti Tahrir se va a infrange contro er palo della giunta militare, e sul rimpallo tra Nocerino, Ibra, Heinze e Stek succedono cose strane e che non vogliamo ripete, roba de diritti negati e democrazia sospesa, perlomeno quer tanto che basta pe nonfacce pià gò, ma che non sembra sufficiente a evità lo scoramento incipiente
"vabbè ce po' sta a perde cor Mila"
" oh è la capolista lo devi mette in conto"
"se c'è na volta che non contano solo i punti è questa"
"a sto giro me interessa soprattutto la prestazione, poi contro Ibra se sa com'è"
"ma infatti sì, mejo na partita gajarda che un risultato bugiardo"
Manco er tempo de finì de dì ste stronzate che nell'ordine succedono sti fatti:
Se ricordamo de superà metà campo
Lo famo portandose dietro er pallone
Se avvicinamo ar punto de vedè che faccia c'ha Abbiati
Conveniamo sur fatto che tuttosommato stavamo bene pure senza vedella

Epperò già che ce stai che fai, non je lo fai un tiretto? Non je li sporchi sti guanti? Capitan Mo raccoje na palletta senza arte ne parte che vivacchia al limite, je da na botta de vita e la spigne verso il rettangolino che ci esalta, ed è a quer punto che se ricordamo de nantra cosa: sta a giocà pure Osvardo! Oh anvedi come se butta, oh, capace che la struscia, oh, l’ha strusciata, oh, amo segnato, OH, STAMO A VINCE A MILANO!
Pe na vorta succede a noi quello che famo succede sempre a chi ce incontra. Senza avè fatto niente, restando a guardà l’artri che se passano er cuoio, fortificandose barricati a mo’ de frangiflutti, non solo amo respinto l’alta marea, ma semo riusciti a spiscettà un rivoletto che zitto zitto è andato oltre le sabbie mobili ed è finito in porta. Amo fatto catenaccio contro gente più forte e poi amo provato a segnà quando se poteva. Fica sta cosa, toccherebbe provalla ogni tanto.
Ed è co sta suggestione esotica de un carcio diverso in quanto normale che annamo a riposo mpo straniti, privi de spunti rivoluzionari e temporaneamente co tre punti in saccoccia.

Rientramo in campo gajardi e tosti, e il compagno Abbiati pensa de premià subito subito sta gajardanza co nassist Percapitano a difesa non pervenuta. Nautostrada deserta se palesa ai confini der mare, e tutti noi sentiamo il cuore più forte di questo motore e de sta strizza che da nmomento all’altro ce ponno pareggià.
E allora lo so lo sai, lo sapemo tutti Capità, quella è roba tua, roba de diagonale velenoso o de drittopeddritto tempestoso, roba de spaccà la porta e facce strillà e chiude na partita, che il tempo vola ed è ora de raddoppià. Ma il mistero profondo, la passione, l’idea, o l’immensa paura de mannalla in curva fanno produrre Ercapitano nella busta de piscio in verticale, remake del già classico repertorio dell’Aquistinho, e il grido liberatorio rimane dentro di noi, come l’alta marea.
Se apriranno dibattiti infiniti e ancora non sopiti su sta scelta, pe quanto ce riguarda c’è poco da dibatte: ha fatto na cazzata, ma pe noi finisce lì, non è na cazzata che porta a rimette in discussione tutta na serie de giocate riandando indietro fino ar gò contro er Foggia ner ‘94.
Scosso dar tentativo de infringement der copyright, a stretto giro de posta se vede pure l’urtimo della cucciolata. L’Aquistinho de gennaio se propone e se inserisce, Rodry lo serve e quando tutti s’aspettano ncross, eccolo che se produce in quello che in poco tempo s’è affermato come un brand che ar confronto dici Disney è come se dici Montebovi: la busta de piscio in diagonale, che in quanto tale non genera risultati apprezzabili. E’ l’urtimo sussurto connotato dalla speranza, da lì in poi saranno solo giussurti connotati dalle madonne. E qui tocca dì na cosa. Chi ce segue lo sa abbastanza bene. Qua non se so mai cercate scusa, e pure dentro a sto pezzo stesso ce pare de avè rimarcato che non è che se stesse a giocà bene a Milano, anzi. Però insomma, cornuti e Mazzolenati no, perchè sto rigore non aveva da esse, pe forigioco o pe fallo, fate voi, e dopo che Capitan Volley la pia come la pia, er Cannicane ringhia come se nce fosse un domani, e Mazzoleni se rende conto che se non se lo leva de dosso in fretta pe lui non ce sarà veramente un domani, ma ormai ha fischiato.
Ibra e Franco se conoscono, in telecronaca nse dice artro senza specificà se sia un bene o un male. Ibra e Franco se conoscono ar punto che Ibra non la tirerà dove la tira sempre perché Franco conoscendolo se butterebbe proprio là, motivo per cui Franco, pensando che Ibra la tirerà dove non la tira de solito proprio in virtù der fatto che se conoscono, ce pensa e decide invece de buttasse proprio dove Ibra la tira de solito in virtù del fatto che Ibra, pensando al fatto che Franco, conoscendolo, se butterà laddove non la tira sempre, la tirerà proprio dove la tira sempre. E insomma, anni e anni de bire e scopate e canne e partite insieme producono lo stesso risultato de nincontro tra sconosciuti. Palla da na parte, portiere dall’artra, 1-1.
Er piano der manto erboso ormai è ireversibbirmente inclinato, noi coremo in salita e faticamo ar punto che, così come all’andata, ce se stucca er Caciara lasciando potenziale gloria ar gemello timido de Krkrkrkrc, non quello che trovava normale e semplice accompagnasse a Messi e soci ma quello che senza @Joseangel a teneje la playstation se sente spaesato. Er poro Pjanic prova a daje na mano, e bastano mpar de cross fatti bene e du finte de corpo pe azionà le rotative e fa partì er tormentone de settimana, quello per cui avrebbe dovuto giocà lui e Nonercapitano. Ermila è brutto da morì, ar punto da fa ritené davero inconcepibile che na compagine der genere sia prima in classifica e co la testa a Barcellona, laddove dovrà difende 150 anni de unità d’Italia e vent’anni de berlusconismo. Ermila è brutto da morì forse proprio perché, sapendo che a Barcellona ce sarà da fa baricate e limità i danni, già oggi, qui, a Milano, contro de noi che semo quelli che der Barcellona hanno visto più videocassette, prova a mette in pratica gli schemi der palla avanti e vedemo che succede. E però, contro de noi, no schema così po esse letale.
Se non lo è subito è solo perchè Franco a Ibra lo conosce, e lo sa che è dai tempi dell’Ajax che in genere dopo il rigore tirato da quella parte poi se se trova la palla giusta al limite dell’area piccola prova a mettela forte e rasoterra. Stek je la pia de porpaccio, ma mica je la respinge, je la blocca proprio. Ibra soo guarda sornione come a dije: mortacci tua, è proprio vero che me conosci, ce piano questi de Roma Cianner, mortacci pure loro già che ce sto.
Ma è solo questione de tempo.

Un carcione in avanti mette financo Rosi nela condizione de fa bella figura difensiva. Er ragazzo, inspiegabirmente intristosi negli urtimi tempi, ha na cinquina de metri de vantaggio sull’incombente Muntari, l’urtimo fantasma interista tornato in vita da milanista soprattutto in virtù der gò fantasma più autorevormente candidato a sostituì Turone dall’albo d’oro dei mancati eroi. Ma a Rosi le cose facili non piaceno, l’omo nero je passa attraverso non volemo sapé come, giusto er tempo de incollà un sinistro ar volo verso la porta che già na vorta lo vide inutirmente esurtante. Ma un destino cinico e sordo ad ogni recriminazione fa sì che na manona se faccia recchia e capisca l’antifona, smanacci quer tanto da fa vibrà come timpano la traversa, ricacciando a monte de Muntari la rimunta nonché lo sgradevole urlo nefasto de no sssadio intero.
Ma è solo questione de tempo.

Tempo. Comunque vadano le cose lui passa, e se il lui in questione è Ibra e chi lo dovrebbe fermà su un lancione da 50 metri è Chiaia, passa pure facile, e se ne frega se qualcuno è in ritardo, puoi chiamarlo bastardo, ma intanto è già andato, t’ha fatto er sombrero, è annato in Messico, j’ha messo er sombrero in testa ar Papa, ha rimesso in piedi Fidel che se deve incontrà cor Papa, è tornato e ha fatto in tempo a incapoccialla e buttalla dentro. E a chiudi i giochi de sta partita de merda. Er fio de secondo letto de Thor se guarda Franco sconsolato, Franco se lo riguarda vagamente incazzato, er Cannicane se guarda tutti e due decisamente affamato, ma desiste dall’omicidio/picnic in mondovisione pensando: evabbè, almeno non m’annoio, no che non m’annoio non m’annoio. Er Cannicane che se solo avesse avuto l’opportunità de gareggià co Ibra a chi piava prima quella palla nell’aere, avrebbe prima offerto ar nemico un cuscino pe la scerta dele armi pe poi fallo comunque pentì pe sempre de essese cimentato co lui nella tenzone, lui, addestrato a mozzicà palle nell’aere da sempre, pe na vorta ar posto sbajato ner momento sbajato.

L'inutile arembaggio è tarmente inutile che manco arembamo e s'arendemo ala sconfitta più prevedibile e messa in conto sopraggiunta ner modo più stronzo contro Ermila più brutto. Ma a pensacce bene, a vince così nun ce sarebbe stato gusto, la revolucion non ne avrebbe beneficiato, e tante e tali sarebbero state le scuse de supplementari ale spalle e le spiegazioni de Camp Noi all'orizzonte da ridimensionà ogni sogno, ogni anelito, ogni pensiero de progresso. Un giorno, lo sapemo bene, tutto ciò che ora è loro sarà nostro. Ce vole tempo, nela speranza che non debbano passà mille generazioni pe avé ogni vorta gli stessi casini. Sti ragazzi nostri ancora non si fanno vedere come li voremmo vedé, so sfuggenti come le pantere, ma senza bisogno che li catturi nantra definizione, speramo che presto er monnonfame sia pronto pe sta nova generazione.

mercoledì 28 marzo 2012

La sinistra c'è anche allo Scalo

Luciano Granieri


Neanche il tempo di rifiatare dopo la presentazione alla stampa della candidata a sindaco Marina Kovari, che qualche ora dopo ci siamo ritrovati -candidata a sindaco, ed alcuni candidati consiglieri di Sel e di Rifondazione, fra cui il sottoscritto - ad incontrare i cittadini del quartiere scalo. Nella sede del comitato laboratorio Scalo, i cittadini della stazione hanno organizzato incontri con tutti i candidati a sindaco per esporre le esigenze del proprio quartiere,  della città tutta e capire secondo quali modalità e con quali obbiettivi gli aspiranti sindaci hanno intenzione di amministrare Frosinone qualora dovessero risultare eletti. Dopo il dibattito con Ottavini, candidato a sindaco del Pdl, ieri è toccato a Marina. Non c’è dubbio che il quartiere Scalo, sia una delle aree urbane di Frosinone più difficili da gestire e da riqualificare  E’ il quartiere della stazione ferroviaria e dunque dovrebbe costituire il biglietto da visita della città. Ma  scendendo dal treno un passeggero non ricava una bella impressione da Frosinone . Non esiste una piazza davanti alla stazione, ci si trova immediatamente addosso alle macchine, inoltre anche i collegamenti fra lo Scalo e Corso Lazio divisi dalla ferrovia non sono agevoli. In termini di inquinamento l’area della stazione probabilmente è la più inquinata di Frosinone  a causa del vicino parcheggio-deposito delle autolinee. I pullman di vecchia generazione spesso rimangono fermi con il motore in moto e inondano di PM10 tutta la zona. Riqualificazione urbanistica, mobilità sostenibile e riduzione delle emissioni inquinanti, sono le prime questioni  che i cittadini dello scalo, riuniti dal Comitato Laboratorio Scalo, hanno posto  alla candidata sindaco, la quale non si è fatta trovare impreparata. Le proposte  messe in campo attraverso l’attuazione  di procedure amministrative come il piano integrato di mobilità e il tanto agognato piano regolatore che trasformi la nostra città in un luogo a misura d’uomo, sembrano aver convinto i cittadini del quartiere Scalo. Ciò che noi abbiamo proposto è stata una sinergia con gli abitanti dei quartieri. Infatti molte parti del programma, che esulano dai capisaldi definiti che ci caratterizzano come forza politico-amministrativa, dovranno scaturire dall’ascolto dei cittadini e tener conto delle proposte che questi ci avanzeranno. E’ molto stimolante costruire un confronto che parte dalle esigenze del quartiere e si allarga all’idea di   città presa nella sua totalità e alle modalità del suo governo. Il dibattito inevitabilmente si sposta anche su aspetti sociologici di valorizzazione dei rapporti umani  , si arriva a discorsi complessi di come si possa definire una democrazia compiuta nella città, su quanto conti la partecipazione e la trasparenza. Si analizza il rapporto fra pubblico e privato e soprattutto emerge l’esigenza che, qualsiasi provvedimento venga adottato, debba comunque tendere alla piena soddisfazione di tutta la cittadinanza.  E’ necessario che ogni intervento tenga conto del contesto in cui si realizzerà. Una pista ciclabile come quella che si sta realizzando sulla Monti Lepini è pericolosa e dannosa perché percorre un tracciato molto trafficato  ad  alta emissione di polveri sottili dove le macchine sfrecciano ad alta velocità. Un incontro veramente stimolante che come ho sostenuto nel mio intervento riavvicina i cittadini ai processi decisionali, li invita a proporre la loro visione di città, in contrapposizione allo scenario politico nazionale in cui la sovranità popolare si esercita nei limiti di ciò che decide la finanza. Alla fine del dibattito Marina ha regalato al comitato un barattolino con dei semi di pomodoro giallo, una varietà che cresce anche in terreni non particolarmente fertili.  Chissà forse è l’auspicio affinchè  anche la nostra coalizione possa  crescere nonostante sia piantata in un terreno poco fertile per chi vuole concorrere alla tornata amministrativa ponendo come base la sola  forza delle proprie idee. Il comitato laboratorio scalo ha dato appuntamento a Marina Kovari per un confronto a viso aperto con gli altri candidati a sindaco. Siamo sicuri che anche in quel frangente ne uscirà vincente.

Frosinone: la sinistra c'è

Luciano Granieri


Luciano Granieri (Prc),
Marina Kovari candidata a sindaco (Sel),
Fiorenzo  Fraioli  (La Colomba)

Dunque a Frosinone la sinistra c’è e si presenta alle elezioni cittadine  con la candidata  a sindaco Marina Kovari. Ieri 27 marzo 2012 presso il monumento al fallimento dei project financing, lo stadio Casaleno schiantato dalle recenti nevicate, la coalizione che sostiene Marina si è presenta alla stampa. Insieme a   Sinistra Ecologia e Libertà, partito che esprime  la candidata  a sindaco, si sono presentate agli elettori le altre forze che sostengono la Kovari, ossia Rifondazione Comunista, che vede all’interno della sua lista alcuni candidati indipendenti del movimento “La Colomba” e la lista civica “Frosinone Bene Comune”.    In realtà nel capoluogo  la sinistra, quella delle lotte , non quella dei sedicenti riformisti pronta all’inciucio mascherato da dialogo con  ex democristiani e moderati di varia estrazione , c’è sempre stata.  Purtroppo anche nella nostra città gli tsunami abbattutisi negli ultimi decenni sulla cosiddetta sinistra radicale, hanno provocato danni e divisioni fra i militanti ciociari.  C’è da rimarcare però  che la forza propositiva , la passione e il sogno di ottenere una città migliore,  ha tenuto unite questi militanti  fuori dai palazzi,   nella piazze, nelle associazioni, nelle varie  lotte contro l’aeroporto ,  per la valorizzazione del patrimonio archeologico e artistico, per i referendum, contro l’aumento sconsiderato del costo dei servizi sociali. Oggi in presenza di un degrado sociale drammatico, con la magistratura che sta rovistando le carte degli appalti, con il diffondersi di un disagio diffuso, finalmente la sinistra vera e unica  ha deciso di buttarsi alle spalle un passato burrascoso, carico di incomprensioni, per tornare insieme non solo in piazza ma direttamente nell’agone politico.  Si è  partiti da un  programma con poche ma precise  parole d’ordine:    Redazione di un piano regolatore a metri cubi  zero, difesa dei beni comuni, lotta alla speculazione edilizia e alla svendita di pezzi della città alle grandi imprese private , legalità e trasparenza dell’amministrazione ,  riappropriazione della sovranità cittadina da parte della collettività, valorizzazione del patrimonio archeologico artistico  e culturale della città che può vantare eccellenze come il conservatorio e l’accademia di belle arti  il cui valore non è stato mai promosso a sufficienza. La forza di queste idee ha fortificato la coalizione proteggendola da ogni tentazione di pastrocchio politico che nulla avrebbe portato di buono alla città. La forza delle idee ha messo in guardia l’aggregazione dalle lusinghe fallaci avanzate da Marini e da Marzi, i candidati a sindaco di un centrosinistra che più spaccato non si può e ha facilitato la progressione  nel costruire una nuova  proposta politica a schiena  dritta e in direzione “ostinata e contraria” .  Dopo quasi un anno di lavoro è stato ottenuta una prima  vittoria,  un risultato storico per la nostra città, ovvero una nuova aggregazione di persone consapevoli e  determinate . E’ motivo di grande soddisfazione vedere personaggi della sinistra storica della nostra città tornare a lavorare insieme per una Frosinone migliore supportando Marina Kovari nella competizione  per diventare sindaco. Ma ancora non è stato fatto nulla. Anzi. Bisogna partire da questa ritrovata unità a sinistra per vincere e avere la possibilità di incidere veramente sulle dinamiche amministrative . Le possibilità ci sono visto che i concorrenti  sono supportati da coalizioni che hanno ragionato solo in termini elettoralistici e non programmatici privilegiando alleanze trasversali volte soltanto conservare o a prendere  posti di potere. Siamo in presenza di una frantumazione del centro sinistra che sta lasciando uno spazio enorme che  questa    coalizione  di sinistra, che supporta Marina Kovari , può occupare con successo e  raccogliere un risultato importante, significativo ,sicuramente nuovo e di sinistra.     

Interventi:
Marina Kovari, (Sel) candidata a sindaco - Andrea Cristofaro candidato nella lista di Rifondazione



Interventi:
 Francesco Notarcola,  Lista Civica  "Frosinone bene comune", Fiorenzo Fraioli movimento "La Colomba candidato indipendente nella lista di Rifondazione Comunista.