Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 2 marzo 2019

APPELLO SCIOPERO GENERALE DELL’8 MARZO MANIFESTAZIONE PIAZZA VI DICEMBRE COMUNE DI FROSINONE UNIAMO LE LOTTE



Come lavoratrici e lavoratori, delegate e delegati sindacali, ci impegniamo a sostenere e organizzare lo sciopero del prossimo 8 marzo, lanciato in Italia da Non Una di Meno. Lo facciamo dalle fabbriche, dalle scuole, dai centri commerciali e dai luoghi della grande distribuzione, dagli ospedali, dalle cooperative a cui sono appaltati i servizi in tutti questi settori. Negli ultimi anni abbiamo visto da vicino in che modo l’attacco padronale al salario e ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e le politiche di precarizzazione imposte dai governi di ogni colore, in Italia e in tutto il mondo, si siano abbattuti sulle donne: stipendi più bassi, turni di lavoro ingestibili per chi è costretta a occuparsi anche del lavoro domestico e di cura, mansioni più dequalificate, maggior ritmo e carico di lavoro, molestie sessuali che rendono ancora più insopportabile la condizione di lavoro. Tutto questo è parte dell’organizzazione del lavoro in tutti gli ambiti. Gli attacchi contro le donne e contro la loro libertà sono l’altra faccia della privatizzazione e dell’abbattimento del welfare che colpisce tutto il lavoro rendendolo più povero e precario. In tutto il mondo, però, le donne stanno lottando e l’8 marzo sciopereranno ancora una volta. Questo sciopero riguarda anche noi, perché mostra chiaramente che la violenza maschile e quella razzista sono parte integrante delle politiche di precarizzazione e di sfruttamento del lavoro. Questo sciopero è necessario, perché ci dà la possibilità di unire le forze, di andare al di là delle divisioni di categoria, delle discriminazioni sessuali e del razzismo che ci dividono sui posti di lavoro. Questo sciopero è urgente, perché non possiamo tacere di fronte alle politiche di questo governo che sta colpendo duramente, con una violenza senza precedenti, proprio le donne, i lavoratori e i migranti. A Frosinone avere più servizi pubblici significa avere una società nella quale le donne hanno più tempo libero e più libertà. Impedire che il bilancio Comunale continui a tagliare servizi significa difendere le donne e i lavoratori precari. Le scelte di salasso economico e di aumento delle tasse degli enti locali chiamati ad immolarsi sull’altare del pareggio di bilancio, la chiusura di gran parte dei servizi pubblici, la mancanza di turn over, colpiscono duramente centinaia di lavoratori e soprattutto lavoratrici, impegnate nei servizi sociali, nell’assistenza domiciliare, nei servizi culturali e di cura della città: ore di lavoro tagliate, salari sempre più bassi, un sistema di appalti che non garantisce i diritti, non assicura agli utenti un servizio di qualità e costa di più rispetto all’internalizzazione dei servizi. Tutto ciò inoltre grava sulle tasse dei cittadini. Pertanto si chiedono risposte urgenti e un impegno politico deciso per porre fine a questo sistema perverso e nocivo per i diritti e la dignità dei lavoratori e delle lavoratrici. NO ai tagli lineari del 20% che l’amministrazione Comunale di Frosinone si appresta a mettere in atto con la prossima approvazione del bilancio Comunale. Proponiamo ed invitiamo tutte le realtà laiche, religiose, politiche e i movimenti antirazzisti a condividere e promuovere questa manifestazione. L’8 marzo in piazza per difendere il territorio di Frosinone, i servizi, la salute, il lavoro, per far sentire la voce di chi in questi anni di crisi ha pagato tutto con aumento dello sfruttamento del lavoro e con l’aumento delle tasse. 

Lunedì 4 marzo alle ore 17.30, presso la sede della Federazione USB di Frosinone 
in Via Marittima 217
incontro di organizzazione della giornata.  

Il manifesto di solidarietà con il Venezuela dell'Assemblea Internazionale dei Popoli


Il Manifesto di Solidarietà con il Venezuela


  1. Riuniti e riunite a Caracas, Repubblica Bolivariana del Venezuela, nei giorni dal 24 al 27 febbraio 2019, noi rappresentanti dei movimenti e organizzazioni sociali e politiche di oltre 87 paesi, dei cinque continenti, riaffermiamo la nostra difesa della sovranità e dell’autodeterminazione del Venezuela, ci pronunciamo in difesa della Rivoluzione Bolivariana e del presidente legittimo e costituzionale, Nicolás Maduro.
2. Da venti anni, la Rivoluzione Bolivariana avanza in un processo e una proposta di trasformazione profonda, basata su una democrazia partecipativa e protagonista, centrata negli interessi popolari, che conta su un’organizzazione comunale e mira al socialismo femminista proposto da Hugo Chávez. Con questa prospettiva ha prodotto cambiamenti di orizzonte, che coinvolgono anche la costruzione di un mondo multicentrico e pluri-polare, con cambiamenti sostanziali delle relazioni neocoloniali che affliggono la regione e il Sud. Con una visione redistributiva delle ricchezze provenienti dalle risorse abbondanti prodotte dal paese, il Venezuela ha ottenuto risultati inediti nella sua storia rendendo universale l’educazione pubblica e gratuita, ottenendo tanto lo sradicamento dell’analfabetismo come pure inserimenti senza precedenti nell’educazione superiore. Risultati simili si osservano nella sanità, nel diritto all’abitare e in altri diritti sociali.
3. L’imperialismo statunitense, guardiano degli interessi corporativi, finanziari, militari e transnazionali che protegge, è determinato a far fallire questo processo, per prendere il controllo diretto delle ricchezze naturali. Per far terminare ogni proposta di sovranità e autodeterminazione, gli Stati Uniti hanno scatenato tutte le strategie dalla guerra ibrida e permanente, hanno tentato tutte le tattiche possibili: colpi di Stato, terrorismo, speculazione finanziaria, blocco economico, inflazione indotta e altro.
4. Dal 2008 si evidenzia una crisi strutturale, multidimensionale e storica del capitalismo, in quel contesto gli Stati Uniti cercano di sostenere la loro egemonia mondiale con tutti i mezzi, tra cui quello bellico, che si traduce in aggressioni, invasioni e guerre per impossessarsi delle ricchezze naturali, controllare mercati, territori e governi. Su quella stessa linea, la disputa geo-economica che ha intrapreso con la Cina e la Russia minaccia di condurre l’umanità verso una guerra totale.
5. Così, per proteggere il libero mercato e la libertà delle corporations per saccheggiare e sfruttare i nostri popoli, in diverse parti del mondo avanzano con pressioni economiche, come ad esempio il blocco contro il Venezuela, Cuba e l’Iran e perpetrano aggressioni belliche, come succede in Irak, Afganistan, Libia, Yemen, Repubblica Democratica del Congo; e occupazioni come quella della Palestina. Impongono anche guerre economiche, psicologiche, culturali, come quelle che opprimono il Venezuela da vari anni. Paradossalmente, è la “difesa dei diritti umani e della democrazia” ciò di cui si sono serviti per appoggiare e camuffare le peggiori aggressioni collettive. Però i popoli resistono e sono riusciti a frenare questi tentativi di controllo come è successo in Crimea e Siria.
6. L’imposizione delle regole del gioco del capitalismo corporativo e globalizzato si può sostenere solo eliminando le possibilità democratiche e i diritti della classe lavoratrice, disseminando caos, distruzione e morte. Per questo, rifiutiamo il pressing crescente del governo degli USA, come pure l’azione militare che, mascherata da “aiuti umanitari”, avanza contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela. Quest’ultima è una nuova fase della guerra per instaurare nuovamente un modello di subordinazione politica, che si concretizza nella pretesa di far cadere il presidente eletto Nicolás Maduro.
7. Un nuovo momento di questo piano d’ingerenza, si espleta ora con le pressioni esterne che traggono impulso da istanze had-oc, come quelle del cosiddetto gruppo di Lima, che è composto da settori dell’estrema destra venezuelana, e vogliono instaurare un colpo di Stato autoritario e disconoscere le istituzioni democratiche venezuelane. Constatiamo con sorpresa che persino realtà come l’Unione Europea, soccombono alle pressioni degli Stati Uniti e, in senso contrario al diritto internazionale e alla democrazia, arrivano persino a riconoscere un “presidente” autoproclamato, che non è stato eletto da nessuno. Questo si appoggia su un’ingegneria ideologica e di comunicazione basata sulla disseminazione di notizie false e scenari fittizi, che si affermano sia attraverso i mezzi di comunicazione corporativi sia attraverso le reti digitali.
8. Oggi in Venezuela ci sono in gioco la sovranità e l’autodeterminazione, che son pilastri della dignità dei popoli che cercano di costruire un futuro per l’umanità e società più giuste e ugualitarie. Per questo, e in solidarietà internazionalista con il popolo del Venezuela e il suo governo legittimo, presieduto da Nicolás Maduro, affermiamo:
1. La fine del blocco economico che: infligge sofferenze al popolo, attenta contro il progetto economico-produttivo e le politiche redistributive; e che già è costato al Venezuela oltre 30 mila milioni di dollari.
2. Difendiamo la sovranità, la democrazia partecipativa e protagonista e il diritto del Venezuela a organizzare il proprio progetto economico e gestire le proprie risorse naturali con criteri sovrani.
3. Noi popoli del mondo vogliamo la pace, non vogliamo più guerre. L’America Latina e i Caraibi sono una zona di pace, così ha proclamato la CELAC nel 2014 e così deve proiettarsi verso il futuro. Il Venezuela ha diritto a risolvere qualsiasi differenza attraverso il dialogo e i molteplici meccanismi che sono previsti dalla sua stessa costituzione nel contesto del diritto internazionale pubblico.
4. Noi popoli del mondo, rappresentati nell’ Assemblea Internazionale dei Popoli, difendiamo la Rivoluzione Bolivariana come un progetto che apporta senso etico e di futuro per l’umanità.
Facciamo appello al mondo intero affinché alzi la voce per costruire la pace e fermare la guerra
Caracas, 27 febbraio 2019.
Assemblea Internazionale dei Popoli


venerdì 1 marzo 2019

Sanità: nove proposte per abbattere i tempi d'attesa



Cittadinanzattiva della Provincia di Frosinone e Cittadinanzattiva TDM di Frosinone ribadiscono l’urgente necessità di avere la disponibilità di tutti i dati richiesti con lettera del 24 ottobre 2018 . Richiesta ribadita nel corso delle riunioni dell'Osservatorio per il governo delle liste d'attesa della Asl ad oggi rimasta inevasa. In particolare si richiede:
1) I dati del CUP afferenti le richieste di esame diagnostici per immagini e visite specialistiche nell’ultimo triennio (2016-2018) alfine di determinare il futuro fabbisogno annuo della popolazione; 
2) I dati sulle patologie croniche e la loro incidenza nella gestione delle liste;
3) Il carico di lavoro annuo svolto dagli ambulatori delle strutture sanitarie pubbliche ed il costo complessivo e delle singole prestazioni;
4) Le convenzioni con gli Enti sanitari privati accreditati, il carico di lavoro da essi svolto e il costo complessivo annuo e delle singole prestazioni;
5) I carico di lavoro svolto dalle strutture sanitarie pubbliche, ospedaliere e territoriali afferenti alle visite diagnostiche per immagini: ecografie-Rx-tac.Rmn;
6) I dati relativi alla differenza tra le visite prenotate e le visite realmente effettuate;
7) I dati e il costo riguardanti le visite specialistiche e la diagnostica per immagine, effettuate fuori provincia e fuori Regione presso strutture sanitarie pubbliche e Enti privati accreditati.
Gli scriventi ribadiscono, inoltre, che è difficile comprendere il perché sia così difficile conoscere questi dati, rilevabili agevolmente dal sistema SIAS, in dotazione ad ogni ASL.
 Nonostante tali carenze che non permettono un esame serio ed approfondito del governo delle liste di attesa e del fabbisogno della popolazione in tale ambito, gli scriventi avanzano le seguenti proposte per l’abbattimento delle liste di attesa:
1. Personale sanitario: è necessario attivare tutte le procedure per l’immissione in servizio di un numero di operatori sanitari sufficiente a garantire le attività di diagnosi e cura. Altrimenti tutte le proposte si scontreranno con l’insufficienza dovuta alla situazione decennale del blocco turno over. In particolare si rileva come l’assunzione di medici specialisti sia un obiettivo funzionale a qualsiasi operazione di abbattimento e governo delle liste di attesa;
2. Attività intramoenia: tale attività deve essere costantemente monitorata e eventualmente bloccata se le prestazioni prenotate, presso il CUP, non siano erogate entro i termini stabiliti dalla legge . L’incidenza di tale attività deve essere facilmente e quotidianamente rilevabile dai cittadini attraverso i siti delle Asl.
3. Informazione ai cittadini: va attivata una procedura di corretta informazione sui percorsi di accesso, sui codici prescrittivi (U, B; D, P) con relative campagne informative da divulgare presso tutti gli studi dei medici di famiglia, dei pediatri di libera scelta, le strutture sanitarie pubbliche e private, i siti aziendali, della regione, dei comuni e presso le associazioni di volontariato impegnate nel settore sanitario, al fine di rendere edotti i cittadini dei corretti percorsi. E’ necessario, inoltre, mettere a disposizione dei cittadini la modulistica relativa alla possibilità di accedere a servizi sanitari pagando solo il ticket, nel caso in cui le prestazioni superino i tempi massimi previsti, in base quanto deliberato dal decreto legislativo 29 aprile 1998 n.12. Sulla base dell’analisi delle richieste le ASL e le Az. Osp, e in alternativa la Regione, dispongono controlli specifici e mirati, su quelle aree e prestazioni che risultano non adeguate al fine di migliorare la capacità di accesso dei cittadini entro i limiti previsti dalle leggi;
4. Ampliamento orari degli ambulatori e dei luoghi dove effettuare visite e esami diagnostici: tale azione deve diventare la normale attività del servizio sanitario regionale e non una situazione “una tantum”.
5. Patologie croniche: per le persone affette da patologie croniche , così come prevede il DCA 110, vi deve essere la reale presa in carico e la gestione diretta da parte del servizio sanitario. Le visite ed i controlli sanitari necessari per ciascun paziente, devono essere annualmente programmati dalla Asl e trasmessi ai diretti interessati all’inizio di ogni anno, in modo da non accedere mai al servizio CUP e RECUP.
6.  Accesso alle agende da parte dei medici prescrittori: si chiede di strutturare il servizio di accesso ai servizi diagnostici e terapeutici direttamente tramite gli operatori prescrittori, senza che i cittadini passino dal RECUP, per le prescrizioni con priorità U, B e D. Mentre per le P il cittadino contatterà il sistema RECUP. Ciò significa che il servizio sanitario regionale deve avere necessariamente tutte le agende, pubbliche e private accreditate, immediatamente disponibili anche per i medici prescrittori alfine di metterli in condizione di prenotare direttamente la prestazione sanitaria al momento della prescrizione.
7. Sanzioni: Nel caso di inottemperanza dei tempi massimi devono essere previste sanzioni di tipo economico verso i responsabili di ogni livello e, nei casi più gravi, la immediata rimozione dall’incarico. Il controllo primario spetta al Direttore Generale della ASL. Si chiede, altresì, che l’ Osservatorio aziendale si riunisca obbligatoriamente ogni mese per verificare il corretto andamento della gestione e per portare soluzioni alle criticità rilevate. La presenza di rappresentanti delle organizzazioni di tutela dei diritti dei cittadini nell’Osservatorio aziendale per il governo delle liste di attesa è obbligatoria.
8.Informazioni sul raggiungimento degli obiettivi: obbligo di fornire e comunicare da parte delle Asl e delle Az. Osp., anche attraverso i siti istituzionali, tutte le informazioni relative al raggiungimento o meno degli obiettivi di governo delle liste di attesa.
9 .CUP decentrato: al fine di evitare disagi e spese ai cittadini si propone di decentrare l’attività di prenotazione CUP e RECUP, presso le sedi di ogni Comune. Tale decentramento potrebbe essere attivato attraverso la stipula di una convenzione o Protocollo d’intesa tra Comuni e Regioni, oppure tra Comuni e Asl.

Francesco Notarcola, Luciano Granieri


giovedì 28 febbraio 2019

Prima gli italiani, canta che ti passa.

Luciano Granieri



Apprendendo della proposta di legge leghista per la  quale si vorrebbe imporre  alle emittenti radiofoniche nazionali e private di riservare almeno un terzo della programmazione   giornaliera alla trasmissione di brani  italiani, credevo di trovarmi di  fronte alle solite scempiaggini di stampo fascio-razzista  della serie “prima gli italiani”. Ma la posizione a favore di questa proposta da parte di Giulio Rapetti, in arte Mogol, oggi presidente della Siae, mi ha spinto a prendere la cosa con un minimo di serietà. 

Mogol in una sua lettera ai propri  associati, sottolinea come la proposta leghista consentirebbe di aumentare gli introiti a favore di musicisti e autori nostrani  sostenendo l’industria culturale italiana e chi ci lavora. In Francia, sottolinea Rapetti,  le emittenti radiofoniche sono obbligate a mandare il 40% di pezzi francesi nella programmazione musicale quotidiana.  Questa prima motivazione è chiaramente orientata a favorire  un maggior guadagno grazie ad una commercializzazione  spinta dovuta ai maggiori passaggi in radio.  E’ la  classica storia del profitto che, secondo la corrente litania, deve favorire gli “Italiani”. 

La discussione sulla commerciabilità di un brano va avanti da tempi immemori. E’ chiaro che un musicista fa musica per venderla, diverso è l’autore che nel comporre si fa condizionare  dalle richieste del mercato, ma questa è un’altra storia. A mio parere    un brano di qualità dovrebbe avere automaticamente successo indipendentemente dai passaggi radiofonici giornalieri e dalla campagna di marketing che gli gira intorno, ma questa è una mia idea romantica ormai sorpassata. 

Abbastanza sconcertante è la seconda affermazione di Mogol, quando esorta  a supportare l’iniziativa “affinchè si affermi il principio che la musica italiana fa parte del nostro patrimonio culturale”Già ma qual’è la musica italiana  che fa parte del nostro patrimonio culturale?  Il melodramma  dell’800, Verdi, Puccini, Rossini, Bellini Donizetti. Oppure  la canzone napoletana di Salvatore Di Giacomo,  Eduardo di Capua, o ancora il patrimonio della musica popolare dalla pizzica, alla tarantella, alla ballarella. Dunque per difendere la cultura musicale italiana  ogni due brani stranieri bisognerebbe  mandare in onda O’ Sole Mio, piuttosto che Nessun Dorma, Nabucco o Funiculì Funiculà. Questa è la musica  italiana che fa parte del nostro patrimonio culturale. 

Ma se consideriamo i brani dell’ultimo festival di Sanremo (festival della canzone italiana, appunto) scopriamo che buona parte di essi sono dei rap, non propriamente un’espressione musicale del patrimonio culturale italiano, anzi. Il rap viene direttamente dai ghetti delle grandi città americane è  la musica  di protesta dei neri di Harlem, di gente povera e nera , non sarà un po’ troppo per i leghisti impegnati a difendere il patrimonio musicale italiano? Il resto delle canzoni è  basato sulla musica POP che affonda le sue radici nel  rock, il quale, a sua volta, viene dritto dritto dal blues, altra espressione afroamericana  inventata addirittura dagli schiavi neri quando ancora stavano in Africa!  

Di quale patrimonio culturale italiano si va cianciando allora? La verità è che la musica non ha confini è pura espressione creativa del tutto refrattaria ad essere confinata in recinti predefiniti, non ha bisogno di passaporto e nessuna frontiera la può fermare.  Una stupidata del genere è comprensibile se rimane una boutade dei barbari leghisti, ma che essa venga fatta propria da Mogol, lascia interdetti.

La musica POP italiana   suonata a Sanremo, e non solo, viene da qui. Leghista guarda e impara!!!

martedì 26 febbraio 2019

SSN e autonomia regionale


Mariano Mij, Potere al Popolo Imperia
Simonetta Astigiano, Potere al Popolo Genova

foto da Contrpiano.org



Sono tre le Regioni che, sulla base dell’articolo 116 della Costituzione, hanno chiesto più autonomia e la competenza esclusiva su alcune materie, tra cui la sanità, si tratta di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, le regioni “ricche” d’Italia. Le richieste vanno dalla possibilità di superare il tetto di spesa per il personale sanitario all’autonomia organizzativa e legislativa sui percorsi di specializzazione medica, dalla gestione dei ticket sanitari a quella delle politiche sui farmaci, dall’organizzazione dell’offerta ospedaliera e territoriale all’edilizia sanitaria, fino alle modalità di erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA). E’ evidente che l’accoglimento di tali proposte metterebbe la parola fine all’idea stessa di un Sistema Sanitario Nazionale (SSN) basato su quei principi di uniformità, e universalità delle cure, conquistati con anni di lotte e riconosciuti con la riforma del 23 dicembre 1978 (legge 883). Inoltre, il regionalismo differenziato e le maggiori autonomie richieste nell’ambito della tutela della salute, rischiano di legittimare normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini. Lo scenario futuro potrebbe essere quello di tre regioni che, partendo da standard sanitari di qualità, contando su una importante parte di servizi privati-convenzionati, e potendo investire di più in sanità, richiamerebbero pazienti da ogni parte del paese, in particolare dal sud, alimentando un mercato della salute che svuoterebbe sempre più i servizi delle altre regioni pesando sulle fasce più deboli della popolazione.

Così, dopo numerosi passi indietro attuati da governi di centrosinistra come di centrodestra (ricordiamo la legge 502/92 del governo Amato), ora il #governodelcambiamento promette di smantellare ciò che resta di quella riforma che, istituendo il SSN, permise di migliorare sensibilmente lo stato di salute della popolazione portando l’Italia tra i primi paesi al mondo per qualità di cure ed aspettativa di vita.

E’ singolare poi che nessuna delle Regioni del nord, che pure soffrono di gravissimi problemi di inquinamento, si preoccupi di chiedere, ad esempio, di poter operare in maniera più efficace per mettere in campo una seria prevenzione primaria e dei monitoraggi efficaci sullo stato di salute delle popolazioni, attività queste che dovrebbero sì essere territoriali e modulate in base alle esigenze locali.


Siamo quindi fermamente contrari all’accoglimento di richieste così pericolose che, oltre a minare ulteriormente l’uniformità di erogazione delle cure, che dovrebbe essere garantita dal Ministero della Salute (che peraltro finirebbe per diventare inutile), negano quei principi di solidarietà e di reciproco aiuto che dovrebbero essere alla base di uno stato che sia unito ed abbia veramente a cuore il benessere dei propri abitanti. Stupisce non poco che partiti nazionalisti come Lega e Fratelli d’Italia siano così inclini ad attuare politiche che minano il concetto stesso di nazione a favore di una frammentazione che rinchiuderà sempre più le persone in un regionalismo egoista ed insensato.

Noi abbiamo un’idea diversa, noi pensiamo che la salute sia un bene primario dell’uomo non assoggettabile alle esigenze del PIL, soprattutto se regionale; pensiamo che la difesa della salute debba essere al centro di tutte le decisioni politiche di uno stato unito e solidale, capace di garantire i diritti fondamentali a tutti i propri abitanti, indipendentemente dalla loro collocazione geografica.
Se, come pensiamo, di una riforma sanitaria abbiamo bisogno, questa deve essere tesa a recuperare lo spirito della riforma del ’78, a separare nettamente la sanità privata da quella pubblica, a garantire l’uniformità dell’assistenza su tutto il territorio nazionale. Per questo serve uno stato che sulla sanità mantenga il potere e la capacità di controllo e verifica, lasciando alle Regioni il solo compito di valutare i bisogni di salute dei propri abitanti per organizzare al meglio i servizi sul proprio territorio

domenica 24 febbraio 2019

Organizziamo in tutto il mondo un grande sciopero generale per i diritti delle donne

                          Verso l'8 marzo

Lit-Quarta Internazionale


 
Quest'anno, l’8 marzo rappresenterà ancora di più l’occasione di una lotta di massa per i diritti delle lavoratrici, delle giovani e delle bambine.
Come Lit-Quarta Internazionale ci adopereremo per costruire lo sciopero per quella giornata e promuoveremo ogni iniziativa affinché riesca in ognuno dei Paesi in cui siamo presenti.
Al di là di quello che raccontano l’Onu e i capitalisti, che vogliono vendere rose e cioccolatini, l'8 marzo trae origine dalla lotta rivoluzionaria delle lavoratrici. Questa data, dichiarata Giornata Internazionale della Donna Lavoratrice, nasce in primo luogo come movimento di base delle donne immigrate che lavoravano nelle fabbriche tessili di New York, che organizzavano scioperi e azioni di massa per migliorare le loro condizioni di lavoro e ottenere il diritto alla rappresentanza sindacale.
Nel 1910 la Conferenza Internazionale delle Donne Socialiste, propose la data dell’8 marzo come giornata mondiale di lotta di tutta la classe operaia per i propri diritti e allo stesso modo per la liberazione dall’oppressione e dallo sfruttamento delle donne lavoratrici. In ogni caso questa data non divenne realmente internazionale fino a che le operaie tessili di San Pietroburgo diedero inizio, con il proprio sciopero, alla rivoluzione operaia del 1917, che dalla Russia impatterà su tutto il pianeta.
Il metodo dello sciopero dell'8 marzo, come strumento per la lotta della classe operaia, è qualcosa che abbiamo conquistato ed è essenziale rafforzarlo. Non vogliamo che quel giorno i governi concedano un giorno di riposo nella pubblica amministrazione, né vogliamo solo una paralisi al femminile. Al contrario, vogliamo andare in tutti i nostri posti di lavoro, sindacati e quartieri in modo che l'intera classe lavoratrice sostenga le necessarie rivendicazioni delle donne.
Noi saremo alla testa della lotta, con i nostri slogan, le nostre rivendicazioni più urgenti e decideremo come riempire le piazze quel giorno. Però non vogliamo che le fabbriche, le scuole, i negozi e ogni attività, producano senza di noi. Noi chiediamo che tutto venga paralizzato!
Chiediamo che i sindacati e le centrali operaie dirette dalle diverse burocrazie, smettano di metterci da parte e riprendano questa lotta, chiedendo scioperi generali l'8 marzo per i diritti delle donne. Vogliamo collegare ognuna delle lotte quotidiane a questa lotta, per iniziare a unificare le nostre rivendicazioni con quelle dell'intera classe lavoratrice.
La nostra lotta non deve limitarsi a fronteggiare un presunto «fascismo emergente», ma deve contrastare tutte le politiche di fame e sottomissione applicate dai diversi governi imperialisti e non, siano essi di destra, di estrema destra, o quelli che si definiscono «di sinistra».
Il nostro grido e la nostra lotta è perché tutti i governi la smettano di favorire le grandi multinazionali e per liberarci dalla sottomissione che ci impongono costringendoci a lavorare fino alla morte come dimostrano, ad esempio, con le contro-riforme della sicurezza sociale che promuovono in tutto il mondo o con la disumanità a cui costringono i migranti nel Mediterraneo o negli Stati Uniti. Affronteremo quei governi che reprimono e perseguitano chi lotta per esigere la libertà immediata dei detenuti e delle detenute politiche.
Alla richiesta di parità di retribuzione, prolungamento del congedo di maternità, asili nido presso i luoghi di lavoro, orari flessibili per le madri, autodifesa operaia contro le molestie, lavoro legale e non schiavistico per quelli di colore, migranti e indigeni, si aggiungerà la rivendicazione della quota trans-lavoro e dei servizi pubblici di qualità.
Rivendichiamo il nostro diritto alla vita richiedendo politiche di prevenzione contro la violenza sessista, chiedendo la punizione per gli stupratori, i molestatori e gli autori di femminicidi. Pretendiamo la fine dei crimini d'odio contro omosessuali, lesbiche, transgender e travestiti.
Ci alziamo in piedi per chiedere il nostro diritto a decidere il momento della maternità e non essere madri se non lo vogliamo, aggiungendo alla richiesta di aborto legale, sicuro e libero, la necessità di avere politiche e investimenti che proteggano la maternità e l’infanzia, per garantire il diritto alla semplice adozione alle donne non fertili.
Vogliamo che le giovani siano libere di camminare per le strade, che non vengano più sequestrate, violentate e precarizzate con lavoro da schiave. Rivendichiamo il diritto all'istruzione e chiediamo che tutte le chiese siano separate dagli Stati.
Riempiremo le strade quel giorno e insieme combatteremo per un mondo senza sfruttamento o oppressione. La lotta per la nostra emancipazione sarà completamente terminata solo quando elimineremo lo sfruttamento, ecco perché la nostra lotta fa parte della lotta della classe operaia nel suo insieme. Dobbiamo combattere il maschilismo all’interno della nostra classe e incorporare le donne in tutte le battaglie dei lavoratori.
La Lit-Quarta Internazionale sarà in prima linea in questa lotta e faremo ogni sforzo per la sua preparazione, perché oltre ad essere un diritto umano di prim’ordine, la lotta per la liberazione delle donne è parte della nostra lotta quotidiana per la costruzione di un mondo socialista dove, come diceva Rosa Luxemburg, «saremo socialmente uguali, umanamente diversi e totalmente liberi».