Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 14 febbraio 2015

ACQUA,DIRITTI SOCIALI E DEMOCRAZIA

                                                       Fuori Acea Ato 5 S.p.A.
Verso un nuovo modello di governo e gestione del servizio idrico

Appello per la costruzione di una manifestazione provinciale Sabato 7 marzo – Frosinone

L’acqua prima di tutto è un diritto inalienabile perché essenziale alla vita. Questo principio contrasta evidentemente con gli aumenti reali delle nostre bollette che in poco più di un anno sono schizzate da un minimo del 35% per un'utenza commerciale sino a giungere al 71,6% per una coppia di pensionati al minimo consumo. Pagare il bene essenziale alla vita più del vino dimostra l’insostenibilità sociale della gestione di questo servizio.
Il diritto inalienabile all’acqua contrasta anche con i distacchi del servizio di erogazione che continuano a verificarsi e che sono da considerarsi una grave violazione ai danni della persona e inaccetabili in uno stato di diritto. Ancor più grave quando il distacco viene usato dal gestore privato come pratica estorsiva per i tanti cittadini che contestano quanto fatturato sulle bollette esercitando il loro diritto sacrosanto di contestare quanto si ritiene non fornito. L’acqua è senza controllo nelle mani di Acea Ato 5 ed i cittadini sono alla mercè di un gestore bandito.
La privatizzazione dell’acqua come tutte le politiche liberiste messe in campo, sta devastando le nostre comunità, ci ha tolto la possibilità di controllo e di accesso al servizio e sta producendo gravi danni all’ambiente per l'eccessiva captazione delle sorgenti che determina una netta riduzione dell'acqua nei fiumi, per la scarsa manutenzione delle fognature che genera un inquinamento diffuso nel territorio e per la mancanza di un'efficace funzionamento dei depuratori che scaricano nei fiumi acque ancora troppo inquinate.In questo senso le resistenze sui temi dell’acqua sono sempre più dentro tutte le altre conflittualità nel nostro territorio come in tutto il Paese.
I cittadini vogliono cambiare rotta, vogliono che venga data immediata attuazione alla risoluzione del contratto per colpa del gestore e quindi che venga approvata la Legge regionale in attuazione della  legge regionale n. 5 del 4 aprile 2014, Tutela e gestione pubblica delle acque, legge di iniziativa popolare approvata all’unanimità dal Consiglio regionale. Questa Legge prevede la definizione dei nuovi Ambiti di Bacino Idrografico sulla base della risorsa nella sua tutela e salvaguardia e una nuova Convenzione di cooperazione tra i comuni all’interno dell’Ambito.
La legge, in controtendenza con quanto legiferato nelle altre regioni, cancella il grave vulnus democratico che si è realizzato con la costituzione degli ATO.
Infatti, il controllo, la pianificazione e le decisioni inerenti il Servizio Idrico Integrato vengono riportati negli enti locali di prossimità, ovvero nei comuni e nei consigli comunali, le cui deliberazioni vengono portate nell'Assemblea dell'Autorità d'Ambito col vincolo di mandato.
La legge, conseguentemente ai principi generali che assume, istituisce un fondo cui potranno attingere gli ABI che opteranno per la gestione attraverso un soggetto di diritto pubblico.
Conseguentemente alla democratizzazione istituzionale nel governo del Servizio, la legge individua nella partecipazione diretta dei cittadini a tutte le fasi dello stesso, un elemento fondante e caratterizzante del modello assunto.
Scopo del coinvolgimento dei cittadini è anche quello di evitare il riprodursi di quanto in passato si è prodotto in diverse gestioni pubbliche.
I cittadini vogliono partecipare alla gestione del patrimonio comune in un momento in cui si fa sempre più necessario un allargamento degli spazi democratici all’interno delle comunità e una stretta collaborazione tra parte istituzionale e società civile.
Non si tratta, infatti, solo di rivendicare beni comuni e diritti sociali ma di pensare e attuare un nuovo modello di governo e gestione dei territori, dei servizi, della ricchezza sociale, e sviluppare strumenti di democrazia partecipativa.

Per adesioni scrivere a: comitatoacquapubblicafrosinone@gmail.com
Partecipa alla riunione di organizzazione della manifestazione martedì 17 febbraio ore 18:30 presso la sede del Comitato provinciale Acqua Pubblica a Frosinone in via Marittima 187.



Lo sport come spettacolo… e le risorse dei cittadini ad onorarne i debiti!

http://www.oltreloccidente.org/

Il ritiro della squadra di basket del Veroli dal campionato di serie A2 trascina con sé tutta una serie di vicende economico sociali che nonostante le continue preoccupate segnalazioni raccontano una storia la cui fine era segnata sin dall’avvio, e risulta essere un monito per chi vuole avventurarsi sullo stesso terreno.
Barattare lo sviluppo della provincia su un versante economico/politico al pari di altre province o città metropolitane a suon di grandi opere, di cui tante non terminate, non ha prodotto mai risultati promessi, perché la promessa obnubilava il reale interesse della classe politica e di quella imprenditoriale: la costruzione fine a se stessa, con la cementificazione del territorio senza alcun progetto, senza alcuna idea sensata.E se pur finite – e agibili? –  le opere costano per la manutenzione ordinaria e straordinaria.
Il palasport di Frosinone ha sempre avuto un costo per chi ne usufruiva. Il volley di Sora , il Basket Veroli, la Virtus Frusino, le ragazze della pallavolo e finanche per un anno il calcetto di serie A. La struttura è costata mediamente 200/300 mila euro all’anno? E’ stata utilizzata per anni 8 con annessi servizi, acqua, luce, gas ed altro? Quanto fa? Hanno questi soggetti mai pagato un solo euro per l’utilizzo degli allenamenti e delle partite? E se qualcuno ha pagato – lèggi casse comunali – quanto? -
Fino al 2013 alcuno aveva mai versato quote così come previste dalle convenzioni.Il volley maschile è tornato a casa…, la Virtus Frusino è scomparsa, come scomparsa è la serie A femminile di volley,  come è scomparso il calcetto, così come oggi scompare il basket.
Nonostante un allegro e libero utilizzo della struttura, costruita con impegni economici rilevanti con le tasse dei cittadini, lo sport inteso come spettacolo, quindi, non consegue, almeno nei nostri territori, alcun risultato sociale, lasciando invece pesanti pendenze sul territorio. Una struttura come il Palasport  che rimane lì vuota, senza possibilità di essere usata vista la morìa delle associazioni sportive e della debolezza dei loro progetti fantasmagorici, con l’Amministrazione che ha pensato di alzare le quote orarie a limiti vertiginosi pensando, lampo di genio, che se non si pagano tariffe basse uno possa pagare tariffe alte!
Ma tale scempiaggine non si arresta. Si è in attesa dell’opera omnia ed evidentemente imprescindibile per Frosinone che sarebbe il nuovo stadio, il Casaleno, iniziato più volte, ma mai terminato, anzi crollato, che prevederebbe l’ospitalità di ca 20.000 spettatori sulle tribune – la media oggi delle presenze negli ultimi 14 campionati degli spettatori alla partite del Frosinone è di 3.067!
Proprio sul Casaleno si gioca oggi una partita economica importante su cui l’Amministrazione prova a cavalcarne anche il risultato politico, indirizzando tutte le risorse cittadine in questo delirio, interpretando liberamente il Codice degli Appalti dove all’Art. 128 comma 3. “… sono da ritenere comunque prioritari i lavori di manutenzione, di recupero del patrimonio esistente, di completamento dei lavori già iniziati, i progetti esecutivi approvati, nonché gli interventi per i quali ricorra la possibilità di finanziamento con capitale privato maggioritario”. – e nel caso in questione il capitale privato sarà forse 1/7.
E per non essere da meno alle Amministrazioni precedenti non mancano progetti di costruzione di abitazioni e zone commerciali a partire proprio da due altri, di cui Frosinone non può proprio fare a meno!, come il megapalazzo sulle terme romane, e i grattacieli sull’area Matusa. Si rimane perplessi su chi dovrebbe costruire tali opere visto che l’imprenditore di riferimento è colui è legato a filo doppio al basket Veroli, alla emittente Extra TV…
Gli Amministratori, quelli pertinaci e impassibili, intanto richiamano i lavoratori della Frosinone Multiservizi e la cittadinanza tutta ad un nuovo, necessario, taglio (- 3 milioni) sui servizi (asili, scuolabus, verde, ecc.) per stare dentro il piano di riequilibrio economico finanziario, preannunciando una nuova stagione di difficoltà della popolazione già martoriata da indici di disoccupazione raddoppiati, da case ingurgitate dalle banche, da centinaia di sfratti in corso, da redditi ridotti, da un welfare sempre più asfittico che elargisce carità, forse meno attendibile della Caritas locale, e soprattutto senza uno straccio di piano di redistribuzione di reddito e lavoro.
Tutti in piedi ad applaudire per i 6 milioni di euro previsti – per ora – per lo stadio prelevati dalle tasche dei cittadini; tutti infastiditi per le intercettazioni telefoniche che respingono i “bifolchi ciociari” nella loro provincialità; tutti pronti al sacrificio per due ore di sport spettacolo, che come testimoniano le società locali con i piedi d’argilla, che hanno succhiato il bene pubblico per assaporare, bontà loro, il grande sport, è solo l’anticamera prima del capitombolo con nuovi e pesanti costi a carico della collettività.

venerdì 13 febbraio 2015

Che c'e famo cor Frosinone in "A"

Luciano Granieri
Presentazione del nuovo acquisto Neymar

Il sindaco degli effetti speciali Nicola Ottaviani sta portando avanti il suo speciale "memorandum" da somministrare alla popolazione di Frosinone. Taglio delle prestazioni , sociali, aliquote fiscali al massimo, privatizzazione dei servizi, il tutto in sacrificato sull'altare di una doloroso piano di riequilibrio economico  e finanziario che per dieci anni ridurrà la popolazione di Frosinone alla stregua dei Greci, senza la speranza di uno Tsipras che possa venire ìn soccorso. Il "memorandum del Capoluogo, però, non si applica allo stadio. Infatti mentre i servizi di mensa e mobilità scolastica saranno sempre più costosi ed inefficienti, l'impianto sportivo del Casaleno sembra destinato a diventare lo stadio più bello del mondo, migliore dell'Allianz Arena grazie ai cospicui finanziamenti che il primo cittadino sottrae alla spesa sociale e destina all'arena del Frosinone. Lo scopo, oltre a quello di prepararsi un trionfale ingresso in Parlamento per se, è quello di aiutare i Canarini  ad arrivare in serie A. Il problema è che in serie A a noi ciociari nun ce vonno. Bisogna raccomannasse al lazziale padre padrone del calcio nostrano  Lotito. Er presidente dei lazziali    non ce vo' perchè semo straccioni e nun potemo venne i diritti televisivi. Chi se li compra i diritti der Frosinone? Nun sanno manco n'do stà Frosinone . A Ottavià, senti un po' che se dice:



La casa di vetro della manager Asl Mastrobuono

Un nuovo comunicato, dai toni che ci sembrano trionfalistici della direttrice generale della asl annuncia che “….la direzione aziendale per redigere il piano strategico e l’atto aziendale ha voluto un percorso trasparente e partecipato che ha permesso a tutti di seguire i vari passaggi e di rendere proposte…”
 Inoltre, dichiara il direttore generale :” ….non credo si potesse compiere un percorso piu’ ampio e coinvolgente. La direzione aziendale ha voluto assicurare a tutti il massimo grado di partecipazione…”.
Letto così sembrerebbe un comunicato ineccepibile, peccato che:
1-    In data 21 settembre 2014 la CGIL, Camera del Lavoro di Frosinone, a firma del suo segretario generale recitava: “atto aziendale della ausl di Frosinone: percorso partecipato solo a parole" forse bisognerà rivolgersi alla redazione di "chi l'ha visto?" per avere finalmente le proposte di piano strategico e di atto aziendale elaborate dal direttore generale della ausl di Frosinone, dr.ssa Mastrobuono, perché al di là delle 26 diapositive proiettate nella sala teatro dell'azienda sanitaria, nessun documento è stato realmente fornito - come una corretta e obbligata procedura di consultazione impone – alle OO.SS. per instaurare un confronto serio e davvero partecipato su tali importantissime materie….omissis”;
2       - in data 6 novembre 2014, con nota protocollo n° 1286 /dg a firma del direttore generale azienda asl di Frosinone, e dei direttori amministrativo e sanitario, veniva testualmente affermato: “ .. l’atto aziendale di una asl è – per legge- atto di diritto privato, di competenza esclusiva del direttore generale ( ex art. 3 dlgs n° 502/92 e ss.mi. ), con cui provvede alla “marco-organizzazione” dell’azienda che –in quanto tale- non è soggetto ad alcuna compartecipazione di soggetti diversi dalla direzione dell’azienda….” .
Per quanto ci riguarda, ci sentiamo di commentare: “Alla faccia  della trasparenza e….  di un percorso ampio e coinvolgente….” !
Rimandiamo ai lettori e ai cittadini tutti qualsiasi altra considerazione e commento……!
Frosinone 13.02.15   -   Il Coordinamento Provinciale della Sanità.






MANIFESTIAMO PER GRECIA UNITI ALTERNATIVA AUSTERITY

DE-LIBERIAMO ROMA

La rete sociale De-Liberiamo Roma è a fianco alla battaglia che il nuovo governo greco insieme al suo popolo sta portando in Europa per cambiare le politiche di austerity che strozzano qualsiasi possibilità di uscita dalla crisi.

La Grecia ha bisogno di noi e noi abbiamo bisogno della Grecia: la solidarietà e la fratellanza tra i popoli sono già il segno di una rivoluzione in atto contro politiche che innescano frantumazione sociale, individualismo e competizione per l’affermazione di sé contro gli altri.

Una rivoluzione il cui primo segno sta nella volontà di un governo di essere davvero al servizio del suo popolo, battendosi da solo contro l’Europa della finanza per restituire dignità alla sua gente attraverso tutto quel che gli è stato tolto: lavoro, casa, istruzione, servizi.

Questo è ciò che hanno prodotto e continueranno a produrre le politiche di austerità volute dalla Troika, alle quali gli stessi governi che si sono succeduti in Italia, da Berlusconi a Renzi, sono asserviti. 

 A Roma queste politiche si chiamano "Salva Roma", "Patto di stabilità", "Piano di rientro" e stanno mettendo in ginocchio la città con il taglio dei servizi, l'aumento delle tariffe, le privatizzazioni, mentre aumentano le famiglie sotto la soglia di povertà, i senza casa, i senza lavoro.

Come rete sociale deLiberiamo Roma abbiamo avanzato da tempo proposte che indicano un'altra politica possibile, a partire dalla contestazione del Patto di stabilità interno e la ricontrattazione del debito con CDP, l'uso sociale del patrimonio edilizio cominciando dal grave problema della casa che non può essere un’occasione per far cassa, la tassazione dei grandi patrimoni immobiliari, la ripubblicizzazione di AceaATO2 e la garanzia della scuola dell'infanzia per tutti i bambini.

Queste proposte vanno in direzione contraria ai diktat della finanza. 

Lo diciamo perciò con le parole dell’appello internazionale di economisti e accademici in solidarietà con la Grecia: “Ciò che è in gioco non è solo il destino della Grecia, ma il futuro di tutta l’Europa. Una politica di minacce, ultimatum, ostinazione e ricatto significa per tutti il fallimento morale, politico ed economico del progetto europeo”. La vittoria di Tsipras dice che è ora di dire basta all’Europa della finanza per affermare l’Europa dei popoli.

La rete sociale De-liberiamo Roma unisce la sua battaglia a quella del popolo greco, e aderisce alla manifestazione nazionale che si terrà sabato prossimo 14 febbraio a Roma.

I muti cantano l'Aida a Maastricht

Luciano Granieri


L’era di Maastricht, ve la ricordate? La moneta unica, l’euro, la libera circolazione dei capitali, un mercato di 500milioni di consumatori,  questo era il sol dell’avvenire, ricchezza e prosperità per tutti. Ma per iscriversi al  club era necessaria sobrietà nella spesa , morigeratezza dei conti. Il deficit di uno Stato che voleva entrare nella virtuosa cerchia europeista non doveva superare il 3% del Pil. 

  Ma l’Europa degli Stati di fine ‘900 era popolata di ricchi,  e di straccioni. Non tutti avevano i conti a posto. Alcuni Paesi denunciavano  un deficit di gran lunga superiore al 3% rispetto al Pil.  Come fare, dunque,  per succhiare il sangue anche ai disperati? Come consentire  agli straccions tipo  la Grecia, ma anche l’Italia ed altri Paesi europei , di entrare nell’esclusivo club ?  Imbrogliando. E quali migliori imbroglioni  se non i buontemponi banchieri di Goldman Sachs e J.P Morgan?  

Fingendo un commercio di valuta, per  mascherare quello che era un prestito a tutti gli effetti, Goldman Sachs ha inondato la Grecia di soldi freschi  (300 milioni di dollari). Con questi denari, avvelenati anche da  forme speculative pericolose come i derivati, Goldman Sachs,  nel 1999, consentiva al Governo greco   di livellare  il deficit  al di sotto del 3% del Pil, con modalità poco ortodosse e  truffaldine e di favorirne l’entrata nell’area euro. In cambio gli Ellenici, per anni, avrebbero dovuto destinare  i magri introiti fiscali, flagellati da una evasione monstre, al pagamento di un debito nascosto verso la spietata banca d’affari statunitense. In poche parole per entrare nell’euro, i proventi delle tasse anziché essere spesi  a favore dei servizi sociali, andavano a riempire i forzieri di Goldman Sachs. Così la Grecia, consegnando il proprio popolo agli aguzzini della banca d’affari più spietata del mondo è entrata nella moneta unica. 

Nell’avanzarsi degli anni 2000, dopo un discreto periodo di  relativa tranquillità, a fronte della crisi del 2008, i nodi sono venuti al pettine. Fra prestiti da restituire agli investitori e il pizzo da corrispondere alle banche i soldi sono finiti. Che si fa, si esce dall’euro? Giammai, alla Goldman Sachs si sostituisce un’altra associazione a delinquere formata dagli estorsori di Ue Bce e Fmi, la famigerata troika . 

Questi signori si sono dichiarati  pronti a resuscitare le esangui casse elleniche, ma in cambio  hanno preteso   una straordinaria trasfusione di denaro dal reddito al profitto.    Privatizzazioni, distruzione della  scuole e della sanità pubblica, licenziamenti, triplicazione del numero dei disoccupati, aumento della povertà, questo è il pizzo da pagato alla troika , quanto più il debito aumentava  tanto più si infieriva  sulle persone, negandogli la dignità di una vita decente. 

Ma che vantaggio c’è stato ad entrare nell’euro, se tutta l’operazione è iniziata consegnandosi alle banche per occultare il deficit, e  continuata  nella  spoliazione dei diritti dei cittadini a fronte dell’aumentare vorticoso del debito?  

Oggi l’importo dovuto ai creditori è proibitivo e impossibile da restituire. Yanis  Varoufakis il ministro delle finanze del nuovo governo Greco, ha avanzato   una soluzione, proponendo un rinvio dei pagamenti, un prestito ponte,  depurato dalle condizioni imposte dalla troika,  per mettere un po’ di soldi in tasca ai Greci e permettere ad essi  di sopravvivere . Il  tutto in attesa che finalmente si riesca a  recuperare, attraverso una nuova politica fiscale, il bottino dei grandi evasori, si riducano privilegi, sprechi e si possa    mettere insieme, con queste misure, una parte di denaro necessario a pagare il debito.  E’ l’unico modo che hanno i creditori di vedere qualche quattrino.  Concedere altri denari in cambio di ulteriore smembramento dello stato sociale dell’alienazione del bene pubblico, come pretende l’Unione europea,  non è funzionale a recuperare un debito fuori controllo. 

Allora il dubbio sorge spontaneo. Siamo sicuri che lo scopo sia quello di rientrare del prestito? Non è che la strategia sia un'altra? Cioè mantenere e aumentare il debito, usandolo come pretesto per permettere la schiavizzazione dei lavoratori, la privatizzazione di tutti i servizi l’acquisizione  delle proprietà pubbliche  a favore del profitto delle èlite finanziarie private?  La seconda ipotesi sembra essere quella vera e il neo presidente greco Tsipras  ha rivelato il gioco. Ecco perché sta combattendo  con un eurogruppo intransigente , con dentro anche il nostro ministro delle finanze, per sottrarre  i propri cittadini dalle grinfie della troika.  

Ecco perché la battaglia intrapresa dalla Grecia dovrebbe essere appoggiata da un’ampia parte di popolazione europea, quella popolazione stanca di essere  sfruttata dal potere finanziario capitalista. Un potere che usa con maestria le istituzioni per ottenere  i proprio privilegi. Ma dirò di più, ormai è chiaro il reale obbiettivo dell’adozione della moneta unica. E’ un piano  ordito dalle ricche lobby finanziarie in combutta con i loro burattini politici, per allargare smisuratamente il campo del profitto  travolgendo i cittadini. E il  puntuale intervento delle  banche  d’affari pronte a speculare sin dagli albori di Maastricht per consentire ad alcuni Stati di entrare nell’euro ne è buona testimonianza. 

Dunque  forse uscire dall’euro potrebbe costituire un primo atto di sabotaggio al piano capitalista. Con questi signori non si tratta, anche se il nuovo governo greco, dopo aver ostentato fermezza,  sembra intenzionato a farlo . Questo è l’avversario di classe e come tale va combattuto. L’uscita dall’euro il ritorno alla moneta nazionale,  un audit sul debito ed un eventuale moratoria sono  le prime azioni di questa battaglia. Ormai e diventata  una questione di sopravvivenza. Prima li si capisce, meglio sarà.

mercoledì 11 febbraio 2015

Sanremo, l'altro festival

da stasera jazz di Arrigo Polillo

                                              dieci anni a Sanremo


Ella Fitzgerald

Dal 1956 al 1965 il clou della stagione jazzistica italiana ebbe luogo a Sanremo, in quello stesso teatro (la Sala delle Feste e degli Spettacoli del Casinò) dove aveva luogo ogni anno, e pressappoco nello stesso periodo, il Festival della Canzone.

Questa vicinanza non fu priva di conseguenze negative: dalle autorità sanremesi il festival del jazz fu sempre considerato un fratello cadetto, e in qualche modo bastardo, di quello della canzone. Non ci si capacitò mai del fatto che il nostro festival non prevedesse né vincitori né vinti, che non ci fossero interessi economici da tutelare con manovre sottobanco, che tutto si facesse alla luce del sole. Probabilmente proprio per questo fummo puniti duramente: il giorno prima dell'ultimo festival ci fu comunicato che il teatro era stato dichiarato inagibile perché non aveva uscite di sicurezza in numero sufficiente; e dovemmo ringraziare il cielo se ci fu messo a disposizione il teatrino attiguo (poi, poche settimane dopo, per il Festival della Canzone, il teatro più grande tornò miracolosamente a essere agibile, e tale è restato senza che vi fossero state apportate modifiche di sorta); quanto al denaro per compensare i musicisti (tutti ripartivano subito dopo i concerti, e dovevano essere pagati il giorno stesso, come del resto precisavano i contratti), dovemmo farcelo prestare dai vari cambiavalute cittadini in attesa di ricevere, dopo qualche settimana quello dovutoci.

Eppure il festival fu importante, anche sul pino europeo. Fu infatti la prima manifestazione del genere, con carattere continuativo, che sia stata organizzata in Europa (col tempo i festival del jazz europei avrebbero superato il numero di cento l'anno), ed ebbe sempre in cartellone nomi di grande prestigio, da Duke Ellington a Ella Fitzgerald, da Oscar Peterson a Sidney Bechet, dal Modern Jazz Quartet ai Jazz Messengers, da Bud Powell a «Cannonball» Adderley, da Max Roach a Shelly Manne, a Earl Hines. Eccetera eccetera.

Cominciò in tono minore, perché il finanziamento della prima edizione fu modestissimo: ci furono dati un milione e mezzo di lire, con le quali avremmo dovuto provvedere a tutto, cominciando col retribuire (ma sarebbe più giusto parlare di rimborso spese) la bellezza di tredici complessi.

A parte il clarinettista americano Albert Nicholas - che suonò con la Milan College Jazz Society - e i gruppi guidati dall'altosassofonista svizzero Flavio Ambrosetti e dal sassofonista francese Barney Wilen, tutti i musicisti invitati quella prima volta erano italiani. Sui giornalisti presenti fece colpo soprattutto il nome di Romano Mussolini, che fece allora il suo esordio in pubblico, ma tutti meritavano attenzione perché rappresentavano quanto di meglio poteva offrire allora l'Italia jazzistica. Ecco come si presentava il cartellone:

1 concerto (28 gennaio): Riverside Syncopators jazz band di Lucio Capobianco, Quartetto del pianista napoletano Lucio Reale, Flavio Ambrosetti and his Swiss All Stars (il pianista era George Gruntz), i Milano All Stars (Glauco Masetti, Gianfranco Intra, Franco Cerri, Franco Pisano e Gil Cuppini), Nunzio Rotondo e il suo quintetto con Lilian Terry e il già ricordato Mussolini, la Original Lambro jazz Band; 2 concerto (29 gennaio): quintetto Basso Valdambrini, trio di gianfranco intra, trio di Giampiero Boneschi, Sestetto Italiano (con Basso, Valdambrini, Attilio Donadio, Boneschi, Berto Pisano e Rodolfo Bonetto), quartetto di Barney Wilen, duo franco Cerri e Franco pisano, Albert Nicholas e la Milan College Jazz Society.
Il successo di quel primo esperimento (era quello il primo grande festival del jazz nel pieno senso del termine che venisse organizzato nel nostro Paese) fece sì che la manifestazione fosse inserita in modo permanente nel cartellone delle attrazioni invernali sanremesi.
Ci furono poi delle annate eccezionali, e altre così e così. La ricchezza de cartellone dipendeva soprattutto dal caso, che poteva consentirci di scritturare degli importanti jazzisti americani in circolazione in quegli stessi giorni in Europa, o, al contrario, poteva offrirci poche possibilità di scelta. Allora infatti le tournée dei complessi americani in Europa erano assai meno frequenti di oggi, e i jazzmen immigrati permanenti si contavano sulle dita di una mano.
Potemmo assicurarci la prima grande stella internazionale il secondo anno, quando scritturammo Sidney Bechet. Allora non c'era jazzman più popolare di lui nel Vecchio Continente, e del resto si trattava di un solista formidabile: sostenuto dall'orchestra di André Rewelliotty, ipnotizzò anche quella sera il pubblico. Per il resto, nel 1957, il programma offriva un po' di tutto. jazz tradizionale (fra gli altri: il complesso austriaco di «Fatty» George col trombettista e chitarrista Oscar Klein e l'allora sconosciuto pianista Joe Zawinul, che sarebbe divenuto famoso anni dopo come direttore del Weather Report, e poi la Roman New Orleans Jazz Band e la Original Lambro Jazz Band), jazz moderatamente moderno (il trio dell'esordiente pianista Enrico Intra, e due gruppi milanesi con Glauco Masetti, Gil Cuppini, Eraldo Volonté, Giulio Lobano e altri, e un gruppo internazionale, con Ambrosetti, Franco Cerri, Stuff Combe ecc.) e jazz d'avanguardia (presentato da un ottetto sperimentale guidato dal già audace Giorgio Gaslini). In cartellone figuravano anche tre cantanti - Lilian Terry, carol Danell e Wilma de Angelis - e questo ci attirò gli strali degli immancabili censori di turno: eravamo commerciali, ecco cosa eravamo. (Non erano i giornalisti generici che ci attaccavano: erano sempre gli specialisti, i jazzofili, che non ci perdonarono mai il nostro attivismo.)
Il festival crebbe ancora: nel 1959 presentò tra l'altro il Modern Jazz Quartet, allora all'apice della celebrità, e l'anno dopo offrì un ampio campionario di jazz internazionale col trio di Sonny Rollins, il quintetto di Horace Silver, il baritonsassofonista svedese Lars Gullin, il pianista spagnolo Tete Montoliu, il gruppo del giamaicano Joe Harriott, il quintetto di Barney Wilen, e molti altri ancora.
Rollins era alla vigilia del ritiro sul ponte di Williamsburg, ma non aveva ancora l'aria dell'uomo in crisi, e suonò magnificamente.
«Siamo tornati dal festival» scrisse poi Testoni «soprattutto con due immagini nella mente: quella di Silver ingobbito, rattrappito e concentrato sulla tastiera, con la faccia sorridente e mite di un piccolo impiegato, e l'altra di Rollins, alto e membruto, con l'aspetto malizioso di un diavolo dantesco, di quelli burloni che tutti ricordano.»
Max Roach
Quanto a me e Maffei, che ci sobbarcammo la fatica di organizzare quei festival, ci trovammo tra le braccia Lars Gullin, che per un anno non si risolse a tornare in patria, e nel frattempo ci mise in qualche situazione imbarazzante (l'eroina, che lo avrebbe ucciso nel giro di alcuni anni, non lo rendeva precisamente una persona affidabile...).
Intanto ci eravamo, per così dire, organizzati, ed eravamo soddisfatti di come la nostra equipe funzionava. Ormai non c'era imprevedibile grana che non fosse prevista; e per ognuna c'era un addetto per risolverla. Al nostro fianco avevamo chiamato Gianfranco Guastone, particolarmente adatto a tenere i rapporti con i musicisti, e avevamo trovato un ottimo direttore di scena in Attilio Rota. In più avevamo degli amici che ci davano una mano, volta per volta, con contenuti diversi: per due anni, per esempio, potemmo giovarci della collaborazione di scenografi di lusso (quanto amichevolmente gratuiti) come Gio Pomodoro e Luca Crippa.
Il festival del 1960 fu uno dei migliori che avemmo la fortuna di organizzare, grazie all'apporto di Norman Granz che ci mise a disposizione Ella Fitzgerald e l'intera troupe di uno dei migliori Jazz at the Philarmonic, e per la simultanea presenza nel cartellone di alcuni dei più grandi batteristi della storia del jazz: Max Roach - che presentò quell'anno il suo magnifico sestetto coi fratelli Turrentine -, Kenny Clarke - che affiancò Bud Powell Oscar Pettiford in un trio strepitoso -, e infine Shelly Manne, che ci fece conoscere il suo quintetto. C'era anche il complessino di Jimmy Giuffre. Al pubblico piacque soprattuttoElla Fitzgerald; noi restammo invece impressionati di più dal gruppo di Roach, e più ancora dal trio di Bud powell, il quale quella sera suonò splendidamente, come in quegli anni gli capitava di rado: merito del suo manager francese, Marcel Romano, che tenendolo sempre sottobraccio nelle ore precedenti il concerto, gli impedì praticamente di bere.
Se nel 1960 siamo stati fortunati, non altrettanto si può dire per l'anno successivo. Noi avevamo puntato tutto sulla presenza, che fino alla vigilia sembrava certa, di Ornette Coleman, che allora era l'uomo del giorno, poi l'altosassofonista ci fece sapere di non poter venire, e noi ci dovemmo accontentare di un paio di ospiti americani in tutto: il multistrumentista Buddy Collette, che venne apposta dagli Usa, e la cantante Helen Merrill. A costoro fece corona una larga e qualificata rappresentanza del jazz europeo: la Dutch Swing College Band, la grande orchestra tedesca di Kurt Edelhagen, il pianista Martial Solal e altri, oltre a cinque complessi italiani.
una sorte analoga ebbe il festival del 1962, che ebbe come maggiori attrazioni il sestetto vocale francese dei Double Six, il trio Mitchell-Ruff, un quartetto guidato da Herb Geller e Kenny Drew, il gruppo inglese di Tubby Hayes (che ebbe un successone), il trio dello svizzero George Gruntz e infine una grande orchestra italiana costituita per l'occasione sotto la guida di Bill Russo, uno dei migliori arrangiatori che avessero servito Stan Kenton.
Modern Jazz quartet.
Poi le cose andarono a gonfie vele fino all'ultimo anno, quando la barca del festival, bersagliata dalla sfortuna e fatta segno a dispetti di ogni genere da parte di che avrebbe dovuto farla navigare, fu lasciata affondare dai due nocchieri (e cioè da me e Maffei) giunti all'esaurimento della pazienza.
Tra le manifestazioni del 63, del 64 e del 65, io ricordo con particolare piacere le prime due. Quella del 63 ebbe come prima donna ella Fitzgerald, a cui faceva corteo qualche fedelissimo di Norman Granz, come Oscar PetersonRoy Eldridge e Tommy Flanagan, ma finì per avere il suo grande momento nel concerto che contrappose, l'un contro l'altro armato, il sestetto di «Cannonball» Adderley e il gruppo dei Jazz Messengers. erano questi i due complessi di hard bop più importanti che ci fossero nel mondo, e l'hard bopattraversava allora il suo periodo di gloria; per queste ragioni l'idea di contrapporli nello stesso concerto - un tempo per ciascuno - ci era parsa buona. A cose fatte quell'idea si rivelò più che buona: i capi dei rispettivi clan («Cannonball» e Art Blakey) si erano fatti grandi feste prima dello scoppio delle ostilità, ma poi si erano dati battaglia fino all'ultimo sangue. Vinse il duello - su questo nessuno ebbe dubbi - la troupe di Blakey, che allora era ferratissima (allineava Freddie Hubbard, Wayne Shorter, Curtis Fuller, Cedar Walton e Reggie Workman, oltre a Blakey), e se ne rese conto perfettamente, a giudicare dai blandi sorrisetti di soddisfazione che i suoi uomini ostentavano a battaglia terminata. (Wayne Shorter, che incontrai alcuni mesi dopo nel gruppo di Miles Davis, mi confermò poi che lui e i suoi compagni erano molto contenti di come erano andate le cose.) Quanto ai fratelli Adderley, il loro gruppo fu battuto di misura e fu comunque brillante: non per nulla allineava allora la sua migliore formazione) con Yusef Lateef e Joe Zawinul, tra gli altri) e aveva in repertorio i suoi successoni (This Here, Dat There ecc.).
A concerto finito andai a cena coi due Adderley, e allora capii la ragione per la quale il soprannome originario di «Cannonball» fosse «Cannibal»: lo vidi divorare in un baleno una montagna di spaghetti.
L'anno dopo, nell'edizione del 64, il festival si giovò di un'altra trovata: quella di presentare un ottetto costituito coi migliori solisti di Duke Ellington. L'idea era stata mia, ma era stata per così dire necessitata: infatti il nostro budget non ci avrebbe consentito di pagare il trasporto dell'intera orchestra Ellingtoniana da e per Parigi, e allora fu giocoforza dar vacanza a poco meno della metà degli uomini di Ellington e far venire a Sanremo solo i solisti più famosi.
Non ci furono prove di sorta, e il programma fu concordato a un tavolo di ristorante quella sera stessa del concerto, ma gli otto suonarono come meglio non avremmo potuto desiderare. Potemmo giudicare allora le straordinarie capacità di improvvisatori dei vari Johnny Hodges, Lawrence Brown, Paul Gonsalves, Harry Carney ecc., che il Duca chiamava di volta in volta al microfono quasi a capriccio e magari per fare qualche dispettuccio a questo o a quello (Johnny Hodges quella sera fu particolarmente preso di mira...).
Quello che il complesso ci offrì fu un bel concerto anche perché Duke, in quei giorni, era di pessimo umore (tra l'altro prestava orecchio alle onde del mare: a uno dei nostri amici disse che gli sarebbe piaciuto molto inserire una traduzione musicale di quel rumore in una sua composizione, cosa che non gli era mai riuscita...). Agli ellingtoniani era stato riservato tutto intero il terzo concerto di quel festival, che eccezionalmente si svolse al Teatro Ariston; gli altri due furono animati da un gruppo diretto da Giorgio Gaslini, dal complesso tradizionale inglese di Chris Barber, dal Modern Jazz Quartet cui s'era aggiunto il chitarrista brasiliano Laurindo Almeida, e dai complessi di Giorgio Buratti, Eraldo Volonté e Flavio Ambrosetti, il quale ultimo ebbe come solista ospite Dexter Gordon.
Martial Solal, i Double Six, Wes Montgomery (il grande chitarrista arrivava in Europa col suo quartetto, per la prima e ultima volta), un America Jazz Ensemble messo insieme dal clarinettista Bill Smith, e poi il quartetto Thelonious MonkEarl Hines solo al piano, e infine una grande orchestra costituita per l'occasione con alcuni dei migliori solisti italiani furono motivi d'attrazione del decimo festival: l'ultimo fortunato. Chi dominò fu Earl Hines, appena riscoperto in America come solista di piano (!?!); subito dopo di lui fece una gran figura Thelonious Monk, che suonò con una foga che non avevamo mai vista in lui. («Non l'ho mai sentito suonare così da secoli!», ci confidò George Wein, che era arrivato per vedere come si sarebbe comportato il suo pupillo.)
In occasione dell'ultima edizione della manifestazione ne successero di tutti i colori, a cominciare dai grossi dispetti fattici dai sanremesi, dei quali si è già detto; la cosa peggiore fu però la defezione di Sonny Rollins, che avrebbe dovuto venire da Londra per suonare col trio inglese di stan Tracey, ma fu aspettato inutilmente, per ore, all'aeroporto di Nizza.
Rollins sarebbe stato una delle vedettes del festival; gli altri grossi calibri in cartellone erano Oscar Peterson e Ornette Coleman, il quale presentò il suo brillante trio con David Izenzon e Charlie Moffett.
I jazz messengers di Art Blakey, oltre al band leader alla batteria,
Wayne Shorter al tenore, Freddie Hubbard alla tromba
C'erano ancora un sestetto francese diretto da Jef Gilson, il trio di Franco d'Andrea, il tenorsassofonista Booker Ervin, Steve Lacy col giovane Enrico Rava (non ancora emigrato in Usa) e due ritmi sudafricani, e infine il trio di Guido Manusardi, un pianista ancora del tutto sconosciuto in Italia, che mi aveva fatto arrivare dalla Svezia, dove lavorava, una registrazione su nastro tanto convincente da indurmi subito a invitarlo.
Manusardi fece il viaggio più avventuroso, perché arrivò coi suoi compagni in automobile da Stoccolma (e la traversata del continente non fu senza peripezie) mentre quelli del trio di stan Tracey fecero quello più angosciato (dov'è mai Sonny Rollins? si chiedevano. E che cosa faremo noi tre, da soli? poi suonarono soli e ci impressionavamo molto). Quanto a Ornette Coleman, faceva allora una delle sue prime sortite nel Vecchio Continente ed era molto compreso del suo ruolo. Girava per Sanremo, fra lo stupore dei passanti, ostentando un bel cappello a cilindro, verde, del tipo basso e un po' imbarcato che si usava ai tempi di Dickens. I fotografi ne erano deliziati; non così i giornalisti, che alla richiesta di un'intervista si sentivano contrapporre regolarmente una richiesta di quattrini.
Ora che è finita da parecchi anni, non posso ripensare a Sanremo senza nostalgia, mescolata a un pizzico di angoscia. Mi viene sempre in mente quel clima tanto dolce in cui però potevano scoppiare grane a cui non c'era rimedio. Quanto alla musica, ricordo soprattutto gli aggettivi con cui la qualificammo subito dopo averla ascoltata.
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Di seguito proponiamo alcuni brani del set che nel 1964 l'ottetto di Duke Ellington tenne a Sanremo. Una formazione, come ricorda Polillo, nata dall'austerità. Infatti l'organizzazione non aveva i soldi per pagare il viaggio a tutta l'orchestra ellingtoniana per cui ad esibirsi furono chiamati otto solisti fra cui i mitici Harry Carney al sax baritono e Jhonny Hodges al sax alto. Il risultato come potrete apprezzare fu eccellente. Dunque per chi ha già le scatole piene di  Carlo Conti e la sua mielosa e perbenista combriccola, signore e signori da Sanremo, Duke Ellington  e i suoi solisti:  Rolf Ericson - Trumpet, Lawrence Brown - Trombone, Johnny Hodges - Alto Sax, Paul Gonsalves - Tenor Sax, Harry Carney - Baritone Sax, Bibi Rovére - Bass
Good vibrations
Luciano Granieri.











SIN Valle del Sacco: mentre il ministero ricorre al consiglio di Stato, si perpetua la confusione sulla perimetrazione e sul numero stesso dei SIN.

Rete per la Tutela della Valle del Sacco

Torniamo sulla Conferenza di Servizi per il SIN “Bacino del fiume Sacco” del 19 gennaio 2015 in quanto, non riportato sul verbale, si è avuta la percezione che sia al Ministero dell’Ambiente che alla Regione Lazio non si abbia la certezza di quanti SIN insistono sul nostro territorio (incredibile, ma vero!!). Ripercorriamo quindi l’iter amministrativo per chiarire questo punto.

Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 19 maggio 2005.
E’ stato dichiarato lo stato di emergenza socio-economico-ambientale nel territorio dei comuni di Colleferro, Segni e Gavignano in provincia di Roma, e dei comuni di Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino, in provincia di Frosinone;

Ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 giugno 2005, n. 3441 e 14 luglio 2005, n. 3447.
E’ stato nominato Commissario delegato per l’emergenza il Presidente della Regione Lazio che si può avvalere di un Soggetto attuatore per porre in essere tutte le attività volte al superamento dell’emergenza. Le stesse Ordinanze hanno definito i compiti e l’organizzazione dell’Ufficio commissariale, individuando le risorse economiche utili per i primi interventi. L’ufficio è competente per l’area industriale di Colleferro e le fasce ripariali del fiume Sacco. 

Legge 2 dicembre 2005, n. 248, art. 11-quaterdecies, comma 15.
L’area dei nove comuni è stata inserita nella lista dei siti di interesse nazionale da bonificare.
Essa dispone: «Al comma 4 dell'art. 1 della legge 9 dicembre 1998, n. 426, dopo la lettera p-terdecies), e' aggiunta la seguente: «p-quaterdecies) area del territorio di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 19 maggio 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 122 del 27 maggio 2005.

Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3552 del 17 novembre 2006 - art. 16.
Ha integrato la precedente ordinanza n. 3441 del 10 giugno 2005. Essa attribuisce, tra l'altro, al commissario delegato l'esclusiva competenza per il superamento dell'emergenza nel territorio dei comuni di Colleferro, Segni e Gavignano in provincia di Roma, e dei comuni di Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino, in provincia di Frosinone;

Decreto Ministeriale 31 gennaio 2008.
Definisce una nuova perimetrazione del sito di interesse nazionale del bacino del fiume Sacco, comprendente tutti i comuni del bacino idrografico, ad eccezione dei territori dei nove comuni di esclusiva competenza commissariale, nonché di alcune aree di discarica già perimetrate nell'ambito del sito di bonifica di interesse nazionale di «Frosinone». Il sito di interesse nazionale di Frosinone è stato individuato dal D.M. n. 468/01 e perimetrato con successivi D.M. 2 dicembre 2002 e D.M. 23 ottobre 2003.
Il criterio adottato è relativo all'inquinamento comportante potenziali conseguenze ambientali per le quali e' oltremodourgente e indifferibile procedere ai necessari accertamenti al fine di porre in essere adeguati interventi di messa in sicurezza d'emergenza, caratterizzazione e bonifica delle aree inquinate interessate.

DPCM del 29 ottobre 2010 pubblicato in GU n. 270 del 18 novembre 2010.
Viene prorogato ulteriormente lo stato di emergenza fino al 31 ottobre 2011 e contemporaneamente viene esteso anche ai comuni di Frosinone, Patrica, Ceccano, Castro dei Volsci, Pofi, Ceprano e Falvaterra, limitatamente alle fasce ripariali.

Il punto critico a partire dal quale si ingenera una tragica confusione è il Decreto Ministeriale 31 gennaio 2008,dalla cui interpretazione si è ricavata una perimetrazione del SIN che esclude i nove comuni sul cui territorio insistono le cause e gli effetti più gravi dell’inquinamento del fiume Sacco. Ad una lettura più attenta del dispositivo si potrebbe interpretare come una aggiunta -della nuova area perimetrata- al territorio dei nove comuni, ma il testo è talmente mal scritto che così non è stato. Il vizio originale si ritrova in una frettolosa operazione mirante ad allargare al massimo l’area di intervento, senza il fondamento di una analisi rigorosa dei processi di inquinamento.

Pertanto, il SIN è unico ma il Ministero perpetua l’errore di non considerarlo tale, tant’è che nella legge di declassamento non si tiene conto delle aree dei nove comuni che, sebbene gestite a titolo esclusivo da un commissario, fanno sempre parte dello stesso SIN.

Detta confusione emerge anche dal verbale della riunione tecnica convocata dal MINAMB in data 8 settembre 2014, dal cui verbale si legge che “il perimetro provvisorio del SIN, successivamente declassato a SIR, oggetto del ricorso e della relativa sentenza del TAR che riassegna la titolarità del procedimento al MATTM, non comprende le porzioni del territorio assegnate alla responsabilità e competenza esclusiva del Commissario delegato ex OPCM 3552 del 2006. Pertanto si evidenzia una incongruenza tra il perimetro di cui al DM 4352 del 31 gennaio 2008 e il perimetro indicato dalla Legge istitutiva del SIN (Legge 2 dicembre 2005, n. 248)”.

ARPA Lazio, che ha ricevuto dalla Regione Lazio il compito di ridefinire la perimetrazione del SIN, ha proseguito nell’errore, tant’è vero che i 9 comuni non sono stati neppure invitati alla conferenza dei servizi del 19 gennaio2015. Inoltre vi sono aree ad esempio l’ex area industriale di Castellaccio a Paliano, la Ex Cemamit a Ferentino, che sono state escluse perché ricadenti nella prima definizione di SIN, ma in area esterna alle competenze sia dell’Ufficio Commissariale che del Ministero, in una sorta di limbo amministrativo.

Viste le contraddizioni e le mancanze riscontrabili nella successione di interventi amministrativi e legislativi, il ricorso al Consiglio di Stato avverso la sentenza del TAR Lazio sede di Roma, che ha riportato la titolarità del SIN al Ministero dell’Ambiente, è ancora più sconcertante. Il Ministero è venuto meno alla sua funzione di coordinamento strategico degli interventi.

Questa catena di eventi dimostra ancora una volta la necessità di una nuova legge che stabilisca modalità, competenze e risorse per l’individuazione dei territori, per la progettazione e la realizzazione dell’azione di bonifica dei Siti di Interesse Nazionale. E’ condizione necessaria riorganizzare e coordinare in modo efficace tutti gli enti e le istituzioni, con compiti di controllo sullo stato di salute delle popolazioni e dell’ambiente. Ciò sarà possibile solo ricostruendo il ruolo e le funzioni di una agenzia nazionale per l’ambiente, contro l’inquinamento.

Riteniamo che questa situazione vada stigmatizzata in tutte le sedi istituzionali, che le rappresentanze politiche locali a tutti i livelli se ne facciano carico, in modo coordinato tra loro e con associazioni e comitati che in questi anni hanno garantito la circolazione delle informazioni, la vigilanza costante su interventi e provvedimenti, sino al punto di sollecitare l’intervento dell’autorità giudiziaria.

E’ necessario ribadire al Ministro Galletti la contrarietà ed il disappunto del Territorio della Valle del Sacco per la contraddittorietà e l’inefficacia degli interventi del Ministero, chiedendo con fermezza che sia ritirato il ricorso al Consiglio di Stato. 


Valle del Sacco, 11 febbraio 2015
 
La pianta di perimetrazione Sin da noi elaborata



Zanotelli: no a banche armate, sì a difesa non armata

Alex Zanotelli
La guerra imperversa ormai dalla Somalia all’Iraq, dalla Siria al Sud Sudan, dal Califfato Islamico(ISIS) al Califfato di Boko Haram (Nigeria), dal Mali all’Afghanistan, dal Sudan (la guerra contro il popolo Nuba) alla Palestina, dal Centrafrica al Libano. La Libia sta sprofondando in una paurosa guerra civile di tutti contro tutti, come sta avvenendo nello Yemen. L’Ucraina sta precipitando in una carneficina che potrebbe portare l’Europa in guerra contro la Russia. E’ già ritornata la Guerra Fredda fra Russia e i paesi del Patto NATO che persegue una politica di espansione militare che va dall’Ucraina alla Georgia. “La grande Spada”, di cui parla l’Apocalisse, è ritornata a governare la terra e sospinge tutti i paesi ad armarsi fino ai denti. A livello mondiale infatti oggi si spendono quasi cinque miliardi di dollari al giorno in armi. Solo in Italia spendiamo 70 milioni di euro al giorno in armi, senza contare i 15 miliardi di euro stanziati per gli F-35 e 5,4 miliardi per una quindicina di navi militari. Ma ancora più grave è il ritorno trionfale delle armi atomiche. Gli USA spenderanno nei prossimi anni 750 miliardi di dollari per ‘modernizzare’ il loro arsenale atomico. La lancetta dell’ “Orologio dell’apocalisse “è stata spostata dagli scienziati per il 2015, a tre minuti dalla mezzanotte della guerra nucleare, lo stesso livello del 1984, allora in piena guerra fredda. In questo contesto, dopo i fatti di Parigi, sarebbe grave che l’Occidente cadesse nella trappola mortale di una ‘guerra santa’ contro l’Islam. Sarebbe davvero la “Terza Guerra Mondiale”. Per questo dobbiamo rilanciare con forza la nonviolenza attiva inventata da Gesù e messa in pratica da uomini come Gandhi , Martin Luther King, Nelson Mandela. Aldo Capitini. E per incamminarci su questa strada, abbiamo oggi a disposizione due strumenti importanti: la campagna per la Difesa Non Armata e Nonviolenta e la campagna contro le Banche Armate.
Arena di Pace e Disarmo. La prima campagna, lanciata all’Arena di Verona il 25 aprile 2014, è una raccolta di firme per una Legge di iniziativa popolare che porta il titolo: ”Istituzione e modalità di finanziamento del Dipartimento della Difesa civile, non armata e nonviolenta”. L’iniziativa , sostenuta da un ampio schieramento del movimento per la pace, chiede l’istituzione e il finanziamento di un Dipartimento che comprende i corpi civili di Pace e l’Istituto di Ricerca sulla Pace e il Disarmo. Questo per dare concretezza all’articolo 11 della Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra…!) e per dare fondamento istituzionale e autonomia organizzatrice al principio fondante della legge che vuole il pieno riconoscimento della difesa alternativa a quella militare , come afferma la legge n. 30 del 1998. Il finanziamento invece di questa Difesa civile dovrà venire sia dai fondi provenienti dalla riduzione delle spese per la difesa militare sia dalle possibilità dei contribuenti da destinare la quota pari al 6 per mille dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF). Infatti la Difesa non armate e nonviolenta, per essere efficace, deve essere preparata, organizzata e finanziata. Come si è sviluppato a dismisura il Genio militare deve ora svilupparsi il Genio civile per una difesa alternativa. La Campagna per essere efficace ha bisogno che in ogni regione, provincia, città e comuni si formino dei comitati per la raccolta firme che terminerà entro il 28 maggio 2015. (Per informazioni vedi info@difesacivilenonviolenta.org) Non possiamo accontentarci delle 50.000 firme richieste, ma dobbiamo portarne almeno mezzo milione che consegneremo al Presidente della Camera, perché la legge venga discussa al più presto in aula. Dobbiamo mobilitarci tutti in questa importante campagna.
Ma mi appello soprattutto ai vescovi, ai sacerdoti, alle comunità cristiane perché si impegnino per questa Difesa Nonviolenta che nasce proprio dall’insegnamento di Gesù di Nazareth.
In questo clima di violenza e di guerra, non è certo un compito facile, sfidare il “complesso militare-industriale” che oggi governa il mondo. Per questo trovo significativo che allo stesso tempo della campagna di Difesa Civile, sia stata rilanciata la Campagna contro le Banche Armate , da tre riviste missionarie e nonviolente, Nigrizia, Mosaico di Pace e Missione Oggi. Se vogliamo infatti contrastare la Difesa Armata, dobbiamo mettere in crisi la produzione e la vendita di armi (l’Italia è all’ottavo posto nel mondo per la produzione di armi pesanti e al secondo per le armi leggere). Chi finanzia la produzione e l’esportazione di armi sono le banche: le cosidette “banche armate”. Non possiamo dichiaraci per la pace ed avere i nostri soldi in banche che finanziano le armi. E’ immorale! Oggi, grazie alla legge 185, il Parlamento italiano è obbligato ogni anno a dirci quali sono state le banche che pagano per l’export di armi italiane. Unicredit e Deutsche Bank risultano quest’anno tra le principali banche armate nella lista della presidenza del consiglio. Ma sono tante altre ad avere le mani sporche di sangue.
Questa campagna era stata lanciata già nel 2000 rivolta soprattutto ai vescovi, parroci, responsabili di istituti religiosi . Purtroppo pochi hanno risposto in questi 15 anni! Eppure la pace è il cuore del Vangelo!
Per questo la rilanciamo con forza, chiedendo ai nostri vescovi, parroci, responsabili degli istituti religiosi di scrivere alla direzione della propria banca per chiedere se è coinvolta nel commercio delle armi. In caso di risposta vaga o di non risposta, chiediamo di interrompere i rapporti con la banca,rendendo pubblica la scelta.Mi appello , in particolare, alle comunità cristiane perché le trovo ancora “fredde”. Ma ci appelliamo a tutti i cittadini perché insieme, credenti e non, diamo una mano perché le nostre banche impieghino i soldi per la pace, non per la guerra.(Per ulteriori informazioni vedi i siti di Nigrizia, Mosaico di Pace e Missione Oggi e quello della Campagna http://www.banchearmate.it/, dove troverete anche un fac-simile di lettera da inviare alla ‘banca armata’).

E’ ancora una delle tragedie nella storia dell’umanità che, come diceva Gesù, “ i figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce!”. Diamoci tutti da fare perché vinca la Vita.

martedì 10 febbraio 2015

Salvini alla conquista del Mezzogiorno Quale risposta agli aspiranti garibaldini in camicia verde?

Mauro Buccheri
Matteo Salvini, da poco più di un anno segretario della Lega Nord, è partito con le sue camicie verdi alla conquista di Terronia. Sembrano lontanissimi i tempi in cui Salvini attaccava pesantemente i meridionali (1), i tempi dei cori a Pontida contro i napoletani “colerosi” e delle proposte per riservare alcuni vagoni della metropolitana ai milanesi, contro l'invadenza di “terremotati” e “bingo bongo”. E sembra appartenere ad un'altra era geologica – sebbene siano passati solo pochi mesi - anche la crociata del segretario del Carroccio contro l'esodo degli insegnanti precari meridionali che “invadono” le graduatorie del nord.
Alcune settimane fa, infatti, Matteo Salvini ha recitato pubblicamente il mea culpa, sostenendo di aver sbagliato sinora ad attaccare i meridionali (2). Non si tratta ovviamente di un ripensamento sincero, ma di un'autocritica ipocrita e funzionale al nuovo progetto che la Lega sta lanciando. Un progetto che, per riuscire, punta fortemente sull'immagine del neo segretario, giovane dal volto pulito e dai toni tanto risoluti quanto distanti dalla violenza verbale e dagli atteggiamenti rissosi dei Borghezio e dei Gentilini. Insomma, un leader giovane, fermo e deciso, ma allo stesso tempo più moderato dei capi leghisti della prima generazione (3), alcuni dei quali travolti oggi dagli scandali, e dunque capace di allargare l'area del consenso verdano a settori borghesi ieri intimoriti dai toni urlati e dai “fucili” di Bossi. Su questa figura in Padania si sta investendo tantissimo, e, infatti, negli ultimi mesi la visibilità mediatica di Salvini è aumentata enormemente, al punto che è ormai difficile accendere la televisione senza imbattersi nel leader leghista ospite di qualche trasmissione, persino se non direttamente dedicata alla politica.
La svolta meridionalista di Matteo Salvini
Un nuovo leader che guida un nuovo corso della politica leghista. Un cambiamento di rotta finalizzato a sdoganare la Lega a sud dell'Emilia, in territori dove fino ad oggi il Carroccio non ha mai attecchito, e dove, anzi, è stato per lo più considerato un nemico. La svolta meridionalista di Salvini passa attraverso le scuse alle popolazioni del Sud per gli insulti passati, e attraverso una precisazione alla linea da lui espressa in precedenza. Salvini corregge oggi , infatti, il tiro e precisa che il bersaglio delle sue accuse non sono i meridionali bensì i “politici del sud”. Miracoli del populismo. Basta cambiare qualche parola e confidare nella diffusa rimozione della memoria storica: in questo modo, l'antimeridionalismo si trasforma in critica alla “casta politica”, cavallo di battaglia dei populisti di tutte le epoche e latitudini, buona per ogni stagione.
“Il Sud va salvato dalla sua classe dirigente”, leggiamo nel vangelo secondo il nuovo Matteo. Dirottare gli attacchi dai “terroni” ai loro “politici” consente a Salvini di guadagnare simpatie all'interno della galassia destrorsa meridionale e magari di intercettare settori che fino ad ieri si erano lasciati sedurre dalle sirene grilline. La Lega si candida, difatti, a capitalizzare anche a sud la pesante crisi che attanaglia il grillismo in tutta Italia, sia in termini di consensi elettorali che d’attivisti. Del resto, in questo progetto di conquista, finalizzato a salvare il partito dall'implosione all'interno dei suoi recinti localistici, è in gioco l'esistenza stessa della Lega. Qui (al meridione) si fa la Lega o si muore, è il motto che starà circolando nello stato maggiore padano.
Forse perché s’immedesima sempre più in Giuseppe Garibaldi, giorni fa Matteo Salvini ha lanciato una frecciata anche al Papa, reo a suo avviso di voler “dialogare con l'Islam” (4). Del resto, la Lega avrà fatto la pace coi “terroni”, ma non ha certo la minima intenzione di arretrare rispetto all'attacco contro gli ultimi: migranti, rom, “clandestini”. Se ciò avvenisse, infatti, la Lega non avrebbe più alcuna ragion d'essere. Sulla scia della vicenda di Charlie Hebdo, anzi, i leghisti danno ancora più fiato alle trombe islamofobe, paventando scontri di civiltà con i musulmani ed ergendosi a paladini della cristianità contro il rischio di “invasioni” ed “occupazioni militari e culturali”.
“Noi con Salvini” in Sicilia
Salvini ha messo al centro della sua agenda politica la conquista del Sud e si è dimostrato poco interessato ad altre questioni, inclusa quella (tanto cara alla stampa borghese) del nuovo presidente della Repubblica che doveva insediarsi al posto del dimissionario Napolitano, questione che il segretario leghista ha liquidato indicando come suo candidato ideale la presidente del Fronte nazionale francese Marine Le Pen! I suoi sforzi principali sono rivolti oggi allo sbarco in Terronia, tanto che nelle ultime settimane Salvini e i suoi fedelissimi hanno girato in lungo e in largo il tacco e la pianta dello stivale, e parecchie sono state le iniziative per presentare nelle principali città del meridione il movimento “Noi con Salvini” (questo è il nome scelto per il nuovo contenitore elettorale, con il blu che nel simbolo ha preso il posto del verde). Alla vigilia del tour nel Mezzogiorno il condottiero padano ha spiegato che la nuova classe dirigente meridionale dovrà essere composta da persone “nuove”, gente comune priva d’esperienza politica, che non ci saranno “riciclati” e che solo “una piccola parte” sarà composta da politici, comunque politici dal pedigree “impeccabile”.
I fatti sembrano smentire però i proclami di Salvini. Basti pensare che il punto di riferimento leghista in Sicilia è l'ex democristiano, e già lombardiano, Angelo Attaguile, eletto nel 2013 alla Camera col Pdl (5). E' stato lui a condurre nei giorni scorsi l'incontro di presentazione di “Noi con Salvini” a Palermo, presso il lussuoso Hotel delle Palme. Un incontro cui hanno preso parte anche un drappello d’ex giovani del Pdl, qualche esponente della vecchia classe dirigente isolana (quella che Salvini a suo dire dovrebbe contrastare), come il deputato regionale del Mpa Pippo Gennuso (che, segnala il Fatto quotidiano, è indagato dalla procura di Palermo per concorso in falso), nonché alcuni giovani di Casapound, gruppo neofascista notoriamente vicino alla Lega (6). Superfluo dire che uno dei temi centrali dell'incontro è stato quello relativo agli immigrati (7), ormai principale bersaglio dei leghisti dopo la riconciliazione padana col Mezzogiorno italiano, oltre alla lotta all'Europa e all'Euro, altri temi su cui Salvini ha cambiato radicalmente posizione ultimamente, dato che fino a poco tempo fa si esprimeva a favore della moneta europea (sebbene specificasse che i meridionali non la meritano!).
Nelle ultime settimane la Lega è sbarcata, sia pur con piccoli nuclei, in alcuni centri siciliani, avviando sin da subito la consueta propaganda xenofoba (ad esempio nel nisseno), e in alcune città il movimento “Noi con Salvini” ha già preannunciato la propria partecipazione alle elezioni comunali della prossima primavera. Così, ad esempio, a Licata, oppure ad Agrigento, dove il candidato sindaco sarà il deputato leghista Marco Marcolin, che ha incassato il supporto d’alcuni settori di destra riconducibili all'ex missino Nello Musumeci, già presidente della provincia di Catania ed oggi parlamentare regionale (8).
Le ambizioni di Salvini nel meridione
E sempre a proposito di riciclati e di “nuovo” che avanza, la musica non cambia se si guarda a quanto sta accadendo nelle altre regioni meridionali. Alla presentazione di “Noi con Salvini Puglia”, presso la Camera dei deputati, avvenuta il mese scorso, erano presenti fra gli altri Rossano Sasso, dirigente della Ugl di Bari e candidato alle ultime elezioni comunali nella lista civica vicina al sindacato destrorso, e Mimmo Foglietta, foggiano, ex segretario provinciale dell’Udeur (9).
Il gruppo di Salvini rivendica già un nutrito seguito in Calabria, mentre cerca di far breccia anche in Campania. Lo scorso 19 gennaio si è svolto, presso l'Hotel Ramada, l'incontro di presentazione di “Noi con Salvini” a Napoli, sotto la direzione di Raffaele Volpi, vicecapogruppo della Lega Nord al Senato. Si tratta dell'uomo di fiducia cui Salvini sembra avere affidato il delicato compito di effettuare il reclutamento in meridione. Una piazza difficile per la Lega, quella di Napoli, come conferma anche la forte contestazione operata da un gruppo di studenti e attivisti dei centri sociali all'esterno dell'albergo dove si teneva il meeting (10). Così come difficile sarà per Salvini conquistare “Roma ladrona”. Una missione ardua per il segretario del Carroccio, che tenterà il primo approccio il prossimo 28 febbraio (quindici anni dopo l'ultima manifestazione organizzata dalla Lega nella capitale) con un'adunata in piazza del Popolo (11).
Il leader dei leghisti siciliani, Attaguile, ha pronosticato grandi risultati elettorali per il nuovo soggetto politico: “potenzialmente potremmo andare oltre il 10 per cento, anche il 15, o forse anche più su”. Auspici che trovano riscontro in alcuni sondaggi, secondo i quali i salviniani al Sud Italia potrebbero raggiungere consensi a doppia cifra (12). Proprio in Sicilia, qualche precedente aumenta l'ottimismo dei leghisti: ha fatto notizia il caso del comune di Maletto, nel catanese, dove la Lega alle ultime elezioni europee si è affermata come primo partito, con un consenso pari al 32%! Un risultato storico, cui seguì una visita di Salvini da quelle parti per festeggiare l'importante traguardo. In quell'occasione il leader leghista ricevette una calorosa accoglienza da parte della gente del luogo (13): una piccola grande soddisfazione per i padani, se si considera che lì nei pressi, a Bronte, le camicie rosse garibaldine che stavano facendo l'Italia lasciarono al contrario un pessimo ricordo, fucilando i contadini insorti contro i latifondisti.
Quale via d'uscita contro gli attacchi padronali, il razzismo e il fascismo?
Di là di quello che sarà il responso delle urne, è certo che Matteo Salvini si candida a catalizzare al meridione le diffuse pulsioni di destra e fasciste, rimaste orfane di riferimenti politici dopo il crepuscolo del berlusconismo e la crisi del grillismo, e che settori neofascisti, ex berlusconiani, ex Mpa, “trombati”e arrampicatori d’ogni risma potrebbero approfittare del momento felice di Salvini per salire sul suo carro (14), con gli effetti reciprocamente benefici (ma non certo per le masse popolari) che ciò comporterebbe.
Il diffuso sentimento d’ostilità verso il Pd e il premier Matteo Renzi, i cui “obbedisco” alla Troika ne hanno smentito i proclami populisti, potrebbe poi dare un'ulteriore mano all'altro Matteo, Salvini, che ha fatto dell'opposizione a Renzi uno dei suoi punti di forza agli occhi dei potenziali interlocutori. Mentre altre forze di destra (Ncd, ma in buona parte anche Forza Italia) appaiono agli stessi occhi ormai compromesse col governo a trazione Pd.
La questione meridionale continua ad essere strumentalizzata da partiti di sistema e politicanti privi di scrupoli. La soluzione ai problemi del meridione italiano, così come delle masse oppresse a qualsiasi latitudine e longitudine, non si potrà trovare certo nelle secessioni (un tempo al centro dell'agenda leghista), nei federalismi o nelle autonomie all'interno del sistema capitalista, ma soltanto attraverso una lotta politica radicale e ad oltranza che promuova le ragioni della classe proletaria contro il padronato. L'unico progetto politico che può restituire un futuro alle masse oppresse del Mezzogiorno italiano, e d’ogni parte del mondo, è un progetto comunista, rivoluzionario,internazionalista che, a partire dalle battaglie quotidiane e sulla base di un programma transitorio, lavori costantemente nella prospettiva dell'abbattimento del sistema capitalista e della presa del potere politico da parte delle classi oppresse. La costruzione di questo progetto, che vede impegnati la Lit-Quarta Internazionale e il Pdac, che della Lit-Qi è sezione italiana, anche in diverse regioni del sud Italia, è allo stesso tempo l'unico argine possibile contro i rigurgiti razzisti e fascisti, che emergono con forza maggiore in questa fase di grave crisi economica e sociale e in assenza di una risposta adeguata a sinistra alla violenza dell'attacco padronale.
Postilla
Per completezza d'informazione sul tema, e a ulteriore conferma rispetto a quanto esposto in questo articolo scritto alcuni giorni fa, segnaliamo l'arresto avvenuto ieri di un consigliere comunale di Palermo, tale Giuseppe Faraone, ex Udc e Il Megafono (cartello riconducibile al presidente della Regione Rosario Crocetta), che da gennaio aveva aderito al movimento “Noi con Salvini” ( http://www.huffingtonpost.it/2015/02/09/giuseppe-faraone_n_6643200.html ;http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/02/09/news/l_ambasciatore_dei_boss_del_racket_
era_un_consigliere_comunale_quattordici_imprenditori_denunciano_il_pizzo_scattano_27_ar-106824632/ ).
L'arresto è scattato per “tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso”: secondo la procura distrettuale antimafia di Palermo, infatti, il politicante in questione sarebbe un “ambasciatore dei clan” (non mancano, stando a quanto riportato da alcuni giornali locali, delle intercettazioni che ne dimostrerebbero la vicinanza a uno dei più potenti boss di Palermo, Francesco D'Alessandro, del clan di San Lorenzo). Ironia della sorte, l'arresto è avvenuto il giorno dopo la visita effettuata da Matteo Salvini a Palermo per incontrare i suoi supporters locali presso l'hotel delle Palme, incontro  che ha fatto registrare la contestazione di centinaia di giovani ed attivisti politico-sindacali all'esterno dell'albergo. E pensare che, durante l'incontro di Palermo, Matteo Salvini, intervistato dalla stampa locale, ha detto che “la mafia è il pericolo numero uno”! (
http://palermo.gds.it/2015/02/08/salvini-a-palermo-parte-la-protesta_309342/ )
Note
1. Oltre ad immigrati e omosessuali (contro i quali ha celebrato la politica omofobica di Putin), bersaglio ricorrente delle invettive di Salvini sono sempre stati, almeno fino ad ieri, i “terroni”:http://www.articolotre.com/2013/12/salvini-contro-tutti-terroni-e-migranti-ladri-gay-magistrati-rimbambiti-e-giornalisti-infami/
2.http://www.lastampa.it/2014/12/02/italia/politica/salvini-sui-meridionali-ho-sbagliato-li-conoscevo-poco-phELIRgpI2VOkQpfdeMesN/pagina.html
3. Salvini ci tiene spesso a precisare, per rassicurare il padronato, che i suoi (apparenti) attacchi alle istituzioni borghesi si mantengono entro i limiti della “civiltà”. Così ha fatto anche recentemente, dopo che la Consulta ha bocciato la sua proposta referendaria in merito alla Legge Fornero, iniziativa che aveva ottenuto anche il supporto della segretaria della Cgil Susanna Camusso:http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2015/01/20/pensioni-consulta-inammissibile-referendum-sulla-legge-fornero-proposto-dalla-lega-nord-ira-di-salvini_45e88f63-f546-4c0f-8be9-636b404894ad.html
4. Come al solito, la Lega cerca di solleticare i più bassi istinti delle persone. In questo caso, la frecciata al Papa è finalizzata ad intercettare le pulsioni razziste e xenofobe interne ed esterne al mondo cattolico: http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/08/charlie-hebdo-salvini-papa-sbaglia-dialogare-islam-in-guerra/1323711/
6. Proprio pochi giorni fa il progetto meridionalista di Salvini è stato celebrato entusiasticamente dai militanti calabresi di Casapound nel corso della presentazione dell'associazione “Sovranità – prima gli italiani”, svolta a Lamezia Terme, cui ha preso parte anche il vicepresidente nazionale di Cpi, Simone Di Stefano: http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/01/10/calabria-casapound-siamo-con-la-lega-ha-ammesso-sbaglio-su-centro-sud/328641/
8.http://www.sicanianews.it/cartello-marcolin-sindaco-di-agrigento-riunione-di-simpatizzanti-di-destra-presso-la-sede-del-movimento-di-piu/
9.http://www.corrieresalentino.it/2014/12/nasce-al-sud-e-nel-salento-noi-con-salvini-puglia-la-presentazione-alla-camera-dei-deputati/
14. In tal senso iniziano a notarsi nel panorama di destra alcuni movimenti e cambi di casacca. A titolo esemplificativo: http://www.loraquotidiano.it/2015/01/02/trapani-consigliere-passa-con-la-lega-salvini-un-grande-leader-moderato_18486/


video di Luciano Granieri